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Pier Mario Fasanotti

Nel documento Cronache Economiche. N.011-012 Anno 1976 (pagine 41-44)

Nel Qatar si decide se l'economia occidentale debba essere punita per colpe che ha e che non ha, oppure se debba essere esaltata quale motore principale per tutti quei paesi il cui sogno indu-striale è ancora lontano o comunque estrema-mente contraddittorio.

I signori del petrolio chiedono un aumento del prezzo del greggio principalmente per due ragioni. Il primo aumento, quello attuato alla fine del 1973 (dopo la guerra del Kippur), ha scatenato una reazione a catena per cui i paesi esportatori di pe-trolio si sono trovati, nel giro di due-tre anni, ad essere importatori di manufatti occidentali a prezzi assai più elevati. La manovra sul petrolio si è tradotta in molti casi in una sorta di boome-rang e le nazioni Opec sono nuovamente costrette a rispondere, a rilanciare la mano, nel grande ta-volo dell'economia mondiale.

La seconda ragione è strettamente legata ai pia-ni di sviluppo dei singoli Paesi petroliferi. Molti hanno legato la propria sorte industriale all'oro nero e ai proventi che questo offre. Paesi, come per esempio l'Iran, hanno detto chiaramente, a se stessi e agli altri che il petrolio è un bene non durevole e quindi gli sforzi di industrializzazione devono essere concentrati tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Si pensi, per esempio, alle ambi-zioni « persiane » dello Scià, il quale ha promesso che il suo paese, alla fine degli anni ottanta, do-vrà essere nel novero delle maggiori potenze mon-diali.

Spesso quando si parla di Opec si sottintende il fatto che il solo comune denominatore è il pe-trolio, dal momento che all'interno del « cartel-lo » ci sono profonde spaccature, economiche e politiche. Da una parte i moderati, le « colom-be », legati alla considerazione che l'intero svi-luppo è agganciato a doppio filo con l'economia occidentale e quindi questa non deve essere messa in ginocchio. Dall'altra i « falchi », più decisi a spingere l'accelerato re delle richieste di aumento,

convinti anche che il problema del quarto mondo (quei paesi al limite della sopravvivenza econo-mica) sia da unire all'atteggiamento dell'altro « cartello », quello dei paesi importatori di pe-trolio.

Non è da escludere che prima o poi abbiano la meglio proprio i « falchi », approfittando an-che del fatto an-che le spaccature, e sono profonde anche se non del tutto apparenti, sono vivaci tra i paesi consumatori. Il discorso del lungo termine ha sempre suscitato scarso interesse nelle rela-zioni tra paesi, soprattutto per il dominio ancora assoluto della domanda e dell'offerta, legge che porta a massimizzare subito i profitti. Qualcuno cita Keynes quando ironicamente affermava che nel lungo termine siamo tutti morti.

Anche ipotizzando un aumento del prezzo del petrolio in termini moderati, ossia del 10 per cen-to, le conseguenze economiche sull'occidente, in particolare su quei paesi più deboli come Gran Bretagna e Italia, sarebbero fortemente negative. Prendiamo il « caso Italia ». Il nostro paese ha un consumo annuale di petrolio pari a 103 mi-lioni di tonnellate con un esborso complessivo di 7500 miliardi di lire. Considerando la rigidità di breve periodo della domanda di petrolio ri-spetto alle variazioni di prezzo, nel 1977 un au-mento del 10 per cento potrebbe causare un ulte-riore disavanzo nella nostra bilancia dei paga-menti pari a 800-900 milioni di dollari.

Sempre seguendo l'ipotesi del 10 per cento il surplus finanziario dei paesi dell'Opec dovrebbe superare nel '77 i quaranta miliardi di dollari, cifra pressoché pari al passivo corrente dei paesi consumatori e pari all'esposizione debitoria an-nuale del quarto mondo, di quelle nazioni prive di risorse naturali (comunque non utilizzate), co-strette a rincorrere con ritmo drammaticamente affannoso il benessere degli altri, importato a co-sti elevatissimi.

I signori del petrolio aiutano finanziariamente i « fratelli » meno fortunati, ma la mano tesa non è ancora sufficiente per far superare ad un quarto della popolazione mondiale il limite della soprav-vivenza biologica. Ecco allora che si redigono piani più ampi, svincolati dalla logica dell'assi-stenza e dell'elemosina, regole o meccanismi al posto dell'elargizione di denaro a breve e medio termine.

Anche Guido Carli, attuale presidente della Confìndustria, ha tentato di offrire soluzioni che siano più durature. Il suo è un piano « triango-lare », una sorta di schema di garanzia multila-terale degli investimenti. I paesi dell'occidente industrializzato garantirebbero in solido tutti i rischi connessi agli investimenti Opec nelle re-gioni sottosviluppate. Si supererebbe cosi forse lo scoglio principale, costituito dal rischio, poco caro ai produttori di petrolio, di sborsare denaro senza garanzie o prospettive certe. Un altro van-taggio: l'occidente potrebbe continuare ad espor-tare beni e servizi senza veder automaticamente gravato il proprio onere finanziario.

Sembra tuttavia che lo schema Carli sia de-stinato a diventare una tappa del « come pote-vano essere state le cose » anziché un punto di riferimento o di partenza. Ciò dipende anche dal-l'atteggiamento, per nulla unitario, dei paesi Ocse (organizzazione che raggruppa le nazioni più industrializzate del mondo): da una parte Stati Uniti e Germania occidentale che, guarda-caso economie più forti in assoluto, sono poco propensi a legarsi a doppio filo con i paesi più poveri; dall'altra i paesi più « esposti », alla ri-cerca di un equilibrio mondiale in quanto ga-ranzia del proprio. In questi ultimi giorni ci sa-rebbero state poi manovre diplomatiche definite oscure per sganciare il problema del greggio da quello degli aiuti al quarto mondo. Vere o non vere che siano le indiscrezioni trapelate, esse sono pur sempre il sintomo di una mancanza di visio-ne unitaria, e comunitaria, dei paesi importatori di petrolio. Il rischio più grosso: ognuno pensi per sé.

L'Europa tuttavia sembra avere nella manica una carta da giocare, non subito ma certamente negli anni Ottanta: il petrolio del Mare del Nord. Secondo un recente studio della Chase Manhattan Bank il greggio proveniente da questa zona, per ora parzialmente esplorata, sarebbe in grado di soddisfare un quarto dell'energia necessaria al-l'Europa occidentale per soddisfare i programmi

I M P O R T A Z I O N I I T A L I A N E DI P E T R O L I O w ( i n percentuale) Paesi 1971 1974 Abu D h a b i 0,7 1,2 Algeria - Tunisia 2,7 4,2 Arabia S. 17,5 23,7 Egitto 1,0 0,9 Iran 9,3 15,0 Iraq 14,2 9,9 Kuwait 13,1 12,1 Libia 25,0 18,4 Nigeria 2,0 1,7 Qatar 1,7 1,8 Siria 2,1 1,5 URSS 7,1 6,2

Venezuela e Indie Occ. 1,5 1,2

Altri Paesi 2,1 2,2

di sviluppo industriale. Lo studio citato afferma inoltre che il bacino del Mare del Nord acqui-sterà negli anni Ottanta un'importanza strategica di primissimo piano, politica e finanziaria.

Le riserve provenienti da questa zona si cal-cola ammontino a circa 20-25 miliardi di barili di petrolio e 90 mila miliardi di piedi cubi di gas. Se gli investimenti programmati per i prossimi anni non subiranno soste di alcun genere le ri-serve petrolifere del Mare del Nord potrebbero salire a 40 miliardi di barili. Ciò significa che questa zona sarà in grado di produrre dai quattro ai cinque milioni di barili al giorno per dieci-venti anni. C'è chi afferma poi che le stime com-piute finora sono in difetto: la realtà sarebbe assai più entusiasmante di quella prospettata. Fino ad oltre il duemila l'Europa potrebbe con-tare su se stessa.

Questi progetti sono tuttavia legati ai mezzi finanziari della Gran Bretagna e alla situazione economica di questo paese, già costretto a cedere il venti per cento delle azioni della British Pe-troleum per soddisfare le condizioni di un grande prestito da parte del Fondo monetario interna-zionale. Il pericolo, per l'Europa, sarebbe ancora in questi termini: il vecchio continente si trova a disporre di enormi ricchezze finora mai utiliz-zate, ma per la sua debolezza economica è co-stretta a ricorrere all'aiuto esterno in campo fi-nanziario con il rischio di avere in casa propria paesi di fronte ai quali si vuole cautelare.

L'aumento del prezzo del petrolio deve inol-tre fare i conti con i consumi. Di qui l'appello alla moderazione lanciato da alcuni paesi

del-l'Opec. Si può aumentare il prezzo del greggio di quanto si vuole, ma se i consumi registrano una forte caduta, gli effetti sono quanto mai ne-gativi per gli esportatori.

Un dato indicativo proviene proprio analiz-zando i dati che si riferiscono al 1975. Il calo dei consumi petroliferi nei paesi dell'Ocse è sta-to nel '75 più rapido di quello del prodotsta-to na-zionale lordo. Da un recente studio risulta in-fatti che nei 24 paesi Ocse questo consumo è sceso del 3,9 per cento per un totale di 1597 miliardi di tonnellate mentre il pnl è calato

del-l'1,2 per cento. In Europa la contrazione è stata del 5 per cento (contro l'I,6 del pnl), negli USA del 2 per cento e in Giappone dell'8,9 per cento. Complessivamente l'anno scorso le importazio-ni Ocse di greggio e prodotti petroliferi sono di-minuite dell'8 per cento per scendere a 1,185 miliardi di tonnellate. Le ripercussioni della mi-nore domanda sulle importazioni presentano tut-tavia grosse differenze a seconda delle zone prese in esame. Certo è che esiste un livello di guardia anche per i consumi, superato il quale i venditori di oro nero rischiano troppo.

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Nel documento Cronache Economiche. N.011-012 Anno 1976 (pagine 41-44)