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Gli anni Novanta: un nuovo approccio al design

Il design italiano incontra le materie plastiche

2.6 Gli anni Novanta: un nuovo approccio al design

Il decennio precedente portò i frutti sperati nel giro di una decina d’anni. Sotto la direzione di Claudio Luti, un passato nel settore della moda e grande voglia di mettersi in gioco nel campo del design, Kartell entrò in una nuova fase creativa. Gli anni Novanta in Kartell si caratterizzato da nuovi progetti ideati da designers stranieri tra i quali è bene ricordare Philippe Starck, collaboratore fin dal 1985 e Ron Arad, autore di uno tra gli oggetti più iconici dell’azienda. Le nuove direttive produttive, in parte volute direttamente da Luti e realizzate tramite i progetti di Philippe Starck, Ron Arad e altri miravano a produrre complementi d’arredo e mobili in plastica dotati di fascino e che, in virtù della sperimentazione di tecnologie sempre nuove, divennero successivamente prodotti di eccellenza del design industriale. Claudio Luti, con grande

                                                                                                               

120 R. Craig Miller, Gli anni ’80, in E. Storace, H.W. Holzwarth, Kartell. The culture of plastic, op. cit., pp.

esperienza nell’ambiente dell’alta moda era convinto che l’intuito personale, con l’aiuto di un pizzico d’intraprendenza portasse al successo. Chiaramente le scelte direzionali del neo presidente erano guidate non solo dall’istinto ma, come sostiene la storica del design Marie-Laure Jousset

fin dal primo giorno [Claudio Luti] adotta una precisa strategia: nobilitare il materiale, offrire un catalogo di prodotti accattivanti, dotati di una forte personalità e adatti a ogni tipo di interno121.

Consapevole del “nuovo corso” dell’azienda le porte dello stabilimento di Noviglio si aprirono a nuove personalità del mondo del design, alcune giovani, altre con già molta esperienza alle spalle. Tra questi un posto di riguardo spettò a Vico Magistretti. Il sodalizio creativo con Kartell iniziò nel 1992, quando il designer e architetto lombardo cominciò a sviluppare una seduta caratterizzata da una struttura in tubolare metallico curvato nella quale si fissava un sedile e uno schienale in plastica. Si ricorda che Magistretti aveva già realizzato una seduta in plastica: si tratta della sedia Selene (Artemide 1969) realizzata con la tecnologia dello stampaggio ad iniezione, caratteristica che accomunava anche la produzione industriale delle sedute prodotte da Kartell. L’utilizzo dei materiali plastici era inoltre familiare al maestro milanese poiché questi costituivano la scocca della lampada Dalù firmata nel 1969 per Artemide, realizzata sempre tramite il procedimento dello stampaggio ad iniezione. La particolarità della sedia Mauna-Kea era la possibilità, per l’acquirente, di personalizzarla a piacere: i due elementi in plastica erano infatti disponibili in 160 tonalità diverse, caratteristica che rendeva questa seduta ideale per molti ambienti diversi (Fig. n. 24). Inserita nel catalogo della divisione Habitat, il settore aziendale che si occupava degli articoli

                                                                                                               

d’arredamento, riscosse un discreto successo, grazie all’esposizione presso il Salone del Mobile di Milano nel 1993.

L’anno successivo la seduta con braccioli Mauna-Kea venne accoppiata a una tavolo dal piano circolare in materiale plastico colorato, disponibile nella versione a quattro gambe o con il solo sostegno centrale. Nel 1994 la famiglia venne completata con la produzione di uno sgabello, simile alla seduta per aspetto e costruzione. Magistretti approfondì il tema della seduta giungendo, dopo un anno di ricerche, schizzi e modelli in legno, alla seduta Maui, la prima sedia prodotta da Kartell nel 1996 in monoscocca di plastica che non presentava nervature, supporti metallici o strutture di rinforzo a sostegno dello schienale. La sedia aveva infatti l’aspetto di un piano di plastica opportunamente sagomato, sul quale l’utente può sedersi (Fig. n. 25). Osservando gli schizzi fatti dal maestro si può notare come sia stata operata una riduzione della forma fino a raggiungere un aspetto essenziale: “Disegnare per me, non è riprodurre l’oggetto in tutti i suoi particolari morfologici e tecnici ma è un mezzo per scavare sempre più in fondo, per trovare ed esprimere l’anima, l’essenza dell’oggetto.”122 La famiglia Maui si allargò quasi

subito: vennero infatti prodotte delle varianti rispetto al modello base che si differenziavano per la varietà dei colori e per la presenza di braccioli realizzati in tondino d’acciaio cromato. Nel 2009 la sedia Maui è stata la protagonista della mostra allestita presso il museo Kartell a Noviglio: in quell’occasione alcuni esemplari dell’articolo vennero decorati da artisti internazionali, tra i quali Charles André il quale dipinse sulla seduta bianca una figura astratta sulle tonalità del giallo ocra e marrone (Fig. n. 26).

Un ultimo tributo alla famiglia Maui, composta anche da un tavolo e un divanetto a due posti, venne dall’introduzione nel catalogo Habitat nel 2012 di una versione chiamata Maui Soft realizzata rivestendo il polipropilene della scocca con morbido tessuto colorato fornito dall’azienda danese Kvadrat.

                                                                                                                122 Ivi, p. 236.

Le sedute realizzate da Magistretti alla metà degli anni Novanta vennero molto apprezzate in ambienti lavorativi, soprattutto negli uffici grazie alla disponibilità di alcuni modelli forniti di ruote. Questo prodotto trovò infatti ideale collocazione all’interno del catalogo della divisione Office, aperta nell’ottobre di quell’anno sotto la direzione di Ferruccio Laviani con l’obiettivo di rendere l’ambiente di lavoro più leggero tramite gli articoli in plastica colorata realizzati da Kartell. Accompagnavano le sedute progettate da Vico Magistretti il tavolo Max con struttura in tubolare d’acciaio e piano in materiale plastico colorato, anch’esso dotato di ruote per essere facilmente spostato all’occorrenza. Come precedentemente affermato, in questo periodo Kartell incluse nel proprio team di progettisti firme storiche del design italiano: oltre a Vico Magistretti, anche Enzo Mari realizzò per la divisione Office Clino, un set di accessori da scrivania in polipropilene nelle sfumature blu e grigio scuro (Fig. n. 27). Ricorda l’artista-designer che “Tanto gli oggetti sono semplici, tanto più sono belli, che altro? Per renderli riconoscibili è sufficiente una leggera inclinazione”123. Semplicità e rigore erano caratteristiche presenti

fin dal principio nell’opera di Mari. Un esempio è il vassoio Putrella (Danese 1958) costituito da una sezione di trave dal profilo a T leggermente curvata alle estremità. Con semplici operazioni Enzo Mari sfrutta materiali presenti nella vita di tutti i giorni per trasformarli in oggetti di design dalle linee semplici e rigorose. Un processo analogo verrà utilizzato nel progetto Ecolo (Alessi 1996) costituito da bottiglie di plastica tagliate per farne dei vasi: in questo caso Mari dimostra un’attenzione all’ambiente, aspetto che contraddistingue l’opera del maestro fin dai primi progetti.

Per completare l’ipotetica scrivania, Kartell rieditava il portariviste 4676 in plastica, progetto risalente al 1974, firmato da Giotto Stoppino; nel 1994 venne resa disponibile una versione in plastica trasparente dell’articolo, una sorta di omaggio a uno dei designer storici di Kartell.

                                                                                                               

Nuove idee vennero anche dai due designer Antonio Citterio e Glen Oliver Löw. I due focalizzarono l’attenzione sull’idea del carrello portavivande, ricorda Citterio: “Quando mi sono sposato nel 1989 cercavo un carrello e sul mercato non ne ho trovati di interessanti: allora ne ho disegnato uno”124.

Aneddoto a parte, Antonio Citterio con la collaborazione del designer tedesco Löw, si dedicò alla progettazione di carrelli e tavolini pieghevoli composti da una struttura in metallo con dei rinforzi a “x” per conferire solidità all’oggetto. I modelli Battista (1991), OXO (1992) e il contenitore a cassetti Mobil (1995) sono tutti parte di una grande idea che tentava, secondo il progetto del duo, di coniugare il tubolare metallico lucidato a specchio con pannelli in plastica colorata dall’aspetto semitrasparente, lucida o eventualmente opaca (Fig. n. 28).

Il contenitore Mobil, una cassettiera con ripiani colorati stampati in un unico stampo, meritò nel 1994 il premio Compasso d’Oro poiché “l’oggetto suggerisce l’idea di un lavoro d’ufficio ricco di flessibilità. Tutte le soluzioni tecnico-formali sono convergenti e coerenti”125. Nel 1998 A. Citterio e il

collega firmarono la prima sedia pieghevole prodotta da Kartell. Dolly, questo il nome scelto per l’articolo, ricordava il motivo a incrocio già utilizzato nelle barre laterali di supporto dei carrelli, tuttavia la sedia era realizzata come da tradizione in plastica colorata, con una seduta dallo spessore sottile, abbinata a uno schienale pieno per bilanciare leggerezza formale e solidità strutturale (Fig. n. 29).

Un altro merito di Claudio Luti fu quello di chiamare Ron Arad, designer israeliano tra i più conosciuti a livello mondiale. Il nome di questo designer è legato principalmente a due articoli molto conosciuti e, al contempo rivoluzionari, prodotti da Kartell su suo progetto. Si tratta della libreria

                                                                                                                124 Ivi, p. 220.

Bookworm e della sedia FPE, oggetti nei quali la plastica oltre a essere il

materiale costituente è anche quello che caratterizza i due prodotti.

Il primo progetto di Arad venne reso disponibile nei punti vendita aziendali nel 1994, tuttavia l’idea di realizzare una libreria flessibile, costituita da una banda in materiale plastico posizionabile in modo del tutto personale e da apposite tavolette reggilibro, risale all’opera This Mortal Coin126 realizzata nel

1993 artigianalmente dal designer stesso e attualmente conservata presso il Victoria & Albert Museum a Londra. Costituita da una fascia di acciaio modellata a spirale, era dotata di opportuni divisori per distanziare i libri. Questo oggetto, dalle misure importanti risulta più un esercizio di stile che non un vero complemento d’arredo: misurando oltre due metri in altezza, e profonda 33 centimetri, difficilmente avrebbe trovato mercato. Chiamato da Luti, il designer israeliano propose al presidente di Kartell l’idea di realizzare una libreria basandosi sull’idea dell’opera ora a Londra, ma utilizzando il PVC colorato. In questo modo il cliente poteva posizionare la mensola a proprio piacimento, fissando le tavolette reggilibro alla misura preferita: Kartell aveva così prodotto la prima libreria completamente configurabile dall’utente (Fig. m. 30). Come spiega Ron Arad “Si trattava di un prodotto di massa, che poteva essere acquistato nella lunghezza desiderata e a basso costo, montato come voleva il cliente. Come se non bastasse, era un sistema di scaffalatura

che per la prima volta ignorava la linea retta”127. Come accadde per l’articolo

precedente di Vico Magistretti, anche Bookworm fu oggetto di una mostra allestita presso il museo Kartell nella primavera del 2009.

Spirito innovativo e spesso originale con i suoi progetti, Ron Arad dimostrò la sua vena creativa quando propose a Luti l’ennesima sfida tecnologia per la quale venne addirittura progettata ex novo un nuovo macchinario. L’idea base

                                                                                                               

126 Ron Arad. No Discipline, catalogo della mostra a cura di P. Antonelli (Paris, Centre Pompidou),

Centre Pompidou, Paris 2008, pp. 58-59.

era quella di assemblare una seduta costituita da un’unica lastra di plastica stampata e curvata per ottenere seduta e schienale in un unico pezzo. La fascia sarebbe stata poi inserita in una struttura portante in alluminio dotata di gambe: il risultato finale era una sedia dalle linee morbide e fluide, composta da soli due materiali, e assemblata senza l’utilizzo di collanti o rivetti metallici. Marie-Laure Jousset, responsabile della collezione Design del Musée national d’art moderne del Centre Pompidou, chiarisce il nome scelto per la seduta:

L’acronimo “FPE” sta per “Fantastic Plastic Elastic”. Fantastica per la tecnologia impiegata. Plastica per il materiale utilizzato, il polipropilene. Elastica in quanto è la sua estrema elasticità che le conferisce resistenza strutturale128.

Questo articolo, insieme alla libreria Bookworm, divenne una sorta di icona della progettazione di Ron Arad per Kartell. Particolarmente apprezzata per la sua modularità, la sedia FPE era disponibile in molte colorazioni diverse, sempre abbinate alla struttura in alluminio; divenne inoltre parte della collezione permanente del Moma nel 1997 e tutt’ora vi risiede. A consacrare definitivamente Arad tra i più importanti designers del decennio contribuì l’esposizione “Ron Arad. No discipline” allestita al Centre Pompidou tra la fine del 2008 e il 2009 (Fig. n. 31) a cura di Paola Antonelli. La mostra univa in un unico allestimento i molti progetti del designer israeliano, passando da poltrone e sedie ai progetti architettonici che Arad produsse negli anni129.

Il secondo designer che accompagnò, metaforicamente parlando, Kartell al successo e alla visibilità internazionale è Philippe Starck. Entrato nel team di progettisti fin dal 1985 grazie all’intuito del presidente Claudio Luti, proseguì per tutto il decennio nella progettazione di articoli che sarebbero diventati dei veri e propri best sellers per l’azienda. Collaborando con Guido Borona e

                                                                                                                128 Ivi, p. 252.

Roberto Picazio, rispettivamente direttore dell’ufficio tecnico e prototipista Kartell, Philippe Starck propose una nuova sedia, chiamata Miss Trip, nella quale coniugava materiali plastici per la seduta e legno per le gambe e lo schienale. Il progetto, disponibile sul mercato nel 1996, era stato studiato anche sotto l’aspetto del packaging: la sedia infatti era imballata in un pacco piatto, senza sporgenze, comodo per essere trasportato a casa dal cliente. Com’era solito fare, Starck si ingegnò al fine di produrre un articolo che non richiedesse viti o collanti per l’assemblaggio; era sufficiente infatti inserire le gambe nella seduta in plastica bianca; grazie a un sistema di bloccaggio brevettato l’incastro risultava saldo e sicuro per l’utente (Fig. n. 32).

L’anno successivo è la volta della poltroncina Dr. No accompagnata dal rispettivo tavolino Dr. Na (fig. n. 33). L’ospite è accolto da una struttura squadrata in plastica rigida, con il profilo dei braccioli collegato con la parte superiore dello schienale. La seduta rispose perfettamente alle linee guida espresse dal presidente Luti quando decise di portare Kartell verso una svolta stilistica. La scocca infatti era verniciata in tenui colori pastello come il bianco panna, l’arancione chiaro, l’azzurro o il violetto; al tatto la superficie non risultava perfettamente liscia, ma la verniciatura le donava un touch delicato. Al contempo rispettava una delle “direttive” che caratterizzavano tutte le sedute progettate dall’azienda, fin dalla seggiolina per bambini di Richard Sapper e M. Zanuso: anche Dr. No era infatti sovrapponibile, fino a un massimo di quattro unità.

Il capolavoro del decennio, firmato dal designer francese è tuttavia la sedia La

Marie (1998), la prima seduta al mondo in policarbonato trasparente stampata

in un unico pezzo. Frutto di una ricerca da parte del designer sulla “smaterializzazione degli oggetti”130, grazie all’utilizzo per la prima volta del

policarbonato trasparente, la silhouette tipica di una seduta quasi sparisce nell’ambiente nel quale è collocata. Con la sua linea pulita e sintetica, La Marie

                                                                                                               

divenne così una sorta di archetipo della sedia, concetto ribadito anche nella scelta del nome che ricorda l’archetipo della donna, Maria appunto. Questo articolo venne presentato al pubblico al Salone del Mobile di Milano del 1999, insieme agli ultimi oggetti della collezione Habitat, la divisione aziendale diretta da Ferruccio Laviani destinata alla fabbricazione di complementi d’arredo. Lo stand, progettato nuovamente dall’art director Laviani, garantiva a

La Marie il posto di maggior visibilità: il centro del padiglione era infatti

occupato da una macchina che impegnava il modello di Starck in un test di durabilità, al fine di convincere anche i più scettici dell’effettiva resistenza del nuovo materiale (Fig. n. 34). Fedele alla politica aziendale, La Marie venne prodotta in diverse tonalità diverse, sempre utilizzando il policarbonato trasparente.

Questa sedia fu inoltre oggetto di una personalizzazione unica nel suo genere eseguita per la campagna benefica “Kartell loves Milano” nel 2011. Questo progetto, nato a partire dal Salone del Mobile del 2011, ha visto la collaborazione di diverse personalità del mondo della moda, dello spettacolo e dell’arte, nella personalizzazione di un oggetto iconico dell’azienda. I prodotti furono modificati in modo che potessero evocare l’idea di Milano: La Marie venne decorata come se fosse la sedia del Teatro la Scala, con un finto cuscino rosso su sedile e schienale. Gli oggetti vennero poi battuti all’asta dall’agenzia Sotheby’s: i proventi della vendita andarono alla Fondazione Umberto Veronesi, per sostenere la ricerca medica scientifica.

Il 1999 fu un anno particolare per Kartell: coincise infatti con il 50° anniversario dalla fondazione dell’azienda, avvenuta appunto nel 1949. Per celebrare l’evento Kartell si “regalò” il primo museo aziendale, allestito nello stabilimento industriale a Noviglio nel milanese. L’allestimento, curato da Ferruccio Laviani, copre una superficie di 2.500 metri quadrati e ha l’obiettivo di “conservare, promuovere e valorizzare il patrimonio culturale, ideale,

materiale e immateriale dell’azienda”131. Il percorso della mostra permanente si

snoda attraverso i prodotti più interessanti e innovativi realizzati da Kartell negli anni, accompagnati da fotografie storiche e bozzetti. L’allestimento predilige una andamento cronologico, diviso di decennio in decennio; particolare attenzione è riservata all’esposizione di articoli che han contribuito a creare l’immagine aziendale dapprima in Italia e successivamente a livello internazionale (Fig. n. 35). Nel 2000 il Museo Kartell si aggiudicò il premio Guggenheim Impresa & Cultura come miglior Museo D’Impresa. In occasione del 15° anniversario dall’apertura, la sede espositiva fu oggetto di un nuovo allestimento sempre curato da Ferruccio Laviani, allo scopo di raccontare approfonditamente i 65 anni di vita dell’azienda. Attualmente il Museo Kartell è visitabile su appuntamento, con visita libera o guidata; l’ingresso è libero.