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Gli anni Ottanta: nuove strade all’orizzonte

Il design italiano incontra le materie plastiche

2.5 Gli anni Ottanta: nuove strade all’orizzonte

Il decennio si aprì con le conseguenze della crisi petrolifera mondiale che coinvolse il mercato dei polimeri plastici dalla fine del decennio precedente. È risaputo infatti che tutti i polimeri plastici utilizzati dalla seconda metà del Novecento sono prodotti a partire dal processo di raffinazione del petrolio. La crisi petrolifera causò un aumento del prezzo delle materie prime alla base del processo produttivo di Kartell. Questo aspetto non colse completamente impreparata l’azienda che reagì facendo affidamento a una serie di articoli innovativi firmati da Anna Castelli Ferrieri, anima “storica” di Kartell e dal 1988 con il cambio al timone dell’azienda che passò nella mani di Claudio Luti, genero dello storico fondatore Giulio Castelli. I nuovi progetti della Castelli Ferrieri risultarono vincenti sotto molteplici aspetti: in primis la progettista si era occupata di introdurre un nuovo tipo di seduta all’interno della vasta produzione di Kartell. Lo sgabello da lei disegnato nel 1981 venne subito apprezzato dalla clientela, divenendo ben presto un pezzo storico dell’azienda. L’arrivo di Luti alla direzione generale dell’azienda contribuì invece a risollevare le sorti dell’azienda, grazie alle collaborazioni intraprese con i principali designer stranieri, quali Philippe Starck e Ron Arad.

In un periodo caratterizzato da una serie di problematiche, Kartell decise di affidarsi alla sapiente creatività di Anna Castelli Ferrrieri. Sostiene R. Craig Miller, curatore del Museum of Art di Indianapolis, che la Ferrieri

non si avvaleva della modellabilità della plastica per ottenere forme morbide e configurazioni biomorfe […]; al contrario preferiva forme nitide, minimaliste, geometriche con gambe a stecchini e superfici piane. […] Anna Castelli Ferrieri è stata la principale responsabile del look Kartell e ha contribuito a trasformare la compagnia in un’azienda leader nella produzione di oggetti di design di alta qualità, fabbricati in serie e a prezzi contenuti115.

                                                                                                               

115 R. Craig Miller, Gli anni ’80, in E. Storace, H.W. Holzwarth, Kartell. The culture of plastic, op. cit., p.

Il catalogo aziendale prese nuovo slancio grazie a nuovi progetti della moglie del fondatore; tra le numerose idee proposte, vennero effettivamente messi in produzione due tavoli, una serie di sgabelli e infine una poltroncina debitrice, quanto a progettazione al design radical che dagli anni Settanta aveva portato aria di cambiamento in questo settore. Il progetto che fece da “cerniera” tra i due decenni di attività produttiva Kartell fu la serie di sgabelli 4822. La realizzazione di questa serie di sedute si rivelò particolarmente ardua soprattutto per quanto riguarda l’aspetto materico; l’idea iniziale era quella di sfruttare la tecnologia dello stampaggio del poliuretano strutturale, materiale nel quale era possibile inserire sottili barre metalliche per ottenere maggiore resistenza agli sforzi da trazione. La vicenda progettuale impegnò i tecnici di Kartell per qualche tempo, finché non si giunse alla conclusione di realizzare sedile e anello poggiapiedi in poliuretano rinforzato con fibre di vetro, mentre per le gambe erano in acciaio, smontabili per favorire le operazione di imballaggio e trasporto del prodotto finito. Realizzato nei colori nero e bianco, a partire dal 1981 vennero resi disponibili dei cuscini circolari da incastrare nell’apposito foro del sedile in dodici tonalità pastello che ben contrastavano con il nero e il bianco rispettivamente del sedile e delle gambe (Fig. n. 18). Questo articolo divenne un best seller della collezione, grazie anche alla disponibilità di cinque modelli, strutturalmente identici ma con altezze diverse. Accanto al successo commerciale, la serie di sgabelli venne segnalata per il premio Compasso d’Oro nel 1979; vinse inoltre il Product Design Award promosso dal Resources Council USA. Questo progetto si inserì in una vasta produzione precedente e si qualificò come una sorta di “precursore” nei confronti dei progetti futuri della Ferrieri. Con le sue brillanti idee, e il suo stile minimale ma sempre funzionale, Anna Castelli Ferrieri continuò a dimostrarsi

una costante fonte d’ispirazione per i giovani designers che a partire da questo

periodo cominciarono in modo via via più assiduo a collaborare con Kartell116.

Accanto al primo sgabello presente nel catalogo generale aziendale, Anna Castelli Ferrieri accolse la “sfida” di progettare una seduta in materiale plastico; confronto dal quale già erano usciti vincitori in passato Marco Zanuso, Richard Sapper, Joe Colombo, Carlo Bartoli e Gae Aulenti. L’obiettivo era sempre costituito dalla progettazione di una seduta interamente in polimeri plastici che fosse sovrapponibile. Nel 1984 venne introdotta la sedia sovrapponibile 4870; dall’aspetto chiaramente funzionalista, l’innovazione risiedeva nell’innovativo modo di sovrapposizione ottenuto inserendo la gamba posteriore della seduta all’interno del perimetro della seconda seduta, e non all’esterno com’era stato progettato dagli progettisti precedenti (Fig. n. 19).

In questo periodo l’architetto milanese si confrontò nuovamente con la progettazione di un tavolo a distanza di circa vent’anni dai primi progetti, vale a dire il modello di tavolo 4991 e 4996 progettati nel 1964 da Anna Castelli Ferrieri in collaborazione con Ignazio Gardella 117. L’occasione questa volta

venne fornita dalla possibilità di produrre un piano d’appoggio realizzato completamente con il processo di iniezione. Nacque così il modello 4300, in produzione dal 1982; articolo che rivestì una grande importanza per l’azienda per il lungo iter progettuale che portò il team alla realizzazione di un prodotto apprezzabile sotto il duplice aspetto estetico e funzionale. Questo articolo è stato il primo esempio di tavolo stampato ad iniezione in ABS, materiale con il quale erano realizzati il piano e i conetti di raccordo tra tavolo e gambe. Le gambe vennero invece realizzate in polipropilene, materiale adatto a supportare le torsioni causate dall’utilizzo e soprattutto rigido a sufficienza per

                                                                                                               

116 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

cit., pp. 154-157.

evitare fastidiose oscillazioni (Fig. n. 20). Il polipropilene era inoltre lo stesso materiale utilizzato per le sedie progettate qualche anno prima da Carlo Bartoli, sedute per le quali il tavolo doveva fungere da complemento d’arredo. Frutto di un anno di ricerche e di modifiche agli stampi al fine di ottenere un piano d’appoggio funzionale, il risultato finale non deluse le aspettative: questo articolo infatti, presentato ufficialmente al Salone del Mobile di Milano nel 1982, riscosse un immediato successo di pubblico e critica aggiudicandosi nello stesso anno l’ID Annual Design Award dell’Industrial Design Magazine di New York.

La tecnica dello stampaggio ad iniezione venne sfruttata nuovamente per realizzare il secondo tavolo firmato da Anna Castelli Ferrieri. Disponibile dal 1983 e conosciuto con la sigla 4310, venne presentato al Salone del Mobile di Milano l’anno successivo rispetto al suo predecessore, il modello 4300. La particolarità di questo modello risiede nella possibilità di essere acquistato smontato, per poi essere assemblato dall’utente senza l’utilizzo di viti o elementi metallici. Il tavolo era infatti costituito da cinque soli elementi: il piano d’appoggio, le due strutture triangolari della base, la gamba centrale e un elemento quadrangolare di raccordo tra sostegno e piano dotate di appositi incastri che ne permettevano l’assemblaggio (Fig. n. 21). Disponibile in cinque colori diversi, bianco, rosso, verde, giallo e nero, i progettisti avevano deciso di realizzare la base di una tonalità più scura rispetto alla tinta dell’articolo per dare un tono più ironico all’oggetto che avrebbe dovuto accompagnare le

sedute realizzate da Kartell, spesso stampate in plastiche colorate118. L’apporto

progettuale di Anna Castelli Ferrieri non si esaurì con questi articoli bensì fu lungo e prezioso per l’azienda; in questa sede è però necessario limitarsi alla trattazione di alcuni oggetti che, per le loro qualità tecniche e funzionali,

                                                                                                               

118 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

risultano essere di grande importanza e interesse all’interno della storia aziendale di Kartell.

Gli anni Ottanta, per quanto riguarda il clima culturale sono molto influenzati dal radical design, una corrente che si sviluppò tra la fine degli anni ’60 e i primi settanta soprattutto a Firenze con Archizoom e Superstudio e che cercava di puntare l’attenzione su un design improntato all’ironia rispetto al funzionalismo che caratterizzava la gran parte della produzione di oggetti di design del periodo. Gruppi come Memphis o Alchymia, eredi concettuali del movimento sopraindicato, hanno offerto una rilettura dell’ideologia radical, rivolgendo principalmente l’attenzione ai nuovi materiali, in primis le plastiche che con i loro colori accesi rendevano gli oggetti accattivanti e originali. Era nell’aria un senso di cambiamento generale, al quale anche Kartell doveva adeguarsi per poter restare tra le grandi “fabbriche del design italiano”; il primo passo verso questo cambiamento, graduale chiaramente, coincise con il passaggio della direzione aziendale a Claudio Luti119, che nel 1988 acquisì

l’azienda con l’intento di rinnovarne l’identità sia in termini di estetica che in termini di produzione e distribuzione.

Tra le prime brillanti idee del neo presidente fu quella di puntare sulla qualità emozionale che un oggetto di design può suscitare nel cliente. La nuova era Kartell avrebbe quindi puntato sulla componente emozionale del design, cercando di progettare articoli che fossero più “vicini” al cliente; in quest’ottica

                                                                                                               

119 Claudio Luti nasce a Milano nel 1946, dal 1988 ricopre la carica di presidente in Kartell. Laureato in

Economia e Commercio presso l’Università Cattolica di Milano, dopo il conseguimento del titolo prosegue la carriera lavorativa collaborando con alcuni grandi studi di commercialisti. Alla guida del suo studio, dal 1975-76 lavora frequentemente con l’ambiente della moda e con molti stilisti milanesi e stranieri. Nel 1977 Luti viene notato da Gianni Versace: dopo un breve periodo Luti ricopre la carica di amministratore delegato di Versace. Le doti manageriali di Luti porteranno Versace ad ampliarsi a livello internazionale. Nel 1988 Claudio Luti lascia la casa di moda per acquisire Kartell, di cui diviene presidente, sostituendo Giulio Castelli, che dopo circa 40 anni lascia la sua azienda. G. Castelli, P. Antonelli, F. Picchi, La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, op. cit., pp. 37- 46.

Luti decise anche di adottare un nuovo sistema di nomenclatura, privilegiando nomi, spesso velati d’ironia, ai vecchi numeri di serie utilizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda invece l’aspetto dei singoli prodotti, venne fatta maggiore attenzione alla finitura e ai dettagli, caratteristica che tradiva l’appartenenza di Luti al settore dell’alta moda. Nacque così il nuovo look aziendale: al posto dei colori primari, delle superfici lucide e delle forme piane e bidimensionali, si fecero gradualmente strada tinte pastello, finiture e superfici morbide, forme volumetriche e tridimensionali. Questo obiettivo venne raggiunto chiamando a collaborare in azienda nuovi designers appartenenti a categorie generazionali diverse; dalla fine del decennio contribuirono al rilancio aziendale personalità più vecchie come Enzo Mari e Vico Magistretti accanto a giovani designers emergenti quali Philippe Starck, Ron Arad e Antonio Citterio.

Il rinnovamento aziendale passò anche tramite un nuovo modello di distribuzione dei prodotti. Consapevole dell’esperienza pregressa con Versace, che vide appunto l’espansione del brand a livello globale grazie all’apertura di negozi in franchising nei luoghi più importanti del mondo, Luti decise di puntare sulla distribuzione degli articoli della collezione Kartell tramite una rete di negozi monomarca situati nelle principali città italiane all’inizio, e successivamente nelle principali metropoli europee ed estere. Attualmente Kartell è presente in 96 Paesi con circa 120 store nei quali il cliente può osservare gli ultimi articoli disponibili sul mercato, insieme ai grandi pezzi che hanno contribuito a fare di Kartell una delle grandi “fabbriche del design italiano”. Accanto ai flagship store monomarca sono presenti circa 2500 rivenditori autorizzati del marchio distribuiti nei principali Paesi del mondo. L’arrivo di Claudio Luti alla presidenza dell’azienda coincise anche con il primo progetto firmato da Philippe Starck per Kartell. La sedia Dr Glob, è il primo progetto che inaugurò la nuova era aziendale: in questo articolo è infatti possibile riconoscere gran parte delle nuove “direttive” quali la scelta di colori

pastello, le finiture vellutate ottenute con una verniciatura a talco, l’accostamento della plastica della seduta con il metallo delle gambe posteriori e dello schienale semicircolare, l’abbinamento tra spessori consistenti e angoli vivi (Fig. n. 22). Questa seduta, disponibile sul mercato dal 1988, inaugurò una famiglia di sedie e tavoli caratterizzati dall’accostamento tra metallo e plastica, che portarono una ventata di freschezza e allegria all’interno della collezione aziendale (Fig. n. 23)120.

Philippe Starck può quindi essere considerato la personalità che fece da “cerniera” tra due decenni delicatissimi sotto il punto di vista aziendale; vero e proprio enfant prodige del mondo del design, portò Kartell verso nuovi orizzonti dai quali l’azienda avrebbe proseguito la sua storia con nuovi designers e nuovi vincenti progetti.