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Kartell: innovazione e sviluppo di un’azienda italiana

Il design italiano incontra le materie plastiche

2.2 Kartell: innovazione e sviluppo di un’azienda italiana

Kartell è stata fondata a Milano nel 1949 da Giulio Castelli, allievo di Giulio Natta, il brillante scienziato padre del polipropilene, una delle

materie plastiche più utilizzate per la sua versatilità. Il fondatore era solito dire che la scelta di questo nome era dettato dal desiderio di dare all’azienda una connotazione internazionale, affinché il marchio potesse essere riconosciuto anche all’estero. Castelli apparteneva a una famiglia della borghesia lombarda introdotta nell’ambiente dell’artigianato e della piccola industria. Il padre Riccardo Castelli era titolare di un’impresa, la Castelli & Gerosa, impegnata nella produzione di medaglie e fregi decorativi in bronzo e altri metalli cromati che lavorava sia per aziende automobilistiche quali Fiat, Alfa Romeo, sia per artisti come Giannino Castiglioni, padre dei designers Livio, Pier Giacomo e Achille. Già il padre aveva trasmesso al giovane Giulio quelle prime capacità imprenditoriali che in futuro avrebbero contraddistinto la politica aziendale della Kartell. Per quanto riguarda la formazione accademica, Castelli si laureò al Politecnico di Milano in ingegneria chimica con Giulio Natta, il chimico italiano padre del polipropilene isotattico, scoperto nel 1954, e prodotto dal 1957 dalla Montecatini.

Anna Ferrieri Compagna di una vita e anima della Kartell, è stata la responsabile di moltissimi progetti aziendali, grazie ai quali l’azienda milanese si impose in un settore, quello degli oggetti in materiali plastici, relativamente nuovo, non privo di rischi a livello tecnico e economico87.

                                                                                                               

87 Anna Ferrieri nasce il 6 agosto 1920 a Milano, figlia di Enzo Ferrieri, critico e registra teatrale,

protagonista della cultura d’avanguardia italiana del primo Novecento. Intraprende gli studi in Architettura presso il Politecnico di Milano. Allieva di Franco Albini presso il cui studio lavorò appena laureata, e di Ignazio Gardella che la associò al proprio studio professionale. Nella sua lunga carriera firmò diversi progetti d’architettura e di design, soprattutto per la Kartell, azienda di proprietà del marito Giulio Castelli. È stata presidente dell’Associazione per il Design Industriale dal 1969 al 1971. Nella sua carriera ottenne parecchi riconoscimenti, tra i quali è necessario menzionare il Compasso d’Oro assegnato al progetto della Sedia 4870 per Kartell del 1987. Muore a Milano il 22 giugno 2006: cfr. A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, cit., p. 41.

L’interesse di Castelli per questo materiale sicuramente risale alla sua formazione universitaria, tuttavia sono attestati contatti dell’imprenditore con l’ambiente degli architetti e futuri designers italiani. La Milano degli anni Cinquanta raccoglieva attorno alla figura di Gio Ponti le future “menti” del design italiano quali Franco Albini, Ignazio Gardella, Piero Bottoni, Ernesto Nathan Rogers, i fratelli Castiglioni: era un ambiente molto stimolante per un giovane laureato con l’idea di inserirsi nel panorama industriale nazionale. Come ricorda lo stesso Giulio Castelli in un’intervista concessa a Francesca Picchi

Eravamo tutti pieni di buoni propositi e di voglia di fare. […] volevo fare qualcosa di nuovo con i nuovi materiali che il mercato stava rendendo disponibili, cercando di generare, attraverso i miei prodotti, bellezza, innovazione, e soprattutto sorpresa. […] volevo trovare un lavoro nel quale fossi padrone di me stesso per cominciare a cambiare il mondo88.

L’interesse per le materie plastiche che aveva catturato Castelli fin dai tempi della sua formazione universitaria venne ampliato e approfondito con la frequentazione, nei primi anni Cinquanta, di manifestazioni fieristiche anche estere nelle quali l’imprenditore milanese venne a sapere che i primi prodotti casalinghi in materiali plastici erano stati prodotti da alcune aziende inglesi, anche se in piccolo numero e con scarsi risultati qualitativi. Allo stesso risultato arrivò una piccola azienda di Oyonnax, piccola cittadina francese situata nel dipartimento di Ain, che in quel periodo cominciava ad affacciarsi nel settore della lavorazione dei polimeri plastici, opportunamente pubblicizzati da piccole manifestazioni dal carattere fieristico.

I primi prodotti messi in commercio dalla neonata azienda milanese furono accessori per l’auto. L’occasione si presentò praticamente subito dopo la

                                                                                                               

88 G. Castelli, P. Antonelli, F. Picchi, La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano,

fondazione dell’azienda all’ingegnere Castelli e sempre grazie alle conoscenze sviluppate nell’ambiente milanese. Castelli, come ricordato, era amico di Marco Zanuso, Roberto Menghi e Carlo Barassi, persone con le quali il fondatore della Kartell amava trascorrere giornate invernali sciando in compagnia. Grazie alle informazioni di Carlo Barassi, ingegnere alla Pirelli, Castelli venne a conoscenza del Nastrocord, un nuovo semilavorato prodotto dalla Pneumatici Pirelli, costituito da due nastri di gomma con all’interno un nastro in tessuto. Questo nuovo prodotto garantiva una notevole resistenza alla trazione abbinata all’elasticità caratteristica dei prodotti in gomma. L’idea di realizzate un portasci abbinando strisce di Nastrocord dotate di fibbie finali per l’aggancio rapido al tettuccio dell’automobile, con occhielli in cordone elastico nei quali infilare gli sci, venne a Barassi, il quale perfezionò il progetto con l’architetto R. Menghi e ovviamente con Giulio Castelli (Fig. n. 1). Venne così messo in produzione nel 1949 con una lavorazione più artigianale che propriamente industriale, il portasci K101 che riscosse un notevole successo in Italia e anche all’estero; venne infatti prodotto in 30.000 unità all’anno ed esportato in Francia, Svizzera, Canada, paesi con una forte passione per questo sport. L’ufficio tecnico aziendale progettò anche un portabagagli adattando direttamente il modello del portasci; questo era costituito da assicelle in legno fissate alle fasce in Nastrocord, da assicurare al tettuccio dell’automobile con un sistema identico al modello utilizzato per trasportare l’attrezzatura sciistica. Questo articolo rimase in produzione per circa un decennio e costituì l’oggetto più venduto del settore autoaccessori Kartell. Con l’inizio degli anni Sessanta, la costruzione delle prime autostrade e l’aumento della velocità dei veicoli questo prodotto risultò poco adatto poiché con la velocità si verificava il rischio di sollevamento dei nastri in Nastrocord che provocava un effetto “vela” con evidenti rischi per l’autovettura e il conducente. Utilizzando lo stesso materiale, Carlo Barassi e Roberto Menghi progettarono la rete legabagagli “Ragno”, costituita da un disco centrale in Nastrocord al quale

sono collegati una serie di “tentacoli” in tessuto elastico dotati di ganci per essere fissati alle barre della vettura (Fig. n. 2). Disponibile sul mercato dal 1951 e oggetto di un’efficace campagna pubblicitaria forte dello slogan “Si aggancia, si viaggia, si sgancia, si ripone” fu il secondo oggetto più venduto del settore autoaccessori della neonata azienda89.

La fase industriale della Kartell iniziò ufficialmente nel 1951, quando venne aperta la sezione casalinghi con l’obiettivo di portare un materiale come la plastica all’interno delle case degli italiani. Giulio Castelli ricorda in un’intervista concessa a Francesca Picchi quando agli inizi degli anni Cinquanta era solito frequentare fiere europee per tenersi aggiornato sulla possibilità d’utilizzo dei polimeri plastici per realizzare oggetti per la casa:

Nel frattempo mi davo da fare, frequentavo le fiere e cercavo di tenermi aggiornato. Fu così che in Inghilterra vidi i primi catini di polietilene (materiale nato nel periodo bellico per le apparecchiature radar): nuovi, semplici e colorati; così, dopo gli anni di studio universitari, mi venne in mente di tornare a occuparmi di materie plastiche, portandole nella casa, dove c’era bisogno di tutto e dove tutti avevano voglia di rinnovare e sostituire i tradizionali attrezzi di legno e di metallo90.

Insieme a questo desiderio di rinnovare il “paesaggio casalingo” degli italiani, Castelli chiamò all’interno dell’azienda Luigi, detto Gino, Colombini, responsabile dei primi progetti del settore casalinghi. Diplomatosi perito edile, Colombini aveva proseguito la carriera lavorativa di disegnatore presso gli studi professionali di Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti, presso il quale aveva incontrato Giulio Castelli e la moglie Anna Castelli Ferrieri. Accanto a questo formazione professionale, Colombini affiancava un interesse per la

                                                                                                               

89 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

cit., pp. 66-71.

90 Intervista presente nel volume G. Castelli, P. Antonelli, F. Picchi, La fabbrica del design. Conversazioni

scena culturale milanese dell’epoca, partecipando a congressi organizzati dalla Triennale e dall’ICSID, l’International Council of Societies of Industrial Design91.

Responsabile dell’ufficio tecnico aziendale, a Colombini fu affidata la progettazione dei primi articoli “da casa”, chiaramente da realizzare in materiali plastici. Dopo severe analisi tecnologiche e di mercato, fu scelto il polietilene per la produzione di pezzi da realizzare tramite stampaggio ad iniezione. Dall’aspetto opalino e ceroso, il polietilene era un materiale utilizzato fin dagli anni Quaranta negli Stati Uniti, successivamente venne introdotto anche nel continente; qui riscosse un successo inaspettato, soprattutto per la sua atossicità che ne permetteva l’uso per contenitori alimentari. La produzione industriale del settore casalinghi della Kartell iniziò solamente nel 1953; ricorda invece A. Castelli Ferrieri che

l’approccio al design di questi prodotti fu quello tipico del metodo razionalista, che mira alla sintesi delle motivazioni funzionali, tecniche ed estetiche; il grande stimolo però era dato dal fatto di trovarsi di fronte a materiali che erano ancora tutti da scoprire. L’obbiettivo non era l’immediato profitto, ma quello di realizzare prodotti di qualità, che fossero migliori di quelli tradizionali che intendevano sostituire92.

Il primo prodotto uscito dal tavolo di progettazione di Colombini fu il secchio con coperchio KS 1146 (Fig. n. 3) prodotto dal 1954 e vincitore del Compasso d’Oro l’anno successivo per “l’originalità dei particolari, quali il raccordo tra plastica e ferro, la sensibilità funzionale della presa del coperchio, l’essenzialità e robustezza delle sezioni. […] la castigata sincerità e le sicure

proporzioni di questo secchio appaiono immediate e indiscutibili.” 93

                                                                                                               

91 A. Morello, Cultura materiale e cultura dei materiali, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design,

op. cit., pp. 48-49.

92 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

cit., p. 75.

Disponibile nella tonalità azzurra o bianco opaco, ne venne progettata anche una versione di forma quadrata, sempre dotata di un coperchio che si incastrava nel bordo superiore, conferendo maggiore solidità all’oggetto. Si ricorda inoltre che i prodotti Kartell erano pubblicizzati sulle pagine della rivista trimestrale “Qualità” pubblicata dal 1956 al 1960 e distribuita gratuitamente a rivenditori e clienti; utilizzata inizialmente come catalogo aziendale, divenne con i numeri successi una sorta di periodico nel quale vennero affrontati i temi legati alle materie plastiche nel design italiano (Fig. n. 4). I progetti successivi videro Colombini impegnato nella progettazione di contenitori in materie plastiche: nel 1955 venne realizzato un bidone in varie capacità dotato di coperchio, mentre nel ’56 l’azienda milanese ottenne un altro Compasso d’Oro per la tinozza KS 1065. Realizzata in polietilene risultava flessibile e deformabile soprattutto quando era riempita con un liquido; per aggirare questo problema Colombini ideò una cintura in polistirolo antiurto da incastrare sotto il bordo superiore della bacinella, dotando questo rinforzo di due comodi manici. Questa innovazione progettuale era venuta in mente all’ingegnere osservando le vecchie tinozze in legno il cui bordo superiore e inferiore era rinforzato da fasce metalliche. L’abbinamento di due materiali diversi permise anche di dare un tono colorato all’oggetto, infatti la cornice venne realizzata in brillanti colori primari, che ben contrastavano con il bianco opalino del corpo della tinozza. Nonostante l’ottimo progetto, questo oggetto non ebbe vita lunga; dal 1959 comparve sul mercato il politene a bassa pressione, più resistente del polietilene; la cintura di rinforzo divenne quindi inutile e le successive tinozze vennero stampate in un unico pezzo, decretando la fine del modello KS 1065.

Accanto a questi oggetti realizzati in polietilene con la tecnica dello stampaggio, l’ufficio tecnico aziendale decise di applicare le proprietà di isolamento termico del materiale nella produzione di contenitori isolanti per cibi e bevande. Dalla metà degli anni Cinquanta fu disponibile per i clienti un

bicchiere thermos cilindrico realizzato con due pareti in polistirolo termosaldate tra loro con interposta una sottile camera d’aria. Successivamente l’effetto isolante venne migliorato nella caraffa thermos KS 1432 firmata sempre da Colombini, nella quale era presente un foglio di alluminio nella camera d’aria tra la parete interna ed esterna. Con lo stesso sistema venne realizzata anche una zuppiera dall’accattivante abbinamento cromatico tra il bianco dell’interno e i colori primari scelti per la scocca esterna.

Gli anni Cinquanta segnarono anche l’impegno dell’azienda milanese nel tentativo di riprogettare i principale utensili presenti nelle cucine italiane del periodo94. Dall’ufficio tecnico diretto da Gino Colombini uscirono ben due

oggetti premiati nel 1959 e nel 1960 con il Compasso d’Oro. Particolarmente importante fu lo spremilimoni KS 1481, vincitore del premio organizzato dall’ADI per il suo innovativo funzionamento che prevedeva di fissare l’agrume su un perno e successivamente spremerlo girandogli sopra una calotta con nervature. Per quanto riguarda l’aspetto estetico, questo oggetto era disponibile esclusivamente in plastica gialla. Premiato per la sua novità progettuale, questo oggetto fu un totale insuccesso dal punto di vista commerciale: non era affatto semplice infatti sostituire il classico spremiagrumi presente in tutte le case degli italiani con un modello dal funzionamento opposto.

Venne riprogettato anche un oggetto che non mancava certamente nelle cucine delle signore italiane: si tratta del cestino scolapiatti in filo metallico. La novità apportata da Kartell in un primo modello è il bagno del filo metallico in cloruro di polivinile (procedimento chiamato viplatura); un secondo modello venne realizzato esattamente con la stessa forma del cestino tradizionale ma in polietilene. L’oggetto realizzato con questo nuovo materiale plastico non arrugginiva, ammortizzava gli eventuali urti delle stoviglie e dava un tocco di colore in più all’ambiente poiché era realizzato in varie gamme cromatiche. Il

                                                                                                               

terzo modello di scolapiatti si rese disponibile sul mercato dal 1960 e venne realizzato in politene a bassa pressione. L’aspetto innovativo era costituito dalla possibilità di essere appeso al muro, e soprattutto di essere assemblato in tre diverse misure grazie ai suoi elementi componibili. Il modello KS 1171 era una sorta di rastrelliera formata da elementi piani a doppia mensola, forati alle estremità e in corrispondenza dei punti di sospensione, che venivano infilati uno dietro l’altro lungo sei bacchette di acciaio fino a formare uno scolapiatti da muro estensibile (Fig. n. 5). Il progetto vinse il Compasso d’Oro nel 1960 perché - annunciò la giuria - “costituisce una soluzione, semplice ma inedita, del comune strumento da cucina attraverso lo stretto rapporto fra il modulo e le unità portate, con il risultato della massima flessibilità di impiego sia per

dimensionalità che per economicità”95.

Tra i progetti di Gino Colombini per il settore casalinghi di Kartell realizzati durante gli anni Cinquanta figurano quattro oggetti progettati per la pulizia dell’ambiente domestico. Si tratta di due battipanni, di una paletta per raccogliere spazzatura e del celebre portaimmondizie da esterni. Sono chiaramente oggetti con una forte tradizione alle spalle, spesso la loro forma è frutto delle consuetudini e meno della ricerca funzionale, tuttavia è qui che Colombini coniuga in maniera eccellente la ricerca formale con l’utilizzo del nuovo materiale, il polietilene o il polistirolo antiurto. Nell’affrontare il progetto del battipanni, Colombini cercò in qualche modo di rendere più funzionale un oggetto la cui forma si era sedimentata nella mentalità comune. Ecco che quindi il nuovo oggetto prende la forma di una sorta di “antenna” con una lunga asta rinforzata internamente da un filo di acciaio ramificata in una serie di asticelle sottili dotate all’estremità di palline in polietilene per garantire l’efficacia d’azione. In produzione dal 1957 e selezionato per il Compasso d’Oro questo oggetto riscosse uno scarsissimo successo, forse

                                                                                                               

95 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

dovuto alla forma troppo innovativa e poco convincente tanto che venne sostituito un paio d’anni più tardi da un modello dotato di una racchetta romboidale finale, assai più simile al classico battipanni in vimini che ogni casalinga italiana teneva riposto in casa. Lo sforzo di Colombini nel tentativo di dare nuova funzionalità agli oggetti per la pulizia della casa proseguì con la progettazione di una paletta porta spazzatura caratterizzata da un innovativo labbro digradante che combaciava perfettamente con il terreno e da una nuova sacca posteriore più capiente. La palettina porta immondizie venne ulteriormente sviluppata nel portaimmondizie KS 1068: senza distaccarsi troppo dall’immagine tradizionale di questo prodotto, tramite il manico leggermente piegato all’indietro rendeva più agevole l’impugnatura. Realizzato in polistirolo antiurto per garantire resistenza e durevolezza, questo articolo

venne particolarmente gradito dalla clientela e ne vennero venduti molti96 (Fig.

n. 6).

Parallelamente al rinnovamento del settore dei casalinghi, Kartell intraprese l’applicazione di materiali plastici, soprattutto del polietilene e del polistirolo, in ambito scientifico. Aperta nel 1958 la divisione Labware – chiamata anche settore articoli per laboratorio – sfruttò le proprietà delle plastiche, soprattutto l’infrangibilità e la trasparenza per sostituire gradualmente i materiali tradizionalmente utilizzati fino all’epoca nei laboratori chimici. Provette e contenitori di vario tipo in vetro, recipienti metallici o in ceramica vennero realizzati pressoché nelle stesse forme dapprima in polistirolo antiurto e successivamente in polietilene a bassa pressione quando questo fu disponibile sul mercato a partire dalla metà degli anni Sessanta. È necessario ricordare inoltre che Kartell non fu la prima azienda a intuire le possibilità d’utilizzo delle materie plastiche nel settore di articoli per laboratori. Negli stessi anni

                                                                                                               

96 Le informazione tecniche sui vari prodotti descritti in queste pagine sono presenti nel saggio A.

Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op. cit., pp. 73-92.

l’industria inglese Xilon aveva raggiunto ottimi risultati nel settore realizzando becher, contenitori di forma cilindrica dotati di un beccuccio e recipienti cilindrici trasparenti; anche l’azienda tedesca Vitri commercializzava in quel periodo le primissime bottiglie in plastica per uso scientifico prodotte con la tecnologia del soffiaggio (Fig. n. 7).

I prodotti per laboratorio realizzati da Kartell si distribuiscono in una vasta durata temporale: partendo dalla produzione dei primi imbuti per analisi o di porta provette componibili da laboratorio, si procedette con la progettazione di nuovi tappi per contenitori e di bottiglie a spruzzetta integrale duranti gli anni Ottanta. Sul finire degli anni Settanta il settore articoli per laboratorio compì un altro passo avanti affrontando il campo delle apparecchiature e degli strumenti per analisi. Vennero introdotti sul mercato una macchina per asciugare le provette dopo l’utilizzo, e un nuovo modello di agitatore elettromagnetico progettato in modo da separare il corpo funzionante dal settore dei comandi, anche tramite i diversi colori dei rivestimenti97.

Sul finire degli anni Cinquanta Kartell decise di intraprendere l’avventura nel settore dell’illuminazione. A monte di una decisione di così grande portata, soprattutto a livello industriale e imprenditoriale, ci furono una serie di nuovi materiali brevettati nel campo dei polimeri plastici. La Solvay tra il 1957 e il 1958 metteva in commercio l’Eltex, il polietilene a bassa pressione che ben resisteva alle alte temperature; negli stessi anni un’azienda consociata Kartell metteva a punto il Raflon, un tessuto sintetico che poteva schermare la luce in modo soffuso. Decisivo per l'avvio del settore illuminazione dell’azienda milanese fu invece l’introduzione nel mercato italiano del metacrilato, commercializzato dalla Montecatini con il nome commerciale di Vedril. Grazie al bassissimo coefficiente di assorbimento luminoso, questo materiale ben si prestava ad essere utilizzato come diffusore nelle lampade. Il Vedril poteva

                                                                                                               

97 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

inoltre essere formato in stampi, tecnica nella quale Kartell possedeva una discreta esperienza industriale. Il settore illuminazione venne avviato nel 1958,

con le prime lampade realizzate sfruttando il sistema inglese Rotaflex. Il

sistema Rotaflex è un metodo brevettato da un’azienda inglese per realizzare oggetti in materiali plastici, utilizzato anche da Kartell per i primi prodotti del settore casalinghi. Si trattava di un procedimento di avvolgimento di un sottile