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Kartell e gli anni Sessanta

Il design italiano incontra le materie plastiche

2.3 Kartell e gli anni Sessanta

Il nuovo decennio si aprì con la decisione di Giulio Castelli e del suo team di dedicarsi a un nuovo settore produttivo: nel 1963 nacque la divisione Habitat con l’obiettivo di produrre articoli d’arredo in materiali plastici, sempre puntando a un design funzionale e curato nei dettagli. Nell’arco di una decina d’anni l’azienda milanese aveva raggiunto un grado di accuratezza notevole nella realizzazione degli articoli grazie alle nuove macchine per lo stampaggio a iniezione; decise quindi che di entrare nel settore dell’arredamento, campo nel quale Kartell riscuoterà moltissimi successi.

Questa nuova fase coinvolse anche designers esterni all’ufficio tecnico aziendale: Anna Castelli Ferrieri, architetto e moglie del fondatore Castelli, Marco Zanuso, Joe Colombo furono le principali personalità che contribuirono alla sviluppo di questo nuovo settore. In questo periodo inoltre Kartell era impegnata con lo sviluppo del settore Labware e degli articoli per il settore illuminazione; in quest’ultimo sono da ricordare gli apporti forniti da Eugenio Gentili Tedeschi, Giotto Stoppino, Luigi Bandini Buti e i precedentemente citati M. Zanuso e J. Colombo (Fig. n. 8).

Spinta anche dal decisivo aumento della richiesta di oggetti da parte del mercato, domanda connessa a una strategia commerciale efficace, Kartell decise nel 1968 la costruzione di un nuovo stabilimento industriale a Noviglio

                                                                                                               

99 G. Dorfles, Gli anni ’50, in E. Storace, H.W. Holzwarth, Kartell. The culture of plastic, Taschen, Köln

nel milanese, progettato da Anna Castelli Ferrieri e Ignazio Gardella, presso il quale l’architetto si era formata dopo la laurea.

Deyan Sudjic, direttore del Design Museum di Londra, sostiene che dopo la fase iniziale con la produzione di oggetti per l’automobile e di articoli per la casa, Kartell si lanciò in una sfida destinata a rivoluzionare il settore dell’arredamento domestico. Secondo lo studioso, la storia dell’arredamento vide tre grandi cambiamenti epocali negli ultimi 150 anni: la prima “rivoluzione” avvenne quando Michael Thonet riuscì a piegare il legno al fine di ottenere una seduta con uno schienale ricurvo composta da pochi pezzi. La seconda svolta epocale è individuata da Sudjic nelle ricerche sulla piegatura del tubolare metallico condotte negli anni Venti del Novecento da Mart Stam e Marcel Breuer. Il terzo passo di questa “evoluzione” del settore arredamento coincise con la realizzazione delle prime sedute completamente in materiale plastico. In questo campo lavorò Kartell a partire dai primi anni Sessanta, dapprima collaborando con Richard Sapper e Marco Zanuso, e successivamente avvalendosi della capacità e dell’estro creativo di Joe Colombo. È necessario ricordare in questa sede la Panton Chair progettata da Verner Panton nel 1968, tuttavia questa seduta risulta essere poco pertinente poiché godette di scarso successo quando venne introdotta nel mercato, salvo poi diventare un’icona del design mondiale quando venne reintrodotta in produzione da Vitra alla fine degli anni Ottanta100.

L’articolo che inaugurò il catalogo della linea Habitat di Kartell fu la seggiolina per bambini contraddistinta dal numero di progetto 4999 progettata da Marco Zanuso e Richard Sapper. Frutto di quattro anni di studi a partire dal 1960 mirati a individuare il materiale migliore per il progetto, venne introdotta sul mercato nel 1964, distribuita nei negozi che già si occupavano della vendita degli articoli casalinghi Kartell. La seduta nacque dall’idea di realizzare una seggiolina adatta alle scuole dell’infanzia, che rispondesse ai requisiti di

                                                                                                               

leggerezza e impilabilità. Venne immediatamente scartata l’idea di utilizzare il lamierino di ferro per evidenti problemi di sicurezza vista la destinazione d’uso della seduta; dopo alcune ricerche nel campo dei polimeri plastici venne deciso di utilizzare il polietilene, materiale versatile e resistente, particolarmente economico in quel periodo a causa dello scadere dei brevetti relativi alla produzione. Il nuovo materiale dovette essere trattato con spessore maggiori, vennero quindi posti dei rinforzi sotto la seduta; lo schienale venne invece realizzato con una serie di aperture verticali che alleggerivano la struttura e permettevano la circolazione d’aria intorno al corpo. Un altro ostacolo nel quale si imbatterono i due designers era il sistema di sovrapposizione delle seggioline, requisito fondamentale del progetto. Il problema venne brillantemente risolto infilando le gambe di sezione cilindrica di una sedia nello schienale dell’altra. Terminati i progetti, l’attenzione si concentrò sulla realizzazione di opportuni stampi, che permettessero in un solo tempo lo stampaggio dell’intera struttura della seduta. Dopo quattro anni di intenso lavoro, la prima seduta realizzata completamente in materiale plastico vide la luce, o meglio incontrò il potenziale acquirente esposta nelle vetrine dei negozi (Fig. n. 9). Al progetto venne inoltre assegnato il Compasso d’Oro nel 1964, e nello stesso anno la seduta di Sapper e Zanuso ottenne la Medaglia d’Oro alla XIII Triennale di Milano.

Quattro anni dopo il successo conseguito dai due progettisti, Joe Colombo

firmò la prima sedia “a misura d’uomo”, come afferma il fondatore Castelli101,

della storia aziendale, nonché la prima seduta interamente stampata a iniezione in materiale plastico della collezione Kartell. Il designer milanese era già in contatto con l’azienda di Castelli, aveva infatti progettato alcune lampade da scrivania per il settore illuminazione qualche anno prima, tuttavia dal 1967 Colombo dimostrò un interesse sempre maggiore nel confrontarsi con la progettazione di un mobile “primario”. Il materiale scelto per la realizzazione

                                                                                                                101 Ivi, p. 138.

della seduta fu l’acrilonitril-butadiene-stirolo, meglio conosciuto con la sigla ABS, mentre l’occasione derivò chiaramente dal progetto della seggiolina da bambini 4999. Anche per quanto riguarda questo progetto, si susseguirono diverse idee: dapprima venne proposta una seduta con gambe cilindriche fissate al sedile, successivamente la versione finale era provvista di supporti semicilindrici per facilitare la sovrapposizione delle sedie. Un’ulteriore novità tecnica era costituita dal foro nella zona di piegatura tra sedile e schienale: oltre a migliorare la stabilità complessiva della seduta, risultava essere una comoda presa per spostare l’oggetto (Fig. n. 10).

La grande portata innovativa del progetto si scontrò con alcuni difetti intrinseci dell’ABS: questo infatti perdeva la sua resistenza strutturale se esposto agli agenti atmosferici, in particolare la luce solare. L’ufficio tecnico decise quindi di sfruttare le qualità del nylon; mettendo sul mercato le nuove sedute, queste risultarono un secondo insuccesso tecnico e di conseguenza commerciale: questo polimero infatti è igroscopico e tendeva ad aumentare la sua elasticità se posto in ambienti molto umidi, compromettendo la stabilità strutturale della sedia. La soluzione proposta da Kartell fu quella di utilizzare il polipropilene, materiale recente con proprietà simili all’ABS, ma più resistente agli agenti atmosferici. Questa seduta godette di una fortuna commerciale notevole, restando nel catalogo aziendale per quasi quindici anni, nonostante dal 1970 fossero state progettate altre sedute, come quella firmata da Carlo

Bartoli (modello 4875, 1974) o da Gae Aulenti (modello 4854, 1972)102.

A metà degli anni Sessanta la divisione Habitat di Kartell si arricchì anche di alcuni modelli di tavoli progettati principalmente da Anna Castelli Ferrieri in collaborazione con Ignazio Gardella. L’occasione si presentò per i due professionisti nel 1966 quando, durante la ristrutturazione dei locali interni del residence annesso all’albergo Gritti di Venezia, decisero di progettare un

                                                                                                               

102 Per la vicenda della sedia modello 4867 progettata da Joe Colombo vedi G. Castelli, P. Antonelli, F.

nuovo piano d’appoggio realizzato in resina poliestere, un materiale dall’aspetto simile allo smalto per brillantezza e tono cromatico. Il modello, contraddistinto dal numero 4991, era costituito da un piano tondo, disponibile in tre misure diverse, una struttura a calice raccordata a una base fornita di tre appoggi; in un modello successivo la base era provvista di quattro sostegni (Fig. n. 11).

Tre anni dopo questo primo modello, i due designers elaborarono il loro progetto iniziale, rendendo disponibile per la clientela un tavolo in poliestere dal piano ovale e dalle dimensioni maggiori. Il piano d’appoggio era collegato alla base circolare con una sezione ellittica che ricordava la forma della struttura.

I modelli di Castelli Ferrieri e Gardella possono riportare alla mente il tavolo progettato da Eero Saarinen nel 1957. Sono presenti tuttavia alcune differenze notevoli a partire dalla base circolare che caratterizza i progetti dell’architetto e designer finlandese. La finitura del piano è inoltre diversa: per i progetti Kartell il piano era disponibile nel solo colore bianco, mentre per il piano d’appoggio degli articoli ideati da Saarinen erano disponibili delle finiture in laminato plastico che imitavano le variegature cromatiche del marmo. Il concetto che diede ad entrambi i progetti notorietà e successo commerciale era il fatto di avere un unico sostegno centrale, aspetto che rendeva questi tavoli più eleganti e pratici. Questo pezzo venne inoltre molto apprezzato dalla clientela; in virtù delle sue qualità innovative divenne parte della collezione permanente del Museum of Modern Art di New York, insieme alla seggiolina modello 4999 prodotta cinque anni prima da Sapper e Zanuso. La resina poliestere venne utilizzata da Kartell fino al 1979 quando l’azienda decise di cessare la produzione di articoli realizzati in questo materiale; fattori decisivi furono l’alto costo della materia combinata a una lavorazione dei prodotti prevalentemente artigianale che contrastava con la filosofia aziendale.

Il settore Habitat continuò anche nel decennio successivo la produzione di altri tavoli, affidandone la progettazione a personalità esterne. L’ufficio tecnico interno appose la firma su un tavolo quadrato in poliuretano con semplici gambe cilindriche, mentre un modello simile, progettato da Olaf Von Bohr, venne realizzato in ABS stampato a iniezione, con gambe di altezza minore. Altri piani d’appoggio vennero infine progettati da Anna Castelli Ferrieri negli anni Ottanta; a questi progetti verrà dedicato più spazio nelle prossime pagine. In questo periodo cominciò ad emergere all’interno del team di progettisti la figura di Anna Castelli Ferrieri. Architetto formatasi nella scia del design funzionalista grazie alla collaborazione con Gardella, divenne la moglie di Giulio Castelli, il fondatore di Kartell con il quale condivise non solo la vita privata ma anche le principale vicende aziendali. Si può quindi affermare che A. Castelli Ferrieri, in questo decennio, fu la mente e l’anima progettuale della Kartell. È però opportuno precisare che la tecnologia o l’apporto tecnico venne fornito principalmente dal marito, il quale ricordo si era laureato in ingegneria chimica presso il Politecnico di Milano, sviluppando un interesse sempre crescente nei polimeri plastici e nelle eventuali applicazione di quest’ultimi nella realizzazione di articoli d’arredamento. In questo periodo l’azienda cominciò a pensare a un sistema di mobili componibili e modulari, progetto che divenne realtà nel 1967 quando Anna Castelli Ferrieri progettò la serie Componibili, vale a dire un sistema di mobili contenitori modulari semplici ed eleganti, caratterizzato da forme curvilinee e colori brillanti (Fig. n. 12). Il merito fondamentale di questa “famiglia” è stata la loro capacità di rendere adeguatamente lo spirito di un periodo, gli anni Sessanta appunto, nei quali era sentita l’esigenza di poter disporre di arredi più flessibili e informali, che procedevano di pari passo con i cambiamenti nel modo di vivere del decennio. Utilizzo il termine “famiglia” perché la serie dei Componibili è composta da un primo gruppo di mobili a sezione quadrata con angoli smussati entrati in commercio dal 1967. Due anni più tardi Anna Castelli Ferrieri elaborò il

progetto mettendo in produzione la serie dei Componibili tondi. Il tema del mobile componibile venne ulteriormente approfondito da Olaf Von Bohr che propose nel 1974 una serie di componibili rettangolari provvisti di antina a ribalta con chiusura magnetica.

Da questo clima nacquero i Componibili, elementi contenitori con la possibilità di essere appunto “assemblati” uno sull’altro con un semplice gesto. Realizzati totalmente in ABS, rivestivano diverse funzioni: un pezzo fungeva da seduta, due pezzi configuravano un armadietto, tre pezzi componevano una sorta di torre che poteva contenere libri, bottiglie, o qualsiasi oggetto desiderasse il proprietario. La caratteristica principale di questo sistema è stata la possibilità di completare l’assemblaggio del mobiletto direttamente a casa del cliente, senza l’utilizzo di viti o altri strumenti; l’elevata precisione raggiunta nella tecnica dello stampaggio, combinata con un’ottima progettazione degli stampi rendeva possibile la produzione in serie di questi articoli, mantenendo l’accuratezza esecutiva.

La famiglia dei Componibili divenne un best seller per l’azienda milanese e riscosse successo in Italia come all’estero, specialmente negli Stati Uniti dove questi articoli vennero utilizzati per arredare le vetrine dei negozi rivenditori Kartell in America, come testimonia l’allestimento della vetrina dei magazzini Bloomingdale’s di New York, realizzata in occasione della campagna promozionale del 1970 (Fig. n. 13).

Forte della tecnologia sviluppata negli anni nella tecnica dello stampaggio di articoli a sezione cilindrica, Kartell decise di applicare questa capacità per produrre un contenitore che, opportunamente attrezzato, potesse fungere da cestino gettacarte, portaombrelli o portacenere. Il primo modello, progettato da Franco Albini, era costituito da un cilindro con due fori circolari vicino all’apertura superiore; si trattava di una versione ridotta del modello utilizzato per arredare le stazioni della metropolitana milanese progettate dal duo F. Albini, Franca Helg nel 1964. Inserito nel catalogo di “Articoli casalinghi”

l’anno successivo, questo articolo risultò essere d’aspetto identico a quello progettato da Enzo Mari per Danese nello stesso anno. Poiché non fu possibili dimostrare la priorità del disegno di Albini, l’ufficio tecnico prese la decisione di affidare a Gino Colombini la progettazione di un nuovo modello di cestino, entrato in produzione nel 1965 con un foro gettacarte di forma rettangolare. Questo oggetto, che grazie al suo immediato successo commerciale siamo abituati a vedere spesso nelle nostre città come arredo urbano, divenne molto popolare anche grazie agli accessori disponibili, tramite i quali era possibile trasformare agilmente il cestino in portacenere o in portaombrelli aggiungendo solamente una base cromata al corpo realizzato in ABS.

Ottenuto il successo con la realizzazione di questi articoli, Kartell continuò lo sviluppo di contenitori cilindrici inserendo nel catalogo cestini e portavasi cilindrici dotati di rotelle per facilitarne lo spostamento103. In questo settore

interverrà nuovamente Anna Castelli Ferrieri che dal 1970 progettò delle fioriere cilindriche, successivamente elaborate in forme quadrangolari con la possibilità di essere assemblate seguendo il gusto personale.

Gli anni Sessanta in Kartell furono caratterizzati dalla ricerca tecnologica sia per quanto riguarda la tecnologia dello stampaggio, sia per la ricerca di accuratezza nella realizzazione degli stampi. Non è tuttavia da sottovalutare l’impegno che caratterizzò la società nell’affidarsi a designers esterni per intraprendere la strada dei complementi d’arredo realizzati in materiali plastici. Questo insieme di fattori ha portato al successo Kartell, successo che verrà

accentuato ancor più nel decennio successivo104.

                                                                                                               

103 A. Castelli Ferrieri, Progetti e realtà della Kartell, in A. Morello, A. Castelli Ferrieri, Plastiche e design, op.

cit., pp. 198-200.

104 D. Sudjic, Gli anni ’60, in E. Storace, H.W. Holzwarth, Kartell. The culture of plastic, op. cit., pp. 93-