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Gli impatti ambientali derivati dall’attività estrattiva

1.3 Il riciclo della frazione inerte dei rifiuti C&D

1.3.4 I vantaggi del riciclo dei C&D

1.3.4.1 Le risorse naturali minerali

1.3.4.1.3 Gli impatti ambientali derivati dall’attività estrattiva

meno disponibile, e richiede inoltre lavorazioni secondarie per produrre materiali da utilizzare o direttamente nel settore delle costruzioni o nella produzione di materiali per l’edilizia (es. calcestruzzo), che includono processi più o meno impattanti. Gli impatti che si generano sul- l’ambiente conseguentemente all’inizio di un’attività estrattiva per la produzione di aggregati naturali possono essere sia di carattere permanente che temporaneo. Gli impatti permanen- ti che riguardano l’aspetto paesaggistico sono quelli maggiormente percepiti dalle popolazioni interessate, poiché attraverso l’estrazione di grandi quantità di materiale minerale va a modifi- carsi la morfologia del territorio. Altri impatti permanenti derivano dal consumo di risorse non rinnovabili, dalla perdita di suolo e da possibili alterazioni idrogeologiche e idrografiche nonché dalla possibile alterazione e depauperamento degli habitat naturali. Gli impatti temporanei sono

quelli direttamente correlati all’attività di estrazione, che quindi permangono fino a che la cava è attiva e riguardano i seguenti aspetti principali:

• La produzione, il sollevamento e la successiva dispersione di polveri in atmosfera. In base alle condizioni meteo-climatiche, alla morfologia del territorio e alla copertura vegetale le polveri possono disperdersi più o meno facilmente. La parte inalabile delle polveri può comportare effetti sull’apparato respiratorio umano, mentre la loro deposizione può incrementare la torbidità delle acque superficiali e comportare effetti dannosi per piante e animali.

• Possibile modificazione dell’idrografia e del deflusso delle acque superficiali dovuto all’at- tività estrattiva effettuata in prossimità dei fiumi. Ulteriori effetti negativi sono correlati all’immissione nel reticolo superficiale delle acque di lavaggio impiegate nel corso delle operazioni di trattamento dei materiali cavati che possono alterare le caratteristiche e la qualità delle acque superficiali.

• Alterazioni morfologiche connesse all’attività di scavo possono costituire richiamo per le acque sotterranee con conseguente svuotamento dei serbatoi sotterranei. Le attività estrat- tive sopra falda possono comportare fenomeni di inquinamento connessi al trasporto in profondità delle polveri da parte delle acque di infiltrazione, mentre in caso di attività sotto falda risulta elevato il rischio di dispersione di inquinanti.

• Il suolo e il sottosuolo possono essere interessati da fenomeni erosionali e franosi a seguito dei cambiamenti che interessano il deflusso delle acque già esposti al punto precedente. • Danni potenziali al comparto biotico dell’ecosistema (flora, fauna e vegetazione) possono

essere di tipo diretto o indiretto, immediato o futuro: essi consistono nella perdita o riduzione di habitat disponibile per la crescita di specie vegetali, nel disturbo alle specie animali connesso al rumore prodotto dalle attività estrattive e nella dispersione di polveri in atmosfera.

• Alle attività estrattive è connessa la produzione di rumore, dovuto all’uso di automezzi e macchinari sia nel corso dell’estrazione, sia durante il trasporto dei materiali che durante il trattamento del materiale cavato negli appositi impianti per la produzione di aggregati naturali.

• Proporzionalmente alle volumetrie movimentate e estratte, bisogna tenere in considerazio- ne anche l’aspetto relativo ai consumi energetici: carburante per i mezzi di trasporto e per l’escavazione, energia elettrica per gli impianti di lavorazione (vagli e frantoi) ed eventuale consumo di acqua per il lavaggio degli inerti.

Se l’attività di estrazione non viene pianificata e gestita con cura in tutte le sue fasi, dalle mo- dalità di individuazione dei siti di cava ai sistemi di estrazione utilizzati, dall’imposizione di una quantità massima di materiale estraibile alle tecniche di ripristino ambientale da mettere in atto una volta terminata la fase attiva di produzione, gli impatti sull’ambiente di questo settore produttivo possono essere molto elevati e irreversibili. Un caso emblematico di cattiva

gestione è quello di Montichiari (BS), uno dei Comuni della Lombardia con la maggior concen- trazione di cave: questo territorio è particolarmente adatto alla coltivazione poiché è composto da uno strato di 20-30 metri di ghiaia e sabbia e la falda è posta a 30-35 metri di profondità, come emerso dal Rapporto Cave di LegaAmbiente [15]. Una pianificazione errata ha permesso a partire dagli anni ’80 l’apertura di 11 cave, di cui oggi 7 risultano esaurite; le cave in cui è ormai cessata l’attività estrattiva sarebbero dovute essere destinate ad un ripristino a territo- rio agricolo, invece oggi sono diventate discariche, "nelle quali vengono depositati ogni giorno rifiuti urbani e assimilabili, speciali pericolosi, non pericolosi e tossico-nocivi" (Rapporto Cave di LegaAmbiente 2014 [15]). Ma ci sono anche esempi di cave gestite in modo accurato, che hanno mantenuto come priorità l’obiettivo di restituire al territorio l’aspetto che aveva prima dell’inizio dell’attività estrattiva. Nel Report di LegaAmbiente del 2014 è presentato l’esempio del Comuni di Robilante e Roccavione (CN) dove "il recupero ambientale della cava è stato incentrato sulla creazione di due specchi d’acqua artificiali e il rimboschimento con latifoglie caratteristici dell’area con lo scopo di creare un ambiente capace di accogliere le specie animali caratteristiche della zona del piano montano". E ancora in Emilia Romagna, in particolare in Provincia di Parma, negli ultimi anni è stato sviluppato un progetto europeo chiamato SARMa (Sustainable Aggregates Resouce Management) che ha come obiettivo quello di promuovere la gestione sostenibile delle risorse inerti. In un’area estrattiva nella zona di Collecchio (PR), dopo il termine dell’attività estrattiva nel 2008, nel sito sono rimasti gli impianti di trattamento delle rocce cavate permettendo di realizzare un polo per il riciclo dei materiali inerti: oggi vengono prodotte annualmente circa 25.000 tonnellate di aggregati riciclati e 32.000 tonnellate di asfalto riciclato.

Dall’analisi appena introdotta si può concludere che per un uso più razionale e sostenibile delle ri- sorse naturali non rinnovabili presenti nel sottosuolo e per ridurre i relativi impatti sull’ambiente è necessario agire su più punti:

• avere una normativa forte e una pianificazione a livello territoriale che miri a salvaguardare l’ambiente, un monitoraggio sempre attivo con l’obiettivo di minimizzare le pratiche illecite e un’attenzione verso il ripristino dell’ambiente dopo la cessazione dell’attività estrattiva; • favorire la creazione di un mercato solido per gli aggregati riciclati derivati da rifiuti C&D da poter utilizzare, laddove le caratteristiche lo permettono, in sostituzione totale o parziale dei materiali vergini.

1.3.5 Problematiche connesse alla gestione e al recupero dei rifiuti C&D in

Italia

Come sottolineato da ANPAR [10], attualmente in Italia, così come in altri Paesi europei, esi- stono alcuni ostacoli che impediscono il raggiungimento di alti tassi di recupero e riciclaggio dei rifiuti inerti e la valorizzazione delle risorse secondarie mediante la creazione un mercato "stabile" per gli aggregati riciclati, ostacoli che riducono la possibilità di sfruttare al meglio le tecnologie esistenti per limitare gli impatti sul territorio dello smaltimento dei rifiuti C&D. Il primo problema che si riscontra è legato alla conoscenza dei volumi di rifiuto in gioco, sia

da un punto di vista quantitativo che qualitativo, punto di partenza essenziale per l’azione di sviluppo e l’adozione di politiche virtuose in materia di gestione dei rifiuti. E’ già stato illustrato nel paragrafo 1.1.2. come la quantificazione dei flussi di rifiuti C&D non pericolosi risulti ad oggi molto difficoltosa, essendo di fatto stimata sulla base delle dichiarazioni MUD degli impianti in cui vengono conferiti i rifiuti e non rilevata direttamente da tutti i produttori (come ad esempio avviene per tutti i rifiuti pericolosi). Avere dati più precisi, modificando o implementando le modalità con cui vengono raccolti, e adottando sistemi di controllo più efficaci, servirebbe per capire meglio la quantità reale prodotta, combattere sempre più efficacemente le pratiche illecite e impostare politiche di gestione più congrue al contesto in cui si va ad operare.

Un altro ostacolo molto difficile da superare è di natura culturale e nasce dalla diffidenza da parte di progettisti, costruttori e Direttori Lavori nelle caratteristiche tecniche e prestazionali degli aggregati riciclati, a causa della loro origine dai rifiuti. Soprattutto nei contesti di piccole- medie imprese si tende a non utilizzare il materiale riciclato perché si pensa che non abbia le stesse caratteristiche in termini di qualità del materiale vergine. Anche episodi di riciclatori improvvisati che hanno effettuato pratiche illecite con i rifiuti nel nostro Paese hanno contri- buito a deteriorare l’immagine del settore dei materiali riciclati (come sottolineato anche da ANPAR [10]). Per ridurre le incertezze dei consumatori legate all’utilizzo degli aggregati ricicla- ti bisognerebbe fornire una maggiore informazione sulle certificazioni ufficiali e sulle prestazioni di questi materiali; anche una maggiore chiarezza a livello normativo sul passaggio dallo stato di rifiuto a quello di prodotto fissando i criteri tecnici e ambientali dell’end of waste per i C&D, può contribuire a favorire un impiego più diffuso degli aggregati riciclati.

Bisogna anche considerare che, per un utilizzo su vasta scala degli aggregati riciclati, è necessa- rio garantire la costanza delle caratteristiche qualitative e prestazionali che l’aggregato riciclato deve soddisfare per l’uso specifico cui è destinato. Tuttavia, in Italia, le pratiche di demolizione selettiva sono ancora poco diffuse e dunque i flussi di rifiuti C&D prodotti nei cantieri e inviati agli impianti di riciclo risultano eterogenei e spesso "contaminati" da materiali indesiderati quali plastiche, metalli, cavi, etc.. Ciò comporta maggiori difficoltà nel trattamento di questi rifiuti e la produzione di aggregati riciclati di minore qualità; ciò ne riduce il mercato e ne limita l’utiliz- zo nel settore delle costruzioni ad applicazioni di scarso valore quali riempimenti, livellamenti o colmate. Inoltre, il problema della contaminazione degli aggregati riciclati aumenta le incertezze e la diffidenza da parte degli utilizzatori finali, quindi è importante diffondere ed implementare le pratiche di demolizione selettiva e controllata.

Tutti questi fattori impediscono, ad oggi, che il mercato degli aggregati riciclati possa decollare ed integrarsi con quello delle risorse naturali. L’assenza di un mercato stabile delle risorse secon- darie rappresenta il principale ostacolo al raggiungimento di un utilizzo diffuso sul territorio di queste risorse, in grado, a sua volta, di incentivarne il riciclo e la valorizzazione. In un contesto come quello attuale, a livello nazionale non c’è convenienza a fare riciclo perché il valore di mercato degli aggregati riciclati è basso e poco competitivo rispetto alle risorse naturali: come confermato anche da ANPAR [10], nelle zone dove ci sono molti siti estrattivi di sabbia e ghiaia il prezzo dell’aggregato naturale è molto basso e questo comporta un ribasso anche del prezzo

degli aggregati riciclati e costringe i produttori a svendere, o addirittura regalare, il prodotto riciclato pur di liberare le piazzole degli impianti. Questo implica che l’attività di riciclo, ad oggi, si regge solo (o in gran parte) sulle tariffe di conferimento dei rifiuti perché il guadagno derivante dalle vendite degli aggregati riciclati, quando ci sono, è molto ridotto. A livello nor- mativo si è già provveduto ad aumentare i costi per lo smaltimento in discarica dei rifiuti C&D, ma forse avrebbe un impatto maggiore sul mercato la tassazione per l’estrazione del materia- le naturale dalle cave, che verrebbe così impiegato solo nelle applicazioni in cui sono richieste prestazioni più elevate (lasciando più spazio per l’utilizzo di aggregati riciclati nella costruzione di infrastrutture stradali o riempimenti). Secondo ANPAR sarebbe di grande efficacia non solo tassare, ma proprio vietare il conferimento in discarica di alcune classi di rifiuti inerti; questo provvedimento da solo servirebbe solo ad aumentare le quantità di rifiuti conferite agli impianti di riciclo, ma non implica direttamente la diffusione dell’utilizzo di aggregati riciclati nel settore edile. Quindi, azioni come questa devono essere necessariamente integrate con misure in grado di "sostenere" il mercato degli aggregati riciclati.

Un ulteriore ostacolo alla diffusione dell’utilizzo dei materiali riciclati è l’assenza di Capitolati d’Appalto aggiornati, che tengano conto delle nuove misure UNI EN e che non discriminino il materiale riciclato a causa della sua natura; inoltre sono pochi i contesti in cui la voce "aggre- gati riciclati" è presente nei prezzari delle opere edili. Avere questi strumenti tecnici aggiornati potrebbe implementare la diffusione dell’utilizzo del materiale riciclato anche nel campo delle imprese private. Con l’introduzione del DM 203/2003 e successiva Circolare del Ministero del- l’Ambiente numero 5205 del 2005, è stato inserito "l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni e per le Società a prevalente capitale pubblico di acquistare, per il proprio fabbisogno, almeno il 30% di prodotti realizzati in materiale riciclato", ma di fatto questo decreto non trova pieno riscontro nella realtà, perché non esiste una solida volontà politica di far decollare il mercato degli aggregati riciclati. Se manca la richiesta è più difficile anche incrementare la copertura di impianti che trattano rifiuti inerti C&D e, per quelli già esistenti, aumentano le difficoltà nel vendere il materiale lavorato. Questo punto è di fondamentale importanza perché le Am- ministrazioni Pubbliche potrebbero iniziare a creare la domanda per il mercato degli aggregati riciclati dando l’esempio di come sia possibile utilizzarli senza rinunciare alle prestazioni e alla qualità ed incentivarne l’utilizzo anche presso imprese più piccole ancora scettiche in merito. Come si evince dall’analisi appena introdotta e come viene sottolineato nel Report ANPAR [10], per cambiare un’economia come quella del settore delle costruzioni c’è bisogno dell’interazione di molti fattori, che devono cooperare insieme per riuscire ad incrementare la sostenibilità am- bientale dell’intero ciclo di vita dei materiali. I punti su cui occorre "lavorare" per superare gli ostacoli e le criticità che oggi impediscono il riciclo e l’uso sostenibile delle risorse sono:

• Una normativa completa che tocchi tutti i punti principali della gestione e del trattamento del flusso di rifiuti derivati dalla attività di costruzione e demolizione: la demolizione selettiva, l’end of waste, la marcatura CE, l’imposizione di target di riciclo e recupero in linea con quelli europei e provvedimenti che mirino all’identificazione dei flussi di rifiuti prodotti per ridurre le pratiche di smaltimento illecito.

• Un forte convincimento politico sulla sostenibilità delle pratiche di riuso e riciclo dei rifiuti C&D che porti prima le Pubbliche Amministrazioni e poi le imprese private più scettiche ad incentivare l’uso degli aggregati riciclati nel settore delle costruzioni.

• Rendere competitivo il mercato degli aggregati riciclati rispetto a quello dei materiali vergini.

L’interazione congiunta di tutti questi fattori è l’inizio per portare nel sistema di gestione dei rifiuti inerti C&D un cambiamento radicale, arrivando ad avere un tasso di riciclo in futuro sempre maggiore con una riduzione della quantità di materiale smaltito in discarica e dello sfruttamento delle risorse naturali.

1.4

L’analisi del ciclo di vita (LCA) applicata ai rifiuti C&D

Come riportato dalla norma ISO 14040:2006 "la maggiore consapevolezza dell’importanza della protezione dell’ambiente e i possibili impatti associati ai prodotti3 fabbricati e consumati ha accresciuto l’interesse verso lo sviluppo di metodi atti a comprendere meglio e a ridurre tali impatti. Una di queste tecniche è la valutazione del ciclo di vita (LCA - Life Cycle Assessment). L’LCA tratta gli aspetti ambientali e i potenziali impatti ambientali4(per esempio l’uso delle ri- sorse e le conseguenze ambientali dei rilasci) lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto o servizio, dall’acquisizione delle materie prime attraverso la fabbricazione e l’utilizzo, fino al trattamento di fine vita, riciclaggio e smaltimento finale (cioè dalla culla alla tomba)" (ISO 14040:2006). In particolare, le norme ISO 14040 e 14044 si soffermano sulla metodologia LCA, definendo i requisiti e le procedure da adottare per l’applicazione della valutazione del ciclo di vita. Un supporto alle norme ISO è rappresentato dagli ILCD Handbook (International Reference Life Cycle Data System), una serie di documenti che forniscono le best practice per condurre ana- lisi di LCA, redatti da gruppi di esperti della comunità scientifica sotto coordinamento della Commissione Europea e reperibili dal sito internet del JRC (Joint Research Centre [3]). Per esempio, la General guide for Life Cycle Assessment è la guida generale e copre tutti gli aspetti essenziali per condurre una LCA: la definizione degli obiettivi, criteri per definire i confini del sistema, come effettuare la raccolta dati, come calcolare i contributi degli impatti sull’ambiente, come verificare la robustezza dei risultati e delle conclusioni, come riportare i dati in modo da condurre un’analisi trasparente e di qualità, etc. Un ulteriore e più recente supporto alle ana- lisi di LCA è costituito dalla Product Environmental Footprint (PEF) Guide, approvata dalla Commissione Europea, che propone un metodo per modellizzare gli impatti ambientali legati ai flussi di materia/energia e le emissioni legate al ciclo di vita di un prodotto o di un servizio [4].