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Gli strumenti di tutela dalla disoccupazione

L’evoluzione del sistema di ammortizzatori sociali in Italia Michele Raitano

3. Gli strumenti di tutela dalla disoccupazione

Fino al 2012 in Italia esistevano due tipologie di sussidi di disoccupazione che, con alcune eccezioni (apprendisti e somministrati), si rivolgevano alla totalità dei lavoratori dipendenti, più una serie di strumenti categoriali a favore degli addetti delle imprese medie e grandi (l’indennità di mobilità) o di specifici settori (agricoltura e edilizia). Le attività parasubordinate (oltre che quelle autonome), non essendo previste apposite forme di contribuzione, risultavano inoltre del tutto escluse da qualsiasi forma di copertura. I due strumenti di natura “universale”, l’indennità di disoccupazione a requisiti

ordinari (IRO) e a requisiti ridotti (IRR), non coprivano, però, la totalità dei dipendenti dal momento che, come già ricordato in introduzione, escludevano chi aveva iniziato a versare contributi a tutela contro la disoccupazione da non più di 2 anni (non tutelando, così, chi era entrato da meno tempo nel lavoro dipendente privato). L’IRO era inoltre concessa solo a chi aveva lavorato almeno 52 delle ultime 104 settimane, escludendo così chi aveva carriere particolarmente frammentate, mentre l’IRR, che richiedeva almeno 78 giorni di contribuzione nell’anno precedente la disoccupazione (e veniva pagata a seconda delle giornate di disoccupazione, fino a un massimo di 180), era uno strumento ben poco generoso dato che, nonostante qualche incremento, copriva il 35% del salario precedente (40% dal quarto al sesto mese di corresponsione) e non poteva, del resto, essere considerata effettivamente un ammortizzatore sociale (piuttosto che una mera integrazione salariale), dal momento che veniva erogata in un’unica soluzione l’anno successivo alla richiesta, indipendentemente dalla nuova condizione professionale del richiedente.5 La stessa IRO non spiccava poi per generosità, dato che, nonostante frequenti aumenti introdotti dai primi anni 2000, il suo tasso di sostituzione non superava il 60% (il 50% dopo 6 mesi di erogazione e il 40% dal nono mese in poi) e la durata era di 8 mesi per gli under 50 e di 12 per chi aveva compiuto i 50 anni d’età. Ben più generose, per durata e importo, erano, come detto, le diverse forme di indennità di mobilità, a cui avevano però diritto unicamente i lavoratori delle imprese di alcuni settori e di maggiore dimensione6.

La riforma del 2012 introdusse una prima riforma organica del sistema, eliminando IRO, IRR e indennità di mobilità e sostituendole con due nuovi strumenti, l’Aspi (Assicurazione Sociale per l’Impiego) e la Mini-Aspi, che si differenziavano dai precedenti per requisiti d’accesso, importo e durata (Aspi e Mini-Aspi includevano anche apprendisti e lavoratori in somministrazione).

Nello specifico, all’Aspi si continuavano ad applicare i 2 requisiti d’accesso dell’IRO (almeno 2 anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione e almeno 52 settimane nelle precedenti 104), ma la durata era prevista crescere gradualmente fino a 12 e 18 mesi per gli under e over-55, rispettivamente. Anche l’importo dell’Aspi cresceva rispetto a quello dell’IRO, dato che il tasso di sostituzione diventava del 75% (ridotto del 15% dopo i primi 6 mesi di erogazione e di un altro 15% dopo il dodicesimo mese), fino a un massimale di importo. Per i periodi coperti da Aspi veniva inoltre offerta contribuzione figurativa piena a fini pensionistici. Va, tuttavia, ricordato che, contestualmente alla meritoria ridefinizione dell’indennità di disoccupazione “universale”, fu cancellata l’indennità di mobilità, che offriva, alle categorie di addetti che potevano farvi ricorso, tutele ben più generose della Aspi sia rispetto all’importo che alla durata del beneficio.

A parere di chi scrive, il principale pregio della riforma del 2012 è consistito nell’introduzione della cosiddetta Mini-Aspi che modificò l’impianto della precedente indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (IRR), condizionandola alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione. Oltre alle criticità già ricordate, l’IRR era

soltanto il numero di giornate lavorative (comprese fra le 78 e le 180) che sarebbero poi state sussidiate. L’accesso all’IRR era inoltre concesso solo a chi aveva un’anzianità contributiva di almeno due anni. Con la riforma del 2012, l’accesso alla Mini-Aspi divenne invece possibile in presenza di almeno 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno, anche in mancanza del requisito di anzianità assicurativa biennale: l’indennità, pagata nel momento dell’occorrenza del periodo di disoccupazione e non l’anno successivo, prevedeva gli stessi importi dell’Aspi, ma aveva durata massima di soli sei mesi (pari alla metà delle settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi; dalla durata si escludevano eventuali settimane di precedente erogazione del sussidio). Di fatto, la Mini-Aspi contribuì ad ampliare in misura rilevante la platea di quanti avevano accesso effettivo alle indennità di disoccupazione, in particolare fra i nuovi entrati nel mercato del lavoro e fra i dipendenti con contratto a termine. Anche per i periodi coperti da Mini-Aspi veniva offerta contribuzione figurativa piena a fini pensionistici.

Da ultimo, con il decreto legislativo n.22 del 4 marzo 2015, a partire da maggio 2015 è stata introdotta la Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), in sostituzione di Aspi e Mini-Aspi e, in aggiunta, sono stati introdotti due nuovi strumenti, la DIS-COLL, a tutela dei collaboratori parasubordinati, l’ASDI (assegno di disoccupazione), strumento soggetto a test dei mezzi, a tutela dei disoccupati di lungo periodo. Come misura di collegamento fra politiche passive e attive per il mercato del lavoro, è stato inoltre introdotto l’Assegno di Ricollo cazione (ADR), spendibile da parte dei disoccupati presso i centri per l’impiego.

La Naspi prevede requisiti d’accesso diversi, e ben meno stringenti, di quelli precedentemente in vigore. Per poter ricevere la Naspi sono infatti richieste almeno trenta giornate di lavoro dipendente nell’anno precedente l’inizio della disoccupazione e almeno 13 settimane di contribuzione da dipendente nei quattro anni precedenti l’inizio della disoccupazione. A differenza dell’Aspi, la cui durata massima variava a seconda dell’età del lavoratore, e della Mini-Aspi, che poteva essere erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione presenti nei dodici mesi precedenti la disoccupazione, la Naspi è corrisposta per un nume ro di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, con un massimo di 24 mesi (escludendo dal computo della durata del sussidio eventuali settimane in cui si sia già ricevuta la Naspi). Con la Naspi si è dunque introdotto il criterio generale in base al quale la durata dell’indennità di disoccupazione non si differenzia più in base all’età del beneficiario (in ragione di una minore rioccupabilità dei più anziani), ma in base alla durata dell’attività lavorativa da dipendente nel periodo precedente la disoccupazione.

In modo sostanzialmente analogo a quanto previsto con il precedente regime, l’am-montare della prestazione è pari al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni (ultimi due anni nell’Aspi e Mini-ASPI), se questa è pari o inferiore a un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie (per il 2018 pari a 1.208,15 euro). Qualora la retribuzione media mensile imponibile sia supe-riore a tale importo, l’ammontare della prestazione sarà pari al 75% di 1.208,15 euro sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile e 1.208,15 euro. Diversamente che da Aspi e Mini-Aspi, la Naspi si riduce del 3% per ciascun mese, a partire dal primo giorno del quarto mese di fruizione. L’importo massimo

della Naspi nel 2018 non può in ogni caso superare i 1.314,30 euro mensili, valore rivalutato annualmente sulla base dell’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie (l’importo massimo della Naspi risulta leggermente più alto di quello previsto per Aspi e Mini-Aspi).7 Va altresì notato che i percettori di Naspi beneficiano di contribuzione figurativa a fini pensionistici entro un limite di re tribuzione pari a 1,4

volte l’importo massimo mensile dell’indennità.8

Come precedentemente accennato, la legge delega n.183 del 10 dicembre 2014 ha esteso per la prima volta in via sistematica ai collaboratori parasubordinati un’indennità di disoccupazione, disciplinata dal decreto legislati vo n. 22 del 4 marzo 2015 con l’introduzione della Dis-Coll. L’indennità è riconosciuta ai lavoratori che possano far valere almeno tre mesi di contribuzione alla Gestione Separata nell’anno precedente la perdita del lavoro. L’indennità copre i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata INPS, non già pensionati e privi di partita IVA (o con partita IVA silente). Da metà 2017 tra i beneficiari rientrano i dottorandi e gli assegnisti di ricerca (estensione stabilita dal cosiddetto “Jobs Act per il lavoro autonomo”), mentre sono esclusi gli amministratori e i sindaci di società. A decorrere dal 1° luglio 2017, i lavoratori assicurati alla Dis-Coll versano un’apposita aliquota di contribuzione dello 0,51% (Raitano 2018).

La struttura della Dis-Coll ricalca quella della Naspi, anche se nei periodi di fruizione della DIS-COLL non danno diritto a contribuzione figurativa a fini pensionistici. La regola di calcolo è la stessa della Naspi, così come la durata è commisurata alla contribuzione precedente (per la Dis-Coll alla metà delle settimane di contribuzione nel periodo compreso tra il 1° gennaio dell’anno civile precedente l’evento di cessazione del rapporto di collaborazione e l’evento stesso). Così come per la Naspi, ai fini della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo a erogazione della prestazione. In ogni caso, la Dis-Coll può essere corrisposta per una durata massima di sei mesi. Sempre in analogia con la Naspi, la fruizione della Dis-Coll è strettamente condizionata alla partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale definiti dai Centri per l’impiego attraverso la sottoscrizione di un patto di servizio personalizzato.

Il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 ha introdotto anche l’Asdi, una misura ri conosciuta a coloro che, dopo aver percepito l’indennità di disoccupazione Naspi per la sua durata massima, non hanno trovato un nuovo impiego e si trovano in una condizione di disagio economico; la concessione dell’Asdi si basa, quindi, sulla prova dei mezzi da parte del potenziale beneficiario. Prevista inizialmente in via sperimentale per il solo 2015, l’ASDI è stata estesa anche agli anni successivi dal decreto legislativo 148 del 2015, ma è poi stata abrogata nel 2018 con l’introduzione del REI (Reddito di Inclusione). Nel dettaglio, per accedere all’Asdi era necessario avere un valore dell’ISEE non superiore a 5.000 euro e non aver fruito della prestazione per più di 6 mesi nei 12 mesi precedenti il termine della Naspi (e comunque per non più di 24 mesi nel quinquennio precedente lo stesso termine). L’importo della prestazione era

dell’assegno sociale (pari a 507 euro al mese nel 2018), accrescibile in presenza di figli a carico. La prestazione veniva erogata per una durata massima di sei mesi.

Infine, il Jobs Act con il decreto legislativo n.150 del 14 settembre 2015 ha introdotto anche l’Assegno di Ricollocazione (ADR), a favore dei disoccupati percettori della Naspi che siano in disoccupazione da più di quattro mesi e che ne facciano richiesta al centro dell’impiego. L’ADR non concorre a formare reddito e non è soggetto a contribuzione previdenziale e assistenziale. Con l’as segno il lavoratore disoccupato può accedere ai servizi di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro presso i centri per l’impiego o i soggetti privati accreditati. Il servizio di assistenza ha una durata di sei mesi, prorogabile per altri sei qualora non sia stato speso l’intero importo dell’assegno e sostituisce, per la sua durata, il patto di servizio personaliz zato stipulato dal

lavoratore con i centri per l’impiego. Come dettagliato in UPB (2018), l’ammontare

dell’ADR dipende dal profilo di rischio del beneficiario e, soprattutto, dall’esito finale dei servizi di riqualificazione e ricerca di nuova occupazione. Il valore dell’assegno varia da 250 a 5.000 euro, con il valore massimo che corrisponde a ricollocazioni di soggetti particolarmente deboli e in aree svantaggiate. L’ADR si configura pertanto, anziché come un ulteriore sussidio di disoccupazione, come un collegamento tra politiche passive e attive del lavoro, aggiuntivo rispetto ai vincoli di attivazione che deve rispettare il beneficiario della Naspi.