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I gruppi di inclusione sociale: sport, tempo libero, teatro, volontariato

CAPITOLO TERZO Le reti sociali dei richiedenti asilo

4. Un focus sui gruppi WhatsApp dei richiedenti asilo a Livorno

4.6 I gruppi di inclusione sociale: sport, tempo libero, teatro, volontariato

Un calcio all’indifferenza è lo slogan della società calcistica “African Academy Calcio”

nata a Livorno nel 2016. Questa società è diventata un luogo di socialità, incontro, sport e integrazione per molti ragazzi richiedenti asilo ospiti in città. A seguito della partecipazione ad allenamenti e piccoli tornei è stato creato un gruppo WhatsApp che riunisce tutti i giocatori africani dell’“Academy”. Di seguito, riportiamo lo statuto della società sportiva come perfetto esempio per descrivere e sviluppare il tema dell’inclusione e dell’integrazione attraverso lo sport, il teatro, il volontariato e il tempo libero:

Lo scopo dell’organizzazione è dare un sorriso ai ragazzi che hanno affrontato sino a questo momento una vita di stenti e privazioni a motivo della guerra nei loro Paesi e delle condizioni di miseria dovute alle multinazionali occidentali che stanno saccheggiando le loro risorse. Un pensiero va a tutti i

128 caduti nel Mar Mediterraneo che ogni giorno è teatro agghiacciante della cattiveria umana. Non sono ammessi nell’Academy xenofobi, razzisti, fascisti, neonazisti, leghisti. È aperta a tutti quelli che condividono le idee di uguaglianza e umanità. È aperta a tutti i ragazzi che vogliono giocare al calcio, ai bambini i cui genitori si ritrovano nella nostra filosofia di pensiero e a tutti coloro che hanno nel cuore l’amore per gli altri. L’Academy si propone in futuro di organizzare eventi culturali, musicali e anche d’istruzione in quanto l’apertura di una scuola di italiano darà modo a tutti gli africani e non di imparare la nostra lingua. Siamo per l’integrazione totale ovvero che tutti abbiano il diritto alla vita, a fare sport, a lavorare equamente agli altri cittadini e ad avere case e documenti. La vita è un dono che ci è stato dato ed è per questo che vogliamo parità di diritti. Il calcio è un veicolo che unisce tutti, senza distinzione di religione o colore della pelle. Speriamo che questa Società serva a questo, ovvero al riscatto sociale dei ragazzi (Statuto, African Academy Calcio).

Il gruppo WhatsApp “African Academy Calcio” è composto da 43 persone e 6 di questi sono tra gli intervistati. A. B., 24 anni, della Costa d’Avorio, racconta in poche parole lo scopo del progetto:

Franco, l’allenatore, ha avuto l’idea di questo gruppo. Ha messo su una squadra per gli africani che vivono a Livorno, perché se vogliamo giocare in una squadra le altre società ci dicono che siamo troppo grandi e allora Franco ha avuto questa idea per noi (intervista n. 3).

L’“African Academy Calcio” è un esempio raro di integrazione e inclusione da parte della società civile, non sempre attenta ai bisogni dei più fragili. Gli obiettivi della società sono chiari e non lasciano spazio a discriminazioni e dubbi sui temi dell’accoglienza e della solidarietà, a rafforzare l’idea di solidarietà del sociologo polacco Zygmunt Bauman:

Siamo chiamati a unire e non dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime collaterali e dirette delle forze della globalizzazione che regnano secondo il principio “Divide et Impera”, qualunque sia il prezzo dei sacrifici che dovremo pagare nell’immediato, a lungo termine, la solidarietà rimane l’unica via possibile per dare una forma realistica alla speranza di arginare futuri disastri e di non peggiorare la catastrofe in corso (intervista a Goldkorn, 2015).

Il calcio, nella sua espressione più popolare, quella delle sue origini, diventa, anche attraverso le sue regole da gioco di squadra, parafrasi della società. In Africa il calcio di oggi esce dai perimetri classici degli stadi e dei campi da calcio e riesce a strutturarsi in società sportive dall’alto valore sociale. Molti gruppi WhatsApp prendono il nome di società calcistiche i cui partecipanti, funzionari delle società in questione, agiscono da

129 intermediari di fiducia tra i ragazzi emigrati e le famiglie rimaste nei villaggi. Nel gruppo “Parliament” accade questo:

È il gruppo creato dall’allenatore della squadra. “Parliament” è anche il nome della squadra dove giocavo in Costa d’Avorio. Siamo tutti amici africani di gioventù. Ci sono ragazzi emigrati in Francia, Germania e Italia. Parliamo di calcio, della mancanza di lavoro e della nostra famiglia. Il Presidente è lì in Costa d’avorio e se c’è qualcosa che non va, ad esempio se mio fratello si comporta male, l’allenatore cerca di parlarci per trovare una soluzione insieme alla famiglia (intervista n. 7).

Se spesso le nuove tecnologie assumono il ruolo della disintermediazione dei rapporti interpersonali, andrebbe forse fatto un discorso a sé sulla funzione che assolvono all’interno delle reti migratorie, dove il senso di spaesamento, la distanza, la disuguaglianza economica e socio-culturale dei due Paesi di “appartenenza” affiorano nella vita e nelle relazioni di ogni singolo individuo. La simbiosi tra il migrante e il dispositivo digitale costruisce reti sociali vantaggiose per entrambi. Si crea una sorta di relazione compensativa tra il soggetto e l’oggetto. All’aumentare dei bisogni relazionali dei migranti corrisponde una crescita dell’innovazione tecnologica che deve sopperire alla distanza fisica e alla mancanza di prossimità creando vie d’uscita dai Paesi poveri verso i luoghi della speranza e per un futuro migliore. La tecnologia porta con sé l’immagine di un mondo ricco dove poter emigrare e riporta, ad emigrazione avvenuta, le vite traslate di ciascuno nei Paesi di provenienza, ponendo le basi per una narrazione continua mediata dalle nuove tecnologie. Una circolarità nella quale la tecnologia diventa rifugio, scatola dei ricordi e legame con la propria terra e il proprio campo da gioco. Giunti in Italia i migranti più giovani riescono a entrare in alcune società sportive locali e anche lì nascono gruppi WhatsApp creati dagli allenatori per informare su allenamenti e partite. Questi gruppi che prendono il nome dalle società sportive di riferimento sono: “Ardenza Calcio”, con 37 partecipanti; “Atletico Livorno Academy”, con 35 partecipanti e “US Tirrenia”, con 41 partecipanti. Questi gruppi sono motivo di incontro e partecipazione ad attività anche fuori dal campo di calcio. I richiedenti asilo che giocano nelle squadre locali hanno una discreta conoscenza della lingua italiana, sono ben inseriti nel tessuto sociale della città e passano il loro tempo libero, e non solo, tra profughi, ma insieme ai ragazzi italiani loro coetanei. I tre ragazzi che appartengono ai gruppi creati dalle società di calcio sono anche coloro che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria e che sono stati inseriti nei progetti SPRAR. Questo dato ci indica l’importanza che le attività

130 aggregative assumono nella vita pratica di ogni richiedente asilo. Arrivare di fronte alla commissione territoriale con il proprio bagaglio di esperienze locali è motivo di riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico. Sempre sul fronte dell’inclusione sociale riportiamo il caso del gruppo “Teatro”, con 21 partecipanti, creato dalla sottoscritta per coordinare le attività teatrali. Il gruppo nasce nel dicembre 2016 a seguito di un’esperienza di teatro sociale con alcuni richiedenti asilo ospiti a Livorno. I componenti del gruppo WhatsApp sono il doppio di coloro che effettivamente partecipano alle attività teatrali, ma alcuni di loro, incontratidurante questa ricerca, hanno dichiarato di non aver abbandonato il gruppo per restare aggiornati sulle attività che vengono svolte. Mentre coloro che ancora partecipano alle attività della compagnia teatrale sono orgogliosi di far parte di questo gruppo:

Mi piace conversare nel gruppo. I messaggi che voi mandate mi servono per imparare a leggere e scrivere bene in italiano (intervista n. 6).

I gruppi di inclusione sociale sono gruppi eterogenei nei quali partecipano i richiedenti asilo e la comunità locale: operatori, amici, allenatori, volontari. La partecipazione alle attività di inclusione e volontariato crea momenti di incontro, favorisce la nascita di amicizie e la formazione di gruppi WhatsApp a sostegno delle nuove amicizie e della volontà di conoscersi. Dal gruppo “Teatro” sono nati rapporti umani importanti tra alcuni artisti livornesi e i richiedenti asilo, sia allo scopo di portare avanti le attività artistiche e culturali sia nel campo dell’amicizia e della solidarietà. Il desiderio di fare amicizia, di stare in relazione con gli altri, di sentirsi integrati e parte di una comunità è il fil rouge che lega queste reti informali. Un altro piccolo gruppo WhatsApp denominato “Ciclofficina” è stato creato dopo l’apertura di un laboratorio sociale per la riparazione delle biciclette completamente gestito da richiedenti asilo. Il gruppo è composto da 11 partecipanti: 5 richiedenti asilo e 6 operatori di Arci Solidarietà. Le attività di inclusione sociale crescono e si rafforzano nella rete virtuale dei gruppi, consolidando l’appartenenza al gruppo reale. Il gruppo “Domenica al mare” è composto da 5 persone ed è stato creato sotto suggerimento di un ragazzo italiano del dopo scuola:

È stato creato con l’intento di instaurare un’amicizia, al di fuori del contesto scolastico, per andare al mare insieme. Parliamo di tutto, dai permessi di soggiorno, allo sport, al tempo libero e di musica. Dentro al gruppo, i ragazzi italiani danno consigli su come ci si comporta in Italia (intervista n. 3).

131 Nel gruppo i ragazzi italiani si confrontano con i richiedenti asilo dando loro alcuni consigli per poter vivere bene in Italia, come ad esempio:

Quello di non dare noia a ragazze di 17 anni, perché sono minorenni e potremmo avere problemi con la giustizia (intervista n. 3).

Il gruppo denominato “I disagiati”, composto da 25 partecipanti:

Lo ha creato Emanuel, un ragazzo, un mio amico carissimo di Livorno, l’ho conosciuto mentre giocavo a calcio, lui mi diceva sempre che ero bravo a giocare. Parliamo di cose stupide, delle donne, dei soldi, scherziamo tantissimo. Ogni tanto ci vediamo, andiamo a cena fuori insieme. Non sono tutti di Livorno, qualcuno è di Torino, Palermo. Li ha inseriti Emanuel perché, secondo me, è un ragazzo molto aperto a cui piace fare amicizia con tutti. A Torino ci lavorava, a Palermo è andato in vacanza. Alcuni di questi ragazzi li conosco solo nel gruppo, non li ho mai visti. Parlo anche con loro, a volte se scrivo male una cosa in italiano, mi dicono: “Baka te sei stupido, se vuoi imparare l'italiano, lo devi imparare qui con noi.” Scherzano molto con me. La lingua non l’ho imparata solo a scuola, ma giocando a calcio, facendo teatro, facendo amicizia con gli italiani e attraverso le chat

(intervista n. 8).

Per concludere questo nostro “reportage” sui gruppi di inclusione sociale, la rete che, simbolicamente, dimostra più delle altre l’importanza dei processi di integrazione sociale, di una buona accoglienza, della solidarietà e la reale possibilità di raggiungere migliori condizioni anche a livello personale è il gruppo “Baka il fio”, composto da 21 partecipanti, che racchiude, già nel nome con cui è stato creato, il senso di costruzione di una rete sociale virtuale e non. “Baka” è il nome del ragazzo richiedente asilo che, tramite un progetto di inclusione sulla cittadinanza globale, è riuscito a portare la propria testimonianza in un liceo cittadino e “fio” è l’inflessione dialettale toscana che, nel gergo giovanile, indica una persona di bell’aspetto. B. J, 20 anni, gambiano, racconta:

Il gruppo lo ha creato un’amica del Liceo Cecioni dopo che sono andato a scuola per un incontro con gli studenti, all’interno di un progetto di Arci Solidarietà. Ho portato in classe la mia testimonianza di richiedente asilo e subito dopo mi sono arrivate 20, 30, 50 richieste di amicizia su Facebook, da parte di questi studenti. Io non sapevo nemmeno chi fossero, poi chi ha creato il gruppo mi ha chiesto se potevano uscire con me una sera, per cenare insieme e se volevo diventare loro amico. Da questo gruppo è nata un’amicizia bellissima che mi piace tantissimo. Passo molto tempo in chat con i miei

132 nuovi amici. Sono tutti ragazzi e ragazze livornesi. Io sono l’unico richiedente asilo (intervista n. 8).

La forza della testimonianza di Baka, il ragazzo-richiedente asilo del gruppo, trasmessa all’interno delle scuole, a teatro, nelle carceri e in ogni luogo dove è stata raccontata ha creato occasioni di incontro e riflessione e ha portato alla nascita di percorsi di inclusione e integrazione importanti, non solo per lui, ma anche per la comunità dei richiedenti asilo a cui appartiene. La potenza del racconto delle crudeltà subìte da giovani ragazzi inermi dovrebbe porci in una posizione di ascolto e riflessione e renderci non solo spettatori passivi o, nella peggiore delle ipotesi, fustigatori di costumi e usanze altrui, ma attori e strumenti del cambiamento sociale. A tale scopo ben venga l’utilizzo delle nuove tecnologie tra i giovani, da qualsiasi parte del mondo provengano. I giovani africani che migrano nel nostro Paese hanno bisogno di arricchirsi economicamente e socialmente, di riacquisire un’affettività perduta e riuscire a superare i traumi e le violenze subìte. Da questo punto di vista il mondo della tecnologia può dare il proprio contributo alla causa dell’accoglienza e dell’inserimento sociale, essere connessi alla Rete, per coloro che subiscono discriminazioni e vessazioni sociali continue, risulta essere una modalità di approccio alla relazione umana facile, semplice e immediata; tre aggettivi ben lontani dalle condizioni di vita dei richiedenti asilo protagonisti di questo studio e rinominati, per il tempo trascorso ad aspettare qualcosa o qualcuno in compagnia delle nuove tecnologie, i

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Conclusioni

I richiedenti asilo utilizzano le nuove tecnologie per la costruzione di reti affettive, amicali e sociali una volta arrivati nel Paese di destinazione. Il salvataggio e l’arrivo sulle coste italiane certifica l’allontanamento dalla propria terra e genera un cambiamento radicale delle proprie abitudini e degli stili di vita. Ciascun migrante porta con sé il bagaglio sociale, culturale ed economico del Paese povero da cui proviene. La sola presenza fisica nel Paese di destinazione mette in evidenza il divario economico e sociale tra le condizioni di vita delle città italiane e ciò che accade nei paesi del Terzo Mondo. La vita di un richiedente asilo è caratterizzata da situazioni di attesa e l’incontro con le nuove tecnologie, prodotto dell’economia occidentale globalizzata, si trasforma immediatamente in un rapporto fondamentale da cui non si prescinde. La relazione che si instaura con lo smartphone è simbiotica perché il dispositivo digitale ha la capacità di raccogliere e

contenere la doppia vita del migrante. Risulta relativamente semplice, sia economicamente

sia tecnicamente, entrare in possesso di un telefono cellulare e utilizzarlo. Lo smartphone è lo strumento principale dell’era digitale e per questo motivo è accessibile a tutti, anche a chi lo utilizza per la prima volta. I richiedenti asilo intervistati confermano che la presenza di una connessione internet sempre funzionante ed efficace è fondamentale perché gli spazi e il tempo dell’attesa sono impiegati, in primis, per il ripristino dei legami familiari, in secondo luogo per la ricerca di un sostegno reciproco alle nuove condizioni di vita nel

circuito dei richiedenti asilo e infine per la conoscenza e contaminazione con la realtà

locale. Dopo aver recuperato nei meandri del digitale il rapporto con la famiglia, gli amici e i compagni di viaggio i richiedenti asilo cominciano a utilizzare la tecnologia spinti dal bisogno di inclusione nel tessuto sociale nel quale vivono. Nella vita di un richiedente asilo si può parlare di un triplice senso di appartenenza: appartenenza alla comunità di origine, quella costituita dai propri connazionali, appartenenza alla comunità dei richiedenti asilo, che è diversa dalla comunità immigrata che vive in Italia con regolare permesso di soggiorno e appartenenza alla comunità locale del Paese di destinazione. Per tenere le fila e mantenere i rapporti in un mondo relazionale così ampio e diversificato lo strumento più utilizzato è lo smartphone con la relativa applicazione di messaggistica istantanea denominata WhatsApp. Questa applicazione permette la costituzione di gruppi formati da contatti telefonici, che si riferiscono a persone in carne e ossa, focalizzati su specifici argomenti e consente di includere le conversazioni in cerchie sociali più o meno ristrette su temi stabiliti in precedenza dagli amministratori dei gruppi. La modalità della chat, alla

134 base del funzionamento di WhatsApp, permette discussioni in tempo reale, veloci, frequenti e sui temi più disparati. I gruppi con un elevato numero di partecipanti risultano essere quelli di tipo familiare e religioso, dove le persone coinvolte appartengono alle famiglie del villaggio o allo stesso credo religioso; nel nostro caso specifico, sono emersi gruppi religiosi di fede musulmana. Anche i gruppi politici sono molto partecipati perché includono la comunità di origine e ci restituiscono, insieme ai primi due gruppi, un elemento sociale fondamentale di cui sono composte le comunità di provenienza dei nostri richiedenti asilo, ovvero quello di essere nati in una società con uno spirito collettivo che si discosta enormemente dal tipo di società individualista nella quale vivono attualmente. Gruppi con un numero ristretto di partecipanti, ma molto diffusi tra i richiedenti asilo intervistati, sono quelli creati per sostenersi reciprocamente e superare le difficoltà della nuova condizione di vita. Della volontà di migliorare le proprie vite si fanno portavoce i gruppi dedicati ai temi della scuola e alle attività di inclusione sociale. Quest’ultima tipologia di gruppo è solitamente creata da persone locali, operatori, studenti e cittadini per il coinvolgimento dei migranti in attività di volontariato e percorsi di integrazione e per la nascita e il mantenimento di nuove relazioni. La diffusione di una rete sociale che comprende numerose e differenti attività – dall’invio di rimesse, allo sport, alla religione, allo scambio di idee, alla politica – dimostra l’utilizzo frequente delle nuove tecnologie da parte della popolazione migrante. La società cosiddetta tecnologica è capace di includere in maniera immediata e semplice soggetti nuovi all’utilizzo degli strumenti digitali. La scarsa dimestichezza dei nostri intervistati verso le nuove tecnologie, dovuta alla carenza di infrastrutture tecnologiche nei Paesi in via di sviluppo, svanisce nel giro di pochi giorni dall’arrivo sulle coste italiane. Lo smartphone nelle mani di un richiedente asilo è una grande opportunità che permette il mantenimento degli affetti, il sostegno reciproco tra compagni di viaggio e la nascita di relazioni per la costruzione del proprio futuro. La maggior parte degli intervistati considera la propria condizione di vita migliorata rispetto al passato e non solo per merito delle nuove tecnologie, comunque utili a colmare distanze geografiche, culturali e affettive. Il focus sui gruppi ci dimostra che, laddove convergano richiedenti asilo e personaggi locali, i livelli di apprendimento della lingua italiana, la valutazione concreta e corretta delle competenze e la qualità della vita raggiungono dei livelli soddisfacenti generando effetti positivi su entrambe le comunità conviventi. Quando la rete sociale creata con le nuove tecnologie riesce a includere gli affetti originari, il mutuo aiuto, la contaminazione culturale e le attività di inclusione nei territori di

135 destinazione le tensioni sembrano dissolversi e la convivenza appare meno difficile. Le buone prassi sono veicolate dal mezzo digitale e trovano nel contenitore mediatico uno spazio di condivisione e presenza utile al senso di inclusione e di appartenenza di cui la comunità migrante è portavoce. Per quanto riguarda l’analisi delle reti ego-centrate il dato più significativo è la presenza di reti molto ampie e dense di contatti che però non riescono a chiudere le cosiddette “triadi aperte” causate dai vuoti strutturali e quindi i partecipanti non risultano in grado di sfruttare il capitale sociale a disposizione nella rete. Mentre reti più contenute e “specializzate” riescono meglio a raggiungere l’obiettivo dell’integrazione e del benessere individuale e sociale del partecipante che riesce a sfruttare in maniera più efficace la propria rete di contatti. La ricerca evidenzia inoltre che gli ego con reti molto estese possiedono numerosi contatti singoli, senza però partecipare a gruppi WhatsApp. Questo dimostra che la vasta rete di relazioni individuali, in mancanza della realtà del gruppo virtuale, non risulta utile ai fini della domanda di ricerca, ovvero se e quanto le nuove tecnologie siano in grado di aiutare la costruzione di reti sociali. Al contrario, coloro che hanno reti più modeste risultano molto attivi anche sui gruppi WhatsApp, riuscendo a sfruttarne al massimo le potenzialità di mutuo aiuto, sostegno e costruzione di reti sociali importanti e decisive per il miglioramento delle proprie condizioni di vita. La rete degli

alter, ossia dei contatti più frequenti con i quali si hanno relazioni mediate dalla tecnologia,

spesso non coincide con i contatti partecipanti ai propri gruppi WhatsApp, come se la