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CAPITOLO TERZO Le reti sociali dei richiedenti asilo

4. Un focus sui gruppi WhatsApp dei richiedenti asilo a Livorno

4.4 I gruppi familiari: dal villaggio alle rimesse

Che cosa significa per te avere uno smartphone?

Per parlare con la mia famiglia, è facile e costa poco (intervista n. 13).

Per me, invece, il cellulare è vitale, se non ce l’ho mi sento male. È importante per parlare con la mia famiglia e la mia mamma (intervista n. 2).

I legami familiari, affettivi, il villaggio visto come una grande famiglia, il sostegno affettivo reciproco e il sistema delle rimesse sono tratti comuni diquesti gruppi familiari. Una rete che disegna il quadro della solidarietà familiare, oltre i confini, che ricorda e ribadisce il senso di appartenenza alla famiglia e al villaggio, non solo dal punto di vista affettivo ma anche economico. Emigrare in Europa significa dare speranza e denaro anche a chi non è riuscito o non è voluto partire. Il fattore economico può essere determinante per il mantenimento della propria famiglia e la crescita e lo sviluppo dell’intero villaggio. K., 20 anni, dal Gambia, partecipa al gruppo “Jatta Kunda Family” con 200 partecipanti:

È il gruppo della nostra famiglia, ci confrontiamo su ciò che dobbiamo fare per la nostra casa, in Gambia. Per aiutare i parenti rimasti lì. Ci sono tante persone della famiglia che vivono in Africa, Europa, America. Parliamo di ciò che dobbiamo fare per migliorare le nostre vite (intervista n. 13).

123 L’altro gruppo si chiama “Sutukonding Village” con 221 partecipanti:

È il gruppo del villaggio, dove cerchiamo di capire come costruire il nostro villaggio per aiutare le persone bisognose. I partecipanti al gruppo sono tutti fuori dal villaggio. Ogni 3 mesi noi paghiamo 30 euro per il villaggio. Spediamo i soldi ad alcune persone che si occupano di inviarli al villaggio. Io spedisco questi soldi a un signore di Milano del gruppo che poi li gira al villaggio. Ogni 3 mesi arriva l’annuncio per l’invio dei soldi che vengono messi in banca e quando il villaggio ha bisogno gli vengono mandati (intervista n. 13).

L’importanza delle rimesse è chiara:

Un fiume di denaro. È quello che si muove con le rimesse dei migranti. Si parla di 500 miliardi di dollari l’anno. Che si muove dal Nord verso il Sud del mondo, per gran parte. Ma anche da Sud a Sud. Uno studio del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD) presentato ieri nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York, offre per la prima volta dati e analisi originali sulle rimesse. Sul loro ruolo nello sviluppo economico dei Paesi del Sud del mondo e sul contributo che possono avere per contribuire a raggiungere gli “obiettivi per lo sviluppo sostenibile” (SDGs) tracciati dalle Nazioni Unite per il 2030. Negli ultimi dieci anni (2007-2016) le rimesse globali verso i Paesi in via di sviluppo sono aumentate del 51%. Ogni anno, oltre un miliardo di persone - una persona su sette nel mondo - invia o riceve rimesse attraverso, di solito, un servizio di money transfer o dei canali “informali” da persona a persona, generando un flusso complessivo di denaro di 500 miliardi di dollari. Un fiume di denaro, si diceva, che supera di tre volte tutti gli aiuti allo sviluppo delle organizzazioni internazionali e delle Ong messi assieme. I migranti lavorano. Assistono. Offrono la loro opera alle popolazioni anziane dei Paesi sviluppati e per i servizi domestici. Circa l’85% di quello che guadagnano torna a casa. La top ten dei Paesi da cui vengono inviate le rimesse è guidata da Stati Uniti, seguiti da Arabia Saudita, Russia, Emirati Arabi, Germania, Kuwait, Francia, Qatar, Regno Unito e Italia. L’IFAD stima che tra il 2015 e il 2030 verranno inviati ben 6,500 miliardi di dollari di rimesse economiche verso i Paesi a basso e medio reddito. Questo enorme flusso di denaro non è intercettato dal sistema bancario tradizionale. I migranti utilizzano di solito i servizi di money transfer – le tre società principali sono Money Gram, Western Union e Ria – più economici e diffusi degli sportelli bancari tradizionali nel Sud del mondo. Il costo delle transazioni è comunque elevato rispetto al costo medio delle transazioni bancarie in Occidente: in questo caso a pesare è l’assenza di infrastrutture che fanno lievitare i costi dei trasferimenti di denaro. Per ogni operazione si paga in media una percentuale del 7,45% rispetto al valore totale della rimessa. Non poco. Ma comunque in calo rispetto al 9,8% del 2008. L’IFAD stima che una riduzione ulteriore del costo del trasferimento del denaro sotto al 3% a livello globale, un livello più vicino ai costi bancari porterebbe a un ulteriore aumento delle rimesse di 20 miliardi di dollari all’anno. Gran parte di queste risorse vengono utilizzate dalle famiglie per raggiungere i propri obiettivi individuali: aumento del reddito, migliore alimentazione, cure mediche, opportunità educative, miglioramento delle condizioni

124 abitative, imprenditorialità, riduzione delle disuguaglianze. Di solito le rimesse sono regolari. Arrivano sempre. E nello stesso periodo. Questo fatto permette a molte famiglie nei Paesi in via di sviluppo di restare al di sopra della soglia di povertà. Circa tre quarti delle rimesse vengono usate per coprire bisogni basilari: cibo, bollette. Circa il 10% di quanto arriva viene utilizzato per coprire obiettivi di medio-lungo termine: i costi sanitari, la retta dell’università per un figlio. Circa il 15% viene destinato invece al risparmio o investito in piccole attività produttive capaci di generare reddito (Baarlam, 2017).

Dentro alle reti informali e alla loro capacità di mobilitare risorse materiali e immateriali risiede il concetto di transnazionalismo, i motivi della diaspora, la circolazione del capitale sociale e gli elementi che definiscono il network capital. Tutti fenomeni visibili e che si diffondono attraverso l’uso delle nuove tecnologie. WhatsApp diventa strumento di monitoraggio per l’economia di interi villaggi e il gruppo “Retortissant della Donga” composto da 233 partecipanti di M., 22 anni, del Benin, ne è un esempio:

Il nome del gruppo significa “i ragazzi usciti dalla Donga” cioè gli emigrati in Algeria, Marocco, Italia, Germania, Francia. La Donga è il nome della mia città. Lo ha creato un amico rimasto in Benin perché vuole sapere cosa possiamo dare al nostro Paese, altrimenti la città muore. L’aiuto che portiamo è economico. Ogni mese ogni partecipante invia 5€ al presidente del gruppo per lo sviluppo della nostra città. Oggi, ad esempio, ci sono problemi in Algeria e i nostri amici e fratelli vogliono tornare a casa, ma non hanno possibilità e quindi questi soldi possono servire per tornare. Adesso l’urgenza è aiutare loro, se tornano a La Donga, possono con 50€ iniziare un’altra attività. Anche io, se mi trovassi in difficoltà a Livorno, potrei ricevere questo tipo di aiuto (intervista n. 1).

Il gruppo denominato “Familles Farmazò & Fils”, con 104 partecipanti, riesce a descrivere la società africana delle tribù e dei villaggi:

Questo gruppo fu creato da mio fratello maggiore per avere e dare notizie ai componenti della famiglia che sono emigrati. Comunicare la morte di qualcuno o la celebrazione di un matrimonio. Nella nostra famiglia c’è un re e si chiama Farmazò. È il mio babbo. La mia famiglia è sparsa in Occidente: un fratello maggiore in Germania, uno a Milano, due in Algeria e uno in Libia. In questo gruppo ci diamo tanti consigli. A noi che siamo in Europa ci dicono di non dimenticare i fratelli che sono in Africa e, se li abbiamo, di mandare soldi alla famiglia per aiutare i genitori e i fratelli. È normale, se io guadagno soldi, non posso tenere tutto qua, devo mandare qualcosa in Africa. Questo è il gruppo che mi sostiene di più. Anche io, un giorno, potrei essere il re della famiglia (intervista n. 1).

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