SECONDO CAPITOLO
2. Il paradigma tecnologico della Rete
Il paradigma tecnologico della Rete declina sempre più le sue funzioni nella forma della comunicazione on-line in tempo reale. “The unit is the newtork” e “the medium is the message”, due concetti, espressi l’uno da Castell (2014) e l’altro da McLuhan (1967), che indicano nella Rete l’unità del sistema complessivo e nel mezzo tecnologico la percezione di ogni messaggio. La tecnologia agisce e influenza le attività dell’uomo e i media diventano una sorta di prolungamento del corpo umano, dal quale è difficile prendere le distanze. Per alcuni i nuovi media rappresentano, al contrario, un’amputazione del corpo umano. Lo strumento digitale si sostituisce metaforicamente alle umane attività dominando le nostre vite. La tecnologia si combina con l’azione umana e sociale influenzando la vita dell’uomo e le sue espressioni simboliche, culturali e le relazioni tra gli individui. La Rete crea reticolo di relazioni, contatti, diffusione e promozione di idee, è espressione di affetti, di attività commerciali, di movimento di popoli. Il capitale umano si mette in Rete per trarre dalla propria posizione reticolare vantaggi, benefici e benessere sia individuale che collettivo. In Rete si cerca di soddisfare il bisogno di socialità e conoscenza. Le tecnologie digitali hanno molteplici e possibili conseguenze sulla vita degli individui, come la frammentazione dei rapporti dovuta a un bisogno di socialità che si esprime a partire dalla solitudine delle proprie case o dallo stare chini sui propri telefoni pur con la capacità di colmare distanze geografiche e affettive attraverso una comunicazione continua e presente. In Rete gli individui hanno la possibilità di trovare ciò che può essere utile alle loro vite e comprendere ciò che invece può risultare nocivo. Come nella vita reale anche in Rete si nascondono informazioni false che ostacolano la vita delle persone piuttosto che rappresentare per esse un aiuto e un sostegno. Il legame con la Rete e i rapporti che vi circolano si manifestano nella vita quotidiana in una sorta di continuum tra reale e virtuale e in un sottile equilibrio che necessita di essere accompagnato, tenuto per mano. La molteplicità dei servizi e delle funzioni che la Rete offre in maniera così semplice e apparentemente innocua è tanto affascinante quanto fuorviante, se questa non viene vissuta con spirito critico e talvolta con distacco emotivo. In questo senso, la Rete è utopica e distopica al tempo stesso. Ci promette e ci dimentica. La Rete diventa un modello. Il suo paradigma è pragmatico e si manifesta in tre azioni principali che sono la comunicazione, la socialità e la didattica, quest’ultima intesa alla maniera di Internet, come formazione on line (Cappello, 2009). La tecnologia dell’informazione incide sulla morfologia della Rete che crea e sviluppa interazioni complesse dove convergono una
34 molteplicità di significati che nascono appunto da queste tre azioni: comunicare, socializzare, insegnare.
Mentre l’Atomo rappresenta la pura semplicità, la Rete trasmette la forza disordinata della complessità (…). L’unica organizzazione capace di una crescita non orientata o di un apprendimento non guidato a priori è la Rete (Kelly, 1995: 25-27).
La diffusione dei reticoli ha un andamento esponenziale una volta che si è immersi nella Rete. Situarsi all’esterno del sistema Rete diventa svantaggioso dal momento che questa tende a svilupparsi sempre di più.
Le reti sono create non solo per comunicare, ma anche per acquisire posizioni, per comunicare più degli altri (Mulgan, 1991: 21).
Il paradigma tecnologico per il suo carattere etereo esce dai confini del mondo ricco e sviluppato per approdare nei paesi poveri e carenti di infrastrutture. Al paradigma delle merci e alla sua incessante accumulazione tipica del mondo occidentale si affianca, in epoca contemporanea, il paradigma tecnologico attraverso il quale si riproducono e si accumulano messaggi e immagini da condividere in Rete, facendo rete. La Rete è un sistema materialmente potente, aperto e adattivo nei confronti dei processi storici e di ciò che definiamo “globalizzazione dal basso” (Portes, 1997). La Rete aiuta, favorisce e alimenta i processi migratori, mobilitando risorse. Una tra le funzioni fondamentali della Rete è la diffusione delle immagini da una parte all’altra del mondo. La immagini che arrivano alle popolazioni dei Paesi più svantaggiati creano aspettative e speranze capaci di trasformare interi popoli in flussi migratori che si spostano verso i Paesi che quelle immagini producono. Fu così, negli anni Novanta, per gli albanesi che sbarcarono in Puglia, quando ancora non esistevano social network e smartphone e questa funzione di trasporto era limitata al mezzo televisivo. Oggi, che il sistema mondo è a portata di click, emigrare in luoghi lontani è un viaggio accompagnato da un continuo scambio di immagini e messaggi in un esperimento digitale che riduce la distanza e colma l’assenza. La potenza della Rete è anche politica, basti pensare alla diffusione della Primavera araba attraverso i social network e all’origine mediatica del nome dato alle proteste e alle agitazioni che tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 hanno animato alcuni Paesi nordafricani.
Certamente non può sfuggire la novità dell’utilizzo di queste nuove tecnologie, per la prima volta nella storia in un evento rivoluzionario. Tuttavia, non può neanche sfuggire l’enorme enfasi che è stata data a questi strumenti,
35 assurti a demiurghi del nostro tempo come se il riscatto civile e morale di popolazioni impoverite e private di diritti fondamentali passasse necessariamente per telefonini e tablet (Boria, 2011).
La performance di una Rete dipende da due caratteristiche essenziali: la “connettività”, ovvero la sua capacità strutturale di agevolare la comunicazione senza interferenze, e la “consistenza”, ovvero il grado di condivisione degli interessi tra gli obiettivi della Rete e gli obiettivi dei suoi componenti (Castells, 2014: 203). La capacità di una Rete di generare reticoli di relazioni individuali e sociali soddisfa i parametri della comunicazione a livello globale, ancora di più se questi si creano all’interno dei processi migratori. Il passaggio dei flussi di persone da un luogo all’altro e la circolazione delle risorse create e agite dagli individui in movimento, per mezzo della Rete, sono parte integrante della struttura sociale tecnologica del migrante. La Rete è luogo di interazione sociale, culturale, politica ed economica.
3. I richiedenti asilo tra network capital e capitale sociale
Il network capital è la capacità di generare valore tra persone che, anche a distanza, instaurano tra loro relazioni sociali. Queste relazioni procurano benefits pratici, economici ed emozionali (Urry, 2012: 21). Urry identifica alcuni elementi che compongono il capitale di Rete: uno schieramento di documenti appropriati, carte Visa, soldi, certificati che attestino movimenti sicuri, persone a distanza che possano offrire ospitalità, capacità di movimento, information point gratuiti e punti di contatto, dispositivi di comunicazione, punti di incontro sani, sicuri e appropriati, accesso a sistemi multipli, risorse e tempo da utilizzare quando il sistema fallisce (Urry, 2012: 27). Il capitale di Rete favorisce e sostiene le pratiche della mobilità umana, sostenendo i flussi migratori sia economicamente sia a livello comunicativo. Questo tipo di capitale si presenta nella sua forma materiale e concreta e ha la capacità di andare incontro ai bisogni dei migranti. Il processo migratorio sta all’interno della globalizzazione come dentro a un “regime mobile” (Shamir, 2005: 197-217). La globalizzazione dal basso, transfrontaliera, dove le attività e i confini attraversati dai migranti sembrano prendere contorni morbidi ed elastici, è affiancata da una globalizzazione che controlla e contiene. Il network capital dei migranti, d’altra parte, permette la loro identificazione, catalogazione e categorizzazione, la loro ammissibilità o meno nel Paese di destinazione. Ciò comporta quindi una chiave di accesso ai territori e alle società occidentali sull’asse dell’ineguaglianza globale (Bauman, 2001). Tra il migrante e il telefono si instaura un rapporto simbiotico che nasce in primis dalla funzione di utilità che il mezzo rappresenta nella vita del migrante. Con il telefono si veicolano affetti, cura, sostegno, ma anche sospetto e controllo. Lo straniero e il telefono vengono spesso associati al crimine, al pericolo del terrorismo. La paura e la
36 diffidenza verso l’altro diffuse attraverso i mezzi di comunicazione non favoriscono certo l’inclusione e l’integrazione, così le comunità ospitanti si chiudono in loro stesse e le popolazioni in arrivo tendono a confinarsi ai margini della società dopo averne attraversato, con fatica, i confini politici. Dentro la contraddizione di una tecnologia che si innalza a sistema di controllo e un sistema digitale con funzioni di protezione e sostegno, l’uso del telefono da parte del migrante è sempre più orientato alla costruzione del proprio benessere e di rapporti virtuosi con il proprio contesto. L’individuo è un insieme di relazioni sociali (Marx, 1844). Il capitalismo, dal canto suo, non ha certo abdicato alla supremazia delle merci, ma anzi ha affiancato al prodotto merce l’informazione, la conoscenza e la relazione affettiva. I social network nascono e si sviluppano all’interno del capitalismo informazionale creando un luogo di intermediazione affettiva e sociale che è virtuale come la rappresentazione del reale.
Un insieme di esseri umani non diventa una società, perché ognuno di loro ha una condizione di vita determinata in modo obiettivo o costretta in modo soggettivo, ma lo diviene soltanto quando la vitalità di quelle condizioni raggiunge un livello di influenza reciproca, cioè soltanto quando un individuo ha un effetto, diretto o mediato, su un altro, si tratta cioè di mera aggregazione spaziale o successione temporale trasformata in società. Se, quindi, ci deve essere una scienza che si occupi di società e niente altro, questa deve esclusivamente studiare quelle interazioni, quei tipi e quelle forme di associazione (Simmel., 1894).
Alle origini del concetto di Rete troviamo quindi le cerchie sociali di Georg Simmel: il sociologo tedesco descrive la società come una continua interazione tra individui e rapporti che nel tempo si
oggettivizzano e generano formazioni sociali stabili, con una propria autonomia. In quest’ottica
l’azione è sempre sociale e la struttura predispone ogni elemento della vita sociale in una determinata posizione. La civiltà moderna comporta l’aumento dei gruppi formali sociali e l’individuo si viene a trovare coinvolto in innumerevoli interazioni e sempre più immerso nelle cerchie. Più il gruppo è ampio più l’individuo è capace di esprimere sé stesso; più è ristretto meno occasioni avrà per differenziarsi. Simmel è considerato un precursore del concetto di liquidità (Crespi, 2015), perché fa riferimento al gruppo sociale come il luogo dove si sciolgono le delimitazioni, la rigidezza dei legami, e dove l’individuo può circolare nel processo della sua vita affiancato dalla cultura spirituale e sociale, tipiche dell’era moderna. Le caratteristiche di un mondo concepito come interdipendente e come una rete reciproca che influenza le relazioni tra gli elementi che la compongono è alla base del pensiero di Simmel. La rete, prima di definirsi nelle cerchie, si è socialmente radunata nelle tribù e nelle comunità. Se nelle tribù il riconoscimento avviene in un unico territorio e in un’unica identità, all’insegna dell’omogeneità culturale, nelle comunità trova spazio l’eterogeneità, e ciò che vale è il vincolo degli interessi comuni (Hubstrat, 2017). Maggiore è
37 il fluire degli interessi dentro la comunità virtuale, maggiore sono le relazioni che si instaurano. Le cerchie sociali dell’epoca moderna trovano la loro rappresentazione simbolica nella partecipazione degli individui ai gruppi WhatsApp. Gli interessi e le relazioni all’interno dei gruppi virtuali hanno la capacità di generare capitale sociale e, insieme con le funzioni del network capital delineano e costituiscono il bagaglio affettivo, culturale, sociale e pratico con cui i richiedenti asilo possono muoversi dentro ai flussi. Se nelle comunità di arrivo è difficile tenere insieme gli interessi comuni, la creazione di cerchie e gruppi mediati dalle nuove tecnologie favorisce lo scambio e la condivisione di risorse. La cerchia sociale è definita da un insieme di interessi e motivazioni che si intersecano tra loro, determinando una sfera di relazioni. Un individuo appartiene a più cerchie sociali come appartiene a più gruppi WhatsApp. Si può partecipare a più cerchie senza riconoscersi esclusivamente in una di esse, così come ogni gruppo o cerchia può avere al proprio interno dei soggetti, che fuori da essa, non hanno niente in comune. Le persone sono una confluenza di interessi. Senza interesse verrebbe meno l’operazione della conoscenza. Quindi le persone si conoscono e si relazionano perché hanno interessi in comune e l’interesse della conoscenza non può mai essere inteso come una chiusura verso l’esterno. La conoscenza è capitale sociale e quando incontra le funzioni del network capital realizza la costruzione di relazioni e più in generale la diffusione di reti sociali. Le cerchie sociali di fine Ottocento e i gruppi WhatsApp del III millennio sembrano favorire la costruzione di un’impalcatura relazionale per l’evoluzione sociale di un individuo. Gli individui, nelle cerchie come nei social groups, si scambiano informazioni, si danno aiuto, sostegno e cercano affetto all’interno di una logica di reciprocità, scambio e condivisione. Questo genere di risorse è la dotazione di capitale sociale di cui gli individui si avvalgono per realizzare determinati fini che non si potrebbero raggiungere in loro assenza. Secondo questa prospettiva il capitale sociale sta nelle relazioni e si genera grazie alle relazioni; non è una proprietà dell’individuo, ma della struttura in cui esso circola. Il capitale sociale diventa un bene relazionale, un bene al quale si ha accesso solo se si contribuisce a produrlo e ad alimentarlo. La teoria del capitale sociale è al servizio dello studio sulle reti migratorie. I flussi migratori sono incorporati nelle reti sociali e attraverso lo spazio e il tempo sorgono, crescono e infine declinano. Le reti migratorie sono composte da soggetti con condizioni sociali, giuridiche ed economiche che tendono a stratificarsi con il contesto nel quale sono inserite e danno origine a comportamenti migratori differenti. Ogni comunità migrante ha valori propri e l’insediamento sui territori influenza sia la vita sociale che quella economica. Basti pensare alle differenti attività commerciali a cui sono destinati i migranti a seconda dell’appartenenza a una comunità anziché a un’altra, la partecipazione ai riti religiosi, la celebrazione delle ricorrenze, le abitudini alimentari. Ogni aspetto della vita del migrante incontra la comunità locale e l’interazione tra le parti crea nuovi modelli di convivenza per
38 entrambi. Si mescolano le esperienze migratorie dei consanguinei, degli amici, i legami tra i luoghi di origine e di destinazione, l’esistenza di dispositivi di sostegno, il funzionamento delle catene familiari, dei villaggi, del gruppo dei migranti e dei flussi delle informazioni.
Le stesse rotte e destinazioni dei rifugiati e richiedenti asilo, che a prima vista parrebbero dipendere essenzialmente da fattori di espulsione e dalla ricerca di scampo nel primo Paese sicuro accessibile, in realtà sono fortemente influenzate dai legami sociali (Koser, 1997: 591-611).
Per scappare servono risorse, i poverissimi non scappano dai propri Paesi, non attraversano i confini. La migrazione prevede, alla partenza, una selezione sociale, economica e anche morale. Per partire serve il duplice coraggio di abbandonare la propria terra e di affrontare un viaggio pericoloso. Le migrazioni sono, comunque, processi selettivi. Il capitale sociale dei gruppi dei migranti in contesti virtuali come WhatsApp permette la definizione di una cornice nella quale si distinguono, una funzione di rafforzamento e stabilizzazione dell’identità sociale dell’immigrato (funzione bonding) e un canale di accesso a risorse che l’immigrato può attivare per “promuoversi” socialmente rispetto alla società di accoglienza (funzione bridging). Le due funzioni, di vincolo e di ponte, sono le due facce della solita medaglia, l’una non esclude l’altra e possono rafforzarsi a vicenda in riferimento al contesto migratorio, dove il vecchio e il nuovo sono parte del solito presente. Le categorie sociali, già solo per il fatto di essere definite tali, tendono alla
clusterizzazione, ossia la predisposizione degli attori sociali a costruire aree di interdipendenza
relativamente omogenee, cioè composte da persone con caratteri simili (Salvini, 2012: 71). Nei cluster l’individuo consolida la sua identità tramite il concetto di omofilia. Il rischio dei cluster omofili è la divaricazione sociale, conseguenza di fenomeni di polarizzazione dovuti al mancato incontro tra gruppi con interessi differenti. I messaggeri dell’attesa possono essere circoscritti in un cluster ben definito, omogeneo e polarizzato, a causa della condizione giuridica di partenza, dello status sociale di appartenenza e della condizione economica. L’elemento giuridico è sicuramente il tratto distintivo per l’appartenenza a un cluster, ne consegue una condizione socio-economica instabile e incerta. La nascita dei cluster ha un’origine sociale. Il sistema di accoglienza definisce categorie e cluster: le procedure burocratiche e giuridiche, il sistema di identificazione, il trasferimento nei centri di accoglienza, i colloqui con le commissioni sono alcuni degli elementi che caratterizzano la vita del richiedente asilo e favoriscono la formazione, per omofilia, di gruppi omogenei di individui. Le reti personali degli individui in situazione di sofferenza sociale tendono a essere di ampiezza ridotta e meno ricche in termini di socialità rispetto a quelle relative a individui più benestanti (Marques, 2012). Dentro a cluster in sofferenza, ristretti e omofili, i legami sono
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forti, le risorse che confluiscono nel gruppo sono ridotte e non hanno la capacità di contribuire al
benessere del gruppo. I legami forti sono propri dei gruppi chiusi, densi, dove l’alta reciprocità tra gli individui crea molta coesione nel gruppo, ma poca contaminazione dall’esterno e quindi poche prospettive per i membri di uscire dalle condizioni di disagio. Nonostante la presenza delle reti che configurano le relazioni sociali, talvolta l’interazione è relegata al gruppo di appartenenza. Anche nel reticolo sociale può emergere un certo grado di marginalizzazione e ghettizzazione che rende difficile l’ingresso ai legami deboli. La debolezza dei legami è tipica di cerchie sociali eterogenee che contribuiscono, invece, alla circolazione di risorse differenti e aprono la strada a quella necessaria asimmetria che permette di uscire dalla fragilità economica e sociale. I legami attivano, in maniera virtuosa, il capitale sociale e la loro configurazione è di tipo bonding (con famiglia e amici), bridging (con altre cerchie sociali eterogenee) e linking (con operatori sociali e/o istituzioni). I legami bonding riguardano le reti primarie, sono fondamentali, ma ristretti al cerchio di appartenenza e quindi a rischio “segregazione”, mentre i legami bridging ossia i legami-ponte sono strategici per la diffusione delle informazioni e delle risorse. Nelle società contemporanee caratterizzate da mobilità geografica, culturale e sociale, i legami ponte si trasformano in bridging
ties, con aumento delle connessioni tra individui appartenenti a diverse formazioni sociali attraverso
Internet e gli online social networks, anche se gli effetti in termini di aumento del capitale sociale (individuale e collettivo) non son pari alla “mobilitazione quantitativa” dei legami (Salvini, 2012: 77). I gruppi WhatsApp sono formazioni sociali capaci di sviluppare relazioni intorno a interessi comuni e orientati alla socialità con i propri simili e all’inclusione degli attori nel nuovo tessuto sociale. Esistono gruppi WhatsApp caratterizzati da legami bonding, nei quali domina la relazione affettiva con il Paese di origine; quelli tenuti insieme da legami bridging tra partecipanti che appartengono a cerchie sociali differenti e la funzione ponte è garantita dalla mescolanza sociale e dal flusso di risorse culturali e sociali del paese di destinazione ed infine quelli basati su legami
linking a cui aderiscono individui e istituzioni per la creazione di gruppi di inclusione sociale. I
protagonisti dei gruppi WhatsApp esaminati in questo studio sono i richiedenti asilo denominati ego e i loro interlocutori definiti alter; l’esame delle relazioni avviene a partire da ego – sistema delle reti ego-centrate – e dalla sua capacità di generare, costruire o sfruttare il capitale sociale messo in circolo dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Le reti migratorie costituiscono capitale sociale con l’obiettivo di ridurre i costi finanziari e psicologici delle migrazioni successive, così gli individui mettono in campo contatti sociali, sostegno materiale e morale principalmente su base etnica. Le reti migratorie, quindi, mettono a disposizione degli individui quello che è stato definito “capitale sociale etnico” (Esser, 2004: 1126-1159); un capitale sociale specifico il cui uso e consumo dipende dall’esistenza di una comunità etnica insediata nella società ricevente o di un network
40 transnazionale ed è costituito da capitale economico e capitale umano. Il capitale sociale etnico è un insieme di risorse a cui il migrante può accedere quando nel Paese di destinazione incontra connazionali, parenti e amici. Spesso, laddove non arrivano i poteri pubblici arrivano i network informali. Nei gruppi informali, linfa vitale di questa ricerca, nasce, cresce e si riproduce il capitale sociale necessario alla realizzazione di un benessere personale e collettivo. Dalla ricerca qualitativa realizzata all’interno di questa tesi emergono una moltitudine di gruppi WhatsApp con più di