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Il gruppo di lavoro speciale sul crimine di aggressione

Lo Special Working Group on the Crime of Aggression (SWGCA) istituito dunque nel 2002, e riunitosi ufficialmente dal 2003, dopo cinque anni di lavoro, il 13 febbraio 2009, è riuscito a pervenire ad un traguardo importante, annunciando86 di aver raggiunto l’accordo su un progetto comune di definizione del crimine di aggressione. Questo progetto sarebbe servito da base dei lavori per la Conferenza di revisione di Kampala del giugno 201087. Esso comprendeva due articoli da aggiungere allo Statuto di Roma: l’art. 8 bis sulla definizione del crimine e l’art. 15

bis sulle condizioni di esercizio della giurisdizione. Infatti lo SWGCA, avendo

ereditato dalla PrepCom il compito di trovare un accordo su questi due principali aspetti del crimine, ha ritenuto di svolgere un dibattito separato per assicurare una discussione ordinata su ciascun punto88. Ruolo fondamentale è stato svolto dalle singole delegazioni degli Stati Parti che con le loro proposte hanno contribuito a far luce sulla materia e ad agevolare il lavoro dello Special Working Group.

I primi anni di lavoro dello SWGCA all’interno delle sessioni dell’Assembla degli Stati Parti furono pressoché inconcludenti, a causa di pesanti discussioni tecniche che non arrivavano al nucleo del problema. Una prima svolta si ebbe nel giugno 2006 quando, alla quinta Assemblea, venne affrontato il problema della definizione della condotta colpevole del singolo individuo-organo coinvolto nell’avvio di un atto di aggressione89. Il punto di partenza generalmente accettato è senz’altro quello di giungere a delineare due differenti aspetti della responsabilità da

86 ICC, Press Conference on Special Working Group on the Crime of Aggression, 13 febbraio 2009. 87 ICC, Doc ICC-ASP/7/SWGCA/2 (2009).

88FERNÀNDEZ DE GURMENDI, The Working Group on Aggression at the Preparatory

Commission for International Court in Fordham International Law Journal, 2002 p. 590.

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ZIMMERMANN, Crimes within the Jurisdiction of the Court in Triffterer Ed., Commentary of

aggressione: da un lato, figura l’atto di aggressione compiuto da uno Stato e dall’altro il crimine di aggressione imputabile agli individui-organi. Da questo momento, all’interno del SWGCA, è stato chiaro come limitare la responsabilità criminale agli individui che “pianificano, preparano, iniziano o mettono in pratica un atto di aggressione”, che siano inoltre in una posizione tale da esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato90, fosse una delle basi su cui l’accordo degli Stati era più ampio. La caratteristica del crimine di aggressione come Leadership Crime sembra essere un dato non contestabile, già stabilito dai Tribunali di Tokyo e Norimberga. Perciò, sulla scia di questo consenso, si è cercato di indirizzare i lavori verso una formulazione attenta e a tal punto ampia da includere anche coloro che, pur non facendo formalmente parte della compagine governativa, detengono un potere effettivo tale da influenzarne le azioni. A tutt’oggi, rimangono alcune perplessità sul fatto che il progetto dello SWGCA sia riuscito a ben completare questo compito in maniera da permettere la punibilità di categorie vaste di persone, come quella degli industriali vicini al potere91. Già ad una prima lettura è possibile rilevare come l’art. 8 bis non presenti delle parentesi alternative, mentre l’art. 15 bis presenta due alternative e all’interno di queste numerose opzioni che evidenziano le opinioni discordanti degli Stati.

Un altro punto di fondamentale importanza, su cui l’accordo è stato ampio fin dall’inizio, è la relazione che intercorre tra il crimine individuale di aggressione e l’atto di aggressione imputabile ad uno Stato: senza l’accertamento dell’esistenza di un atto di aggressione da parte di un’entità statale è impossibile punire il crimine di

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ICC, Report of the Working Group on the Crime of Aggression, RC/20.

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ROGER, Negotiating Provisions Defining the Crime of Aggression, its Elements and the

Conditions for the ICC Exercise of Jurisdiction Over it in The European Journal of International Law, 2010, p. 1105.

quell’individuo che materialmente ha creato le condizioni o dato avvio all’aggressione.

A partire dalle prime discussioni, sono da subito emerse due visioni fondamentali sulla costruzione della definizione del crimine: un approccio “generico” contenente criteri generali per identificare tale crimine, che fa riferimento alla Carta del Tribunale di Norimberga; e un approccio “enumerativo” che trae ispirazione dalla lista contenuta nell’art. 3 della Risoluzione dell’ONU sulla definizione di aggressione del 14 Dicembre 197492.

Da una parte, i sostenitori della definizione generale argomentavano che tale ampia determinazione potesse essere più facilmente accettata da un numero maggiore di Stati; mentre gli oppositori affermavano che la definizione contenuta nella Carta di Norimberga che si riportava, si riferisce a forme di guerra passate e non alle forme di violenza contemporanee93; dall’altra parte, il “fronte della Risoluzione 3314” affermava che la lista di atti contenuti in tale Risoluzione è generalmente accettato dai soggetti di diritto internazionale e dunque non avrebbe dovuto in alcun caso creare problemi94. Gli obiettori rispondevano che la lista si riferisce agli atti degli Stati e per questo non può riguardare gli individui, oltre al fatto che tale elenco contiene delle fattispecie di responsabilità per aggressione che non sarebbero compatibili con il dettato dello Statuto di Roma. Senz’altro poteva giocare a favore dell’approccio enumerativo, il fatto che gli altri crimini sotto la giurisdizione della Corte presentassero già una tale formulazione. Ma le ragioni della conformità non sono servite da impulso in quanto oltrepassate da altri criteri fondamentali del diritto internazionale che la definizione deve rispettare, tra questi il principio del

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GA, UN DOC. A/RES/3314/XXIX (1974).

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FERNANDÉZ DE GOURMENDI, The Working Group on Aggression at the Preparatory

Commission for International Court, Fordham International Law Journal, p. 596.

“nullum crimen sine lege”: un’enumerazione non potrebbe mai riassumere tutte le possibili fattispecie che si potrebbero un giorno verificare e ciò potrebbe limitare la protezione territoriale e l’indipendenza di uno Stato se l’attacco sferrato non fosse ricompreso nella lista95. In realtà, è a partire da queste due posizioni, ben definite agli estremi, che è emersa la posizione mediana accettata dagli Stati dello SWGCA: prendendo le mosse dall’art. 1 della Risoluzione 3314, ossia da un premessa generale, si è inserita di seguito una lista specifica di atti, che non ha l’intenzione di essere esaustiva ma di fornire soltanto un esempio, per questo è stata definita una “lista semi-aperta”96. Dunque, alla fine dei lavori, si è arrivati ad una definizione precisa ma flessibile capace di lasciare ampio spazio discrezionale all’azione della Corte.

Le condizioni di esercizio della giurisdizione hanno creato numerosi problemi ai lavori dello Special Working Group, a tal punto che non si è riusciti a giungere ad un accordo e nel rapporto finale sottoposto alla Conferenza di revisione di Kampala è stato riportato il testo di un articolo che presenta varie opzioni. E’ possibile individuare tre principali punti di vista delle delegazioni rispetto al ruolo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrebbe svolgere nei confronti di un’individuazione di un atto di aggressione, sferrato da uno Stato: in primo luogo, e secondo il punto di vista più intransigente, che si basa sulla lettura restrittiva dell’art. 39, la Corte non potrà svolgere alcuna azione senza la constatazione preventiva da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

In secondo luogo, altre delegazioni hanno sostenuto che, detenendo il Consiglio soltanto una competenza principale, ma non esclusiva, di constatare l’esistenza o

95 IMULLER-SCHIEKE, Defining the Crime of Aggression Under the Statute of the International

Criminal Court, op. cit. p. 416.

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KREB, Time for decision: Some Thoughts on the Immediate Future of the Crime of Aggression: A

meno di un atto di aggressione, l’assenza di questo accertamento non dovrà impedire alla Corte di aprire un’indagine. Infine, altre delegazioni, affermando che il Consiglio di Sicurezza può già deferire un caso alla Corte in virtù degli art. 13 e 16 dello Statuto di Roma, ritenevano che non fosse necessaria alcuna disposizione aggiuntiva rispetto alla constatazione preventiva da parte del Consiglio delle Nazioni Unite97. L’imperativo di mantenere l’indipendenza della Corte e di evitare che questa fosse usata per scopi politici era chiaro a ogni parte, ma l’antagonismo tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e gli altri Stati, soprattutto quelli parti del Movimento dei Paesi Non-Allineati, era evidente in questa materia. Per Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Russia e Francia98, l’approvazione preventiva del Consiglio di Sicurezza è una condizione essenziale per permettere alla Corte di agire; l’opinione opposta è che invece il Consiglio non debba avere alcun ruolo non solo a riguardo al crimine di aggressione, ma anche con riguardo a tutti i crimini sottoposti alla giurisdizione dello Statuto della C.p.i. In questo ambito è possibile notare un’evoluzione del progetto presentato all’Assemblea degli Stati Parti dalla Commissione Preparatoria fino alla posizione finale dello SWGCA: nel primo caso troviamo una competenza esclusiva del Consiglio di Sicurezza nel determinare l’esistenza di un atto di aggressione, senza la quale la Corte sarebbe stata totalmente impedita di procedere con le conseguenze già esplicate sull’indipendenza della stessa e i rischi di politicizzazione. Questo passaggio è stato poi eliminato dal progetto finale dello SWGCA, infatti l’art. 15 bis prevede che qualsiasi constatazione preliminare da parte di un organo esterno non possa essere

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COALITION POUR LA COURT PÈNALE INTERNATIONALE, Fiche d’Information de la Coalition pour la Cour Pènale Internationale: la CPI et le crime d’aggression, www.iccnow.org.

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Ricordiamo che Cina, Russia e Stati Uniti non sono parte della Corte non avendo ratificato lo Statuto di Roma.

pregiudizievole per il lavoro della Corte99. All’interno di tale articolo sono, come già detto, presenti due alternative: secondo la prima, quando non esiste una determinazione preventiva da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il Procuratore non può procedere con le sue indagini rispetto al crimine di aggressione (Opzione 1)100, a meno che non sia lo stesso Consiglio a fare tale richiesta tramite una risoluzione adottata conformemente al Capitolo VII della Carta (Opzione 2). Nel rapporto dello Special Working Group sono riportate anche le motivazioni delle delegazioni che si sono espresse in questo senso, che si riferiscono alla necessità di una relazione costruttiva con il Consiglio di Sicurezza e alle maggiori possibilità di una ratificazione universale.

Per la seconda alternativa, pur non esistendo tale determinazione, entro sei mesi dopo la data della notificazione, il Procuratore può procedere con l’investigazione. Questa alternativa, al suo interno, presenta varie opzioni: per la prima opzione il Procuratore può procedere a condizione che la Pre-Trial Chamber, la divisione preventiva della C.p.i., abbia autorizzato l’inizio di un’investigazione rispetto al crimine di aggressione in accordo con la procedura descritta nell’art. 15 bis; per la seconda opzione egli potrà procedere a condizione che l’Assemblea Generale abbia determinato che un atto di aggressione sia stato commesso dallo Stato a cui si è fatto riferimento nell’art. 8 bis; infine, secondo l’ultima opzione prevista, il Procuratore potrà continuare nelle indagini a condizione che la Corte internazionale di giustizia abbia determinato che un atto di aggressione sia stato commesso dallo Stato a cui si è fatto riferimento nell’art. 8 bis.

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ROGER, Negotiating Provisions Defining the Crime of Aggression, its Elements and the

Conditions for the ICC Exercise of Jurisdiction Over it, op. cit. pp. 1113–1114.

La prima alternativa testimonia la volontà di collegare completamente il lavoro della Corte non solo al sistema generale dell’ONU, ma al suo organo più politico ossia il Consiglio di Sicurezza. Chiaramente tale alternativa mina seriamente l’indipendenza del lavoro della C.p.i., nonché la sua obiettività. La seconda alternativa testimonia invece la volontà di cercare una soluzione che evidenzi la connessione tra Corte e Nazioni Unite, non pregiudicando però l’autonomia della prima. Se, come già evidenziato, è stato stabilito che il crimine individuale di aggressione non può essere punito se non si stabilisce, in maniera pregressa, la responsabilità di uno Stato, colpevole di un atto di aggressione, la domanda fondamentale sta nel chiedersi a chi spetta il compito di fare tale constatazione: a un organo meno politicizzato del Consiglio di Sicurezza come l’Assemblea Generale? Oppure all’organo giudiziario dell’ONU, ossia la CIG? O addirittura ad un organo che sia interno alla Corte Penale, la Pre-Trial Chamber? Compito degli Stati riuniti a Kampala è stato quello di tentare di dirimere questo punto nodale.

Nonostante l’ottimo lavoro dello Special Working Group, questo non è rimasto esente da critiche da parte di alcuni giuristi ed esperti del campo, come è normale che fosse. La premessa generale degli scettici era che l’inclusione del crimine di aggressione sotto l’effettiva giurisdizione della Corte potesse portare più danni che benefici alla legalità internazionale. Le conseguenze negative sarebbero state un’ulteriore divisione del fronte favorevole alla C.p.i. e un possibile passo indietro anche di coloro che si erano mostrati più favorevoli a un’istituzionalizzazione della giustizia penale internazionale. Questi rischi sarebbero derivati da un’inclusione forzata dell’aggressione in un momento in cui i tempi ancora non erano maturi ma, al contrario, in cui si trovava la Corte a dover fronteggiare altri problemi intrinseci legati alla sua stessa formazione, i quali richiedevano che il fronte dei sostenitori

fosse compatto e non indebolito dall’inserimento di un articolo molto controverso e dibattuto come quello sul crimine di aggressione101.

Brevemente, le critiche che sono state rivolte al lavoro dello SWGCA fanno riferimento in primo luogo, alla definizione contenuta nell’art. 8 bis: sono state criticate, da una parte, il riferimento alla risoluzione 3314 dell’ONU, a causa degli articoli 2 e 4 della stessa che riservano poteri speciali al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e a causa delle lista contenuta nell’art. 3, perché alcuni atti descritti possono non coincidere con la definizione dello Special Working Group; dall’altra parte, la mancata chiarezza nell’identificazione delle soglie che delimitano l’esistenza di un’aggressione o meno, per rendere l’applicazione del crimine più precisa e per distinguere un crimine da un’ordinaria violazione della proibizione di usare la forza nelle relazioni internazionali. Si teme che questo approccio restrittivo possa avere conseguenze sulla norma primaria che proibisce l’uso della forza, e che sia impossibile utilizzare tale definizione per dirimere gli “hard cases”, ossia i casi ambigui che rappresentano un problema per il diritto internazionale consuetudinario102.

In secondo luogo, si evidenzia la questione controversa dell’intervento umanitario103: il problema in generale è piuttosto complesso e riguarda la

101

PAULUS, Second Thoughts on the Crime of Aggression, European Journal of International Law, 2010, p. 1127.

102 KREB, Time for Decision: Some Thoughts on the Immediate Future of the Crime of Aggression:

A Reply to Andreas Paulus, op.cit. p. 1138.

103 Il diritto umanitario è stato definito dal Comitato internazionale della Croce Rossa come “le

regole internazionali di origine convenzionale o consuetudinaria che hanno lo scopo specifico di regolare i problemi umanitari derivanti direttamente dai conflitti armati, internazionali o non internazionali, e che restringono, per delle ragioni umanitarie, il diritto delle Parti al conflitto a utilizzare i metodi e i mezzi di guerra di loro scelta o proteggono le persone e i beni coinvolti, o che potrebbero essere coinvolti dal conflitto”. Revue Internationale du droit umanitarie, Parigi, 1986. In dottrina vedi: CASSESE, The New Humanitarian Law of Armed Conflict, Editoriale Scientifica, Napoli, 1979; GREPPI, I crimini di guerra e contro l’umanità. Lineamenti generali, Utet, Torino, 2001; RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappichelli, Torino, 2000; SPATAFORA, voce “Diritto internazionale umanitario”, in Enciclopedia giuridica Treccani,

proibizione generale dell’uso della forza. E’ chiaro che lo Stato che utilizza la forza nei confronti di un secondo Stato faccia spesso appello alle ragioni dell’intervento umanitario. Fino a questo momento i tentativi di regolare e legittimare le operazioni umanitarie sono falliti e ci si chiedeva come possa una Corte valutare il peso politico delle motivazioni che spingono alla guerra e autorizzare solo gli usi della forza con “buone intenzioni”. Inoltre, la definizione sembrava inappropriata per permettere di intervenire alla Corte nei casi dubbi di uso della forza, coperti soltanto da una facciata di moralità.

In terzo luogo, numerose critiche sono state riversate, ovviamente, sull’articolo riguardante il rapporto tra il crimine di aggressione e il Consiglio di Sicurezza, punto che non è stato risolto nemmeno dallo SWGCA. Le alternative presentate sembrano inopportune, a partire dalla competenza esclusiva del meccanismo tutto interno che toglierebbe alla C.P.I. l’appoggio dei membri permanenti del Consiglio e soprattutto degli Stati Uniti.

Infine troviamo la critica, peraltro alquanto interessante, che riguarda la sovrapposizione, in un unico organo, delle pene per le violazioni dello jus in bello e lo jus ad bellum. Nel primo caso si fa riferimento al diritto che i belligeranti devono rispettare nel momento in cui sono impegnati in un conflitto, non solo reciprocamente ma anche verso la popolazione civile e coloro che non possono essere coinvolti nelle operazioni belliche, feriti, morti o impossibilitati a combattere104. Mentre lo jus ad bellum si riferisce proprio alle guerre

Roma, 1996; ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli, Torino, 2006.

104

Lo Jus in bello, che non è altro che il diritto umanitario, si articola nel “diritto dell’Aja” con il quale i belligeranti subiscono dei limiti nella scelta di mezzi e metodi di combattimento al fine di circoscrivere la guerra ad attacchi contro obiettivi necessari al risultato delle operazioni militari, e nel “diritto di Ginevra” che impone alle parti in guerra l’obbligo di proteggere le persone che non partecipano alle ostilità o non sono più in grado di parteciparvi in quanto ferite o prigioniere. In

d’aggressione105. La differenza tra i due concetti sta nel fatto che, indipendentemente da chi ha sferrato l’attacco, lo jus in bello deve essere applicato e rispettato da tutte le parti coinvolte per l’intera durata del conflitto. Le perplessità derivano dal fatto che si pensa che la repressione degli atti di aggressione non sia facilmente combinabile con la criminalizzazione delle violenze durante la guerra. L’interrogativo fondamentale è: se il leader o i leader di una parte in guerra sono già stati incriminati dalla Corte per il crimine di aggressione, che cosa li incentiva a applicare le regole dello jus in bello a conflitto iniziato? Coloro che si pongono questa domanda pensano che il controllo sui crimini contro l’umanità, il crimine di genocidio e tutte le violenze che possono avvenire in guerra ha un carattere maggiormente imperativo rispetto alla repressione dell’aggressione. Per questo una Corte che ha il compito di applicare sia lo jus ad bellum che lo jus in bello allenterebbe la pressione su quest’ultimo generando pessime conseguenze. Da ciò deriva come per una parte dell’opinione internazionale sarebbe stato necessario aspettare altro tempo prima di includere il crimine di aggressione nello Statuto e sarebbero stati necessari ulteriori studi e indagini. Ma gli Stati Parti, alla conferenza di revisione tenutasi a Kampala, hanno ritenuto i tempi maturi e queste critiche di minor rilievo rispetto all’importanza dell’effettiva repressione del crimine, ritenendo il progetto dello Special Working Group abbastanza solido da assicurare il principio della certezza della legge penale.

questo secondo caso le fonti alle quali si fa riferimento sono le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949: la I Convenzione a protezione dei feriti e malati nella guerra terrestre, la II a protezione dei feriti, malati e naufraghi nella guerra marittima, la III a protezione dei prigionieri di guerra e la IV a protezione della popolazione civile. Vedi ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti

dell’uomo, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 51–54.