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L’ “incompetenza” dei tribunali penali internazionali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda relativa al crimine di aggressione

1.3. Il crimine di aggressione commesso dall’individuo

1.3.2. L’ “incompetenza” dei tribunali penali internazionali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda relativa al crimine di aggressione

Con la risoluzione 827 del 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dà vita, operando nell’ambito dei poteri attribuitegli dal capitolo VII della Carta dell’Onu, al “Tribunale penale internazionale per perseguire i responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio dell’ex Jugoslavia dal 1991”55. Similmente, con la risoluzione 955 dell’8 novembre 1994 il Consiglio di Sicurezza istituì il “Tribunale penale internazionale per i crimini commessi in Ruanda nel 1994”56. I due Tribunali ad hoc sono organi sussidiari del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tuttavia non sono soggetti all’autorità o al controllo del Consiglio per tutto ciò che riguarda l’esercizio delle loro funzioni giudiziarie. I Tribunali sono composti da civili, non vi siede personale militare e sono formati da tre organi fondamentali: corte, procuratore e cancelleria. L’organo giudicante si compone di due camere di primo grado per ciascuno dei due tribunali, formate ognuna da tre giudici e da una camera d’appello, formata da cinque giudici. Le decisioni di istituire i due Tribunali sono intervenute a conclusione di numerose iniziative politiche e di accertamento dei fatti intraprese dalle Nazioni Unite negli anni precedenti. Tali iniziative comprendono una lunga serie di risoluzioni di contenuto raccomandatorio rivolte agli Stati interessati, quali l’invio di missioni di “peace-keeping”, l’organizzazione di missioni di osservatori e la creazione di sistemi di raccolta di informazioni sulle violazioni di diritti umani, in collegamento con missioni di governi nazionali, altre istituzioni internazionali e

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U.N. Doc. S/RES/827 del 25 maggio 1993, in RDI 1993, p. 516 ss.

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organizzazioni non governative. E’ a questo insieme di eventi che bisogna quindi guardare per collocare storicamente la nascita e l’evoluzione dei due tribunali ad

hoc.

In occasione dell’istituzione dei tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda, le Nazioni Unite si sono mosse con modalità del tutto eccezionali: per la prima volta le regole della Carta dell’Onu relative all’azione del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace sono state interpretate in senso innovativo fino a ricomprendervi il potere di dare vita ad un organo giurisdizionale. Fino ad allora le norme del capitolo VII della Carta dell’Onu erano state utilizzate essenzialmente per vincolare gli Stati in azioni collettive implicanti o non implicanti l’uso della forza. Sicuramente, una simile estensione dei poteri del Consiglio di Sicurezza non era originariamente prevista dagli estensori dello Statuto dell’Onu. Gli Statuti dei tribunali internazionali ad hoc indicano tra i crimini da perseguire, quelli già presi in considerazione dai Trattati internazionali in materia e catalogano espressamente i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (ratione materiae) e fissano espressamente la competenza dei Tribunali stessi nei confronti di persone fisiche (ratione personae) che abbiano commesso crimini in periodi definiti di tempo (ratione temporis). Essi, tuttavia, sono “incompetenti” riguardo al crimine di aggressione.

Le risoluzioni con le quali il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituisce i Tribunali speciali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda affermano il principio secondo il quale il ricorso alla giustizia internazionale è mezzo imprescindibile per ottenere il ristabilimento della pace e della sicurezza. Tuttavia sulla base di questo principio ogni volta che dovesse ripresentarsi una situazione di conflitto e la conseguente commissione di crimini di diritto internazionale, le Nazioni Unite dovrebbero

istituire un Tribunale ad hoc per portare i responsabili davanti alla giustizia. Questo non avviene però sempre e regolarmente; infatti, la limitatezza dell’area geografica rispetto alla quale il Consiglio di Sicurezza ha ravvisato la necessità di istituire i Tribunali a fronte delle numerose altre aree del mondo in cui si sono manifestate gravi violazioni del diritto umanitario, solleva il problema di una giustizia selettiva che risponde, secondo gran parte della dottrina, a esigenze politiche più che giuridiche. I tribunali ad hoc non sono, dal punto di vista giuridico, una soluzione ottimale per garantire la punizione di fatti di rilevanza penale, perché si tratta di una giustizia ex post facto, istituita cioè dopo la commissione dei fatti. La giustizia internazionale penale non può essere costruita attraverso eccezioni al principio di “irretroattività della legge penale”. Per poter ritenere un soggetto penalmente responsabile occorre che egli sappia non solo che esiste una norma che sancisce un certo comportamento, ma anche che esiste un giudice incaricato di applicarla. La competenza dei Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda è stata prudentemente circoscritta a quei fatti sui quali esisteva sufficiente certezza circa la loro natura di crimini internazionali, per i quali esisteva quindi un obbligo di conformarsi precedente alla creazione dei Tribunali. Alla giustizia internazionale parzialmente a posteriori è per questo preferibile l’istituzione di un Tribunale penale internazionale permanente. Nonostante tutto i Tribunali ad hoc, benché non ancora supportati adeguatamente, non sono andati incontro a critiche di natura legale tali da renderne impraticabile il funzionamento. Poiché sono stati finora implicitamente considerati soluzioni straordinarie, perseguite alla luce dell’eccezionale gravità della situazione e all’urgenza di intervenire, il problema della loro legittimità si risolve riconducendosi essenzialmente all’urgenza sotto cui tali decisioni sono state prese ed all’evidente indisponibilità di mezzi più efficaci e

tempestivi di intervento57. Peraltro, il fatto che i Tribunali in parola siano stati istituiti, anziché mediante accordo internazionale e con la partecipazione degli Stati, la cui competenza giurisdizionale è destinata in primis a subire la compressione della competenza attribuita ai tribunali medesimi, mediante un atto autoritativo del Consiglio di Sicurezza, ha suscitato in dottrina un vivace dibattito, pienamente giustificato dalla notevole difficoltà di rinvenirne il fondamento nelle disposizioni della Carta dell’Onu e, più in generale, nel diritto internazionale vigente. Inoltre questi Tribunali vengono da alcuni considerati come un alibi umanitario utilizzato dal Consiglio di Sicurezza per tentare in qualche modo di mascherare dietro un apparente attivismo la sua incapacità di ridurre ed eliminare il conflitto in casi di grave crisi, impegnandosi nell’inedito mestiere della repressione penale dei crimini, vista l’incapacità di ristabilire la pace con misure decise atte ad impedire ai combattenti di commettere atrocità58.

Con la costituzione dei tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda sono certamente emerse realtà più concrete di quelle offerte dai tribunali di Norimberga e di Tokyo. Appare con evidenza superata l’impronta punitiva instaurata dai vincitori sui vinti, la quale ha comportato critiche di illegittimità riguardo alla violazione dei principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege. Piuttosto, l’orientamento gradualmente maturato dall’Onu è ora quello di perseguire, a nome della comunità internazionale, individui accusati di aver violato le norme consuetudinarie di diritto

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La Risoluzione del Consiglio si sarebbe imposta per soli motivi di celerità ed opportunità pratica: PELLET, Le Tribunal criminel international pour l’ex Yugoslavie: Poudre aux yeux ou avancée

décisive?, in RGDIP, 1994, 27 ss; P. PICONE, op. cit., p.78, contrasta questa interpretazione

sostenendo che la soluzione accolta si è sostanzialmente imposta al fine di consentire l’adozione di uno strumento normativo vincolante per gli Stati, e in grado di produrre effetti, malgrado l’assenza di un loro consenso.

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umanitario59, indipendentemente dalle ideologie degli accusati. Gli Statuti dei due Tribunali ad hoc e le regole di procedura e prova che si sono dati, riflettono i più elevati standard di rispetto del diritto internazionale dei diritti umani in merito alle garanzie di difesa e ai requisiti per un processo equo ed imparziale. Non sono infatti consentiti processi in contumacia, né è possibile infliggere la pena di morte, ed inoltre gli imputati hanno il diritto di muovere mozioni nei confronti della giurisdizione del Tribunale. L’azione del Tribunale è poi fondata sui principi essenziali di indipendenza del procuratore e sulla sua facoltà di esercitare liberamente l’azione penale, anche su attivazione di individui ed entità non governative60. La mancata previsione di regole precise circa l’effettività dell’azione dei due Tribunali pone però il problema che di fronte all’insufficiente cooperazione degli Stati, essi sono sprovvisti di veri e propri strumenti coercitivi per la cattura degli indiziati e lo svolgimento efficace delle indagini.

1.3.3. L’art. 16 del Progetto di codice dei crimini contro la pace e la sicurezza