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La relazione tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte Penale Internazionale

CAPITOLO TERZO

LE CONDIZIONI PER L’ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE

3.6. La relazione tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte Penale Internazionale

Nonostante i numerosi anni di lavoro all’interno dello Special Working Group on

the Crime of Aggression, non si è riuscito in nessun modo a risolvere il complesso

problema delle condizioni di esercizio della giurisdizione sul crimine di aggressione. Per questo motivo è stato presentato alla Conferenza di revisione di Kampala il testo di un articolo, il 15 bis, ricco di possibili alternative e opzioni, in

modo da poter lasciare alle diplomazie degli Stati Parti il compito di arrivare ad un accordo.

Il punto più critico fa riferimento al ruolo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. I rapporti tra quest’ultimo e la Corte penale internazionale sono regolati da alcune disposizioni contenute nello Statuto della Corte, che conferiscono al Consiglio una serie di poteri speciali che si concretizzano nel potere di investire la Corte quando questa agisce nell’ambito di competenza della materia che rientra nel dettato del Capitolo VII della Carta ONU. In particolare, secondo l’art. 13, lett. b) dello Statuto, il Consiglio di Sicurezza può rinviare un caso al Procuratore della Corte al fine di dare avvio alle indagini qualora lo ritenga necessario, si parla a questo riguardo di referral. Il rinvio da parte del Consiglio di Sicurezza può avvenire anche se non ci sono i presupposti per la Corte di operare, ossia anche nei casi in cui i presunti autori del crimine non sono cittadini di uno Stato Parte allo Statuto o i fatti non si sono svolti nel territorio di un Paese Parte138. È di notevole importanza anche il disposto dell’art. 16 dello Statuto in cui si legge che: “Nessuna indagine e nessun procedimento penale possono essere iniziati o proseguiti ai sensi del presente Statuto per il periodo di dodici mesi successivo alla data in cui il Consiglio di Sicurezza, con risoluzione adottata ai sensi del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, ne abbia fatto richiesta alla Corte; tale richiesta può essere rinnovata dal Consiglio con le stesse modalità”139. È il cosiddetto deferral. Questo è l’aspetto più controverso del ruolo attribuito al Consiglio di Sicurezza dallo Statuto di Roma. La ratio sostanziale della norma è quella di evitare che la repressione dei crimini da parte della Corte possa interrompere o rendere più difficili i processi di

138 CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di Sicurezza nell’articolo 39 della Carta delle

Nazioni Unite, Giuffré editore, 2008, p. 404.

pacificazione nell’ambito di situazioni che costituiscono una minaccia alla pace140. Si tratta di una soluzione di compromesso raggiunta con difficoltà, a seguito del progetto presentato dalla Commissione per il diritto internazionale per l’istituzione di una Corte penale internazionale permanente. Questo prevedeva che l’esame di una situazione da parte del Consiglio di Sicurezza ex Cap. VII avrebbe di per sé precluso l’inizio di un qualsiasi procedimento davanti alla Corte, impedendo alla stessa di operare se non sulla base di una specifica autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, che, peraltro, si sarebbe potuta negare anche con un solo veto di un membro permanente. Fu la delegazione di Singapore, nell’ambito dei lavori preparatori per l’elaborazione dello Statuto della Corte penale, a proporre il progetto che poi sarebbe stato adottato definitivamente alla Conferenza di Roma. Questo progetto includeva, al contrario, la previsione di una pronuncia specifica del Consiglio dell’ONU per bloccare le attività della Corte. Inoltre, la delegazione canadese presentò l’emendamento, che poi fu approvato, comprendente la clausola riguardante i 12 mesi di tempo di validità della pronuncia, così come la possibilità di rinnovarla. La variazione finale del progetto si concluse grazie alle proposte portoricana e inglese che richiedevano un atto specifico e formale, ossia una Risoluzione da parte del Consiglio, affinché l’interferenza nei confronti della Corte penale fosse accettabile. I risultati di questo tipo di formulazione dell’art. 16 della CPI consistono proprio nel prevedere che l’interferenza del Consiglio avvenga attraverso l’adozione di una risoluzione ad hoc per impedire alla Corte di esercitare la sua azione e, in un certo senso, nella strumentalizzazione del potere di veto, dato che in questo caso basta l’opposizione di un membro a impedire che sia ordinato

140

CADIN, La prassi del Consiglio di sicurezza in materia di deferral: ultra innovativa o ultra

vires?, in O. FERRAJOLO (a cura di) Corte penale internazionale. Aspetti di giurisdizione e funzionamento nella prassi iniziale, Giuffré Editore, Milano, 2007, p. 217.

alla Corte di sospendere la sua attività investigativa141. È indubbio che tale regime conferma la natura relativa e non assoluta della determinazione del Consiglio che deriva dall’art. 39 della Carta142. Sembrerebbe a questo punto che l’art. 16 sia stato concepito per essere esaustivo riguardo a tutte le limitazioni che il Consiglio di Sicurezza può imporre alla CPI, perciò ci si pone l’interrogativo se le ulteriori limitazioni messe in atto dal Consiglio, al di fuori dell’art. 16 siano giuridicamente valide oppure no. Esempio di questo dibattito è il risultato di una serie di tre Risoluzioni, le numero 1422, 1487 e 1497, le quali hanno l’effetto di escludere la giurisdizione della Corte su una determinata categoria di persone, cioè i

peacekeepers delle Nazioni Unite impegnati in operazioni in numerosi Paesi del

mondo. L’effetto cumulativo di queste risoluzioni è di produrre un’eccezione nello Statuto di Roma, un vero e proprio emendamento dello stesso, che così genera una violazione del diritto dei trattati, il quale prevede che i trattati siano emendati solo nella maniera prevista nel suo atto costitutivo143. Inoltre, in questa maniera, viene violata anche il principio fondamentale del diritto internazionale consuetudinario

pacta sunt servanda e non può nemmeno l’art. 103 della Carta dell’ONU essere

usato come giustificazione di un tale spregiudicato utilizzo delle risoluzioni del Consiglio, in quanto, come già ripetuto, l’art. 103 ha solamente l’obiettivo di proteggere uno Stato dalle responsabilità che derivano da ogni altro accordo internazionale per permettergli di prendere eventuali misure di sicurezza collettiva

141 JAIN, A Separate Law for Peacekeepers. The clash between the Security Council and the

International Criminal Court in European Journal of International Law, 2005, pp. 250 – 253.

142 CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di sicurezza nell’articolo 39 della Carta delle

Nazioni Unite, op. cit. pp. 406 – 408.

143 I trattati sono sottoposti a una serie di norme di diritto internazionale che ne disciplinano i

requisiti di validità, efficacia, il procedimento di formazione, l’interpretazione, gli effetti delle modifiche, etc. La maggior parte di esse sono state codificate nella Convenzione sul diritto dei trattati, adottato il 22 maggio 1969 dalla speciale Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Vienna in due sessioni nel 1968 e nel 1969, e basata essenzialmente su un progetto di articoli predisposto dalla Commissione del Diritto Internazionale nel 1966. Vedi CARBONE, Istituzioni di diritto

necessarie sotto la Carta dell’ONU144. A riguardo del caso specifico del crimine di aggressione, è lo stesso articolo 5 dello Statuto a riconoscere in maniera esplicita una portata giuridica particolare alla determinazione dell’esistenza di un atto di aggressione da parte del Consiglio di Sicurezza. Ciò è avvenuto ignorando il fatto che, nonostante il verificarsi di situazioni di palese aggressione145, il Consiglio si è spesso rifiutato di qualificare una situazione come aggressione ai sensi dell’art. 39 della Carta, preferendo la più prudente definizione di violazione della pace, come nel caso esemplare dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990146. Il profilo che si è scelto per circoscrivere la competenza in materia del Consiglio di Sicurezza è stato quello di prevedere che una mancata determinazione positiva non precluda l’attivazione della giurisdizione della Corte sull’aggressione. Questa è l’ipotesi sostenuta dallo Special Working Group e che ovviamente implica il concetto che si debba riconoscere dei poteri complementari in materia ad altri organi, quali l’Assemblea generale dell’ONU, la Corte internazionale di giustizia (CIG) o la stessa Corte penale internazionale. Il punto su cui deve essere raggiunto l’accordo è che al Procuratore, indipendentemente dal fatto che ci sia stata o meno una pronuncia del Consiglio di Sicurezza, deve essere riconosciuto il diritto di iniziare le indagini motu proprio. Questo punto di vista è stato supportato anche dalla stessa CIG nella sentenza del 1986 relativa alle Attività militari e paramilitari

in Nicaragua e contro il Nicaragua147, dove si legge che la Corte di giustizia non si

144 JAIN, A Separate Law for Peacekeepers. The clash between the Security Council and the

International Criminal Court, European Journal of International Law, p. 254.

145 I casi a cui ci si riferisce sono quelli relativi alla guerra di Corea nel 1953, alla guerra delle

Falkland tra Argentina e Regno Unito, al conflitto tra Iran e Iraq tra il 1980 e il 1988 e all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, che porto alla prima guerra del Golfo nel 1990. Vedi MARCHISIO,

L’ONU, op.cit., p. 227.

146 FERRAJOLO, Corte penale internazionale, op. cit. p. 8.

147 Si tratta di una sentenza molto importante della Corte Internazionali di Giustizia del 27 giugno

1986. In essa la Corte ha infatti dichiarato che il principio stabilito dall’art. 2, par. 3 della Carta secondo cui le parti di una controversia debbono cercarne la soluzione con mezzi pacifici costituisce

considera preclusa dal decidere se alcuni fatti presentano l’uso della forza proibito dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale consuetudinario, nonostante la presenza o meno di pronunce da parte di altri enti. Infatti non esiste gerarchia istituzionale tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte internazionale di giustizia, in quanto si pongono due obiettivi diversi148. In ultima analisi, la risposta alla domanda precedentemente posta è che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha la responsabilità primaria del mantenimento internazionale della pace, ma questo non lo autorizza a mettere in pratica qualsiasi azione esso voglia, a discapito dei principi fondamentali del diritto internazionale.