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Come abbiamo già detto precedentemente, l’affermazione e la piena consapevolezza dell’esistenza della cultura d’impresa è un fenomeno piuttosto recente. Oltre ai su citati problemi, relativi ad un ritardo nel processo di industrializzazione nazionale, un altro freno alla sua diffusione nel nostro Paese è l’abbondanza, da nord a sud di un patrimonio artistico e culturale senza eguali nel mondo.

Questo ha fatto sì che qualsiasi tipo di arte che fosse estranea al mondo umanistico, fosse ritenuta secondaria, meno degna, quasi da tener nascosta. Una spiegazione più esaustiva e senza fronzoli di questo ritardo è stata ben espressa da Antonio Calabrò: «L’Italia, molto attenta a storia, letteratura, diritto e politica, ha poco e male masticato economia e scienza. Paese conservatore, ha rivelato una costante difficoltà a confrontarsi con i temi della condizione industriale avanzata, dalla trasformazione economica al riformismo, dalle sfide del mercato alla formazione d’una classe dirigente aperta e internazionale. E così ha vissuto una profonda, lacerante contraddizione tra i tempi e le culture d’un vecchio modo di intendere la politica e la società, e le nuove spinte culturali dell’economia e dell’impresa26» (Calabrò, 2003)

Nonostante il ritardo però, nel momento in cui la cultura industriale inizia ad affermarsi in Italia, essa si manifesta assumendo due forme alternative:

a. Attraverso la semplice conservazione del patrimonio d’impresa (es. archivi, et al.) b. Attraverso l’utilizzo consueto di sfruttare questo patrimonio attraverso i canali di

marketing e comunicazione.

Proprio da questo secondo approccio che inizia ad affermarsi intorno agli anni ’80, hanno origine due manifestazioni alternative:

a. I musei d’impresa

25 Fabris G. (2003), Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli. 26Calabrò A. (2003), Turismo industriale in Italia, Touring editore.

43 b. I network industriali

Entrambi i modi di gestire il patrimonio aziendale servono ad incrementare quel plus che l’azienda, il marchio, ha da offrire al consumatore. Serve a distinguersi dai concorrenti, a trasmettere la storia che c’è dietro e che ha portato a quel livello qualitativo e di eccellenza che senza un passato alle spalle non sarebbe stato possibile raggiungere.

Esempi di musei d’impresa27 sono: il Museo Salvatore Ferragamo, Casa Barilla, il Museo

Ferrari .. i quali si concentrano unicamente sul proprio marchio e che utilizzano il territorio per enfatizzare la sfera emozionale dei loro prodotti.

Tuttavia, sia i musei che i network hanno delle importanti ripercussioni sul territorio in cui hanno sede. Per renderci conto di ciò basti pensare alla notorietà di alcune città italiane, meno famose di altre tendenzialmente, ma in quanto città ospitali di determinate aziende, all’orecchio del visitatore straniero suonano molto più familiari. Nella creazione di entrambi i tipi di strutture, l’azienda può investire da sola e quindi operare privatamente, oppure collaborare con enti pubblici di vario genere (comune, regione...). In questa seconda circostanza, il supporto dato dall’ente pubblico, oltre che prettamente economico, è rivolto alla valorizzazione del territorio (sotto forma di maggiori infrastrutture, materiale informativo, et al.) per trarne vantaggi in termini di notorietà, flussi turistici, in uno scambio vicendevole.

Questa reciproca influenza tra pubblico e privato, entrambi con l’idea di un territorio da valorizzare, quindi tematizzato potremmo dire, la cui conoscenza ha origine intorno al brand in questione, porta alla nascita di una forma alternativa di turismo tematico che in influisce positivamente sugli altri turismi di cui la città (o la regione) gode, in quanto:

1. È rivolta ad una nicchia di mercato, ad un target ben preciso di soggetti, appassionati del marchio o del prodotto (es. Ferrari, Piaggio, et al.)

2. Promuove la de-localizzazione, ovvero induce il turista/visitatore a recarsi in località fuori dai classici percorsi turistici, fatti di sola arte, storia e cultura, quindi porta a conoscere scorci inediti e meno battuti di quella regione; la visita, infatti, non si limita al solo museo, ma a tutto l’hinterland;

3. Promuove la de – stagionalizzazione della città/regione. La visita ad un museo o network industriale, infatti, non è succube della stagionalità così come altre forme

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di turismo (v. turismo balneare, sciistico, et al.) e quindi permette di godere di flussi turistici nel corso di tutte le stagioni.

Il successo di queste forme museali, riferendomi in questo caso indistintamente sia ai musei che ai network industriali, è riscontrabile anche dai dati riportati nella seguente tabella, frutto di una ricerca del Centro Studi del Touring Club Italiano28:

Tabella 3 – Nu ero visitatori pri ipali usei d’i presa i Italia . 008

Come possiamo osservare non si tratta di valori di poco, anzi. In alcuni casi i musei aziendali riescono a tenere il passo ai musei di iniziativa pubblica, da un punto di vista di visitatori. Ne è un esempio il Museo Storico Perugina29, il quale con i suoi 60.000

visitatori annui, si colloca al terzo posto in ambito regionale, alle spalle del Museo Civico di Gubbio (75.000 visitatori circa) e della Galleria Nazionale dell’Umbria (70.000 visitatori)30 (M. M. Montella, 2010).

28 I dati sono riferiti al giugno 2007. Ho chiesto dati più aggiornati, ma il Touring Club non si è più occupato

dei musei d’impresa e gli ultimi dati in loro possesso risalgono a questa indagine condotta nel 2007.

29 https://www.perugina.com/it/casa-del-cioccolato/Museo-Storico

30 I dati sono tratti dall’articolo di M. Montella, Musei d’impresa come strumento di comunicazione. Possibili innovazioni di prodotto, processo, organizzazione, Esperienze d’impresa, 2/2010

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Altri esempi virtuosi di connubio tra impresa e territorio sono numerosi, giusto per citarne alcuni: il museo e l’archivio della Fondazione Piaggio a Pontedera, il Museo dell’Occhiale di Tai di Cadore a Belluno, il Museo dello Scarpone e della Calzatura Sportiva del distretto industriale di Montebelluna.