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Marketing esperienziale e musei d'impresa. Il caso del Museo Salvatore Ferragamo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

MARKETING ESPERIENZIALE E MUSEI

D’IMPRESA.

IL CASO DEL “MUSEO SALVATORE FERRAGAMO”

Tesi di Laurea di: Relatore:

Claudia Maria Chichi

Prof.ssa A. Angelini

(2)

I

INDICE

INTRODUZIONE

………..1

Capitolo I

IL MARKETING ESPERIENZIALE

1.1 L’importanza dell’esperienza ……….5

1.2 I limiti degli approcci tradizionali di marketing………10

1.2.1 Il marketing concept ……….10

1.2.2 La customer satisfaction ………...12

1.2.3 Il customer relationship management (CEM) ………...13

1.3 Il Customer Experience Management (CEM) ………...13

1.3.1 Cos’è il marketing esperienziale ………...14

1.4 I moduli strategici esperienziali ……….19

1.4.1 Il marketing del Sense ………..…….19

1.4.2 Il marketing del Feel ……….…....20

1.4.3 Il marketing del Think ………...20

1.4.4 Il marketing dell’Act ……….……21

1.4.5 Il marketing del Relate ………..21

1.4.6 Le fasi del CEM ………...22

1.5 I fornitori dell’esperienza .……….……….…23

1.5.1 La relazione tra SEM ed ExPro ……….25

1.6 Capire il mondo esperienziale del consumatore ………...27

1.6.1 Le tecniche per indagare sul mondo esperienziale ………...30

1.7 La relazione con il consumatore ………....31

(3)

II

Capitolo II

L’HERITAGE MARKETING

2.1 Cos’è l’heritage marketing ………..39

2.2 L’heritage marketing in Italia ………...…...42

2.3 Gli strumenti dell’heritage marketing ………...…...45

2.3.1 L’uso della tradizione per comunicare il nuovo ………...46

2.3.2 Ideazione di eventi heritage……….………48

2.3.3 La creazione di nuovi prodotti ………...52

Capitolo III

GLI ARCHIVI E I MUSEI D’IMPRESA

3.1 Letteratura e definizioni ………...57

3.2 Gli archivi d’impresa ………....57

3.3 I musei d’impresa ………..…...62

3.3.1 Le funzioni del museo d’impresa ………...69

3.4 L’importanza della memoria ………....72

3.5 Classificazione dei musei d’impresa ………73

3.6 L’associazione Museimpresa ………...79

3.6.1 Quanti e dove sono in Italia ………..……..81

3.6.2 … in Toscana ………...83

3.7 Il Museo Salvatore Ferragamo ………..83

3.7.1 La nascita del museo ……….………...88

Capitolo IV

ANALISI DELLA CUSTOMER SATISFACTION PRESSO IL

“MUSEO SALVATORE FERRAGAMO”

4.1 Metodologia di ricerca ………..93

(4)

III

4.1.2 Costruzione del data set ed elaborazione dei dati ………...95

4.2 Analisi dei dati e commenti ………...96

4.2.1 Sezione I: informazioni preliminari ……….…..96

4.2.2 Sezione II: valutazione dell’esperienza di visita e dei servizi ………99

4.2.3 Sezione III: giudizio complessivo ………108

4.2.4 Sezione IV: caratteristiche socio – demografiche ………..…..109

4.3 Analisi multivariata dei dati ………...113

CONCLUSIONI

………...116

Allegati

1. Questionario Museo Salvatore Ferragamo Ita. ………...121

2. Questionario Museo Salvatore Ferragamo Eng. ………...126

BIBLIOGRAFIA

……….………....131

SITOGRAFIA

………..………....134

(5)

1

Introduzione

L’Italia è un Paese ricco di storia, arte e bellezze naturali che si estendono da Nord a Sud e che il mondo intero ci invidia. Analogamente, anche la storia della realtà industriale italiana presenta sfaccettature particolari, che nel corso degli ultimi anni hanno iniziato ad attirare l’attenzione di studiosi e imprenditori.

Molte delle più grandi imprese che diffondono il Made in Italy nel mondo sono nate dal genio e dalla creatività di famiglie della piccola e media borghesia, in altri casi

dall’intraprendenza e lungimiranza di una sola persona. A seguito di questa

constatazione si è focalizzato il mio interesse verso l’approfondimento di una nuova forma museale: i musei d’impresa.

Essi sono già presenti nel resto d’Europa a partire dai primi anni del ‘900, ma in Italia la loro diffusione è iniziata più tardi, intorno agli anni ’70 – ’80.

Alla base della loro nascita vi è la presa di coscienza da parte degli operatori del settore, che in un mercato sempre più affollato e competitivo, ciò che incide davvero nella scelta tra un servizio e un altro, da parte del consumatore, non è più soltanto il prezzo o la notorietà del brand, ma l’esperienza che ne deriva. Essa, infatti, è per sua natura perfettiva in quanto si manifesta e matura nel corso dell’erogazione e/o fruizione del servizio; al contrario, la soddisfazione ha natura risolutiva, in quanto si concretizza solo a conclusione della fruizione. Quest’ultima dunque è condizionata dal valore e

dall’unicità dell’esperienza vissuta.

L’industria così, inizia a focalizzarsi sull’offerta di un servizio di valore, conscia del fatto che, solo anticipando le esigenze del cliente e investendo sulla valorizzazione della relazione con lo stesso, avrà un posto privilegiato all’interno delle sue opzioni di scelta. Tuttavia, sebbene l’interesse per il marketing esperienziale possa sembrare limitato alle imprese fornitrici di beni e servizi, questo nuovo approccio è stato alla base della nascita di un’altra branca del marketing: l’heritage.

Questo consiste nella capacità da parte di un’impresa di saper sfruttare la propria storia, il proprio passato, con lo scopo di emozionare e condividere ricordi con il

consumatore/visitatore, quasi si trattasse della narrazione di un racconto attraverso l’esposizione di oggetti, cimeli, fotografie e non solo. L’heritage marketing funge da

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2

mezzo per dare risalto e spazio alla cultura industriale del nostro Paese, troppo spesso rilegata in una posizione di second’ordine, messa in ombra dai beni del patrimonio artistico.

Bisogna considerare, infatti, che la cultura industriale può essere intesa secondo due prospettive: o come mera conservazione del patrimonio d’impresa o come sfruttamento di questo patrimonio attraverso canali di marketing e di comunicazione. A partire dagli anni ’80 l’interesse si concentra proprio su questo secondo punto.

Gli oggetti che le imprese decidono di esporre “acquistano una sorta di diritto alla sopravvivenza, che li colloca tendenzialmente fuori dal tempo”. Sono il tramite attraverso il quale viene raccontata la storia e la nascita dell’impresa, per costruire relazioni con gli stakeholders, rafforzare i propri valori, in poche parole la corporate communication. “La materialità degli oggetti è proiettata verso il futuro, mentre il loro significato viene posto in rapporto con il passato”, più o meno recente.

È all’interno di questo contesto che nascono i musei e gli archivi d’impresa. In Italia la letteratura è ancora piuttosto scarsa, visto l’interesse recente verso questa nuova forma museale e i maggiori contributi sono quelli di Montemaggi, il quale è anche consigliere dell’associazione Museimpresa, Severino e Amari.

Questa nuova tipologia di museo vuole essere sia un luogo di autocelebrazione per le imprese, ma anche un luogo in cui raccontare e far conoscere la storia e l’evoluzione del settore in cui opera. Archivi storici come quello dell’Enel, giusto per citare un esempio, sono la dimostrazione tangibile di come un’azienda ha trasformato radicalmente il nostro Paese, di quanto ha inciso sulla vita di tutti noi. Non raccontano solo la storia di un’impresa fine a sé stessa, ma di un’intera nazione.

Ovviamente, l’immagine trasmessa dall’impresa e quella trasmessa dal museo, devono convergere in un’unica direzione e comunicare gli stessi valori. Inoltre, le aziende che utilizzano i musei sfruttano la memoria del loro passato, come fonte di ispirazione per le produzioni future.

Molti di loro non prevedono un target specifico e definito, ma si rivolgono a chiunque abbia voglia di imparare e scoprire aneddoti curiosi su uno specifico brand che già conosce e/o stima, cimentarsi in prima persona in esperienze uniche, ad es. quelle offerte dal Museo Storico Perugina, conoscere nuove realtà.

(7)

3

L’obiettivo di questa tesi, dunque, è quello di far luce su un fenomeno in crescita nel nostro Paese. Scoprire nuove forme museali che insieme a quelle tradizionali hanno delle implicazioni non del tutto indifferenti anche sui flussi turistici. Essi, infatti, ponendosi all’interno di una nicchia di mercato, permettono alle località nelle quali sorgono di sfruttare sia la de – localizzazione che la de – stagionalizzazione, collaborando con gli enti pubblici locali o semplicemente operando da soli, privatamente.

Inoltre, al fine di carpire i benefici e i risvolti che tale strategia di marketing può avere su un’azienda affermata del Made in Italy, verrà misurata la customer satisfaction dei visitatori presso il “Museo Salvatore Ferragamo” di Firenze.

Nel primo capitolo, quindi, si discuterà del marketing esperienziale, dell’importanza che ha assunto l’esperienza sia per i consumatori, ma anche per le imprese fornitrici di beni o servizi;

nel secondo capitolo si parlerà dell’heritage marketing, di cosa si tratta, del fenomeno in Italia e degli strumenti attraverso i quali viene attuato;

nel terzo capitolo si tratterà nel dettaglio degli archivi e dei musei d’impresa, obiettivo principale di questo elaborato. Attingendo alla letteratura presente, se ne darà una definizione e classificazione, si discuterà anche del lavoro svolto da Museimpresa, la più importante associazione italiana di questa tipologia museale; verrà anche introdotta l’azienda Salvatore Ferragamo sulla quale verterà l’indagine empirica, e le tappe che hanno portato alla nascita del museo;

nel quarto ed ultimo capitolo, verrà presentato il lavoro di ricerca quantitativa svolto presso il Museo Salvatore Ferragamo. Attraverso la misurazione della customer satisfaction presenteremo i risultati ottenuti attraverso un’analisi univariata e

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4

Capitolo I

IL MARKETING ESPERIENZIALE

In questo capitolo sarà introdotto il marketing esperienziale, il quale si pone come forma alternativa rispetto al marketing tradizionale e meglio si presta, soprattutto nell’ambito dei servizi, ad indagare quali sono le necessità e le aspettative del consumatore/visitatore. Nella fattispecie si vedrà il nesso tra cultura ed esperienza e come quest’ultima condiziona le scelte e i giudizi del consumatore.

L’ipotesi di fondo degli studi sull’esperienza è quella secondo la quale le reazioni emozionali sono più importanti da approfondire rispetto ai benefici o l’immagine delle marche, in quanto oggigiorno i prodotti sono sempre più simili da questo punto di vista e ciò fa sì che i consumatori siano sempre più guidati in fase di scelta, dalle sensazioni e dal piacere che potrebbero provare dall’uso, possesso, fruizione di quel determinato bene o servizio. (Andreani, Conchon, 2002)

Le aziende che decideranno di optare per questa nuova forma di marketing, puntano a una serie di benefici, sia in termini economici ma anche di valore aggiunto, generati dalla soddisfazione del cliente che va oltre il bene materiale in sé, in quanto oggigiorno egli è sempre più alla ricerca di un’esperienza unica e inimitabile, piuttosto che di un buon prodotto. Questo ha però delle implicazioni da un punto di vista delle variabili da monitorare, rispetto a quelle del marketing tradizionale, in quanto si decide di non creare semplicemente un prodotto/servizio, ma qualcosa di più.1 (C. Gentile, et al.)

La concorrenza e il vantaggio di un’azienda, infatti, non si misura più tanto in termini qualitativi, ma in termini esperienziali. Coloro che saranno in grado di anticipare le esigenze del cliente e di colpirlo nella sua emotività, saranno quelli che avranno conquistato un posto privilegiato nelle sue opzioni di scelta. Al fine di trarre questi benefici bisognerà investire sulla valorizzazione della relazione del cliente. Vedremo dunque, attraverso quali strumenti le aziende possono decidere di implementare tutto ciò.

1 Gentile C., Lamberti L., et. al. (2006), Il marketing esperienziale come elemento incentivante all’instaurazione di rapporti di collaborazione lungo la supply – chain: un’indagine esplorativa nel contesto dei beni di lusso, Politecnico di Milano, (contributo in Atti di Convegno)

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5

1.1 L’importanza dell’esperienza

Nella realtà contemporanea le aziende si ritrovano a dover differenziare il proprio prodotto/servizio e renderlo unico in un ambiente sempre più ricco e competitivo. Proprio per la stessa ragione, anche i consumatori si ritrovano bombardati e stimolati in modo sempre più ricco di beni e servizi alquanto simili tra loro. Trovare e far notare le differenze è una sfida per entrambi i soggetti economici e perdersi e confondersi è ancor più semplice.

Volendo utilizzare le parole di Fontana, le aziende in questo nuovo contesto economico devono cercare di «rendere il prodotto personaggio e la marca, che lo costruisce, autore di una serie di storie capaci di intercettare pubblici e generare dinamiche […] di riconoscimento autobiografico tra individuo che compra e merce prodotta2».

Quest’obiettivo, cioè quello di far sì che i beni/servizi acquistati siano capaci di raccontare qualcosa, trasmettere emozioni e sensazioni, sarà ripreso dall’heritage marketing, il quale attraverso gli oggetti conservati dalle imprese ne racconterà la propria storia.

Se in un primo momento questa scelta era per lo più concepibile e immaginabile nel settore dei servizi, adesso questa man mano si è andata affermando anche nelle aziende che offrono prodotti.

La validità dell’esperienza complessiva è ciò che, il più delle volte, decreta il successo o meno di un prodotto o servizio, ciò che resta vivido nella mente del consumatore/fruitore e che lo convince ad optare per un brand piuttosto che un altro.

L’industria quindi è sempre più concentrata ad offrire un’esperienza di valore.

Tuttavia bisogna innanzitutto capire cosa si intende per esperienza e in quale contesto essa prende forma.

Oggigiorno il termine “esperienza” viene utilizzato in una moltitudine di contesti e significati, tutto ciò con la conseguenza di non riuscire a delinearne una definizione univoca e chiara. Per l’Encyclopédie Universalis, l’esperienza ingloba in sé due aspetti contrari e speculari, uno di passività e l’altro di attività. Non per nulla è consuetudine dire che “si traggono lezioni dall’esperienza” (Carù, Cova, 2003). Questo significa sia

2 Fontana A. (2009), Manuale di Storytelling – Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità d’impresa. Milano: Etas, p. 74

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che si è imparato qualcosa dall’esperienza, ma al contempo che l’esperienza ha trasformato noi in quanto individui.

Inoltre, ogni ambito scientifico si è ritagliato una propria idea di esperienza che non sempre convergono tra di loro.

In ambito filosofico l’esperienza è intesa in modo abbastanza simile a quello visto poc’anzi, quindi l’esperienza come strumento per “fare esperienza” e quindi ad accumulare conoscenza. Quello che va sottolineato in questo contesto è il fatto che l’accrescimento di conoscenza è limitato al singolo individuo che effettua l’esperienza. Contrariamente all’ambito filosofico, le scienze sperimentali nel definire l’esperienza richiamano il concetto di “esperimento”. Ciò significa “la riproduzione di un fenomeno con mezzi opportuni di ricerca, fondata su dati e fatti obiettivi e generalizzabili, allo scopo di indagare le relazioni di dipendenza tra cause ed effetti”. (Carù, Cova, 2003). La differenza rispetto alla filosofia, sta nel fatto che questo genere di esperienza si considera universale, quindi uguale e valida per tutti gli individui.

L’antropologia e l’etnologia, invece, intendono l’esperienza come « […] qualcosa di singolare che accade al soggetto3» (Abrahams, 1986) e che a sua volta ha a che fare con

il contesto culturale all’interno del quale è inserito l’individuo.

Per capire bene cosa si vuole intendere, basta ricorrere ad un semplice esempio.

Per un veneziano spostarsi in gondola o attraversare i canali per andare da una parte e l’altra della città risulta un’esperienza normale. Quasi non si accorge dell’esperienza che sta vivendo, della tipicità e particolarità di quell’azione. Per lui rappresenta il normale e unico modo di spostarsi all’interno della città. Ben diversa è la concezione e la percezione di un abitante, ad es. di una grande città, in cui gli spostamenti avvengono in auto, autobus, tram o metro, probabilmente anche in bicicletta, ma di certo non attraverso l’ausilio di un’imbarcazione. In questo caso, l’abitante di una qualsiasi altra città, sta maturando un’esperienza unica e sporadica, sarà coinvolto in toto. Per lui non sarà un semplice spostamento per raggiungere l’altra parte della via. Appare dunque chiaro che a parità di azione (lo spostamento in città) la percezione ed il valore ad essa attribuito è completamente differente. Quello che ne sottolinea la diversità quindi è la cultura.

3 Abrahams R.D. (1986). Ordinary and Extraordinary Experience. In «V.W. Turner e E.M. Bruner» (a cura

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7

L’esempio appena fatto è molto semplificativo, ma per rendersi maggiormente conto della valenza della cultura, basta immaginare situazioni in cui ad incontrarsi sono due culture, nel senso classico del termine, tanto diverse. Es. la cultura asiatica e quella occidentale. La sociologia e la psicologia considerano l’esperienza come una sorta di “attività soggettiva e cognitiva che permette all’individuo di costruire la propria identità” (Carù, Cova, 2003) e che quindi richiede l’impegno del soggetto.

Per quanto concerne le discipline economiche – gestionali, l’esperienza può essere definita sotto due ambiti, quello del comportamento del consumatore e quello del marketing.

Per il comportamento del consumatore, l’esperienza ha a che vedere con il vissuto personale dell’individuo, ma enfatizzato e influenzato sia dalle emozioni, ma anche dagli stimoli che compongono il sistema di consumo. «Per il consumatore postmoderno, consumare non è un semplice atto di assorbimento, di distruzione o di utilizzo di qualcosa. Non è neppure l’ultimo anello della catena del processo economico; è un atto di produzione di esperienze e di identità o di immagini di se stessi [...] Per arricchire e rendere affascinante la vita è necessario concedersi esperienze multiple, vissute sia emozionalmente sia razionalmente, e utilizzando tutte le dimensioni dell’essere umano [...] La vita deve essere prodotta e creata, ossia costruita attraverso esperienze multiple nelle quali il consumatore si immerge4» (Firat e Dholakia,1998). Il riconoscimento più

importante che viene sviluppato all’interno di questa disciplina è quella delineata da Fabris e cioè che finalmente viene riconosciuta sempre più importanza all’influenza delle emozioni nell’atto di acquisto, contrariamente a quanto sostenuto fino a quel momento dagli economisti e cioè che il consumo era determinato dalla razionalità.

Infine, per il marketing l’esperienza è vista come una nuova categoria di offerta che si va ad unire alle altre tre già esistenti, ossia: i beni, i servizi e le merci. Per Pine e Gilmore (1998) affinché un’esperienza possa definirsi buona, deve essere “indimenticabile” o “significativa”, così come Schmitt sostiene che un’esperienza ottimale è quella che riesce a stimolare tutti i sensi del consumatore e di cui ci occuperemo più avanti nel corso del capitolo. In questo contesto, implementare una strategia di marketing basata sull’esperienza significa «[…] coinvolgere i consumatori in processi indimenticabili –

4 Firat A.F. e Dholakia N. (1998). Consuming People: From Political Economy to Theaters of Consumption,

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8

offrendo loro un’esperienza o, ancor meglio, trasformandoli mediante esperienze attraverso le quali li si guida. [...] Quando offrono delle esperienze, gli uomini di marketing si concentrano sulla messa in scena dell’esperienza per renderla indimenticabile e personale5» (Arnould, et al. , 2002).

A questo punto, la domanda che ci si pone, stando dalla parte del fruitore di beni e/o servizi, è: “quali esperienze vorrei provare che non ho ancora provato?”.

E a questa domanda i fornitori di esperienze devono cercare di dare risposta.

Per capire come si sviluppa l’esperienza, è possibile considerare il circolo esperienziale.

Figura 1- Il circolo esperienziale

Fo te: Marketi g esperie ziale , di M. Ferraresi, B. H.Schmitt, pag. 14

Innanzitutto bisogna sottolineare la centralità del corpo, infatti è lo “strumento” attraverso il quale le esperienze vengono vissute e richiamate alla memoria. Il corpo attraverso la memoria tiene traccia dei segni dell’esperienza.

5 Arnould E., Price L. e Zinkhan G. (2002). Consumers, New York, McGrawHill, pag. 423

Circolo esperienziale Cultura Esperienza esterna Corpo proprio Esperienza interna

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9

Il circolo esperienziale inizia dalla cultura, la quale attraverso l’impronta6 produce

l’esperienza esterna (per distinguerla da quella interna che vedremo tra poco), la quale deriva dal mondo che ci circonda o come la definisce J. Locke “la percezione dei fatti a noi esterni (sensazioni)”. In questa fase, il risultato dell’impronta si concretizza, si imprime sul corpo proprio, cioè il luogo in cui le esperienze si imprimono. Proprio a seguito di questa sorta di marchiatura dell’esperienza sul corpo, essa viene rielaborata una seconda volta e si trasforma in esperienza interna, quindi quella derivata dai nostri pensieri, riflessioni, sentimenti o usando ancora una volta le parole di J. Locke “la percezione dei moti interni alla coscienza (riflessioni)”. L’esperienza interna, attraverso l’ausilio di nuove impronte produrrà nuova cultura e il circolo esperienziale ricomincia da capo.

I due tipi di esperienze, interne ed esterne, sono poste in relazione tra loro. L’una non esclude l’altra, anzi, le due si alimentano a vicenda e producono nuova cultura.

Oltre che attraverso il circolo esperienziale, le fasi dell’esperienza di consumo sono state sintetizzate da Arnould, Price e Zinkhan nel 2002 e riprese poi da Fioroni nel 2005. Secondo i su citati autori, il consumo si sviluppa attraverso quattro fasi:

1. Fase dell’anticipazione del consumo: in questa fase il consumatore si guarda intorno, cerca e organizza la sua idea di esperienza verso la quale è orientato e ne inizia a costituire un livello personale di aspettativa;

2. Fase dell’esperienza di acquisto vera a propria: concretizzazione della scelta ipotizzata nella fase precedente. L’esperienza prende forma, quindi si entra in contatto con tutti i fattori che la realizzano e il consumatore interagisce con l’ambiente e le persone che elargiscono il servizio;

3. Fase di consumo del prodotto acquistato: si ha nel caso in cui il acquisto e consumo non sono posti esattamente sullo stesso livello temporale. È una sorta di verifica delle fasi uno e due, infatti dà delle risposte riguardo all’aspettativa che ci si era formati al punto uno e se l’esito sarà negativo la fase due verrà giudicata negativamente;

6 Per impronta si intendono elementi di vario genere, che afferisce sia agli oggetti che ai soggetti, quali la

luce, l’arredamento, l’ausilio di personale, che all’interno del contesto in cui si svolge l’esperienza, aiutano alla sua formazione, la influenzano. “L’impronta proietta la nostra esperienza sul mondo” (Lotman, 1973).

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4. Fase dell’esperienza vissuta come ricordo: in questa fase l’esperienza viene rievocata alla memoria e l’opinione potrà essere stata classificata positivamente o negativamente.

Ognuna di queste fasi comunque sia, si concretizzano attraverso la logica sequenziale vista precedentemente nel circolo esperienziale.

Dal momento che ogni impronta influenza il soggetto che la riceve in modo differente, quindi ci si trova davanti ad un’elevata soggettività, costruire un’esperienza univoca per tutti i soggetti interessati è molto difficile, se non impossibile. Far fronte a quell’alea di incertezza è compito degli operatori di marketing e gli strumenti i quali può avvenire tale controllo sarà visto nei paragrafi seguenti.

1.2 I limiti degli approcci tradizionali di marketing

Il marketing esperienziale nasce e si afferma a seguito dei limiti riscontrati nel corso del tempo, soprattutto negli anni novanta, dei tradizionali metodi di marketing largamente utilizzate fino a quel momento.

Questi metodi ai quali alludiamo sono: 1. Il marketing concept

2. La customer satisfaction

3. La customer relationship management (CRM)

Vediamone singolarmente l’incompletezza riscontrata da parte degli operatori del settore, i quali come abbiamo visto, si ritrovano ad operare in un’economia, in un mercato in costante e rapido mutamento, nel quale solo se si è abbastanza rapidi nell’attuare le opportune correzioni e integrazioni si riesce a conquistare spazio o a rimanere in vita, altrimenti se ne è inevitabilmente fuori.

1.2.1 Il marketing concept

Operare perseguendo il marketing concept vuol dire porre al centro della propria attività aziendale il cliente e far sì che il prodotto/servizio offerto incarni in toto le sue esigenze e soddisfi o ancor meglio, superi le sue aspettative.

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Le definizioni date del marketing concept sono state diverse, ma tra queste le più chiarificatrici sono quelle di Peter Drucker, secondo il quale: «Esiste una sola definizione di obiettivo aziendale: creare il cliente», questo vuol dire che più che il profitto le aziende dovrebbero ricercare la soddisfazione, perché solo da quest’ultimo ne seguirà un guadagno e ci si farà largo tra la concorrenza.

Theodore Levitt spiega quest’idea di marketing concept in maniera ancora più completa: «L’obiettivo di un’impresa è creare e conservare i propri clienti. Per raggiungere tale scopo bisogna produrre e distribuire beni e servizi che soddisfino le richieste del cliente e che rispetto alla concorrenza presentino prezzi e condizioni attraenti per un numero limitato di clienti sufficienti a rendere possibili tali condizioni». Ciò significa che per massimizzare la soddisfazione dei clienti, sarà più logico e strategicamente corretto concentrarsi su una ristretta cerchia di persone e non nella loro generalità, per colpire e conquistare quanti effettivamente cercano il prodotto/servizio che si intende offrire, piuttosto che tentare di catturare l’attenzione di una vasta generalità di cui poi solo una piccola parte sarà davvero interessata.

Nel fare ciò però, le aziende peccano nel rimanere più concentrate sul prodotto/servizio che sul cliente, quindi ecco i limiti dell’approccio appena descritto: (Ferraresi, Schmitt, 2016)

- La gran parte dei concetti e degli strumenti si basa quasi esclusivamente sugli attribuiti tangibili e visibili del prodotto/servizio e sui suoi benefici. Nulla fa per esaltarne gli aspetti inerenti l’intangibilità e l’immagine del prodotto/servizio stesso;

- I mercati e la concorrenza vengono classificati in base alle loro caratteristiche e benefici; manca quindi una visione più ampia che tenga conto dei contesti d’uso e sul consumo effettivo di quel prodotto/servizio;

- I clienti vengono visti come semplici decisori razionali che calcolano gli attributi e i benefici del prodotto/servizio, senza considerare che spesso gli acquisti sono dettati dalle emozioni, dall’impulsività;

- La ricerca di mercato è un’attività puramente analitica e prevalentemente verbale, i metodi che studiano i clienti nel loro ambiente naturale vengono visti come inattendibili e inefficaci;

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- Questo metodo, basandosi sulla differenziazione, implica il suo interesse per il prodotto, dimenticando quindi che consumatori diversi cercano prodotti diversi in base alle proprie esigenze. Bisogna essere sì differenti, ma offrire quella diversità che il consumatore cerca;

- Quest’approccio basandosi sulle informazioni del prodotto resta piuttosto generica, motivo per cui non torna utile nella pianificazione e definizione della strategia di marketing orientata al cliente.

Insomma, questa metodologia pur volendo offrire un prodotto/servizio in linea con le esigenze del cliente, dimentica di analizzare davvero le sue esigenze.

1.2.2 La customer satisfaction

La customer satisfaction tenta di misurare il livello di soddisfazione del cliente, dando per implicito che all’aumentare della soddisfazione, più alta sarà la sua fedeltà al fornitore del prodotto/servizio scelto.

Un cliente si definisce soddisfatto nel momento in cui il livello dell’aspettativa, che lui stesso si era creato prima di accedere al prodotto/servizio, e quello di performance, cioè quello effettivamente ricevuto nel corso della fruizione del prodotto/servizio, si equivalgono o ancor meglio quando il secondo supera di gran lunga la prima.

Tuttavia questa relazione non ne garantisce automaticamente la sua fedeltà. Questo perché nell’approccio basato sulla customer satisfaction si ignora l’attenzione verso le dimensioni esperienziali che coinvolgono il consumatore durante il consumo/fruizione del bene o servizio. Questi aspetti non sono affatto da ignorare, in quanto interessano più sfaccettature del prodotto erogato, come ad esempio il suo modo di relazionarsi con gli altri, le emozioni che prova e alle quali associa il servizio offerto. Insomma, la customer satisfaction dimenticando di analizzare i legami esperienziali perde parte della sua utilità.

La differenza tra esperienza e soddisfazione dipende dalla diversa finalità. L’esperienza, infatti, nasce e si manifesta nel corso del processo di erogazione del prodotto/servizio, quindi ha natura perfettiva; la soddisfazione, invece, si manifesta a conclusione della fruizione stessa, quasi a fungere da riassunto dell’intera esperienza appunto, motivo per cui la sua natura è di tipo risolutivo.

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Anche in questo caso, dunque, abbiamo visto il limite di una delle tecniche più usate da parte degli erogatori di servizi.

Adesso vediamo l’ultimo dei tre approcci.

1.2.3 La customer relationship management (CRM)

Dare una definizione univoca di Customer Relationship Management non è semplice, in quanto questo approccio può essere di tipo analitico, operativo o collaborativo. Comunque sia l’obiettivo è quello di tener traccia, analizzare, le relazioni dei clienti con l’impresa erogatrice del prodotto/servizio.

Tuttavia, piuttosto che concentrarsi su come le relazioni tra questi soggetti nascono e si sviluppano, tende a concentrarsi sulle transazioni. Questo fa sì che le aziende registrano e analizzano solo ciò che è importante per l’azienda e non ciò che aiuta a comprendere il processo decisionale del consumatore. Inoltre, la CRM pone la sua attenzione unicamente sugli aspetti razionali del rapporto con il cliente, senza stabilire con lui un rapporto di tipo emozionale.

Come già visto per la customer satisfaction, ignorare la formazione dell’esperienza è un limite decisivo per lo sviluppo di opportune strategie competitive.

Proprio per compensare le inadeguatezze di questi approcci, negli ultimi anni ha preso piede l’affermazione della Customer Experience Management (CEM).

1.3 Il Customer Experience Management (CEM)

Abbiamo visto che la necessità di analizzare meglio l’esperienza del cliente nasce dal fatto che consumatori diversi hanno esigenze diverse e sapere questo non compensa la comprensione di ciò che effettivamente egli cerca, il motivo per cui tra prodotti similissimi ne sceglie uno piuttosto che l’altro.

Shaw e Ivens (2005) definiscono la Customer Experience come «[..] an interaction between an organization and a customer. It is a blend of an organization’s physical performance, the senses stimulated and emotion evoked, each intuitively measured

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against customer expectations across all moments of contact7», in cui le parole chiave della definizione, che sottolineano lo scopo di questa nuovo approccio sono: interazione, emozione, sensi, aspettative e momenti di contatto.

Il Customer Experience Management8 più che un concetto di marketing viene definito da

Ferraresi e Schmitt come un “concetto di management veramente focalizzato sul cliente” che si pone come punto cruciale quello di analizzare e valutare l’esperienza completa del cliente, nonché il processo che lo porta a ritenersi soddisfatto o meno di quel prodotto/servizio. L’esigenza di produrre profitto per l’azienda sarà, ancora una volta, una conseguenza del buon esito di questo processo.

Inoltre, va sottolineato come il CEM non si limita ad osservare e a studiare una sola fase del momento di interazione tra consumatore e azienda, ma agisce secondo un approccio integrato, unendo sia la parte interna che esterna dell’organizzazione.

Esso, infatti, essendo uno strumento pratico a disposizione dell’organizzazione permette da una parte, di capire come fornire un’esperienza di valore per il cliente e di conseguenza come permettere all’impresa di ottenere valore finanziario.

1.3.1 Cos’è marketing esperienziale

L’approccio esperienziale può essere ricondotto a due ipotesi di fondo, elaborate da Raimondi (2005), che ben sintetizzano l’insieme dei contributi più rilevanti sul tema, cioè:

1. Presa coscienza del fatto che i clienti sono sia esseri razionali, ma anche emotivi, si è capita l’importanza da loro attribuita, dell’essere viziati, coccolati, coinvolti emotivamente in ogni momento di interazione tra loro e l’impresa erogatrice del servizio;

2. L’impossibilità di non attribuire un significato univoco all’esperienza, in quanto essa oltre ad essere formata dagli stimoli che vengono forniti al cliente sotto varie forme (udito, olfatto, vista…), viene anche elaborata in modo diverso dai vari soggetti e che spesso, nel momento in cui fruiscono di un bene/servizio essi sono

7 Shaw, C., Ivens, J. (2005). Building Great Customer Experiences, MacMillan, New York 8Da adesso in poi useremo l’acronimo CEM

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inseriti all’interno di un sistema di relazioni che li condiziona, sia che si tratti di un consumo collettivo, ma anche individuale.

Sfruttando allora lo strumento manageriale del CEM, il marketing esperienziale, il cui scopo è proprio quello di «valorizzare i processi invece che gli scopi, le relazioni invece che le gerarchie, le percezioni invece che i dati, i sentimenti invece che il freddo raziocinio, le capacità innovative invece che le regolamentazioni ordinate e sistematiche. Nella convinzione che un’esperienza positiva può essere in grado di scatenare un’enorme forza creativa9», pone il suo interesse primario sul consumo e sul contesto dello stesso,

non tanto sul prodotto, sull’esperienza data dal prodotto/servizio offerto e su quali fattori/stimoli influenzano il consumatore nel momento in cui fruisce dello stesso. Esso si discosta dagli approcci di marketing tradizionali visti nei paragrafi precedenti per quattro aspetti principali, sinteticamente esposti nella figura seguente:

Figura 2 - Le caratteristiche del marketing esperienziale

Fo te: Marketi g esperie ziale , M. Ferraresi, B.H. “ h itt, pag.

9 Ferraresi M., Schmitt B.H. (2016), Marketing esperienziale. Come sviluppare l’esperienza di consumo,

Franco Angeli, pag. 32, op.cit.

L'esperienza del

cliente esperienza olistica Il consumo come

I clienti come animali razionali ed

emozionali

L'eclettismo dei metodi

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16 Come possiamo vedere gli elementi distintivi sono:

a. L’esperienza del cliente;

b. Il consumo come esperienza olistica;

c. I clienti come animali razionali ed emozionali; d. L’eclettismo dei metodi.

Proviamo a vederle sinteticamente una per una.

Per ciò che concerne l’esperienza del cliente, si fa riferimento all’interesse che si è sviluppato intorno agli anni ’80 verso l’esperienza appunto, da parte di studiosi come Holbrook ed Hirschman che hanno iniziato a proporre una visione alternativa del comportamento del consumatore in voga fino a quel periodo, cioè di tipo cognitivo – comportamentale. Attraverso l’analisi del circolo esperienziale abbiamo visto come le esperienze si formano, ma qui va sottolineata la loro valenza e influenza dal punto di vista emotivo, cognitivo, sensoriale, relazionale e comportamentale, non più solamente puramente funzionale per il fine di usufruire di un prodotto/servizio.

Il consumo come esperienza olistica, invece, allude al fatto che il marketing esperienziale proprio perché non si basa sul singolo prodotto/servizio in quanto tale, indaga sul contesto di consumo. Autori come Belk, Wallendorf e Sherry sostengono che «i consumatori attuali definiscono certi oggetti o esperienze di consumo come rappresentanti di qualcosa di più degli oggetti ordinari che sembrano essere. Esprimendo questi valori attraverso il loro consumo, essi prendono parte ad una celebrazione del loro legame con la società nel complesso e con alcuni individui in particolare. Per una società definire come sacri certi artefatti che sono portatori di valore fornisce coesione e integrazione sociale. Per l’individuo, partecipare a queste espressioni attribuisce significato alla vita e fornisce un meccanismo per sperimentare stabilità, gioia e occasionalmente estasi attraverso il legame».

In questa situazione emerge che il consumo di un prodotto/servizio non avviene più all’interno di una sfera privata, ma avviene all’interno di un contesto più ampio in relazione dell’ambiente e degli altri consumi ed esperienze da lui stesso effettuate. Questa nuova contestualizzazione viene definita attraverso il vettore socioculturale del consumo. Altra caratteristica del marketing esperienziale è quella di definire i clienti come animali razionali ed emozionali, volendo intendere ciò che Holbrook ed Hirschman hanno iniziato

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a sostenere nelle loro tesi e ciò che l’uomo nel tentativo di soddisfare i propri bisogni e desideri, non agisce sempre e solo perseguendo la propria razionalità, ma essendo alla ricerca di esperienze, si lascia guidare anche dalla propria irrazionalità, emotività, sentimenti, cercando così il raggiungimento e la realizzazione di fantasie, divertimento e altro. Una buona strategia di marketing esperienziale deve quindi, stimolare i sensi, la creatività.

La ricerca di questa esperienza olistica si concretizza anche nel cambio di prospettiva del valore della marca da parte del marketing esperienziale rispetto al marketing tradizionale. Come possiamo vedere dalla figura seguente, infatti, per il marketing tradizionale la marca aveva una funzione meramente identificativa (marca = id), il cui scopo quindi era quindi quello di consentire al consumatore di distinguere, ad es. un paio di scarpe Nike da uno Adidas. Tuttavia, come abbiamo visto, per quanto questa funzione sia senza dubbio importante, il consumatore cerca ben altro. Cerca l’esperienza. Proprio per orientarlo nella scelta dell’esperienza “giusta” la marca viene intesa dal marketing esperienziale come esperienza (marca = es), capace di suscitare emozioni e scuotere i sensi, quindi capace di offrire un’esperienza olistica integrata.

Fig. 3 – Due approcci al branding

Marca = id Marca = es

Le marche come identificatori Le marche come fornitori di esperienza Nomi, loghi e slogan Nomi, loghi, slogan, eventi e contatti con il

cliente

Consapevolezza e immagine Relazioni sensoriali, affettive, creative con la marca; stili di vita

Fo te: Marketi g esperie ziale , M. Ferraresi, B. H. Schmitt, pag. 48

Infine, per quanto riguarda l’eclettismo dei metodi, si fa riferimento agli strumenti a disposizione del marketing esperienziali utili alla misurazione dei risultati raggiunti. Rispetto al marketing tradizionale, esso dispone di un numero maggiore di strumenti, sia di tipo analitico e quantitativo, ma anche intuitivo e qualitativo. Inoltre possono essere usate analisi di tipo verbale, come ad es. i focus group, interviste in profondità… ma anche visive. Tra l’altro a prescindere dall’approccio usato, questi possono essere uguali per tutti i consumatori oggetto di analisi, quindi nomotetici, oppure possono essere adattati in base al contesto, quindi idiografici.

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La scelta di uno dei vari strumenti o della loro combinazione, dipende dall’oggetto di indagine e dall’ambiente in cui questa viene condotta.

Una delle prime scale utilizzate per misurare l’esperienza del cliente è stata quella da Josko Brakus e Bernd Schmitt. Lo scopo della stessa era quella di capire se e quanto un determinato elemento di marketing (un sito web, una pubblicità …) stimolasse ognuna delle componenti dell’esperienza, che come abbiamo visto prima è costituita dai SEM10

e dagli ExPro11.

La scala da loro realizzata è composta da 15 items con opzioni di risposta che vanno da “per niente” ad “estremamente”. Per evitare che l’attenzione del rispondente si assopisse, gli stessi items sono stati posti più volte, ma ponendoli in forma negativa. Questo per testarne anche la sua attenzione all’oggetto di indagine.

Di seguito riportiamo i 15 items realizzati dai due autori su citati, tenendo presente che all’interno delle parentesi vuote (…) verrà di volta in volta inserito l’input sul quale è basata l’indagine e che il segno (+) o (-) accanto ad ogni singolo items indica se lo stesso è rivolto in forma positiva o negativa (Ferraresi, Schmitt, pag. 49):

1. «Il/la (…) cerca di coinvolgere i miei sensi» (+);

2. «Il/la (…) è interessante dal punto di vista percettivo» (+);

3. «Il/la (…) è privo di un richiamo sensoriale nei miei confronti» (-); 4. «Il/la (…) cerca di mettermi in uno stato d’animo positivo» (+); 5. «Il/la (…) produce in me una risposta di tipo emozionale» (+); 6. «Il/la (…) non vuole suscitare emozioni» (-);

7. «Il/la (…) cerca di intrigarmi» (+); 8. «Il/la (…) stimola la mia curiosità» (+);

9. «Il/la (…) non vuole attivare il mio pensiero creativo» (-); 10. «Il/la (…) cerca di farmi pensare al mio stile di vita» (+); 11. «Il/la (…) mi ricorda attività che posso praticare» (-);

12. «Il/la (…) non vuole farmi pensare ad azioni e comportamenti» (-); 13. «Il/la (…) cerca di farmi pensare alle relazioni sociali» (+);

14. «Posso relazionarmi con altre persone attraverso questo/a (…)» (+); 15. «Il/la (…) non vuole ricordarmi norme o regole sociali» (-).

10 Moduli Strategici Esperienziali 11 Fornitori di esperienza

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Come possiamo notare, i 15 items stimolano SEM diversi. I primi tre ricadono all’interno del modulo del Sense, seguono i tre items per il Feel, i tre successivi quelli riferibili al Think, quelli dell’Act e gli ultimi tre al modulo strategico esperienziale del Relate. Nel paragrafo successivo analizzeremo nel dettaglio i cinque moduli strategici esperienziali.

1.4 I moduli strategici esperienziali

Il marketing esperienziale si basa su due assunti, il primo dei quali presuppone che l’esperienza può essere distinta in cinque moduli, definiti Moduli Strategici Esperienziali12 (SEM), ognuno con caratteristiche specifiche e i cui obiettivi possono

essere modificati e adattati in base alla strategia di marketing esperienziale che si intende perseguire.

Vediamo quali sono questi moduli, precisando prima che ognuno di essi costituirà in seguito una specifica sottospecie di marketing e di azione strategica che influenzerà in seguito l’esperienza nel suo complesso:

1. Sense 2. Feel 3. Think 4. Act 5. Relate

1.4.1 Il marketing del Sense

Il marketing del Sense si riferisce ai “sensi”, letteralmente. Il suo scopo è quello di stimolare tutti i sensi del consumatore o potenziale tale, quindi facendo leva sul tatto, gusto, olfatto, udito e vista.

Questa tipologia di marketing è molto usata dalle aziende per differenziare il proprio prodotto/servizio in un mercato ricco di concorrenti simili e quindi utile ad attribuire valore al proprio prodotto.

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Esempi emblematici di marketing del Sense ben riuscito sono quelle, volendo rimanere all’interno del mercato italiano, di Illy la quale si pone come scopo quello di “Deliziare i consumatori di tutto il mondo con un caffè eccellente ed una esperienza straordinaria che coinvolga i sensi e lo spirito”. Questo è un esempio di brand, che pur commercializzando un prodotto di indubbia e indiscussa qualità, cerca di coinvolgere a trecentosessanta gradi i propri clienti attuali e potenziali. Trattandosi di caffè è facile essere coinvolgenti facendo leva sull’olfatto e il gusto, più complicato raggiungere gli altri tre sensi. Per ovviare a tutti ciò, Illy ha creato la Illy collection, tazzine da caffè realizzate da artisti diversi. Queste fanno leva sulla vista, ma anche sullo spirito. Al di là della mera utilità pratica delle tazzine, vengono viste come un oggetto di design.

Altro esempio ben riuscito è la campagna pubblicitaria della Magnum, la quale nel corso del 2005 ha presentato cinque versioni di gelato, chiamandole proprio: Vision, Sound, Touch, Taste e Aroma. Attraverso le immagini e i suoni inseriti all’interno dello spot pubblicitario, oltre che della notorietà e della qualità di cui vanta il brand, sono riusciti a stuzzicare tutti i sensi del consumatore.

1.4.2 Il marketing del Feel

Il marketing del Feel, letteralmente del “sentire”, tenta di far leva sulle emozioni del consumatore o potenziale tale. Infatti, la maggior parte delle sensazioni vengono provate durante il consumo vero e proprio, ma obiettivo di questo tipo di marketing è quello di suscitare emozioni positive, creare un contatto con i sentimenti, positivi ovviamente. La pubblicità tradizionale presta più attenzione ad esaltare il prodotto e decisamente meno, per non dire nulla, sull’impatto emotivo sull’utente finale.

1.4.3 Il marketing del Think

Questa tipologia di marketing è legata al “pensare” e si riferisce allo scopo di questa branca di suscitare nel consumatore un problem – solving al quale dare risposta. Molto più semplicemente, attraverso spot pubblicitari basati su questo tipo di marketing, generalmente costituiti da una prevalenza di immagini piuttosto che di parole, il consumatore si trova di fronte ad una situazione da interpretare, dedurre, risolvere. Lo

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scopo è quello di agire sulla sfera cognitiva del destinatario, intrigandolo, attirandolo, provocando la sua attenzione e capacità di venire a capo di una situazione.

È molto utilizzato nel settore dei prodotti tecnologici, ma non solo.

1.4.4 Il marketing dell’Act

Il marketing dell’Act si collega al modo in cui il marketing può influenzare lo stile di vita da noi scelto, le esperienze fisiche che scegliamo di vivere, interazioni con gli altri e modi diversi e alternativi di agire.

Solitamente per questo genere di marketing vengono utilizzati testimonial riconosciuti a livello mondiale, i quali ci lasciano dedurre che con la scarpa o l’orologio giusto, cambia il nostro modo di approcciarci agli altri, ma soprattutto il modo di essere percepiti dall’altro, elemento di non poco conto in una società, come la nostra, in cui il giudizio e la prima impressione è quello che conta maggiormente.

1.4.5 Il marketing del Relate

Questo tipo di marketing, potremmo dire che ingloba al suo interno sfaccettature dei quattro appena visti, ma a differenza dei precedenti non riguarda unicamente i sentimenti, le emozioni, il carico emotivo che il marketing tenta di suscitare, bensì funge da strumento per mettere in relazione il consumatore con altre culture e con altri individui, al fine di creare nuove connessioni.

L’Harley Davidson è l’esempio più emblematico di brand che ha saputo far suo questa particolare tipologia di marketing. Essi non pubblicizzano solo una motocicletta, ma uno stile di vita. Far parte degli harleysti, avere una Harley Davidson, significa accettare e far proprio quello specifico stile di vita.

Volendo trovare esempi analoghi nel contesto italiano potremmo citare la Vespa della Piaggio. Essa ha rappresentato la prima forma di motorizzazione alla portata di tutti, simbolo del boom economico italiano. Tracce dell’attuazione del marketing del relate è riscontrabile in uno degli slogan presenti sul sito aziendale: «... è informale, accessibile [ed] esprime una spiccata e inesauribile gioia di vivere; il suo messaggio si basa sull’invito alla relazione, sulla partecipazione, sul continuo rinnovamento e sulla libertà

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di espressione» (M. Ferraresi, 2016). In questo caso ad essere sottolineati sono l’essenza stessa della nascita della Vespa, cioè l’idea di socialità, compagnia e libertà.

1.4.6 Le fasi del CEM

Prima di passare ad analizzare attraverso quali strumenti i cinque SEM appena visti vengono messi in atto dagli operatori di marketing, vediamo brevemente quali sono i passaggi del CEM, specificando però che la loro sequenzialità non è obbligata, ma può subire variazioni in base alle esigenze del caso.

Le quattro fasi del CEM consistono nel:

Figura 4 – Le quattro fasi del CEM

Fo te: Marketi g esperie ziale , di M. Ferraresi e B. H. Schmitt, pag. 96

La prima fase, cioè quella dell’analisi del mondo esperienziale del cliente, implica capire in quale contesto socio – culturale si sta operando. Ovviamente sarà diverso nel caso in cui si lavori in mercati Business - to - Consumer (B2C) o Business – to Business (B2B), motivo per cui bisognerà prestare la dovuta attenzione e agire di conseguenza.

La seconda fase, la costruzione della piattaforma esperienziale, funge da ponte tra la visione strategia e la sua effettiva messa in atto. Volendo utilizzare le parole degli autori

1°fase: analizzare il mondo esperienziale del cliente

2°fase: costruire la piattaforma esperienziale

3°fase: progettare l'esperienza di marca

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“la piattaforma esperienziale include una descrizione dinamica, multisensoriale e multidimensionale dell’esperienza desiderata, alla quale qui ci si riferisce come posizionamento esperienziale. Essa, inoltre, specifica il valore che il cliente può aspettarsi dal prodotto (la “promessa di valore esperienziale” o PVE) e culmina in un tema d’implementazione che coordina le iniziative di marketing e comunicazione”.

La terza fase, la progettazione dell’esperienza di marca, cioè la scelta attenta e scrupolosa di quale tra i vari SEM far prevalere in base a ciò che si vuole stimolare attraverso il prodotto/servizio offerto e in base agli strumenti attraverso i quali si intende farlo. La dinamica sarà in parte diversa per il lancio di marche nuove o già affermate.

La quarta e ultima fase, cioè la strutturazione della relazione con il cliente, ingloba tutte le tipologie di relazioni e scambio che avvengono tra i fornitori del prodotto/servizio e il consumatore finale. Ne fanno parte sia gli elementi tangibili, come ad es. la location, i suoni, la luce, i colori, ma anche elementi intangibili. Ogni elemento deve essere implementato in modo scrupoloso al fine di ottenere il risultato auspicato in fase progettuale.

1.5 I fornitori dell’esperienza

I cinque tipi di SEM analizzati poc’anzi a nulla servono senza che vengano attivati da parte di appositi strumenti, i quali sono appunto i fornitori dell’esperienza, o più semplicemente ExPro13.

Gli ExPro altro non sono che gli strumenti pratici che i manager possono utilizzare al fine di realizzare campagne pubblicitarie incentrate sull’attivazione di uno o più SEM. I principali fornitori di esperienza sono:

a. La comunicazione b. L’identità visiva/verbale c. La presenza del prodotto d. Il co – branding

e. Gli spazi espositivi

f. I siti web e i media elettronici

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24 g. Le persone

Figura 5 – I principali Fornitori di Esperienza (ExPro)

Fo te: Marketi g esperie ziale , di M. Ferraresi, B. H. Schmitt, pag.71

Per questioni di spazio non approfondiremo ognuna delle seguenti componenti, anche perché facilmente intuibili.

Ciò che conta sottolineare qui è che in base alla combinazione dei SEM e degli ExPro possono essere realizzate strategie di marketing esperienziale differente, le quali dovranno corrispondere agli obiettivi aziendali.

A sintetizzare questa interazione è utile il riferimento alla griglia esperienziale di Schmitt e Ferraresi:

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Figura 6 – La griglia esperienziale

Fo te: Marketi g esperie ziale , di M. Ferraresi, B. H. Schmitt, pag.71

1.5.1 La relazione tra SEM ed ExPro

Abbiamo detto che i SEM vengono attivati attraverso gli ExPro. Ovviamente la scelta di attuare un ExPro piuttosto che un altro non deve avvenire in modo casuale, ma anzi, dovendo rispondere ad una specifica strategia di marketing e dovendo raggiungere determinati obiettivi prefissati, bisogna capire quali attivare e quali no, quali ampliare e quali no.

La griglia esperienziale dunque, funge anche da strumento utile alla pianificazione e può essere adattata in base alle esigenze specifiche dell’azienda.

Gli operatori del settore hanno diverse variabili a loro disposizione per la gestione di quanto e come utilizzare gli ExPro selezionati al fine di raggiungere quel determinato. Essi sono:

a. L’intensità b. La portata c. La profondità d. Il legame

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E sono riassunti nella tabella seguente. Ognuno di essa ha un intervallo di variabilità e sta appunto al management capire verso quale orientarsi.

Figura 7 – Variabili per la gestione degli ExPro

Fonte: nostra elaborazione.

L’intensità si riferisce al grado di diffusione, allo spazio che dovrebbe essere dato a quello specifico ExPro. Un esempio potrebbe essere quello di una pubblicità che si pone come obiettivo quello di stimolare le emozioni positive del consumatore, facendo quindi leva sul SEM del Feel. La domanda che i manager dovranno porsi sarà: quanto spesso dovrebbe essere trasmessa la pubblicità? Qual è il giusto livello di intensità affinché il consumatore provi le emozioni che vogliamo suscitare? I due range tra i quali può variare l’intensità sono: intensificazione e diffusione.

La portata, invece, fa riferimento alla gestione trasversale degli ExPro. L’impresa deve chiedersi se per offrire un’esperienza di maggior valore dovrebbe dedicarsi su un certo ExPro o se, invece, le conviene ampliarla facendo leva su ExPro diversi. I due estremi di questa strategia sono: l’arricchimento, quindi l’aggiunzione di nuovi ExPro, oppure la semplificazione, nel caso in cui si decidesse di eliminarne qualcuno.

La profondità, viene intesa dagli autori Ferraresi e Schmitt, come “la gestione trasversale dei SEM: l’organizzazione deve ampliare il suo richiamo esperienziale dalle esperienze

L'intensità: intensificare Vs diffondere La portata: arricchire Vs semplificare La profondità: amplificare Vs restringere Il legame: connettere Vs separare

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individuali agli ibridi esperienziali e alle esperienze olistiche, oppure deve attenersi a – o restringere – un’esperienza singola?”. Potremmo dire che la profondità somiglia un po' alla portata, in realtà si pone come interrogativo quello della convenienza o meno di allargare o restringere, e sono questi i due estremi della profondità, uno o più dei SEM attivati.

Infine, il legame: si riferisce alla relazione che viene costruita sia tra i SEM che tra gli ExPro. I SEM attivati devono avere una visione coerente e non frammentata, altrimenti il consumatore percepirebbe una serie di stimoli sconnessi e incoerenti tra loro, creando in lui solo confusione. Una corretta politica di marketing quindi, dovrebbe valutare la possibilità di ridurre il numero di input o quanto meno separarli. Non stupisce che in questo caso gli estremi possibili siano: connettere o separare.

Capire esattamente come gestire al meglio gli ExPro e quindi come realizzare il miglior marketing esperienziale per il proprio prodotto/servizio è quindi un lavoro che richiede un’attenta pianificazione e capitale economico non indifferente. Bisogna sapere quali esperienze si vogliono trasmettere al consumatore e se questo verrà fatto nel modo più opportuno, il vantaggio competitivo e il valore aggiunto ottenuto sarà difficilmente imitabile dai propri concorrenti.

1.6 Capire il mondo esperienziale del consumatore

Per le aziende che vogliono investire sul marketing esperienziale e che vogliono competere a livello di unicità dell’esperienza offerta al consumatore, il primo e più importante passo da compiere è quello di capire esattamente ciò che egli si aspetta e non il contrario. Bisogna quindi creare e offrirgli un prodotto/servizio costruito su misura in base alle proprie esigenze ed aspettative e non un prodotto/servizio sul quale lui adattare le proprie esigenze. Bisogna, insomma, compiere l’operazione inversa.

Ferraresi e Schmitt suggeriscono che l’analisi del mondo esperienziale può essere effettuata seguendo quattro fasi:

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Figura 8 – Fasi dell’a alisi del o do esperie ziale

Fonte: nostra elaborazione.

Per quanto riguarda la prima fase, quindi l’identificazione del cliente obiettivo, questa prevede diversi tipi di target di consumatori. In prima battuta essi possono essere suddivisi in consumatori B2C o B2B, il che come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, implica una diversa idea di esperienza ricerca, così come di livello di aspettativa attesa. Inoltre, il consumatore B2C nelle scelte di acquisto è influenzato dall’emotività, dai conoscenti, amici, parenti e in linea di principio userà in prima persona il prodotto/servizio, anche se ciò non è sempre vero. Infatti, la figura dell’acquirente e quella dell’utilizzatore non sempre corrispondono e questa è una tra le differenze più importanti delle quali i manager devono tener conto. Altre figure importanti per quanto riguarda il B2C sono: gli influenzatori, i decisori e i raccoglitori di informazioni.

Per quanto riguarda i B2B, invece, essi nella ricerca della loro esperienza saranno guidati dalla ricerca di ulteriore valore aggiunto per sé stessi, dalla soddisfazione dei loro clienti finali. L’esperienza positiva più che per loro stessi deve essere rivolta ai loro consumatori. Sempre in questa fase, altro distinguo non trascurabile è quello tra:

- Fedeltà

- Frequenza d’uso.

Un cliente fedele è un cliente che ha provato altri prodotti/servizi dello stesso genere e che la sua fedeltà sia data adesso dal fatto di conoscere perfettamente l’esperienza offerta dal brand al quale si è legato. Il cliente non fedele, invece, è più vulnerabile e si lascia condizionare volentieri da offerte di prezzo o altro.

La frequenza d’uso, invece, influenza il risultato dell’esperienza, la percezione della stessa. Un esempio può essere utile a chiarire questa sottigliezza: si pensi al tipo di

Identificazione del consumatore obiettivo Dividere il mondo esperienziale: i 4 strati Analizzare tutti i punti di contatto con l'azienda Analisi della concorrenza

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esperienza ricercata in una motocicletta. Ovviamente questa sarà diversa per chi è alla prima esperienza e chi invece è un appassionato di moto da anni.

Il target di riferimento è dunque influenzato anche da queste due dinamiche e la comprensione di questi due elementi permette all’azienda di progettare un prodotto/servizio il più in linea possibile con gli stessi.

Per quanto concerne la seconda fase, invece, gli autori individuano quattro livelli del mondo esperienziale:

a. L’esperienza del prodotto o della marca; b. L’esperienza della categoria di prodotto; c. Il contesto d’uso e di consumo;

d. Il contesto socioculturale/industriale.

Tra tutti questi fattori quella che ricopre un ruolo chiave è la marca ed essa funge da collegamento con gli altri livelli.

«I clienti ricevono stimoli che inducono esperienze su tutti e quattro i livelli, e questi stimoli sono spesso associati a diversi mezzi di comunicazione. Nei mercati di consumo, i media che attivano esperienze nel contesto socioculturale includono i libri, i film, gli eventi e le riviste. Al livello d’uso della categoria di prodotto ci sono le riviste che promuovono uno stile di vita. I media che fungono da stimolo al livello del prodotto e della marca comprendono invece le riviste di settore o i mezzi collegati alla marca14».

La terza fase, invece, pone l’attenzione sui punti di contatto tra il consumatore e l’azienda, in particolar modo con tutte quelle persone con le quali si trova ad interagire nel corso della fruizione della sua esperienza.

Sappiamo bene, infatti, quanto il personale di contatto e l’empatia che si viene a creare con essi sia fondamentale nella formazione della propria esperienza e della conferma o meno delle aspettative. Bisogna quindi analizzare attentamente con chi il consumatore si ritroverà ad interagire ed educare al meglio i propri dipendenti. Non di rado accade infatti, che per quanto il prodotto/servizio sia stato pensato ed organizzato al meglio, il suo

14 Ferraresi M., Schmitt B.H. (2016), Marketing esperienziale. Come sviluppare l’esperienza di consumo,

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successo/insuccesso sia condizionato da una mancanza o da una cattiva relazione tra dipendenti – clienti.

Infine, l’ultima fase riguarda l’analisi dei concorrenti. Come abbiamo già più volte ribadito nel corso del presente capitolo, oggigiorno la concorrenza non si basa più sul prezzo, ma sul tipo di esperienza offerta. Bisogna anticipare i bisogni dei consumatori e capirlo prima dei concorrenti, distinguersi e renderla unica e memorabile.

I concorrenti possono essere inglobati in tre categorie: - I concorrenti diretti;

- I nuovi entranti;

- Gli attori esterni alla propria industria.

Vediamo adesso come ottenere informazioni utili e affidabili riguardo alla conoscenza reale del mondo esperienziale ricercato dal consumatore.

1.6.1 Le tecniche per indagare sul mondo esperienziale

Più che conoscere le fasi di analisi del mondo esperienziale ciò che conta sono l’affidabilità e la correttezza delle informazioni raccolte.

A questo scopo Ferraresi e Schmitt suggeriscono tre tecniche efficaci per ottenere risultati utili e di valore:

1. Condurre ricerche nell’ambiente naturale; 2. Utilizzare stimoli realistici;

3. Incoraggiare i clienti ad immaginare una realtà differente.

Per quanto riguarda il primo punto, esso può apparire banale, in realtà nel marketing esperienziale ricopre un ruolo cruciale. Infatti, l’oggetto d’analisi è l’esperienza e il più delle volte le ricerche vengono svolte in luoghi e contesti ben diversi e lontani da quelli in cui questa si realizza. Inoltre, ricordare o immaginare, implica una certa distorsione di ciò che si desidera o cerca. Quindi, per una buona riuscita delle ricerche sarebbe più opportuno intervistare, lato sensu, i consumatori nel momento in cui stanno godendo dell’esperienza, del prodotto/servizio, per capire cosa li sta soddisfacendo, di cosa avvertono la mancanza o cos’altro aggiungerebbero per ottenere quel plus mancante e che potrebbe davvero renderli entusiasti.

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L’utilizzo di stimoli realistici, invece, si riferisce al fatto che spesso nelle ricerche tradizionali ai consumatori i prodotti vengono semplicemente descritti o mostrati in fotografia, su uno schermo. Il marketing esperienziale dovrebbe e può fare la differenza, sfruttando elementi tangibili, dando al consumatore la possibilità di vedere, immergersi nel prodotto/servizio che si intende offrire, in modo tale da averne in cambio un feedback il più reale possibile.

Infine, considerando che la maggior parte delle ricerche tradizionali cerca solo risposte al prodotto/servizio attuale, per porvi rimedi o correzioni, un marketing esperienziale ben progettato dovrebbe gettare uno sguardo al futuro, senza dimenticare di consolidare ulteriormente la propria relazione con il cliente. Per fare ciò, l’organizzazione dovrebbe indagare sia sull’opinione del consumatore circa le esperienze attualmente offerte, ma anche carpire cosa si aspetta e desidera per il futuro.

Questi tre passi se ben realizzati permetteranno all’azienda di ottenere dati di valore da poter sfruttare internamente per il raggiungimento dei propri obiettivi.

1.7 La relazione con il consumatore

Abbiamo da subito sottolineato che la caratteristica del marketing esperienziale rispetto al marketing tradizionale, sta nel fatto di porre al centro della sua indagine conoscitiva il consumatore e non il prodotto. Appare dunque chiaro e palese, come uno dei cardini più importanti sia proprio quello di valorizzare al massimo la relazione che l’azienda instaura con lui.

Quasi tutte le aziende individuano tre tipologie di relazioni con il cliente, ossia (Ferraresi, Schmitt):

1. Le interazioni faccia a faccia: il contatto diretto che si viene a creare tra fornitore di prodotto/servizio e consumatore;

2. Le interazioni personali, ma distanti: quelle che avvengono tra i due soggetti della transizione, ma mediati tramite uno strumento (telefono, fax, mail …) personalizzato per ogni singolo utente;

3. Le interazioni elettroniche: differiscono dalle precedenti, perché la relazione è di tipo standardizzato, es. il sito di e-commerce o sms informativi.

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Questi tre tipi di relazione vanno sviluppate in modo coerente e tenute sotto controllo sempre, in quanto consentono di creare una relazione con il cliente, il cui scopo è quello di creare valore per l’azienda e far percepire loro valore aggiunto e amplificare ulteriormente l’unicità dell’esperienza offerta.

Al fine di rendere migliori queste relazioni la tecnologia gioca un ruolo chiave. Essa, infatti, può migliorarle in tre modi (Ferraresi, Schmitt, 2016):

a. Dando all’utilizzatore il controllo del contesto: es. i servizi sms o via email utilizzati dalle compagnie aeree per comunicare eventuali ritardi o cambiamenti, oppure le app sulla viabilità;

b. Impiegare programmi di relazioni personalizzate (CRP): si tratta di un’evoluzione delle CRM;

c. Eliminando le inefficienze della relazione: es. Wikipedia Vs Enciclopedia Britannica. La seconda pecca nella relazione con i propri consumatori, perché implica un esborso di denaro, viceversa Wikipedia, considerata ormai alla pari della Britannica, fornisce le stesse informazioni, ma gratuitamente. Wikipedia, dunque, batte la Britannica in termini di esperienza offerta al cliente.

Inoltre, sempre al fine di progettare al meglio la relazione con il consumatore, l’azienda deve tener presenti tre questioni:

1. L’essenza e la flessibilità: con la prima si intende la comprensione di quali sono “le operazioni, le interazioni e gli scambi principali”, invece con la seconda ci si riferisce alla capacità da parte del personale di contatto di adattare le relazioni in base al cliente che si ha davanti e alla relazione che si viene a creare;

2. Lo stile e la sostanza: intendendo con il primo “il modo in cui vengono espresse l’essenza e la flessibilità delle relazioni” e con la seconda “agli aspetti materiali associati allo stile”;

3. Il tempo: inteso come distribuzione temporale del contatto con il cliente nelle fasi pre e post acquisto, ma anche della durata del contatto durante l’erogazione del servizio.

Infine, non può mancare l’attenzione rivolta alle emozioni provate dal consumatore nel corso dell’esperienza di consumo.

Riferimenti

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