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Hymn Ap in Athen., Pa 1-8.

Intertestualità dell’Hymn Ap.

P. Oxy 841, Oxy 2240 + 2442, Oxy 1792, Louvre E 7734 + 7733).

3. Alla ricerca dell’Hymn Ap nelle epigrafi.

3.3. Hymn Ap in Athen., Pa 1-8.

Nel 1893, nel corso della campagna di scavi organizzata dall’Ecole française d’Athènes presso il Tesoro degli Ateniesi, sono stati rinvenuti dei testi epigrafici oggi preziosi, tra cui i due inni delfici corredati di notazioni musicali e ritmiche nell’interlinea, tra i più emblematici esempi di composizioni cultuali musicate.

Entrambi sono legati alla celebrazione delle Pitiadi del 128/7,203 feste di cui si hanno delle prime notizie dal 326/5 e che sembra siano state celebrate a intervalli irregolari con una grande ripresa nel II a.C.204 Questa restaurazione fu segnata da un’attiva partecipazione di Atene negli anni 138/7, 128/7, 106/5, 98/7 mediante l’invio di una numerosa theoria sacrificale composta da due exegetai, dall’intero corpo efebico, dagli archetheoroi e le kanephoroi / pyrophoroi della Tetrapolis di Maratona, e dai

technitai di Dioniso:205 una storia molto simile ai Delia, ripristinati dopo un periodo di interruzione dagli Ateniesi nel 426 in ricordo delle grandi iniziative di Policrate e Pisistrato, con la purificazione di Delo e – stando alle fonti - la grande esecuzione dell’Hymn. Ap. nella sua forma monumentale.206

Grazie a più recenti studi topografici, e soprattutto ad un horos del IV secolo rinvenuto nella stoà d’Attalo, è stato possibile ridefinire il tragitto della theoria lungo la

hiera hodos verso Delfi.207 Come già il Parsons aveva ipotizzato, la theoria doveva passare dalla corte pavimentata d’epoca cimoniana vicino alla Empedo – Clepsydra e partire dal santuario dell’Illisso, com’è stato più di recente riconfermato da Parker.208

Tornando all’inno d’Ateneo, esso si collocava nella parete del Tesoro ricoperta dagli Ateniesi di iscrizioni onorifiche, nel secondo blocco a partire da destra e al di sopra della prima e della seconda orthostate (in quest’ultima è riportato il testo dell’inno

203 Homoll 1894; Reinach 1909-13, p. 148 (prima del ritrovamento dei due inni, il frammento musicale

considerato più importante è stato l’epitafio di Sicilo). Per una rassegna completa dei documenti musicali greci, Pöhlmann – West 2001. Quanto ai nomi, Limenius, figlio di Thoinos, appare anche nella prima delle iscrizioni delle Pitiadi (FD III, 2 no. 47) del 128/7, che riporta una lista dei suonatori di kithara. Cfr. Osbourne – Byrne 1994, s.v. Λιμήνιος (l’unica attestazione è rimanda all’area attica) e Ἀθήναιος. Per la cronologia degli inni, rimando a Colin 1913, pp. 529-32; Bélis 1992, p. 133; Schröder 1999, pp. 65-75; Pöhlmann – West 2001, pp. 71-72; Furley – Bremer 2001 (I), pp. 129-131.

204 Cfr. SIG III 296; Isae. 7.27, in cui l’attore dice di essere appena tornato ἐκ τῆς Πυθαΐδος. Discussioni

sulla cronologia penteterica sono in Daux 1936, p. 532; Mikalson 1998, pp. 269-70; Scott 2014, p. 194.

205 Sugli esecutori di Dioniso, vd. Pickard – Cambridge 1968, p. 297, 317-8; Ghiron – Bistagne 1976, pp.

2-3; 67, 75, 169-71; 174-5, 203, 205-6; Lightfoot 2002, pp. 209-224. Sulle sette categorie coinvolte nella

theoria (otto nel caso del 128/7), vd. Daux 1938, pp. 708-720.

206 Thuc., III 106. Su Tucidide, Nicandro e Aristide lettori dell’inno delio si vedano Heubeck 1984 e De

Martino 1982, p. 49. Aloni 1989, p. 79, allude ad impegno e genialità. Come principali esponenti della scuola (neo)unitaria si indicano Forderer 1971; Baltes 1981; Heubeck 1984; Thalmann 1984, pp. 64-73; Miller 1986; Strauss Clay 2006, pp. 17 – 94. Più rare sono le voci dal fronte analitico: Förstel 1979; Cantilena 1982, pp. 201-240; Janko 1982, pp. 99 – 132; assai di recente West 2003, pp. 9-12, e Sbardella 2012.

207

Lalonde 1991, p. 29 n. H 34.

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di Limenio). Tutti i visitatori diretti al tempio di Apollo avrebbero potuto così percorrerla in salita.

Quello che rimane dei due blocchi si riduce a sedici frammenti, tra i quali i 517, 526, 494, 499 si crede appartengano all’inno di Ateneo (delph. inv. no. 517 = fr. B; inv. no. 526 = fr. A; inv. no. 464 = 3; inv. no. 499 = fr. 4), costituito da quattro strofi di varia lunghezza, distinte nei temi e nei tempi armonici. Si nota infatti un cambiamento melodico e metrico nel momento in cui, all’ultima strofe, si arriva a invocare Apollo (Leto a Artemide nel caso del prosodion di Limenio), con un passaggio dall’andamento frigio e ipofrigio, variato con delle alterazioni cromatiche, ad un ritmo gliconeo e lidio.209

Del frammento di Ateneo, per la prima volta riprodotto da Weil 1893 e nello stesso anno commentato da Reinach prima della grande edizione Powell 1925,210 sono apparsi sino ad ora solo commenti sporadici e inorganici, perlopiù concentrati sul dato tecnico e ritmopoietico, e troppo lontani nel tempo per poter dare una visione d’insieme del componimento.

Accanto a questo problema, nelle recenti indagini di Monbrun e Graf su Apollo non è stato dato ampio spazio alla produzione delfica, così come tra le figure letterarie minori ricordate nel più datato contributo sulla tradizione e innovazione letterarie sono annoverati i peani di Aristonoo e di Limenio, ma non quello d’Ateneo.211

Ripercorrendo brevemente la storia degli studi su questo inno, dopo Reinach e Crusius 1894212 si ha avuto lo studio di Doutzaris 1934 sulla metrica e ritmica nei documenti musicali greci, sensibili solo marginalmente ai problemi posti dall’Inno d’Ateneo.213

Nel 1979, con la ripresa degli studi sui documenti delfici, Chailley precede Käppel 1992 annoverando l’inno d’Ateneo nella categoria dei peani, creando un malinteso interpretativo sopravvissuto per alcuni decenni.214

Si arriva dopo qualche anno agli antecedenti della raccolta Pöhlmann – West 2001, decisiva per lo studio a tutto tondo dei due inni delfici insieme a Bélis 1992 e Furley –

209

West 1992b, pp. 254-73. Cfr. Martin 1953, pp. 27-35 per la divisione del componimento in 6/8 con una diversa interpretazione dei cretici. Contra, Pöhlmann – West 2001, p. 72 sull’“archaic pentatonic effect”.

210 Weil 1893, pp. 569-83 (plate XXI 1.2, con fotografia delle due colonne); Reinach 1893, pp. 584-610;

Powell 1925, pp. 141-8.

211

Monbrun 2007; Graf 2009; Bullock 1985, p. 616.

212 Crusius 1894, pp. 30-31; 33-34; 152-55. 213 Doutzaris 1934, pp. 315-40.

214

Chailley 1979, pp. 154-58. Käppel 1992, che segue Pöhlmann 1970, studia il peana senza fornirne un commento.

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Bremer 2001: i due interventi di West 1992 (da qui 1992a e 1992b, apparso l’uno sotto il titolo di Analecta Musica e l’altro come la grande monografia sulla musica greca), e lo studio ipertecnico di Hagel 2000.215

Detto ciò, scopo di questa rassegna è proporre una lettura alternativa dell’inno di Ateneo tramite un nuovo apparato epigrafico, in grado di supportare lo studio delle espressioni e dei temi ereditati dall’Hymn. Ap., già incontrati per altro nell’apparto intertestuale.

Si è tentato così di riprodurre tutta la storia della lettura e interpretazione dell’inno d’Ateneo, fornendo una visione più organica del testo alla luce di Crusius 1894, Reinach 1909-13, Moens 1930, Pöhlmann 1970, Käppel 1992, Hagel 2000, Bélis 1992, Pöhlmann – West 2001, Furley – Bremer 2001.

In un secondo momento tenterò, partendo da una base materiale, di delineare l’insieme dei significati che dovettero risuonare per associazioni nella mente dell’ascoltatore (technites, sacerdote o ambasciatore che fosse) grazie alla nuova arte del κρέκειν (v. 15): com’è da supporre per l’Hymn. Ap. una cucitura monumentale e difforme di pièces di per sé autonome, che risponde all’atto del ῥαψῳδεῖν, così per il primo inno delfico è a mio avviso da intravedere una modulazione di melodie diverse, scandita da una combinazione (diversa nei tre tempi di esecuzione dell’inno) di ritmo e

contenuti. Con questo significato propongo di interpretare il κρέκει del v. 15, che

letteralmente è traducibile in “percuotere”, “pizzicare216

le corde tramite la πηκτίς’’, ma in senso figurato “eseguire modulando melodie, riplasmando i contenuti del canto”.217

Proprio come ho cercato di fare nel precedente capitolo sui papiri, anche qui mi concentrerò infatti sui significati potenziali del lessico e delle immagini mitiche desunte dall’Hymn. Ap.

Sebbene siano diversi i problemi posti dall’inno d’Ateneo rispetto alla versione dell’Hymn. Ap. (come l’esistenza del tripode ancora prima dell’uccisione della dracena – τρέποδα μαντειεῖον, v. 21 – e il sesso del mostro variato dal femminile al maschile – δράκων,218

v. 22) limiterò la presente indagine alla sola prima strofe dell’Inno e alla natura dei richiami non univocamente legati – a mio avviso – alla sfera di Apollo.

215 Per Ateneo, West 1992a, pp. 1-3, 16-27; West 1992b, pp. 288-93. Hagel 2000, pp. 39-93 per Ateneo,

mentre per Limenio la discussione è ridotta alle pagine 94-98.

216

Sul pizzicato dell’arco in riferimento alla figura d’Apollo, vd. Monbrun 2007, p. 50.

217

Hesych. s.v. κρέκει∙ κιθαρίζει; Suda, s.v. κρέκουσα∙ ἀθλοῦσα (così in Arist., Ucc. 682-4; Theocr,

Epigr. 5). Cfr. Crusius 1894, p. 48; Fairbancks 1900, p. 123; Moens 1930, pp. 34-5.

218 Riporto di seguito i diversi sostantivi, prevalentemente neutri, attestati per la dracena nell’Hymn. Ap. e

nella produzione delfica: δράκαινα (f), δράκων (m), ὂφις (m), θήρ (m), θηρίον (n), τέρας (n), πῆμα (n), πέλωρ (n), Δελφύνην (m/f).

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Anticipo qui l’esempio del βαθύδενδρον, aggettivo che a primo impatto si direbbe riferito alla conformazione fisica dell’Elicona, ma il cui potenziale semantico rimanda ad una sfera dionisiaca, indipendente dalla tradizionale immagine del monte.219 Credo, d’altra parte, che l’inserzione di elementi dionisiaci in una preghiera ad Apollo non sia da vedere anche in elementi intrinsecamente ambigui, che potrebbero pertanto evocare in contemporanea sia Apollo che Dioniso: così è per me il λωτοὸς del v. 14, che sta metonimicamente per lo strumento musicale fatto di legno, ovvero l’aulos.220

Per quanto caratteristico di ambienti votati a Dioniso, l’aulos è storicamente legato all’evoluzione del nomos pythikos, introdotto nel certame pitico dagli Anfizioni nel VI. Ricordo a tal riguardo quanto ci viene detto da Strabone sull’ampliamento dei contesti agonali nel sesto secolo, che previde per l’appunto la formazione di un coro di suonatori di aulos e kithara esperti nella mimesi della vittoria d’Apollo sulla dracena, χωρὶς ᾠδῆς o ‘senza il canto’.221

Detto questo, riporto di seguito il testo dell’Inno, sottolineato nei particolari che saranno poi approfonditi in apparato e nella successiva discussione.

Tit.: [παιὰν καὶ ] εἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ[πόησεν Ἀθ]ήναιος222 [Προμόλεθ’ Ἑλικ]ω ῶν α223 βαθύδενδρον αἳ λά- 1 [χετε, Διὸ]ς ἐ[ρι]βρόμουου θύγατρες εὐώλ[ενοι,] μόλετε συνόμαιμον ἵνα Φοιοῖβον ὠιδαε[ῖ]- σι μέλψητε χρυσεοκόμαν, ὃς ἀνὰ δικόρυν- βα Παρνασσίδος ταᾶσδε πετέρας ἕδραν' ἅμ' [ἀ]- 5 γακλυταιεῖς Δεελφίσιιν Κασταλίδος ἐουύδρου νάματ' ἐπινίσεται, Δελφὸν ἀνὰ [πρ]ωῶνα μααντειεῖον ἐφέπων πάγον.

Tit. ]ιστον θεὸν οσ [ Weil 1893 : [ ]ιστον θεὸν ὁ [ ] Reinach 1893 – 1894 : ἄρ]ιστον θεὸν ὃς[ Crusius 1894 : [ἆισμα μετὰ κιθάρας (?)ε]ἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ [πόησε . Reinach 1909-13 Powell (1925), [παιὰν καὶ προσόδιον ε]ἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ[πόησεν Moens 1930 : [παιὰν καὶ ὑπόρχημα] ε ἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ [πόησε Pöhlmann 1970 : Käppel 1992 : Hagel 2000 : [παιὰν καὶ ὑπόρχημα] εἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ[πόησεν Bélis 1992 : Pöhlmann and West 2001 : [παιὰιν καὶ προσόδιον] εἰς τὸν θεὸν ὃ ἐ[πόησεν Furley - Bremer 2001.

[Προμόλεθ’ Ἑλικ ω ῶν α [ Ἑλικῶ]να Weil : Ἑλικ]ῶνα Reinach : [δ' ἁδύπνους ἐσμος Ἑλι]κῶ[ν]α Reinach: [κέκλυθ', Ἑλικῶ]να Crusius, Moens, [κέκλυθ’ Ἑλικ]ῶ ν α Powell : [κέκλυθ' Ἑλι]κ ῶνα Pöhlmann,

219 Per Dioniso a Delfi, Fontenrose 1959, pp. 374-94. Per il Septerion e le feste pitiche, Fontenrose 1959,

pp. 453-60. Cfr. Detienne 1977, pp. 82-83 per Dioniso mise à mort a Delfi.

220

West 1992b, p. 86.

221 Strab., 9.3.10. Cfr. Paus., 10.7.2-7; Hyg., Fab. 140. Vd. Kyle 2007, p. 138. Per la conformazione della

kithara, Maas McIntosh Snyder 1989, p. 32; Bélis 1985, p. 215.

222

Cfr. Reinach 1894, plate XXV.

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Käppel, Furley - Bremer 2001 : [κέκλυθ' Ἑλικ]ω ῶνα Bélis 1992, Pöhlmann and West : [προμόλεθ’ Ἑλι]κ ῶνα West 1992°, West 1992b, Hagel.

Διὸ]ς ἐ[ρι]βρόμουου λά[χε|τε Διὸς] ἐ[ρι]βρόμουου Weil, Reinach, Crusius, Moens : λά|[χετε Διὸ] ς ἐ[ρι]βρόμουου Pöhlmann, Käppel, Bélis, West 1992° : λά|[χετε Διὸ]ς ἐ[ρι]βρόμουου West 1992b, Hagel, Pöhlmann – West, Furley – Bremer.

θύγατρες εὐώλ[ενοι] εὐώλε [νοι] Weil, Reinach, Powell : εὐώλ[ενοι] Crusius, Moens, Pöhlmann, Käppel (1992), West (1992a), West (1992b), Hagel, Pöhlmann – West, Furley – Bremer.

μόλετε. μόλε[τ]ε Weil, Reinach, Powell : μόλε[τε συ] Moens : μόλετ ε Crusius : μόλετε Pöhlmann, Käppel, Bélis, West (1992a), West (1992b), Hagel, Pöhlmann – West, Furley – Bremer.

δικόρυνβα. δικορύν| ι α aut δικορύν|ε α Weil : δικορυν[ι]α Reinach : δικόρυν[β]α Moens : δικόρυν|βα Crusius, Reinach, Pöhlmann, Käppel, Pöhlmann – West, Furley – Bremer.

La prima difficoltà posta dalla prima strofe è a lungo consistita nella lettura del titolo, che per via dell’inversione della prima colonna con la seconda (inv. 517, 826) è stato spesso letto come parte del testo vero e proprio. Solo a partire da Weil è stata data una soluzione al fraintendimento con la felice restituzione, come parte del titolo, del nome Ἀθ]ηναίος, posto nel punto più alto – nonché più compromesso - della colonna.

Subito dopo, all’inizio della colonna, si legge [ ΩΩΝΑΒΑΘΥΔΕΝΔΡΝΑΙ- -ΛΑ[, successione che ci rimanda alla seconda difficoltà testuale, per noi più importante della prima perché relativa al contesto dell’Elicone.

Tutte le edizioni, anche quella più quotata di Bélis 1992, sono debitrici della prima grande congettura di Weil ([ Ἑλικῶ]να), poi rifinita da Crusius qualche anno più avanti in [κέκλυθ’Ἑλικῶ]να, con preferenza in via secondaria di πρ]ῶνα che si ripeterebbe strategicamente al v. 8.

Trovandoci in una sezione cletica, dovremmo infatti aspettarci un κλῦτε o un κέκλυτε/κέκλυθ', soluzione quest’ultima per cui ha propeso Crusius per ragioni ritmiche. Presente anche in lirica sotto forma di dattilo, κέκλυτ’/κέκλυθ' formerebbe qui insieme alle prime due sillabe del nome successivo un effetto metrico di 5/8, il che sarebbe confermato dalla vicina notazione musicale.224

La lezione che ho scelto qui di riportare è tuttavia quella proposta da West 1992b, poi abbandonata in Pöhlmann – West con un ritorno alla lettura ottocentesca del κέκλυθ’.225

West, non convinto dal doppio omega di Bélis 1992 posto per ovviare alla lacuna (Ἑλικω]ῶνα), ha proposto προμόλεθ’ supponendo così una sequenza di tre sillabe brevi non elise e di cui il μόλετε del v. 3 doveva essere un’eco per re-

224

Cfr. Pind., P. 4.13: κέκλυτε παῖδες.

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inizializzare al canto (fenomeno tra l’altro ben noto nella produzione lirica e tragica).226

Questa soluzione mi sembra supportata dal contesto e dal carattere innografico, prima ancora che cletico, del componimento, e non casualmente nell’inno di Limenio si legge con straordinaria chiarezza all’inizio della colonna ἲ]τε ἐπὶ τηλέσκοπον ταάν[δ]ε Παρ[νασίαν. Certo è che i danni materiali della colonna sono tali da non permettere di arginare le difficoltà di lettura e persino le foto usate da Bélis per la sua analisi autoptica, di più alta risoluzione rispetto a quelle di Pöhlmann 1970, non aiutano.

Detto ciò, mi sembra che già a partire dall’impianto generale della strofe si possa apprezzare una suggestiva interazione con l’Hymn. Ap., soprattutto alla luce del particolare ruolo delle Muse,227 non garanti dell’ispirazione poetica ma attrici all’interno di una scena di movimento.

Si inizia infatti con un’invocazione alle Muse, riflesse nel coro delle giovani di Delfi che compaiono più avanti per attorniare Apollo in viaggio verso l’oracolo, e si chiude con l’arrivo del coro a Delfi e con la performance stessa del canto.

Trovo in particolare significativo il reimpiego da parte di Ateneo della scena olimpica delle Muse e del viaggio dei Cretesi verso Pito nell’Hymn. Ap. per restituire di Delfi, tramite i motivi dell’invocazione e del moto, l’immagine di una località di arrivo. Questo significato è stato spesso sottaciuto dalla critica, propensa a sottolineare della località il carattere ctonio opposto a quello olimpico delio. Sfogliando il contributo fondamentale per l’inquadramento storico, letterario e geografico di Delfi, ossia Fontenrose 1969, si noterà l’impiego della nozione d’arrivo solo per giustificare la curiosa e oscura presenza di Dioniso a partire da un dato periodo storico (“the arrival od Dionysos”: V secolo).228

Ἑλικωῶνα / βαθύδενδρον, 1. Nei primi versi dell’inno Ateneo riconosce come

kosmos delle Muse l’Elicona a fronte del Παρνησὸν νιφόεντα nell’Hymn. Ap. 282

(Ἑλικωῶνα, si noti l’αἳ λάχετε poi trasposto significativamente al v. 17 con Ἀθθίδα λαχὼν riferito alla theoria degli Ateniesi),229

di cui si ha un’interessante assimilazione con Delfi in Euripide - ὦ Πυθίου δενδρῶτι πέτρα Μουσῶν θ’Ἐλικωνιάδων δώματα,

226 West 1990, p. 96.

227 Calame 1986, p. 18 e Mackie 2003, p. 48. Cfr. Il., I 1 ἂειδε θεά; Od. I 1, ἒννεπε Μοῦσα; Erg. 1

Μοῦσαι; Th. 1 Μουσάων Ἒλικωνιάδων ἀρχώμεθ ἀείδειν. Per Pindaro: O., 5.17 (in relazione a Zeus); O., 9.81 (in relazione alle Muse); P., 1.26 (in relazione a Zeus); 4.67 (in relazione alle Muse); Ap. Rh., IV 984.

228 Fontenrose 1969, pp. 374 e ss. 229

Cfr. Plat., Timae. 23d in riferimento ad Atena, ἣ τήν τε ὑμετέραν πόλιν ἒλαχεν; Hymn. Hom. XIX, 6- 7; Strab., fr. 17.4, 18.2, 9.2.25; 10.3.17.

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Herc. 790-1 – e con l’Olimpo e la Pieria in Limenio – Πιερίδες, αἳ νιφοβόλους πέτρας

ναίεθ’Ἑλικωνίδας, l. 2 (il modello è qui Th. 62: τυτθὸν ἀπ’ἀκροτάτης κορυφῆς νιφόεντος Ὀλύμπου).230

Ciò su cui vorrei soffermarmi è il βαθύδενδρον, aggettivo insolito per l’Elicona e forgiato a partire dal βαθύσχοινος usato in Il., IV 383 per l’Asopo. Esso ricorre un numero limitato di volte nella letteratura superstite precedente a Ateneo, 231 eppure un interessante precedente credo sia, a tal proposito, in Bacch., 1138, nella scena di spargimento delle membra di Penteo ὕλης ἐν βαθυξύλῳ φόβῃ.

La sfumatura dionisiaca dell’aggettivo nelle sue rade occorrenze rende l’impiego fatto da Ateneo innovativo.

Il βαθύδενδρον come hapax letterario per l’Elicona, se da un lato può ben adattarsi al

temenos delle Muse alla luce di quanto ci dice Pausania sull’alsos sacro alle Muse

nell’Elicona (Paus., 9. 29.5), dall’altro carica l’immagine di significati quasi stranianti, riproposti poi da Nonno per il τέμενος βαθύδενδρον sacro alle Muse dove sono accampate delle Bacchae (Dionys., XXVII 60).232 Sempre in Nonno si trova inoltre l’aggettivo associato al particolare uso bellico fatto da Dioniso degli alberi: σκιερῆς βαθύδενδρος ἐγυμνώθη ῥάχις ὕλης (Dionys., XLV 203).

ἐ[ρι]βρομουου, 2. Oltre al βαθύδενδρον dell’Elicona, anche ἐ[ρι]βρομουου al

v. 2 contribuisce a caricare la strofe di significati e contenuti dionisiaci. Parte di un verso gravemente compromesso nella sezione iniziale, esso è stato con facilità ripristinato per lo stato ben conservato della parte finale di parola (-βρόμουου) ed è stato accolto all’unanimità dagli editori malgrado la sua novità come epiteto per Zeus.233

Come già negli inni omerici, (εἰμὶ δἐγὼ Διόνυσος ἐρίβρομος, Hymn. Dion. 56) il più delle volte ἐρίβρομος ricorre per qualificare Dioniso (eccezionalmente Efesto in Trifodoro, 232: Ἥφαιστος δ’ἐκέλευσεν ἐρίβρομος),234 e non casualmente a mio avviso compare un βρέμων al v. 14 in riferimento al λωτοὸς (cfr. supra).

230 Moens 1930, p. 14; Bélis 1992, p. 58 ; Furley – Bremer 2001, (II) pp. 86-7. Cfr. Ibyc., fr. 17.24; Alex.,

fr. 9.5; Pind., I., 2.34.

231Weil 1893, p. 577; Crusius 1894, p. 40; Moens 1930, p. 15. 232

Cfr. Dionys. XIII 184, 446; XLV 159-162. Vd. Alcock – Osborne 1994; Sinn 2000; Digna 2007 sull’uso dell’aggettivo per Maratona e Panacro. Un caso isolato è quello in PMG fr. 91, 1.1, in cui l’aggettivo è riferito ad un luogo di sepoltura (βαθυδένδρῳ ἐν χθονὶ).

233 Weil 1893, p. 577; Fairbanks 1900 p. 122; Moens 1930, pp. 15-16. 234

Eur., Cycl. 63; Ion, 216; Pind., Dyth. 75.10: τὸν βρόμιον, τὸν Ἐρίβοαν; Aesch., Eum. 24. Cfr. Chantraine 1968, s.v. βρέμω.

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Per via di Ζηνὸς ἐριβρεμέτεω a Il., XIII 624, meno problematico sarebbe ἐριβρεμέτης per Zeus ma non potendo contestare su un piano epigrafico la restituzione del nesso Διὸς ἐριβρόμου (sia per la chiara incisione di O sul supporto che per coerenza rispetto al θύγατρες εὐώλ[ενοι,]),235 una soluzione per interpretare l’innovazione d’Ateneo consisterebbe a mio avviso nel supporre una sovrapponibilità per suono e sfera di influenza di ἐρίβρομος e ἐριβρεμέτης / ὑψιβρεμέτης (più volte impiegato per Zeus, con una variazione in βαρυβρεμέτα in Soph., Antig. 1116).236

προμόλεθ’, 1; ἐπινίσεται, 7; ἐφέπων, 8. La definizione di un paesaggio per

tradizione apollineo tramite un lessico dionisiaco non è il solo punto che per questa prima strofe merita d’essere considerato.

Vorrei ora considerare la specie d’invocazione alle Muse fatta in questo inno. La pratica di rivolgersi alle Muse non è scontata nella tradizione innografica, considerando che sui trentatré inni della collezione omerica solo cinque ne contengono una: oltre all’Hymn. Herm e Aphr., l’Hymn. Helios presenta un iniziale Μοῦσα Καλλιόπη mentre gli Hymn. Sel. e Diosk. un plurale Μοῦσαι.237

Dato ancora più importante, la tradizione innografica legata ad Apollo manca dell’invocazione alle Muse come di un elemento normativo e formulare, per quanto l’Hymn. Hom. XXV inizi con un esiodeo Μουσάων ἂρχωμαι Ἀπόλλωνός τε Διός τε.238

Prendendo come punto di riferimento l’Hymn. Ap. e considerando la sua struttura come quadripartita (i due veri e propri prooimia, la terza parte che considero come un

peana narrativo, il frame del contento performativo delio, senza considerare i più

piccoli blocchi cuciti insieme), quattro sarebbero stati i momenti ideali per invocare le Muse, le quali compaiono invece solo due volte e con funzioni diverse: al v. 189 come coro divino che partecipa al contesto performativo della seconda scena olimpica, e ai vv. 516-8 come fonte di ispirazione per i Cretesi intonanti il peana.

235

Vorrei anche per questo punto sottolineare l’eccezionalità nel definire le Muse Διὸς... θύγατρες: a fronte dell’espressione ἐννέα θυγατέρες μεγάλου Διὸς in Th. 76, si rileva una netta preferenza per κούραι sia in Esiodo (es.: Μοῦσαι Ὀλυμπιάδες κοῦραι Διὸς αἰγιόχοιο, 56, 966, 1022; κοῦραι μεγάλου Διὸς ἀρτιέπειαι, 29; Διὸς κοῦραι μεγάλοιο, 81) che in Teocrito (es. Idyll. 16: Διὸς κούραις, 1; κουράων ἀπάνευθε Διὸς μέγα βουλεύοντος, 70; Διὸς θυγατέρες, 101-2). Anche negli inni omerici, si definisce la Musa in XIV 1 Διὸς θυγάτηρ μεγάλοιο, in VII 1 τέκνα Διός, in XXXII 1 κοῦραι Κρονίδεω Διός.

236 Per la formazione dell’epiteto, vd. Chantraine 1968, s.v. ἐρι -. Cfr. ἐρίβρομος in Orph. fr. 154, 189;

ἐρίβρυχος in Quint. Smyrn., 3.171; ἐρίγδουπος in Il., V 672 (per Zeus); ἐριβόας in Pind., fr. 75.10 (per Dioniso). Per ὑψιβρεμέτης, vd. Il., I 354, Th. 568; Aristoph., Lysistr. 773.

237

Per Hymn. Herm., Vergados 2013, p. 218. Per Hymn. Aphr., Olson 2012, p. 129. Altre occorrenze dell’invocazione in Il., XI 218 = XIV 508 = XVI 112 = Il. cyc. 1.1, p. 64 Bernabé; adesp. PMG 938 (c); Alcm., PMG 27.1; Hippon. Fr. 128.1 Degani.

238

Di Donato 1999, pp. 139-41. Per l’assenza di un’invocazione alle Muse nel Peana di Aristonico, vd. Powell 1925, pp. 162-4; Käppel 1992, p. 384; West 1992b, p. 139.

84

Nel suo inno Ateneo si rivolge alle Muse con un προμόλεθ’ per incitare il coro a muovere verso Delfi. A fronte del κέκλυθ’ congetturato da West 1992 e accolto poi da Hagel 2000,239 credo che la restituzione del προμόλεθ’ sia qui da preferire per il succedere del μόλετε240 al v. 3, con una ripetizione del comando che serve pragmaticamente a riattualizzare il canto del tema principale (cioè Apollo e Delfi). Bisogna inoltre considerare la particolarità del verbo scelto, che sta ad indicare in realtà molto più del semplice “muovere verso”, espresso d’altra parte dal προέρχομαι con cui spesso προβλώσκω è glossato.241

Col προμόλετε si vuole anzi enfatizzare il momento iniziale del moto e di riflesso il punto, in questo caso geografico, di partenza.242 A ciò si aggiunge l’eccezionalità dell’impiego del προμόλετε in riferimento ad una divinità, per quanto la forma ricorra spesso in poesia offrendo un conveniente anapesto: Ἤφαιστε πρόμολ’ὧδε a Il., XVIII 92; προμολοῦσα Χάρις a Il. XVIII 382; ἐννύχιος προμολών a

Il., XXI 37.243

La volontà dell’esecutore sembra essere stata quella di marcare di Delfi la dimensione di luogo d’arrivo, tanto per i mortali della theoria ateniese quanto per il coro delle Muse, visitatrici dirette all’oracolo dal loro temenos dell’Elicona:244

per questa ragione ho riportato nel testo la congettura δεῦρ’ἲθι, proposta da Colin partendo da Reinach 1909-13 per ovviare alla lacuna successiva all’imperativo e che ben introduce al viaggio verso Delfi narrato ai versi successivi.

In questo senso deve essere interpretato anche l’ἐπινίσεται del v. 7,245

forma composta di νι(σ)σομαι che, indicando con un accusativo (ἐουύδρου νάματ', le acqua di Castalia) il “viaggiare verso” con enfasi posta sul momento dell’arrivo o della visita, riafferma a fine della strofe il motivo dello spostamento verso Delfi, luogo

dell’arrivo, della performance finale e della vittoria sulla dracena.246

239 Contra Pöhlmann – West 2001 a.l. Cfr. Moens 1930, p. 14; Bélis 1992, p. 58, Furley – Bremer 2001,

(II) pp. 86-87.

240 Moens 1930, p. 16; Furley – Bremer 2001, (II) 87; West 1990, p. 96.

241 Apollon., Lexicon 136.23; 170.23; ap. Il., XVIII 392; Hesych. Π 3586 (cfr. 3587 προμόλη∙ ὁδος),

schol. ad Ap. Rh. IV 523.

242

LSJ, s.v. προβλώσκω.

243 Cfr. Od., XV 468; XXIV 388. Si pensi all’impiego che ne fa Apollonio Rodio in scene di sbarco: τότε

προμολόντες ἐπὶ χθονὶ (IV, 523) e a quello di Callimaco, nell’inno a Artemide, per indicare l’aggirarsi della dea tra i campi. Cfr. Theocr., Idyll. 29.40; Anth. Pal., 9.191: οὐκ ἀν ἐν ἡμετέροισι πολυγνάμπτοις λαβυρίνθοις ῥηιδίως προμόλοις ἐν φάος.

244

Cfr. Paus., 9. 30-31. Non si dimentichi che anche Apollo è spesso ritratto nel momento d’arrivo a Delfi, come nel peana di Alkaios.

245 Moens 1930 ; Furley – Bremer 2001 (II), p. 88. 246

Per il semplice νίσ(σ)ομαι cfr. Il., XXIII 75-6; Soph., OC 689; Ap. Rh., IV 281; Theocr., Idyll. 8.43. Cfr. Chantraine 1974, s.v. νέομαι.

85

Proprio a chiusura della strofe incontriamo riferito all’arrivo d’Apollo a Delfi ἐφέπων, anch’esso enfatico del telos, del punto conclusivo di un viaggio, come è ben reso nell’espressione ὃς τοῦτ’ἐφέπεις ὂρος in Pind., P. 1.30 (in Il. VII 52, XXI 100 è il verbo usato quando ci si imbatte nella morte).

Se poi confrontassimo con la dovuta cautela questa occorrenza con quella nel peana d’Aristonoo (σώιζων ἐφέποις ἡμᾶς ὦ ἰὲ Παίαν, v. 47), si noterebbe una coincidenza del telos con il momento epifanico del dio.