• Non ci sono risultati.

Il senso del lavoro in contesti di vulnerabilità L’inclusione lavorativa delle persone più fragili è

2. Identità, senso del lavoro e sostenibilità

Secondo C. Dubar [9] il lavoro è al centro della costruzione e della trasformazione dell’identità dell’uomo moderno. Considerato il rapporto tra socializzazione professio- nale e carriera individuale, la «prospettiva diacronica e longitudinale assume un posto centrale nella sociologia del lavoro e nella sociologia in generale» [9, p.152]. Benché gli individui abbiano differenti modi di considerare il lavoro, per molti è ancora oggi uno dei fattori di maggior influenza nella definizione del sé. L’indagine INSEE [10, 11] sulla costruzione identitaria individuava il lavoro come secondo aspetto in ordine di im- portanza, dopo le relazioni familiari.

Come ogni altra struttura sociale post-moderna anche il mercato del lavoro post- industriale è caratterizzato da cambiamenti rapidi, transizioni sempre più complesse e imprevedibili. Ne deriva che la sfera del lavoro è sempre meno in grado di offrire agli individui punti di riferimento stabili per la costruzione delle loro identità. Per esempio, un numero sempre minore di lavoratori si identifica come parte di un’organizzazione, consapevoli che il rapporto di lavoro, anche quando regolato da un contratto a tempo indeterminato, potrebbe cessare. In altri casi, la necessità di adattamento alla domanda di un mercato frammentato, costringe molte persone a far riferimento a più esperienze di lavoro, il loro sforzo di identificazione diviene immane.

Chi si trova in condizioni di precariato o di disoccupazione di lunga durata o svolge lavori in condizioni non dignitose difficilmente potrà sperimentare un senso di ricono- scimento di sé nel proprio lavoro. Alla domanda su chi sono al lavoro, spesso le persone in queste condizioni rispondono “nessuno”: per quanto concerne la sfera del lavoro, le loro identità sono vuote. Ma la mancanza dell’identità lavorativa contamina anche altre sfere della vita, le relazioni sociali e familiari [7].

Se il lavoro dignitoso non è accessibile alle persone, l’identità lavorativa può essere rimpiazzata da altre forme identitarie, e questa dinamica può condurre tanto ad effetti positivi che negativi per gli individui e per la collettività. L. Sciolla [12] per spiegare le forme identitarie riscontrate in condizioni lavorative precarie ricorre al modello di identità di rete individuato da Dubar, che si basa sull’esplorazione di esperienze brevi, fram- mentarie, ma arricchenti. Ma dobbiamo riconoscere che questo modello riguarda chi ha comunque risorse individuali e sociali spendibili, come ad esempio un alto livello di istruzione. Per i più fragili si delineano identità di margine.

Lo status lavorativo influisce sull’identità personale in termini di percorso professio- nale individuale, che si fa storia di sé, curriculum. L’esperienza lavorativa genera inoltre forme identitarie diverse: l’identità nell’organizzazione, l’identità professionale, l’identità di ruolo, l’identità di lavoro e l’identità di squadra [13]. L’identificazione è più o meno forte anche in funzione della desiderabilità sociale, della rilevanza e del valore socialmente attribuito a un determinato lavoro [7]. Chi svolge lavori meno prestigiosi e gratificanti attribuisce ad essi scarso significato. D’altra parte, le persone con maggiori difficoltà di integrazione difficilmente accedono a lavori altamente considerati e mantengono la loro marginalità anche nella condizione lavorativa più favorevole. In particolare, ci riferiamo a migranti, a persone con lunga esperienza di disoccupazione, persone con handicap o varie forme di disagio, persone fuoriuscite precocemente dal percorso scolastico. La stessa condizione di precariato può essere considerata nel 21esimo secolo una forma di marginalizzazione [14].

Gli studi sulla relazione tra identità e lavoro si sono sviluppati in particolare nell’ambito della psicologia del lavoro, nella formazione e nell’orientamento professio- nale. Essi si concentrano prevalentemente sugli aspetti di resilienza soggettiva, allo scopo di fornire supporto ai singoli più esposti a condizioni non consone all’affermarsi di un’identità positiva in relazione al lavoro. Sono strategie di definizione dei percorsi professionali, di auto determinazione, di consapevolezza e valorizzazione delle proprie capacità e competenze. L'identità può funzionare infatti come una competenza metaco- gnitiva, contribuire all'autodeterminazione, aiutare le persone a gestire i loro percorsi professionali e i loro corsi di vita e supportare il proprio benessere. Persone più competenti, più autonome, autodeterminate hanno maggiori possibilità di accesso a lavori dignitosi a patto che il contesto ne offra le condizioni. Per questo motivo, l'azione a livello individuale, che tiene conto delle caratteristiche personali, deve essere integrata da un'azione a livello sociale, economico e politico [7].

Quando la riflessione sulle prospettive di benessere dei singoli incontra i temi dello sviluppo e della sostenibilità, gli esperti della formazione e dell’aggiornamento profes- sionale si pongono anche interrogativi su quanto sia utile, giusto e opportuno rendere i singoli consapevoli delle condizioni di contesto. Se cioè sia competenza del consulente per l’orientamento incoraggiare il cliente/utente a intraprendere considerazioni di carat- tere etico, impegnarsi per il futuro dell’umanità, contribuire al superamento del lavoro indecente, sviluppare la solidarietà e costruire un diverso modo di lavorare e di scambiare valore [15]. Questo è un altro modo di intendere il senso del lavoro, è una consapevolezza di più ampio respiro e una forma di responsabilizzazione dei singoli rispetto alla loro appartenenza ad una collettività, e più in generale all’umanità.

Connesso tanto alla dimensione identitaria quanto alla concettualizzazione del be- nessere soggettivo è quindi il tema del senso del lavoro [16, 17]. I diversi studi che se ne occupano offrono una gamma molto articolata e sfumata di definizioni [16]. Essi esaminano differenti aspetti: il significato che i lavoratori attribuiscono al lavoro, la centralità, le aspettative e l’investimento personale.

Per misurare il senso del lavoro, sono stati messi a punto diversi strumenti. Uno di questi è il Work as Meaning Inventory (WAMI) [17] che tiene conto di tre aspetti: il si- gnificato psicologico del lavoro, cioè il ritenere il proprio lavoro importante e significa- tivo (Positive meaning); la capacità del lavoro di contribuire alla definizione del senso della vita (Meaning making through work); la possibilità che il lavoro sia un mezzo per raggiungere scopi più alti, anche nei confronti di altre persone e della comunità (Greater

58 Conigliaro P. e Sterpetti S.