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L’autopercezione della qualità della vita Un approfondimento alla ricerca delle determinant

4 Verso nuovi spazi di indagine

Le modificazioni intervenute nel contesto nazionale, le riforme del mercato del lavoro e del quadro normativo che ha accompagnato la riformulazione delle politiche attive e soprattutto il progressivo affermarsi dell’idea di uno scollamento tra occupazione e posto di lavoro, di fatto costituiscono un quadro di riferimento in cui il lavoro sembra affermarsi più per la sua dimensione strumentale che per quella di realizzazione delle proprie aspirazioni, con una riduzione delle aspettative rispetto al periodo pre-crisi [8].

Se dunque per la generazione dei trentenni la reversibilità e la mutevolezza delle condizioni di vita e di lavoro costituiscono il presente entro cui muoversi, sembra utile chiedersi quanta familiarità abbia maturato rispetto alla reale possibilità di rimanere senza lavoro, senza reddito, senza una famiglia durevole nel tempo. Una esposizione al rischio che impatta, da un lato, sulla dimensione progettuale e immaginifica e, dall’altro, sulla valutazione della propria condizione.

In termini di analisi, tuttavia, la questione dunque non è spiegare perché i trentenni siano soddisfatti della propria vita, anche quelli che presentano indicatori di benessere penalizzanti, ma assumere il valore della soddisfazione come spazio per nuove indagini (o approcci alla lettura).

Pur tenendo presente quanto disincantati siano i trentenni intervistati, spesso disposti a fare qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione, con evidenti difficoltà economiche e abitative, con una limitata partecipazione alla società civile, sembra proprio che la distonia tra la loro condizione e la soddisfazione espressa nei confronti della propria vita debba essere assunta come un segnale che attesta che l'immaginario è tutt’altro che morto e che i soggetti continuano a formarsi e a formare un proprio scenario dentro cui proiettarsi e confrontarsi.

È su questo versante che si gioca forse la dicotomia tra l’approccio nella visione intimista della propria storia e la dimensione relazionale, attraverso cui contrastare i fenomeni di marginalità che la condizione economica e occupazionale dichiarata farebbero presupporre.

Sarebbe infatti molto semplicistico sostenere che la coorte presa in esame dichiara di essere soddisfatta della propria vita perché ha un atteggiamento involutivo rispetto alle logiche di mercato o ancora intimista perché si rivolge alle relazioni e alla espressione di sé all’interno di pratiche di scambio e socializzazione familiare. L’analisi delle relazioni e delle reti all’interno del quale sono inseriti dimostra che non è così perché le relazioni familiari hanno un peso sulla soddisfazione solo quando il nucleo entro cui si è inseriti

80 Chiozza A., Mattei L. e Torchia B.

non viene percepito come vincolo ma come risorsa e la soddisfazione cresce all’aumentare delle relazioni sociali [9].

Lo sforzo, valorizzando le biografie e la narrazione delle biografie, è capire quanto gli indicatori della dote familiare, del capitale sociale o relativi all’occupabilità siano utili solo a codificare, prima, e decifrare, successivamente, i comportamenti individuali in funzionamenti di tipo economico e di messa a valore delle scelte compiute e delle relazioni in atto [10]. Questo sforzo interessa in misura preponderante una politica che dovrebbe fare delle misure inclusive un fattore di qualità e che non dovrebbe smettere di confrontarsi anche e soprattutto con utenti più deboli nel loro livello di capacitazione, nella dimensione competitiva e in contesti di deprivazione tanto emergenziali da minare la dignità della persona.

È evidente, comunque, che fra le ipotesi affrontate di certo l’idea che le risposte descrivessero e quantificassero il fenomeno dell’abitudine al peggioramento e il regresso

delle aspettative [11] non potevano rimanere estranee. Una delle giustificazioni di tanta

soddisfazione cioè poteva riferirsi al fatto che, di fronte a una popolazione che sempre più spesso esprime aspettative decrescenti, basate su previsioni negative, sulla percezione di essere esposti a un rischio diffuso e ricorrente (di povertà, sicurezza, precarietà, ecc.) e sulla certezza (o paura) che il futuro riserverà meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare fino agli anni pre-crisi (dalla qualità abitativa, ai percorsi di carriera che sempre più spesso presuppongono mobilità orizzontali e non più verticali), la filosofia del quanto

basta [12], figlia dell’arretramento coatto - e non della sazietà – potesse essere talmente

diffusa da generare giudizi positivi perché sostanzialmente acritici.

Continuando ad assumere il lavoro proprio per la sua nuova natura frammentata e occasionale, come elemento privilegiato per rappresentare il paradigma contemporaneo di socializzazione [13], i trentenni presi in esame dicono che la soddisfazione per la propria vita può essere slegata dalla condizione occupazionale, dal reddito e dalla necessità di costruire un nucleo familiare nuovo.

Eppure, la questione delle risorse rimane centrale, ma, sembrerebbe, più per quel che riguarda le risorse ereditate che quelle proprie o comunque attivate direttamente dall’individuo.

Quello che invece si presenta ancora come un interrogativo aperto su questo tema è se la coorte dei trentenni creda e sia convinta di avere ancora dei diritti e dunque si rechi in visita al CPI esibendo il diritto della propria richiesta o se invece si muova, sebbene nel solco della normativa vigente, sul piano degli adempimenti e sposti il fulcro e il senso dell’agire in un altrove che rimane intangibile per ogni misurazione, ma che può mostrare i contorni proprio a partire dalla relazione (che in questo caso si esplica attraverso la visita al CPI quale interfaccia delle politiche sul territorio).

Poiché l’idea che ci possa essere un sé e una crescita del sé senza società è ormai superata, è dunque nelle modalità di interazione tra individuo e società, e nell’alleanza multidisciplinare delle analisi, degli indicatori e di chi raccoglie e fornisce informazioni e dati che si aprono spazi inediti di interpretazione del benessere.

Riferimenti bibliografici

[1] Gosetti G., (2009), La società dei lavori, FOR Rivista per la formazione, Franco Angeli, Milano

[2] Chiozza A., Mattei L., Torchia B., Toti E., (2018) Grado di soddisfazione degli

pubblicazioni/Documents/Nota-tecnica-indicatore-grado-di-soddisfazione-utenti- CPI.docx.pdf

[3] Galimberti U., (1999), Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Feltrinelli, Milano

[4] Chiozza A., Mattei L., Torchia B., (2016), Realtà e disincanto, in T. Canal (a cura di), L’Italia fra Jobs Act ed Europa 2020. Rapporto di monitoraggio del mercato del

lavoro 2015, Isfol, I Libri del FSE, Roma (pp.248-281)

[5] Chiozza A., Mattei L., Torchia B., (2017) Ai confini di una generazione, in S. Alfieri, E. Sironi, Una generazione in panchina. Da NEET a risorsa per il Paese, Ed. Vita e Pensiero, Milano

[6] Mutti A., (1998), Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna

[7] Lin N., (2005), “Verso una teoria reticolare del capitale sociale”, in Sociologia e

politiche sociali, n. 8-1

[8] Reyneri E., (2007), “Lavori e lavori nel contesto italiano”, in A. Perulli (a cura di),

Il futuro del lavoro, Halley editrice, Matelica

[9] Di Nicola P., (2006), Dalla società civile al capitale sociale. Reti associative e

strategie di prossimità, Franco Angeli, Milano

[10] Chicchi F., Simone A., (2017), La società della prestazione, Ediesse edizioni, Roma [11] Finzi E., (2012), Felici malgrado, e comunicare.

[12] De Masi D., (2018), Lavorare gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei

disoccupati, Bur, Milano

[13] Chicchi F., (2012), Soggettività smarrita. Sulle retoriche del capitalismo

L’intensità dell’attività fisica degli occupati