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futuro, e si affermi così quel tempo che si voleva negare Cfr su questo punto le profonde e

II. Ieropatia e innocenza.

«Ricordo che una volta, per strada, vidi una bambina di non più di sei anni, tutta stracciata, lurida, scalza, e che era stata picchiata: il corpo che si intravedeva tra gli stracci era ricoperto di lividi. Andava come dimentica di sé, senza affrettarsi in alcun luogo, e sa Dio per quale motivo gironzolasse tra quella folla: forse aveva fame. Nessuno le prestava attenzione. Ma quello che sopra ogni altra cosa mi colpì fu che camminasse con una tale area di dolore, con una tale irrimediabile disperazione sul volto, che il vedere questa creaturina che già recava su di sé tanta maledizione e disperazione era persino in qualche modo innaturale e tremendamente doloroso. Continuava a fare oscillare la testa arruffata da una parte all’altra, allargava le braccine, gesticolando, e poi improvvisamente intrecciava le mani e le premeva sul petto nudo. Tornai indietro e le allungai un mezzo scellino. Ella afferrò la monetina d’argento e mi guardò negli occhi in modo selvaggio, con stupore timoroso, e all’improvviso si gettò in avanti correndo con tutte le forze, temendo che le riprendessi i denari».251

Testo stupefacente. Occorre tentare di individuarvi qualcosa di più del patetico racconto di un moralista e cioè la presentazione quasi parossistica, ma capace in questo senso di andare al di là di ogni pateticità, della debolezza dell’angelo. Povertà, al di qua di ogni povertà, nuda debolezza, impotenza già di «chi mangia le bucce». Entrando in campo come il povero, l’angelo è da pensare come il “debolissimo”, vittima offerta a chi vorrà essere il suo carnefice, esposto a tutti i colpi che gli si vorrà infliggere. Descrizione, evocazione, di quel «fuori- natura» che è lo spazio della miseria, del fuori-mondo in cui erra la bambina. (nel caso della citazione riportata) Ad essere in gioco è la privazione di un soggiorno, di un mondo da abitare. In questo non-luogo, in un certo senso, non accade niente, o nulla che non sia perfettamente insignificante. Come si spiega, in effetti, il

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F.M. Dostoevskij, Zimnie zametki o letnich, Zarogodnij, Moskva 1864, trad. it. di S. Prina, Note

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ritornare di Dostoevskij sui propri passi, e che cosa è quella monetina donata in preda ad una ben comprensibile emozione? Tuttavia il passo indietro è compiuto ed il mezzo scellino è dato senza che nulla costringa il narratore. Tale gesto di «carità» è ancora da essere compreso. Nasce senz’altro dalla pietà; ma che cos’è, ancora, questa «pietà»? Perché una tale pietà possa manifestarsi è necessario che il volto della bambina, il volto del “povero”, dell’angelo, divenga «voce di fine silenzio»252 che non solamente piega o curva l’io, ma ne interrompe anche il corso, ne interrompe l’ordine e l’ordinamento, fa così nascere la pietà e porta infine a compiere il gesto caritatevole. Lo sguardo problematizzante toglie l’uomo dalla sua securitas oggettiva, animale, della protezione di monsieur tout le monde e lo costringe ad osservare con occhi diversi, nuovi. Si rivela una fondamentale distinzione tra i personaggi immersi nel conformismo sociale, divenuti meccanici e dunque irrilevanti per la vita dello spirito e della conoscenza ed i personaggi fluidi, interessanti dal punto di vista psicologico e conoscitivo. Questi ultimi sono, abitualmente, uomini senza radici, perduti, falliti, prostitute, ubriaconi, oppure esseri che ancora non hanno conquistato una compiuta figura sociale, come i bambini. Proprio in questi esseri posti al margine del conformismo sociale si attua la possibilità di uno sguardo diverso. I fanciulli, in particolare, rivestono una importanza che di solito gli interpreti non hanno posto nel dovuto rilievo. Essi rappresentano la sfera presociale in cui lo spirito è libero, disponibile, aperto alla verità ed ai valori, non ancora rattrappito in una ortodossia di impressioni e valutazioni. Il principe Myškin ha nei fanciulli i suoi migliori amici. Egli dialoga con loro schiettamente e seriamente, convinto che «al fanciullo si può dire tutto». Nei rapporti tra i grandi e i piccoli, Myškin, (Dostoevskij), è convinto che i grandi non conoscono i piccoli, che i padri e le madri non conoscono i loro figli.253

252 L. Pareyson, Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, cit., p. 92. 253

«Ai fanciulli» egli dice «non si deve nascondere nulla col pretesto che son piccoli e che è troppo presto perché essi sappiano. Che triste e malaugurata idea! E come i ragazzi stessi si avvedono che i padri li considerano troppo piccoli e incapaci di capire, mentre essi capiscono tutto! I grandi non sanno che un fanciullo, anche in un caso difficile, può dare un consiglio di molta importanza. O Dio! Quando vi guarda quel grazioso uccellino, con aspetto fiducioso e felice,

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Più che insegnare ai fanciulli, sono i fanciulli che insegnano a noi. «Grazie alla compagnia dei fanciulli l’anima si risana».254

I fanciulli «sanno già la verità», per qunato si cerchi di nasconderla loro, e per tale motivo è bene parlare loro schiettamente.255

I fanciulli compaiono sempre come i portatori di una vitalità immediata, fresca, istintivamente orientata verso la verità e i valori. La loro crudeltà, le loro cattiverie, le loro animosità, o sono la testimonianza di una innocente animalità non ancora giunta alla distinzione tra il bene e il male, o sono il riflesso dell’ambiente sociale che preme negativamente su di loro, o sono l’espressione di un interiore tormento, di un’intima mortificazione ed offesa che si traduce e si scarica in quelle forme.256

La fanciullezza si configura come una categoria ideale e non come un semplice dato cronologico, un’atmosfera di schiettezza e di purità che emana da alcuni personaggi, quelli che Nikolaj Berdjaev chiama i «chiari» in antitesi agli «oscuri», agli uomini tormentati dalla demonicità, avvolti nel groviglio delle contraddizioni e incapaci di dominare armonicamente la antinomicità della loro natura.257