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superamento, una ulteriore e più disperatamente provocatoria affermazione) Nodi, questi, che il

vescovo Tichon coglie con una prontezza pari alla discrezione cui nulla fa più torto che l’insinuazione di Stavrogin: «Sentite, io non amo le spie e gli psicologi, quelli che mi frugano nell’anima». (Tichon in realtà trasferisce il discorso, in modo impareggiabilmente delicato, dal piano psicologico al piano, secondo l’espressione berdjaeviana, pneumatologico. Cfr. N. Berdjaev,

La concezione di Dostoevskij, cit., pp. 15 sgg. Tichon riconosce senz’altro che il documento è

dettato «dall’esigenza di un cuore mortalmente ferito». F.M. Dostoevskij, I demoni, cit., p. 791.

227 Ivi, p. 794.

228 Ed è precisamente di questo assoluto amoralismo che Šatov lo accusa: «È vero che voi avete

assicurato di non saper trovare differenza di bellezza tra un atto di sensualità bestiale e un gesto nobile qualsiasi, anche magari il sacrificio della vita per l’umanità? È vero che voi avete trovato in tutti e due gli estremi una coincidenza di bellezza, e un piacere uguale? (…) Nemmeno io so perché il male sia brutto e il bene sia bello, ma so perché la sensazione di questa distinzione si cancelli e si perda in uomini come Stavrogin». F.M. Dostoevskij, I demoni, cit., p. 504.

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affetti e dei pensieri, incapacità di slanci e di abbandoni, distacco dalla vita, non per ascetismo ma per sazietà, scetticismo radicale e profondo. Si tratta di quella noia, di quell’accidia, di quel vuoto spirituale che è il peccato principale da cui viene tutto il resto, e di cui si legge nel taccuino dei Demoni: «Indispensabile mostrare che la noia è sempre presente». Si tratta dell’attività che, per essere svuotata dall’assenza di limite di norma e quindi di scopo e di intento, gira ormai a vuoto, «senza più nessuna sensazione di piacere, unicamente per una spiacevole necessità, apaticamente, pigramente e anzi con noia».229

In sostanza, Stavrogin nel romanzo non c’è: è presente come un sole che tramonta oltre l’orizzonte. Questa sottrazione a tutto ciò che accade nel romanzo, questa sua rimozione in un passato che potrebbe anche non essere mai esistito, questa sua mortificazione fu notata per la prima volta da Sergej N. Bulgakov: «L’eroe della tragedia -si legge in lui- è sicuramente Stavrogin; a lui fanno capo tutti i pensieri del romanzo, ma in realtà egli non c’è».230

Secondo Bulgakov, il fatto che «in realtà egli non c’è» indica che Stavrogin è un figlio del non essere e quindi anche un servo dell’Anticristo. Tale concetto trova conferma nell’affermazione dello stesso Stavrogin al metropolita Tichon cui dichiara che «crede canonicamente nel proprio demonio».231

Stavrogin contempla inattivo e come morto il suo volo. Sul suo torpore mortale lo scrittore si sofferma più volte nei Demoni, osservando la meccanicità dell’anima di questo personaggio ed il «marionettismo» del suo corpo. Qualsiasi moto dell’anima di Stavrogin può, proprio come uno stantuffo, far saltare in

229 L. Pareyson, Dostoevskij, cit., p. 35. Le persone che l’avvicinano credono di trovare in lui delle

ricchezze misteriose; interpretano la sua indolenza come l’immobilità del drago che cova a guardia di tesori nascosti, come il profondo silenzio che precede la rivelazione di qualcosa d’immenso. E qualcosa di simile affiora davvero. Non è l’aspirazione alla scienza o alla cultura ma qualcosa di più profondo: una nostalgia infinita, un sogno di bellezza. Anche nell’aspetto fisico Stavrogin presenta qualcosa di eccessivo: «I suoi capelli erano un po’ troppo neri, gli occhi luminosi un po’ troppo tranquilli e chiari, il colorito del viso un po’ troppo bianco, delicato, i denti come perle e le labbra come corallo; sembrava bello come un angelo, ma, al tempo stesso, aveva in sé qualcosa di ripugnante». F.M. Dostoevskij, I demoni, cit., p. 92.

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S.N. Bulgakov, La scala di Giacobbe sugli angeli, Lipa, Roma 2005, p. 36.

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avanti per poi tornare di nuovo indietro. Romano Guardini osserva che dietro la meccanicità di Stavrogin si sente l’immobilità di uno scheletro. E a tale meccanicità della morte si aggiunge la meccanicità del letargo. Il torpore mortale di Stavrogin, almeno al primo sguardo, contraddice la multiformità del suo animo e la contagiosità delle sue idee. Kirillov chiede a Stavrogin di non dimenticare ciò che ha rappresentato per lui nel passato. Šatov lo colpisce in viso per il fatto che egli ha tanto significato nella propria vita. Verchovenskij gli bacia la mano, lo chiama “sole” e dinanzi a lui si sente un verme. Di fronte alla passionalità di tali affermazioni involontariamente torna alla mente la meraviglia di Aleksandr Blok per il fatto che:

Al morto è dato di generare la parola in cui infuria la vita.232

E infatti, come va interpretato il fatto che Stavrogin -che secondo le parole di Bulgakov è inesistente- sia la forza motrice dell’intreccio e dello sviluppo ideologico del romanzo? Nel porre questo interrogativo ci si avvicina all’ultimo segreto di Stavrogin. Ritengo che tale segreto consista nella perdita totale della propria personalità, cioè della custodia della somiglianza dell’uomo con Dio. Testimoniano tale perdita sia l’affermazione di credere solo nel diavolo (che si dedica sin dalla notte dei tempi a recidere il legame tra l’uomo e Dio), che tutta la sua così impersonale e multiforme attività provocatrice o meglio, forse, la sua provocante inattività. L’approfondito sistema teologico di Nikolaj Kuzanskij che S. L. Frank ha posto alla base della propria interpretazione dell’ortodossia poggia sull’unità degli opposti (coincidentia oppositorum).

Secondo l’insegnamento del mistico e studioso, per quanto contraddittori possano essere i pensieri espressi su Dio, essi possono essere sempre conciliati, in quanto tutte le contrapposizioni e persino le contraddizioni umane si estinguono sulla ineffabilità di Dio che si trova al di sopra di tutte le contraddizioni. Tale insegnamento, fondato su una profonda esperienza mistica, è, naturalmente, in

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totale contrapposizione con la prassi stavroginiana di mescolare idee e teorie d’ogni sorta. La differenza consiste nel fatto che Stavrogin, il quale non crede in Dio, non ha esperienza di quel luogo mistico in cui tutte le contraddizioni possono essere estinte e riconciliate. Nella sua anima tutte le concezioni da lui professate vivono senza poter trovare una conciliazione, come forze ostili. Per Nikolaj Kuzanskij tutte le affermazioni sono, in ultima analisi, giuste perché la verità è inesprimibile, mentre per Stavrogin sono giuste perché non esiste nessuna verità inesprimibile. Ma dove non esiste verità, non esiste neanche menzogna: domina l’assoluta indifferenza verso tale differenza. In tal modo, la mistica della teologia negativa si trasforma nel cinismo della demonologia positiva.

L’anima di Stavrogin, in preda ad un torpore mortale, distaccata dalle radici dell’essere, anela alla vita e all’azione, cose di cui per la propria natura e per il cammino già compiuto nella vita, è incapace.

Per soddisfare tale brama essa si incarna in altre figure e, poiché non crede in alcuna idea, avvelena con le proprie menzogne i cuori e le coscienze dei suoi vari doppi; nel godere spudoratamente del proprio potere quest’anima devastata sente di stare vivendo. Ma tale illusione di potere sulla vita sfuma inesorabilmente, e il fatto che essa sfumi fa sprofondare il provocatore dai molti volti nel non essere.233

La cosa più importante di cui occorre tener conto è che in lui il male viene rappresentato non nella sua forma attiva, ma solo come conseguenza nefasta di una devastazione spirituale. In realtà,non sembra accettabile l’idea, sovente portata avanti da diversi studiosi, secondo la quale sarebbe opportuno cercare in Stavrogin qualche manifestazione attiva di questo male. Si tratta,piuttosto di un

233 Sia Kirillov che Stavrogin si suicidano. Ma il significato del suicidio di Stavrogin è diverso. Il

primo superuomo o, per usare la terminologia dostoevskijana, il primo uomo-dio si spara perché non ha preso coscienza del suo amore per il Salvatore. Stavrogin si lega il cappio al collo perché prende coscienza della sua fede canonica nel demonio. «Nei personaggi e nelle sorti di Kirillov e Stavrogin, eroi diversi, ma legati dialetticamente, Dostoevskij ha rivelato la natura anti divina della rivoluzione bolscevica che iniziava a nascere sotto i suoi occhi». F. Stepun, I «Demoni» e la

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uomo senza alcuna passione, inclinazione o proposito, benché sia una persona piena di forze e di possibilità. Proprio nella potenzialità di queste forze che non si manifestano risiede la sua ambiguità. Ma cosa fa di male e di cattivo contro l’etica e la religione Stavrogin in quanto figura centrale del romanzo? La sua vittima è Liza; ma si può dire che egli sia stato attivo nella sua distruzione o non è forse stata lei a gettarsi sotto i suoi colpi come sotto una pietra che precipita dall’alto senza pietà? In realtà, tutto il male di Stavrogin non è nell’azione del romanzo ma nel passato: è un uomo che ha già chiaramente voltato le spalle al male, un uomo che nulla ormai può più sedurre e che quindi, in questo senso, si trova sulla via della guarigione.

È vero che egli interrompe tale via con il suicidio, ma il giudizio religioso sul suicidio è un problema estremamente sottile e complesso. In ogni caso, il punto di vista religioso deve tener conto non solo di come viene interrotta la vita umana, ma anche della direzione in cui stava procedendo tale vita dopo l’ultima svolta. Relativamente a Stavrogin, bisogna constatare che vi era stata una chiara svolta dal male. Naturalmente, in tale svolta non vi è nulla che implichi un avvicinamento al bene. Si tratta del punto zero dell’indifferenza in cui l’uomo diventa privo di energia vitale. Se non è una vittoria del bene, non è però neanche una vittoria del male, è un gioco finito in parità sul piano empirico dell’esistenza. E sulla continuazione di tale gioco nel mondo dell’al di là si può affermare solo una cosa: “ignorabimus”.

Che Dostoevskij non potesse vedere il maximum del male nella vita, nel principio individuale della natura umana è un asserto confermato anche sul piano teorico.234

Nel peggiore dei casi, l’esito del male individuale è un fuoco spento che non può accendersi di nessuna fiamma come avviene nel caso di Stavrogin. Non è qui

234 Scrive Stepun riguardo a questo punto: «Ogni individuo, per quanto forte possa essere, è

sempre una entità troppo piccola dinanzi alle forze della storia. Le forze individuali del male trovano il proprio limite o in qualche ostacolo insuperabile del destino individuale o in un inevitabile disincanto, nella noia della vita». Ivi, p. 138.

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che si può prevedere la vittoria del male, ma nella fiamma che è costantemente accesa e che divampa per l’afflusso di nuovi materiali combustibili. Tale fiamma sempre rinvigorita e inestinguibile è rappresentata nella storia dell’umanità da un altro tipo di male. È il quarto e più nefasto, che può essere definito come male sovraindividuale di origine trascendente.235

È un male che Dostoevskij sentiva e che è stato da lui rappresentato? Se si accetta l’esistenza di questa convivenza tra il turpe e il sublime, tra la corruzione e la santità, nessun uomo è mai interamente buono o interamente cattivo. I valori e i disvalori si mettono vorticosamente in movimento e, tratti fuori dall’alveo in cui li pone il giudizio corrente e superficiale, perdono la loro fissità e trapassano scandalosamente l’uno nell’altro. Nel delinquente si scopre la bellezza spirituale, nell’uomo buono la belva in agguato. In realtà si conclude alla non-esistenza di un tipo univoco di uomo, si chiami esso delinquente o uomo buono. Sarebbe equivoco ed erroneo affermare che lo scrittore intendesse esaltare il delinquente, la prostituta, l’ubriacone, sebbene il luterano “pecca fortifer” dovesse, in ultima analisi, non dispiacergli.

Dal momento che gli opposti convivono nell’uomo, in un dialogo tormentoso o in guerra continua, poiché le forze che compongono l’entità uomo sono molteplici e compresenti, la risultante di questo parallelogramma di opposti e di forze diverse non è mai chiara o evidente. Si prenda in considerazione, come esempio, il caso di Raskol’nikov: in nessun momento della sua storia egli è solo nell’errore, nella perversione; al fondo stesso della sua colpa logica ed etica vi è un grande pensiero, il bisogno ardente di compiere delle opere a beneficio dell’umanità; è pieno di nobili slanci verso gli umili, gli infelici; in nessun

235 Ibidem. Eppure, questo processo è del tutto inconcluso e rimanda ad altro. Difatti, in esso viene

in chiaro come il nichilismo abbia la sua spina nel fatto di non potersi sciogliere dal rimando sia pur negativo alla positività. Sostenere che tutto è possibile come sostiene Stavrogin (precisando e completando anticipatamente la celebre formula di Ivan Karamazov, precisandola cioè nelle sue implicazioni gnoseologiche oltre che etiche) suona per il senso e la sua unità come un’operazione liquidatoria; ma appunto si tratta di un’operazione che, a mio giudizio, mentre fa il vuoto, si rovescia su di sé e si consegna alla paralisi, all’impotenza dello stare nel mezzo, alla medietà del non essere «né freddo né caldo».

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momento della vicenda appare sotto sembianze odiose o ripugnanti, perché si avverte sempre in lui una coscienza in lotta, una intelligenza acuta in movimento. La dialettica è presente in ogni momento della storia degli uomini e non la si desume soltanto dall’epilogo, quando è avvenuta una conversione o una catarsi. Il principio stesso della Vielschichtigkeit dell’uomo, della staticità del suo essere, fa comprendere che gli strati componenti entrano in urto ad ogni istante determinando il conflitto delle tendenze.236

Marmeladov, in Delitto e castigo, è un ubriacone, (questa è la sua etichetta sociale) ma tra i fumi del vino il suo cuore vibra su tonalità di profonda tenerezza. Sonja è una prostituta, sui suoi documenti vi è una stampigliatura che la classifica inesorabilmente, ma Sonja ha la dolcezza di Myškin, la fermezza di Alëša, la bontà di una santa, e tutti i suoi interpreti hanno sottolineato concordemente la bellezza cristiana della sua figura. Gli ergastolani della Siberia sono uomini come tutti gli altri, capaci anche di sacrificio, di umiltà, di purezza. Gli uomini ufficialmente per bene, come il generale Epančin, Lužin, si rivelano capaci di grandi bassezze e sprovvisti di senso morale. Il sensuale Mitja, l’uomo che incarna simbolicamente fin nel nome (Dmitrij-Demetra) gli attributi della terra, la potenza vitale, il dinamismo elementare, l’assenza di ogni principio personale e paziente, l’irritabilità, Mitja, l’uomo che trascinato dalle passioni non conosce argini e sfiora ripetutamente il delitto e il parricidio; Mitja, il violento ubriacone dedito agli stravizi, ha una tendenza non meno forte verso il bene, è nobile e fiero, generoso, schietto. Ivan, l’intellettuale scettico, è interamente un Karamazov, avido di vita, sensuale, e il suo intelletto oscilla e si tende sempre tra gli opposti pali del senso e dell’amore. Egli nega Dio, la morale, il dovere, è corresponsabile

236 A queste osservazioni si può aggiungere ciò che Remo Cantoni scrive nel suo studio

dostoevskijano del 1948: «Lo sguardo dell’intelletto, costruttore di schemi d’uso sociale, semplifica il giudizio sugli uomini e li riassume in uno schema: l’ubriacone, la prostituta, l’assassino, l’ergastolano, il gentiluomo, il professionista, il prete, il sensuale, l’intellettuale, il mistico. Nel mondo dostoevskijano, dove il personaggio non è mai schematizzato dall’esterno ma rivissuto simpateticamente dall’interno, cadono tutti questi schemi e queste formule». R. Cantoni,

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del parricidio, ma i tormenti del suo pensiero sono di natura elevatissima, metafisica ed escatologica, e la sua negazione, fondata per metà sulla disperazione, anche se erronea, è il tormento religioso di uno spirito nobile. Anche in alcune figure di santi, l’iter percorso, dal vizio alla santità, dalla dissolutezza alla virtù -come in Zosima, nel visitatore misterioso, in Markel’ fratello di Zosima- comprova che il misticismo non si ottiene per sottrazione degli impulsi vitali e tellurici ma è una polarità costante dell’esperienza umana che è in continua tensione dialettica tra gli opposti, perché l’uomo è l’essere dialettico per eccellenza, l’essere in continuo movimento, una traiettoria vivente e straordinariamente complessa.

Questa continua dialettica che nasce dalla convivenza degli opposti, dal loro fluttuare spesso disordinato ed inconscio, si esaspera negli uomini in preda a tale movimento vorticoso senza capacità di conferire ad esso un significato e una direzione. Ne nascono alcune figure enigmatiche, personaggi da sottosuolo, o da “menippea” intrisa di spirito carnevalesco -se si vuole adoperare il linguaggio bachtiniano- perché non è possibile stabilire qual è il loro centro, la loro legge di movimento, il fine che si propongono nell’esistenza. Intere opere sono concepite sotto il segno dell’enigmatico, come l’Adolescente. Non è dato di sapere con esattezza cosa voglia l’«adolescente” e neppure con certezza chi sia Versilov, la figura enigmatica e centrale del romanzo, verso cui tutti sono protesi in uno sforzo inteso a decifrarne il mistero. Nell’Adolescente, che,a parere di Berdjaev è una delle opere più significative di Dostoevskij, tutto si aggira intorno alla personalità misteriosa di Versilov, centro di un campo magnetico di forze che sono, volta a volta, attratte o respinte da lui. «Tutti -osserva Berdjaev,- hanno solo un pensiero: chiarire il mistero della sua personalità, del suo strano destino. Le contraddizioni del carattere di Versilov colpiscono tutti. Nessuno può trovar pace se prima non

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ha risolto il mistero del suo carattere. Questo appunto è l’“interesse” vero, serio, profondamente umano da cui tutti sono occupati».237

La stessa enigmaticità è rintracciabile nella figura stavroginiana, forza smisurata, formidabile ma disordinata e arbitraria. Anche in tal caso non si sa chi egli sia veramente, che cosa voglia, perché si abbandoni alla sregolatezza, perché i congiurati ripongano tante speranze in lui. Egli attrae magicamente tutti per la potenzialità infinita che è in lui, per il mistero racchiuso in questo suo poter essere qualsiasi cosa; ma il fatto stesso che non sia possibile indicare la legge cui obbedisce la sua natura vulcanica, che non sia rintracciabile una linea di continuità nella sua esistenza, dimostra che il suo essere è il luogo di tutte le contraddizioni, il bacino collettore di tutte le tendenze. Nessun imperativo etico presiede il corso della sua vita in cui domina soltanto l’arbitrio, l’impulso, la suggestione dell’attimo. La molteplicità delle tendenze non si raccoglie nell’unità di una direzione e non si subordina alla coerenza di una norma. L’enigmaticità, l’equivoco, costituiscono quella che Cantoni delinea come la “cattiva infinità”, la “falsa dialettica”238, la molteplicità perduta in se stessa che non è più ricchezza ma dispersione. La personalità si corrompe poiché non si incunea altro che nel proprio arbitrio, distruggendo l’ordine gerarchico delle tendenze. Sussiste la personalità del bene, ma è morta la capacità della scelta, della selezione, della discriminazione. L’abbandono alla falsa infinità finisce col dissociare la personalità. Stavrogin mette a nudo il gusto dell’alienazione, della colpa, della bestialità, della crudeltà, verso gli altri e verso se stesso, e, in genere, dipinge le

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N. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, cit., p. 43. «Da che cosa è occupato l’”Adolescente”, il figlio illegittimo di Versilov, di che s’affanna da mattina a sera, dove corre di continuo senza respiro e senza posa? Per giorni interi corre dall’uno all’altro, per conoscere il “mistero” di Versilov, per risolvere l’enigma della sua personalità. Tutti sentono la personalità di Versilov e tutti sono colpiti dalle contraddizioni della sua natura. A tutti salta agli occhi la profonda irrazionalità del suo carattere. Si impone il vitale problema di Versilov. È il problema dell’uomo, del destino umano. Perciò nel carattere complesso, contraddittorio, irrazionale di Versilov, nel destino di quest’uomo non comune, si cela l’enigma dell’uomo in generale». Ivi, p. 44.

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volute della coscienza illecita che solo la miopia della retorica edificante può