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I.

Titanismo, temerarietà, viltà.

André Gide, richiamandosi a Dostoevskij, pone l’accento sugli elementi caotici e torbidi dell’anima, sulla coesistenza nell’uomo di sentimenti contrastanti, sul pluralismo anarchico della coscienza che non sempre l’intelligenza riesce a dominare. Lo scrittore si ferma sugli aspetti demoniaci dell’opera dostoevskijana sostenendo che «coi buoni sentimenti si fa la cattiva letteratura».338

Il côté demoniaco di Dostoevskij assume per Gide un peso e un significato particolari. L’indagine che Gide dedica all’uomo del sottosuolo mira a sottolineare l’impossibilità di affermare che la legalità dell’universo e l’universalità della ragione siano presenti nell’uomo al punto da guidarne più o meno infallibilmente e costantemente la condotta: all’armonia dell’universo l’uomo può preferire la distruzione al punto che contro tutti i miti ottimistici della ragione e del progresso non si può contestare la presenza del demoniaco nella vita dell’uomo. Scrive Gide: «Tutto al mondo è perfetto, tutto è innocente, meno l’uomo. L’uomo è talmente corrotto che, mentre a governare l’universo basta la sola legge naturale della conservazione, l’uomo è invece sottoposto a tutti i disordini che gli provengono dal fatto che in lui l’istinto della distruzione è altrettanto presente che quello della conservazione».339

338A. Gide, Dostoevskij, Plon, Paris 1923, p. 49.

339 Ivi, p. 51. Su questo argomento si svolge una significativa discussione fra i visitatori del

principe Myškin: «Il semplice istinto della conservazione non basta forse? L’istinto della conservazione è infatti la legge normale dell’umanità? –Chi ve l’ha detto? È una legge, quest’è vero, ma altrettanto normale quanto la legge della distruzione e forse anche dell’autodistruzione (…) – Si, signori, la legge dell’autodistruzione e la legge dell’autoconservazione sono egualmente forti nell’umanità! Il diavolo avrà ugualmente il dominio della umanità sino alla fine dei tempi, che ancora ci è ignota. Non credete al diavolo? La negazione del diavolo è un’idea francese, un’idea frivola. Sapete chi è il diavolo? Sapete il suo nome? E non sapendo neppure il suo nome, sull’esempio di Voltaire ne deridete l’aspetto esteriore, il piede forcuto, la coda e le corna che voi stessi avete inventato, giacché lo spirito impuro è uno spirito grande e terribile, anche senza il piede forcuto e le corna che gli avete attribuito». F.M. Dostoevskij, L’idiota, cit. p. 207.

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Nell’uomo del sottosuolo la conoscenza del bene e l’azione cattiva possono essere simultanee, anzi lo sono.340

Tali sono anche i Karamazov, simbolo di una umanità demoniaca e angelica insieme, destinata alla perdizione e alla salvezza, all’abiezione definitiva e alla redenzione finale nella sofferenza. Il mondo non è armonia e razionalità, ma contiene la presenza del demoniaco, e la sua condotta non è regolata da criteri che oltre che giudicarla la garantiscano nei suoi esiti, ma è governata dall’arbitrio, che talvolta può giungere a una franca e deliberata volontà di male. Da ciò appare chiaro che quest’ultima non è soltanto la debolezza e la fragilità dell’uomo, vale a dire la sua facilità, anzi inclinazione, a cedere agli istinti irresistibili, ai desideri prepotenti. La realtà è qualcosa di assai più potente e imponente, poiché è frutto d’una forza vigorosa e robusta, qual è la presenza efficace del demoniaco da una parte e la risoluta volontà dello arbitrario dall’altra. Si assiste alla instaurazione positiva di una realtà negativa, e la decisione di una libertà illimitata desiderosa di affermazione di là da ogni legge e da ogni norma. Con tutta una gamma di sfumature che nei romanzi va dai personaggi ignobili ed abietti, che traggono un vile piacere dalla loro stessa degradazione, fino ai personaggi superiori che consumano con risoluto titanismo il delitto, e rimangono annientati da quella stessa decisione che nel loro intento avrebbe dovuto affermarli al di sopra di sé e della legge.341

340 «Da che cosa è dipeso che, come a farlo apposta, proprio in quegli stessi momenti in cui io ero

maggiormente in grado di capire tutte le finezze “del bello e del sublime” mi accadeva di non capire e di commettere tali brutte azioni, quali tutti forse le commettono, ma che a me capitava di commettere proprio quando ero maggiormente in grado di capire che non bisognava commetterle? Quanto più io capivo il bene e quel “bello e sublime”, tanto più profondamente affondavo nel mio fango e tanto più mi ci introgolavo». F.M Dostoevskij, Zapiski iz podpol’ja, Kudhoz, Moskva 1864, trad. it. a cura di E. Guercetti, Memorie dal sottosuolo, Garzanti, Milano 1989, p. 18.

341 Già a partire da La mite (1876), racconto fantastico inserito nel Diario di uno scrittore, ci si

imbatte nella figura di un «radicato ipocondriaco, di quelli che parlano da soli», di un uomo avvilito da una esistenza di umiliazioni e stenti, di un risentito che sente il bisogno di «vendicarsi della gente». Per salvarsi dal tormento interiore di essere stato dimenticato e respinto da tutti, sposa una fanciulla povera, una mite ragazza di sedici anni che egli tortura col proprio temperamento chiuso ed egoista, con le sue manie da sottosuolo, con il suo desiderio tortuoso di essere adorato come un essere superiore. Questo suo temperamento ambiguo ed oscuro, incapace di un rapporto umano schietto, finisce coll’esasperare la giovane moglie, che, in un attimo di

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Generalmente gli studiosi, seguendo il loro temperamento e le loro preferenze, si fermano su un solo aspetto dell’opera dostoevskijana, sul suo côté demoniaco o su quello angelico, sull’uomo sotterraneo o su Myškin, su Ivan o su Alëša, mentre in realtà è l’itinerario dialettico tra i due momenti che offre il tracciato del destino dell’uomo. Il sottosuolo è la maledizione della solitudine, è una sfera ambigua in cui si scopre la propria intimità ritraendola dalla disperazione del mondo, ma è anche l’orizzonte tragico della propria solitudine, la cella in cui si è murati e da cui si deve uscire, perché l’uomo è naturaliter orientato verso gli altri e la infrazione a questa legge di natura si paga con lo squilibrio psichico e con la nevrosi.342

V’ è dunque una dialettica, cioè un ciclo di svolgimenti e trapassi che obbediscono a una loro interiore legge di movimento, ma tale legge non è neppure quella del progresso fatale per cui lo spirito si identifica con la missione civilizzatrice dell’uomo. La dialettica dostoevskijana, applicata soltanto all’uomo, è quella del salto qualitativo di kierkegaardiana memoria.343

L’uomo è l’essere che soggiace alla tentazione, che si logora nelle passioni e nei vizi, ma la sua umanità derelitta e mortificata dal peccato, avvilita nella abiezione e nella colpa, trova o può trovare il proprio riscatto in un salto etico, attraverso un processo di interiorizzazione che dischiude un senso nuovo dell’esistenza. La critica di tipo “vitalista”, da Stefan Zweig ad André Gide, ha