• Non ci sono risultati.

II,3 Percorsi di emancipazione da ieri a oggi Qualcosa è cambiato?

Col fuire degli eventi storici e dei cambiamenti profondi della società occidentale cambia anche il modo di vedere e considerare la figura femminile, e le rappresentazioni artistiche rispecchiano questi cambiamenti, anche se finiranno per essere più attinenti alla forma che alla sostanza. Ciò che viene espresso nell'arte e nella pittura in particolare è il risultato dell'interazione profonda e spesso inscindibile dello spirito di un'epoca, delle trasformazioni storiche, economiche e sociali, dei costumi e delle idee, dei linguaggi, delle mode, e poiché la pittura elabora tutto ciò attraverso le forme e la rappresentazione o la trasfigurazione della realtà, per comprendere la visione della donna e la storia della sua emancipazione culturale e sociale, dobbiamo far riferimento alle caratteristiche epocali nella loro successione ed evoluzione.

Nella pittura e nelle arti, la rappresentazione della figura femminile, secondo i canoni del Romanticismo, aveva assunto agli inizi dell'Ottocento una dimensione idealizzata, collocando la donna in ruoli limitati ai sentimenti familiari, amorosi, sentimentali. Sparita la donna delle barricate, l'immagine femminile (almeno quella della donna borghese), viene costretta, anche negli abiti, nelle crinoline, nei busti, metafore della sua prigione.

A fine secolo nuovi fermenti agiscono nello scenario europeo e mondiale, portando nuove aperture nella condizione femminile. In seguito alla rivoluzione industriale, pur con molte contraddizioni e ostacoli, intorno al 1890 si delinea per la donna un nuovo ruolo, quello della “donna operaia” ancora legata alle funzioni tradizionali di moglie, casalinga e madre ma ormai immessa nella realtà economico-produttiva, quindi destinata a una politicizzazione che soprattutto al Nord del nostro Paese, con il costituirsi dei gruppi di donne socialiste, spingerà alla mobilitazione e allo sviluppo di forme di solidarietà e di assunzione di ruoli attivi nello scenario politico. In pittura, al contrario, si afferma la corrente dei Preraffaelliti, che trascende la figura femminile a un ruolo di donna-simbolo, mediazione tra cielo e terra, simile alla Beatrice dantesca, figura magica e ieratica, riecheggiante lo stile tardo-gotico medievale e primo rinascimentale del Trecento e Quattrocento. Una figura malinconica e spirituale, animata da una accurata ricerca estetizzante, ma una donna a suo modo protagonista, il corpo finalmente libero da costrizioni, i vestiti ampi e drappeggiati, i capelli sciolti e selvaggi, al centro della Natura che le fa da cornice, un'immagine dai connotati simbolici e psicologici che, anche se mantengono i caratteri estetici del periodo vittoriano di fine Ottocento, descrivono la donna come portatrice di poteri interpretativi e magici e la dipingono come donna fatale, ammaliatrice, libera e discinta, padrona del suo corpo, dalla duplice personalità angelicata o perversa.

John William Waterhouse, Circe invidiosa, 1892, Adelaide, Art Gallery of South Australia.

La donna preraffaellita anticipa i tratti e i ruoli che saranno gli stessi delle donne dell'alta borghesia del primo Novecento ispirate dal Futurismo: donne raffinate e colte, socialmente liberate, che guidano le prime automobili, donne pilote di aerei e paracadutiste, che fumano e ostentano comportamenti fino ad allora riservati ai maschi. Caratteristiche negate alla donna del popolo, il cui ruolo rimane ancorato ai doveri familiari di sposa e madre e donatrice di figli alla Patria.

L’inizio del ‘900 e la Grande Guerra segnano la fine di un’epoca e, nel generale sconvolgimento del vecchio mondo, si consolidano i mutamenti che vedono cambiare anche la percezione dei ruoli femminili. Anche se esistono interpretazioni opposte sul significato che la prima guerra mondiale rivestì per l’emancipazione della donna europea, è

innegabile che essa

“(…)abbia costituito per le donne un’esperienza senza precedenti di libertà e responsabilità.”39

Gli effetti più evidenti e più significativi della guerra (al di là del fatto che sul piano della divisione del lavoro, della supremazia dei ruoli maschili e, in generale, della gestione dei poteri pubblici la realtà rimase invariata), si verificarono riguardo ai mutamenti della morale e del costume. La donna dei primi decenni del '900 acquisisce una maggiore libertà

“(…)di comportamento e di movimento, appresa nella solitudine e nell’esercizio delle responsabilità. Liberata dalle pastoie del busto, dagli abiti lunghi e attillati, dagli ingombranti cappelli e talvolta dagli chignon (si inaugura il taglio “à la garconne”), il corpo femminile può muoversi(…)questa rivoluzione del quotidiano(…)implica un diverso rapporto con il corpo o con se stesse…al pari degli uomini, le donne sanno ora che la felicità è fragile, e che è meglio abbandonare una morale della rinuncia e del riserbo per vivere giorno per giorno.”40 .

Nel 1901 nascono i primi giochi sportivi non ufficiali per le donne, e nel primo decennio del nuovo secolo, per le donne delle classi più alte della società europea e statunitense, si stabilizza un reale processo di emancipazione nei costumi e nei comportamenti. Questo processo subisce una battuta d'arresto negli anni fra le due guerre, quando si verifica in Europa una “crisi di transizione”, un apparente stallo del movimento di emancipazione femminile, che culminerà negli anni Venti; in Italia, l’associazionismo femminile e la problematica della donna sarà gestita da allora in avanti dall’ideologia fascista.

Il Fascismo impone il modello patriarcale, riconducendo l'immagine e il ruolo delle donne nell'ambito della famiglia, idealizzata come luogo formativo dell'”uomo nuovo”. Alla donna viene concesso il diritto di cittadinanza sociale in quanto madre, sposa ed educatrice, mentre le si nega ogni altra possibile emancipazione fuori da queste funzioni (salvo,

39 Thébaud F., La grande guerra, in Duby G., Perrot M., Storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Laterza, Bari, 1996, p. 45. 40 Ivi, p. 80.

come abbiamo detto, alle donne delle alte classi sociali). L'azione contraddittoria del patriarcato fascista che se da un lato segrega la donna in casa negandole l'accesso alla vita pubblica, dall'altro la vuole partecipe alle manifestazioni di massa, porta le donne italiane, anche se in dimensione elitaria, a manifestazioni di dissenso.

“Alla fine degli anni ’30 un numero crescente di studentesse universitarie, vedendo nel regime sempre più invecchiato un ostacolo alla realizzazione delle proprie legittime ambizioni di carriera, iniziò ad abbracciare il marxismo e le ideologie sociali cattoliche.”41 Guerra e Resistenza videro la massiccia partecipazione delle donne e costituirono una importante esperienza comunitaria, anche se non specificatamente femminista, ma tale partecipazione non valse al riconoscimento sociale di un nuovo “status” femminile.

“Quando arrivò il giorno di celebrare le vittorie della Resistenza il contributo delle donne fu in generale “taciuto”. La nuova Repubblica, pur ammettendo una parità formale sul mercato del lavoro e concedendo alle donne il voto, conservò la legislazione penale e familiare, oltre agli innumerevoli costumi sociali e comportamenti culturali residui dell’era fascista.”42

Per tutto il corso del Novecento, la pittura rappresenta la donna secondo modelli che vanno dalla donna colta, alla donna angelo del focolare, alla femmina mondana, trasgressiva e sensuale fino alla contadina curva sui campi o alla donna operaia nella fabbrica. E questo si osserva nelle diverse correnti, da quella del Realismo, dell'Impressionismo e in Italia nei Macchiaioli.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, il dopoguerra con gli anni Cinquanta segna allo stesso tempo un avanzamento dell'indipendenza delle donne dal punto di vista delle opportunità rese possibili dall'avanzamento del benessere economico-produttivo. La casalinga si avvantaggia di strumenti che la liberano dai lavori più faticosi, si aprono nuove possibilità di studio e di accesso alle professioni riservate prima agli uomini, ma in generale la condizione femminile non si riscatta dall'asservimento a una mentalità che strumentalizza e prevarica la donna che rimane comunque oggetto e non soggetto della

41 Ivi, p. 171. 42 Ivi, p. 173

sua vita: nel sesso, nell'immagine sociale e mediatica, nella morale comune, fortemente infuenzata, specie in Italia, dalla religione.

La donna colta

Federico Faruffini, La lettrice, 1865, Milano, Galleria d'Arte Moderna.

L'angelo del focolare

L'operaia.

Angelo Morbelli, Per ottanta centesimi, 1895, Museo Civico Borgogna, Vercelli.

La contadina.

La libertina.

Vittorio Matteo Corcos, Giovane dama con cagnolino, 1895, collezione privata.

La “rivoluzione” sessantottina e il movimento studentesco e operaio porteranno a una nuova rifessione sulla condizione femminile, che verrà inserita in una più ampia politicizzazione delle problematiche sociali e diventerà parte di una contestazione generale, gestita sempre e comunque al maschile: la donna, accanto al compagno studente, operaio, sindacalista, teorico, rivoluzionario, ecc., costruirà la propria coscienza di classe, ma sarà ancora lontana, in Italia, dal riconoscimento di un’identità autonoma che definisca il diritto, il valore e il significato del suo essere altro rispetto al mondo maschile. Questo riconoscimento avverrà in parte e faticosamente negli anni Settanta, grazie ai movimenti femministi e attraverso le conquiste civili del divorzio e dell’aborto, che provocheranno una vera e propria rivoluzione dei costumi in un’Italia ancora

largamente cattolica e culturalmente e socialmente orientata (nel sistema educativo, nelle istituzioni pubbliche, nei contenuti massmediali), sui valori della famiglia e sulla divisione sessista dei ruoli.

Nel panorama storico dell’associazionismo delle donne, il femminismo degli anni Settanta costituì senza dubbio un momento di fondamentale significato, un movimento di rilevanza mondiale, in cui la voce femminile riuscì nella società occidentale, per la prima volta, ad incidere sull’opinione pubblica e sui centri di potere.

“I segni di questa rinascita femminista si potrebbero scorgere in una vasta gamma di fenomeni(…)ci si potrebbe concentrare, più che sugli eventi pubblicizzati dai media, sui loro effetti politici. Si noterebbero, allora, le massicce dimostrazioni che contribuirono ad imporre cambiamenti nei programmi dei sistemi politici spesso recalcitranti –come quelli che accompagnarono la campagna per la liberalizzazione dell’aborto in Italia -oppure le numerose leggi riformiste riguardanti le “questioni femminili”- che diversi paesi approvarono negli anni ’70 e ’80.”43

Anche le stesse opposizioni al movimento finirono in realtà per contribuire alla sua diffusione, e in tutti i paesi, compresi quelli in via di sviluppo, vi fu una grande mobilitazione femminista, un fiorire di conferenze e una presa di posizione di organismi internazionali che, come l’ONU, attirarono l’attenzione sui problemi delle donne, finalmente a livello ufficiale.

“Oltre a ciò, parve che l’emergere del femminismo, come forza politica, avesse annunciato –e forse provocato- significative ridefinizioni di schieramenti politici e assetti istituzionali ormai obsoleti. Gli osservatori coniarono il termine “gender gap” non per riferirsi al sostegno, tradizionalmente maggiore di quello della loro controparte maschile, che le donne davano ai partiti conservatori e alle loro linee politiche, ma piuttosto per indicare il loro spostamento verso forze politiche più liberali o tendenti a sinistra.”44

Il femminismo costituì il parametro della politica associazionistica femminile fino ai primi

43 Duby G., Perrot M., Storia delle donne in Occidente, dal Rinascimento all'età Moderna, Laterza, Bari, 1991, pp. 564, 565. 44 Ivi, p. 566.

anni Ottanta: tutte le aggregazioni di donne dell’epoca, anche quelle che se ne discostavano dichiaratamente, si misuravano e si confrontavano con esso, dibattendo alla fine le stesse tematiche e portando avanti la duplice questione, divenuta discriminante in seno allo stesso movimento femminista, se cioè si dovesse lottare per l’uguaglianza dei diritti con l’uomo o per affermare la diversità della donna. Nel tentativo di definirsi su uno di questi obiettivi, il femminismo si divise in opposte fazioni. Rimase in parte arroccato su posizioni estreme, soprattutto fu assimilato all’interno dell’associazionismo politico di sinistra (in special modo nell’Unione Donne Italiane), o formò correnti di altro genere, più tendenti al privato, nella forma di gruppi impegnati in attività culturali, sociali, di approfondimento introspettivo, spesso realtà sommerse negli ambiti strettamente locali, ancora poco conosciute e studiate.

Quello che conta non è comunque definire il femminismo ma individuarne il significato, che è riconducibile allo stesso filo conduttore che collega con continuità tutta la storia del movimento di liberazione e di assunzione di identità della donna, filo che assume diversa colorazione e conformazione a seconda dei periodi storici, dei confitti sociali, delle forme di politica e di governo, e che ritroviamo espresso nell'arte e in pittura come senso del disagio femminile, della condizione di una donna che rimane oppressa e compressa dalle strutture sociali e dalla supremazia maschile mai risolta.

La conquista di una cittadinanza di genere, di una effettiva parità di ruoli pur nella loro differenziazione psicologica sostanziale, è ancora lontana dall'essere raggiunta, cittadinanza che presuppone il pieno riconoscimento e la legittimazione di quei valori, come sottolinea Chiara Saraceno,

“(...)valori e bisogni, sociali e individuali, di cui le donne, avendone portato da sempre la responsabilità, conoscono l’importanza per una vita veramente umana(…)”45

Ma l’accettazione e la rivendicazione dell’identità di genere si rivela in realtà un’arma a doppio taglio, poiché di per sé il riconoscimento della differenza lascia sempre invariato lo stereotipo del genere femminile come genere più debole, e ciò comporta, dal punto di vista sociale, nel migliore dei casi, la messa in atto di politiche di tutela, che sottolineano

appunto la debolezza (e quindi danno per scontata l’inferiorità) delle donne. Questa posizione di tutela rappresenta la posizione dei paesi europei “del benessere”46

In questo caso, la donna rimane sempre nella sua vecchia condizione di subordinata: di cittadina, si, ma di cittadina di serie B, in quanto all’autonomia, perché bisognosa di aiuto e protezione. Secondo il criterio della tutela, infatti, le donne

“(…)sono trattate come minori e non con uguale rispetto. Sono un gruppo debole che merita certe forme di protezione; bisogna garantire loro la compatibilità di maternità e lavoro, ma non già di una carriera, non già di una vita pubblica, non di promozione complessiva delle loro aspirazioni e aspettative, come gruppo e come singole persone.”47 Le politiche alternative al riconoscimento delle differenze sono quelle della parificazione e della dilatazione delle opportunità, come quelle condotte negli Stati Uniti, dove al riconoscimento della differenza di genere si preferisce sostituire il principio di parità fra i sessi, nel senso che la donna può fare le stesse cose di un uomo.

Lasciando invariati i valori e i ritmi maschili, si favorisce così la creazione di una specie di “superdonna”: le possibilità offerte alla donna in questo caso appaiono direttamente proporzionali al suo grado di mascolinizzazione, al potenziamento delle sue capacità di sapersi misurare e di saper competere con l’uomo.

Non è un caso la nascita, in queste società (e di rifesso in tutte le culture occidentali compresa la nostra), dei moderni miti delle eroine-guerriere dei cartoons e dei video giochi, donne-rambo, figure significative quanto inquietanti che si propongono come nuovi modelli femminili alle giovani generazioni, dove la femminilità rimane solo espressa nell’esaltazione degli attributi sessuali esterni, mentre per il resto prevalgono atteggiamenti e valori maschili (abilità, destrezza, coraggio, uso della violenza e delle armi, ecc.).

Entrambe le vie, quella della tutela e quella della presunta parità, non appaiono risolutive in merito al problema dell’emancipazione femminile, se si intende quest’ultima come conquista di nuovi spazi di espressione, di partecipazione sociale, di espansione

46 Galeotti A. E., Cittadinanza e differenza di genere. Il problema della doppia lealtà, in AA.VV., Il dilemma della cittadinanza, diritti e doveri delle donne, Laterza, Bari, 1993, p. 207.

umana e creativa dell’universo femminile, dove finalmente emerga una donna dotata di una sua personale identità. Ciò comporterebbe, infatti, una totale revisione e ricostruzione dei modelli socio-culturali di riferimento, e soprattutto una decostruzione critica dei contenuti e dei messaggi dei media.

Perché l’identità di genere, nell’attuale situazione, non si riveli un’altra gabbia, tanto da creare nuovi pretesti per continuare a perpetuare non solo la prevalenza del ruolo maschile, ma la distanza tra pubblico/privato (dove pubblico è maschile e privato è femminile), è necessario che la sua affermazione diventi un fattore propulsivo finalizzato al cambiamento, in senso etico, politico e culturale, all’interno della società, più precisamente all’interno delle sue istituzioni educativo-formative, normative ed economiche. E’ attraverso la rivalutazione in ambito pubblico, ad esempio, della sfera del privato, che la differenza di genere può acquisire e veder riconosciuta la propria dignità, nel senso di “(…)riconoscimento pubblico del valore sociale delle pratiche privatizzate nella sfera domestica(…)”48

Fin qui la realtà della differenza di genere ha significato per la donna anche dover affrontare un’altra serie di problemi relativi al rapporto con se stessa riguardo alla costruzione della propria identità e al senso di autostima. Il profondo senso di sfiducia e insicurezza derivano dalla mancanza di autonomia, dall’essere costantemente posta in lotta e in competizione con le altre donne, con se stessa e perfino col passare del tempo per difendere l’unica moneta di scambio riconosciutale dal mondo maschile: la bellezza e l’attrattiva sessuale.

Accanto a questo, pesa sulla condizione femminile il persistere di una doppia necessità di presenza, la divisione schizofrenica dei ruoli di donna privata e di cittadina neutra, la mancanza di supporti e di servizi sociali che garantiscano l’alleggerimento delle responsabilità familiari. La competizione con il potere maschile sul piano dei ruoli pubblici è poi impossibile a sostenere, a meno di non rinunciare al proprio genere diventando essa stessa un maschio: la donna sperimenta così tali e tante difficoltà e si trova di fronte ostacoli tali da non poter nemmeno usufruire delle pari opportunità affermate di principio dalle istituzioni, e perde la fiducia e la stima in se stessa.

L’ambiguità delle risposte sociali alle rivendicazioni della donna di un suo posto nella

sfera del pubblico e la possibilità di acquisire, nella sua specificità di genere, un potere contrattuale e di mercato pari a quello maschile, risulta poi evidente se consideriamo l’immagine del femminile assunta e diffusa dai media e anche dalle rappresentazioni dell'arte, in letteratura, nei film, nella pittura. E’ qui in particolare, infatti, dove trionfa la violenza della discriminazione e del potere maschilista, nella maniera più sfacciata e allo stesso tempo più subdola, perché tale modello di immagine viene mostrato alla donna come la sola possibile via di affermazione e di successo pubblico, il modo più facile e diretto di conquistare indipendenza e autonomia economica tramite un’operazione di vendita di se stessa e della propria immagine ridotta ad oggetto di consumo estetico e sessuale.

Il messaggio dei media è che il valore della donna è concentrato solo sull'immagine del corpo. La donna giovane e bella può vendere agevolmente la propria immagine (e non solo), e il denaro le porterà automaticamente autonomia e rispetto (il rispetto attribuito dalla società non naturalmente alla persona, ma agli oggetti materiali acquistabili col denaro).

Si raggiunge così il culmine dell’ambiguità e della contraddizione di una società che da un lato, sul piano teorico-istituzionale, porta avanti serie rifessioni sulla condizione femminile e sulle pari opportunità, mentre nella realtà del quotidiano e nella pratica dei rapporti umani incoraggia, spesso con la condiscendenza delle stesse donne, il perpetuarsi di meccanismi di sfruttamento.

Il modello femminile che si propone attraverso la pubblicità, l'arte e le arti mediali, appare infatti reificato, relegato, come lo era prima nella dimensione del privato familiare, nella dimensione altrettanto chiusa del pubblico mercificato della moda e dello spettacolo, in un ruolo appariscente quanto effimero e illusorio che, comunque, è sempre modellato e controllato dal desiderio dell’immaginario maschile.

Accanto a questa realtà, dove la differenza di genere è esaltata e omologata per essere meglio venduta e consumata, si fa strada poi l’idea che l’autonomia, l’affermazione e l’affrancamento dalla schiavitù di genere si riduca in fondo ad una questione di denaro: fare soldi, non importa come, sembra costituire per la donna l’obiettivo primario e l’unità di misura su cui costruire l’autostima e l’identità.

Il nodo della questione a questo punto è: in che modo la società permette alla donna di realizzare tale obiettivo, che è lo stesso perseguito dal maschio? Raramente sono aperte alle donne, salvo qualche eccezione, le vie dell’alta finanza, delle carriere politiche e pubbliche, della ricerca scientifica. Raramente, cioè, la donna consegue l’obiettivo del