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Fino al 1300 circa: Le finestre consistono in aperture piccole e lunghe, senza

comunicazione tra esterno e interno, fungono solo da elementi architettonici (bifore, trifore), è assente la metafora dell'apertura alla luce e allo spazio; le simbologie suggerite dalle finestre sono esclusivamente religiose, a carattere ieratico; talvolta porte e finestre ad arco diventano contenitori di immagini sacre, spesso buie e chiuse. (vedi esempio di 2 dipinti di Giotto: S. Francesco appare al Capitolo di Arles (vita di S. Francesco) e l'Annunciazione del polittico di S. Reparata).

Giotto, S. Francesco appare al Capitolo di Arles, Affresco, 1295/1299, Basilica di S. Francesco, Assisi.

Storia.

Cimabue fu l'autore della prima fase di affreschi, iniziati nel 1277. L'arrivo del pittore portò gli artisti fiorentini nelle committenze papali. Il ciclo di affreschi sulle Storie di S. Francesco subì un arresto per la controversia tra due fazioni religiose dei Conventuali e degli Spirituali. La posizione degli Spirituali, che si rifiutavano di arricchire il culto francescano in nome della povertà, prevalse fino al 1288, o forse, secondo alcuni storici, anche fino al 1296, quando ripresero gli affreschi sulla vita del Santo.50

La tradizione vuole che Giotto, allievo di Cimabue, giungesse ad Assisi nel 1296 chiamato dal generale dell'Ordine Francescano Giovanni Minio da Morrovalle.

La questione dell'attribuzione a Giotto del ciclo di affreschi sulle Storie di S. Francesco è ancora comunque abbastanza controversa e non risolta.

L'opera in questione fu restaurata nel 1798, e in una relazione dei lavori al Papa Pio VII da parte dell'abate Carlo Fea, archeologo ed esperto di restauri, pubblicata nel 182051, viene riferito del grave stato della scena, che risultava all'epoca del restauro appena leggibile, e che fu restaurata grazie a un disegno, oggi scomparso, fornito dall'arcivescovo di Siena.

Nel 1260 il capitolo Generale riunito a Narbonne affidò a San Bonaventura da Bagnoregio, teologo e Ministro Generale dei Francescani dal 1257 al 1274, il compito di scrivere una nuova biografia ufficiale di San Francesco, che avrebbe dovuto sostituire le tre precedenti, commissionate a Frà Tommaso da Celano: la prima (1228-29) dal papa Gregorio IX, e la seconda e la terza dai Ministri dell'Ordine Crescenzio da Jesi (1246- 47) e Giovanni da Parma (1252-53)52. Lo scopo della sostituzione era quello di pacificare le suddette controversie all'interno dell'Ordine, per riportare le due fazioni a una visione unificatrice e pacificatrice, e per esaltare la spiritualità mistica di san Francesco, come sottolinea la studiosa Chiara Frugoni:

“Bonaventura volendo accentuare, rispetto alle biografie precedenti di Tommaso da Celano, il misticismo di Francesco, moltiplicò i suoi digiuni(...)”53

Per questo si provvide a distruggere le precedenti tre biografie, mentre la nuova biografia, scritta in latino, fu approvata e formalmente ufficializzata col titolo di Legenda Maior nel 1266 dal capitolo Generale di Parigi.54

Data la scarsità di strumenti divulgativi, all'epoca gli scritti e i documenti venivano tramandati soprattutto attraverso la tradizione orale (racconti, prediche), raramente trascritti su pergamena in forma di sonetti o laudi, e ci si avvaleva quindi spesso delle arti figurative (affreschi, pitture) collocate nei luoghi più adatti alla loro diffusione,

51 Cfr. Fea C., Frammenti di Fasti Consolari e Trionfali Ultimatemente Scoperti nel Foro Romano e Altrove Ora Riuniti e Presentati alla Santità di N. S. Pio Papa Settimo, Roma, 1820.

52 Cfr. Zanardi B., Il cantiere di Giotto. Le Storie di san Francesco ad Assisi, Skira Editore, Milano, 1996, p. 249.

53 Frugoni C., L'ombra della Porziuncola nella Basilica Superiore di Assisi, Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-Institut, Firenze, 2001, p. 346.

come in questo caso, la Basilica costruita sopra la tomba del Santo.

Il ciclo in questione, composto di 28 episodi, è una narrazione che, con intento agiografico, ripete i testi della Legenda Maior e si articola in tre momenti: dal primo al settimo episodio narra della fondazione dell'Ordine e della benedizione con cui il papa Innocenzo III riconosce la Regola; dall'ottavo fino al ventunesimo ripercorre la vita del Santo fino alla sua morte; negli episodi dal 22° al 28° si illustrano gli eventi avvenuti dopo la morte di San Francesco. Ogni campata della navata superiore ospita, raggruppandoli, tre o quattro episodi uniti per analogia tematica. Le soluzioni architettoniche e decorative (colonne, pilastrini, cornici e mensole), creano effetti trompe-l'œil accentuando il “rapporto illusorio tra architettura vera e architettura dipinta(...)e ne costituisce uno degli elementi di maggior capacità unificatrice, oltre che di maggiore novità.”55

Giuseppe Basile rileva la speciale attenzione posta nel raffigurare i corpi umani come fossero architetture, o solide rocce, e in tal senso sono dipinte le figure dei frati nel Capitolo di Arles:

“Questo carattere “plastico” della pittura del ciclo francescano viene ulteriormente evidenziato dall'impiego, nella figura umana, di tinte generalmente piuttosto “basse” e “monotone”, quali del resto consentiva la diffusissima presenza del saio francescano, a tinta unita per quanto non ancora unica, ma anche -nonostante l'apparente contraddizione- dall'uso di tinte accese e dissonanti, soprattutto nelle architetture, teso esso pure a conseguire risultati di massima evidenza plastica e volumetrica, dato che il contrasto delle tinte serve a sottolineare il contrapporsi dei piani in quei corpi, veri e propri solidi geometrici.”56

Plasticità e forme che vanno a costituire quasi una “architettura dei corpi” si evidenziano anche nella seguente figura, riportata nella già citata opera di Bruno Zanardi57, in cui vengono analizzati i particolari per uno studio sulla cronologia delle giornate della realizzazione della pittura.

55 Ivi, p. 7. 56 Ivi, p. 12.

Descrizione:

E' la diciottesima scena di un ciclo di 28 scene che raffigurano la vita di San Francesco, attribuite a Giotto.

“Il tema è inscenato entro una profonda sala gotica: essa è come una vera e propria scatola prospettica in forte scorcio, ove l'esattezza della misura delle singole membrature contrasta con l'”errore” dello spigolo che sembra sporgere al di qua del piano della parete. I frati sono anch'essi disposti misuratamente entro lo spazio, attorno a sant'Antonio, in una straordinaria varietà di espressioni e di sfumature del bruno; tutte figure fortemente robuste, come blocchi di pietra.”58

In questa “sala dall'architettura gotica”, dove i frati sono riuniti al Capitolo di Arles, appare in una visione San Francesco, al centro della scena, irreale ma allo stesso tempo

“materializzata”, grazie al prolungamento della veste fino a terra, come se il Santo fosse in piedi sul pavimento. Francesco appare tra due arcate con bifore, proprio davanti alla porta centrale da cui si scorge una tettoia esterna in legno, inclinata. Il capo è circondato da un'aureola, la figura si erge con le braccia aperte e alzate, in atteggiamento accogliente e benedicente. Di tutti i frati presenti, seduti sulle panche, sembrano avere la visione solo due: S. Antonio da Padova, l'unico in piedi che sta predicando, e Frà Monaldo, seduto alla sua destra.

La figura di S. Antonio è attribuita sicuramente a Giotto, mentre il resto dell'affresco si pensa sia stato eseguito dal secondo capobottega, forse il pittore romano Pietro Cavallini per la tipica coloritura dell'incarnato dei volti.

L'episodio narrato ricalca quello contenuto nella biografia ufficiale del Santo (“Legenda Maior”, IV, 10), e L'iscrizione latina (titulo) sotto la scena, così la descrive:

“Cum beatus Antonius in capitulo Arelatensi de titolo crucis praedicaret, beatus Franciscus absens corpore apparuit, et extensis manibus, benedixit fratres, sicut vidit quidam frater Monaldus, et alii fratres consolationem maximam habuerunt.”

(“Predicando il beato Antonio in capitolo ad Arles sul titolo della croce, il beato Francesco, benché corporalmente assente, apparve; e stese le mani, benedisse i frati, così come poté vedere il frate Monaldo; e gli altri frati ne ebbero una grande consolazione.)”59

Le finestre e la “prima finestra” giottesca.

Le bifore che insieme alle arcate fanno da sfondo alla scena hanno funzione propriamente architettonica e geometrica, cioè di divisione dello spazio, e non hanno ancora apertura comunicativa, né sono dipinte al fine di far entrare la luce nell'interno, né concepite come elemento di passaggio tra interno ed esterno. La sola particolarità che si nota è la visione di un elemento esterno, una parte di tettoia che scorgiamo inclinata dietro la figura del Santo benedicente, tettoia apparentemente lignea, sostenuta da pali uno dei quali si intravede, anch'esso all'esterno, dalla bifora a destra. Finestre che più che illuminare, oscurano, e difatti sono solitamente dipinte in colori scuri, in

questo caso sono blu.

Ma il più significativo discorso pittorico innovativo relativo all'elemento “finestra”, quello che Roberto Longhi definisce un “anticipo geniale”,60Giotto lo esprime a Padova, negli affreschi della Cappella degli Scrovegni, dipingendo i coretti

“(...)due brani di puro illusionismo architettonico(...)Essi fingono un'apertura a sesto acuto sulle due pareti ai lati dell'arco trionfale(...)con una finestrella gotica sulla parete di fondo...un'invenzione di spazio senza figura(...)l'invenzione giottesca assume un significato tanto più eccezionale in quanto il cielo su cui si apre la finestrella è un cielo molto più chiaro e luminoso(...)un cielo, dunque, atmosferico, che resterà un'eccezione per tutto il Trecento.”61

Giotto lascia vuote due zone ai lati dell'arco trionfale della cappella, dove non dipinge altre storie ma, a effetto trompe-l'oeil, due piccole “cappelle segrete”, dove crea un ambiente prospettico illusorio, dipingendo una falsa architettura che continua la decorazione della cappella con la raffigurazione di una volta a crociera, di un lampadario

60 Longhi R., Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell'Italia centrale, in Longhi R., Opere Complete, Sansoni, Firenze, 1961, p. 62.

61 Bellosi L., La rappresentazione dello spazio, in AAVV, Storia dell'Arte Italiana, Ricerche spaziali e tecnologiche, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1980, p. 14.

in ferro con i sostegni per i ceri che pende dal soffitto, e di una balaustra di marmo in primo piano. Dietro al lampadario, sulla parete di fronte alla balaustra, dipinge la finestra a bifora, a imitazione delle finestre reali della cappella, una finestra da cui si vede un cielo “vero”, dal colore realistico e non quello astratto e convenzionale della pittura bizantina, dove le finestre sono dipinte con blu oltremare o dorate. Per la prima volta in un affresco viene rappresentato uno spazio vero prospettico, con una apertura da cui irrompe la luce.

Giotto, Polittico di Santa Reparata, 1310 circa, retro: Annunciazione, Santa Maria del Fiore (Firenze).

Storia.

Il Polittico era originariamente destinato a sovrastare l'altare maggiore della vecchia cattedrale protocristiana di Santa Reparata, il primo Duomo di Firenze.

Tra storia e tradizione si ricorda la data della costruzione della chiesa, che si fa risalire al 406, quando i fiorentini sconfissero e cacciarono gli Ostrogoti. Poiché la vittoria avvenne l'otto ottobre, nel giorno di Santa Reparata, la Santa fu scelta come patrona della città e fu eretta la cattedrale a lei dedicata, che rimase Duomo della città fino al 1375, quando fu distrutta per costruire al suo posto il nuovo Duomo, Santa Maria del Fiore.62 Il grande polittico fu allora spostato dapprima nella Chiesa di San Pancrazio. Visitato dal Vasari, fu da lui attribuito ad Agnolo Gaddi e non a Giotto. Il critico riservò all'opera un giudizio piuttosto negativo, scrivendo che “Quanto si vede di buono è nella predella sola, la quale è tutta piena di figure piccole".63

Dal Vasari in poi, l'opera, sebbene grandiosa, non è stata grandemente apprezzata dagli studiosi di Giotto, che hanno anche ipotizzato che, benché su progettazione giottesca,

62 Cfr. Santa Reparata, la compatrona di Firenze, in “Opera Magazine”, Rivista Web, 8 ottobre 2013, in Internet https://operaduomo.firenze.it/blog/posts/santa-reparata-la-compatrona-di-firenze

venisse realizzata dagli allievi, classificandola quindi come opera “della scuola di Giotto”. Una rivalutazione del Polittico si ha nel 1963 da parte dello storico dell'arte Roberto Longhi, che propone una diversa paternità dell'opera: “Giotto e bottega”, a significare che comunque il Maestro intervenne e ne guidò tutta l'esecuzione. Longhi anticipa la data della sua esecuzione intorno al 1305.64

Nel 1808 la tavola venne divisa in 33 pezzi e assegnata agli Uffizi. Un pezzo, quello relativo allo scomparto dello “Sposalizio della Vergine”, fu venduto agli Inglesi nel 1817, e oggi fa parte della collezione reale di Buckingham Palace. Lo studioso storico dell'arte Richard Offner, tentando una ricostruzione, denunciò la sparizione, già avvenuta prima del 1808, di almeno otto scomparti, con scene di Profeti, di Angeli e altre tavole dedicate alla Vergine.65

Descrizione:

L'intera tavola del Polittico di Santa Reparata, dipinto sulle due facce versus e retro, misura 2 metri e 42cm. x 94 cm., e contava originariamente 33 scene.

“Il polittico è istoriato sulle due facce: in quella anteriore, al centro, c’è la Madonna che tiene in braccio il bambino, il fiore della sua esistenza. Accanto alla Vergine, si trovano schierati i santi, i cui sguardi convergono sul bambino e non più sui fedeli. Sul retro, l’articolazione del polittico, con la classica punta nel lato superiore, viene negata attraverso l’introduzione di un’idea nuova. In ognuno dei pannelli, infatti, Giotto ritaglia uno spazio quadrangolare.66

Delle due facce del Polittico, la parte versus volge verso i fedeli, mentre il retro è lasciato alla visione dei religiosi che celebrano Messa.

L'Annunciazione, che si trova nella parte retro, è al centro della scena e mostra l'Angelo che si rivolge a Maria. Ai lati le altre 4 tavole con i Santi Reparata, Giovanni Battista, Maria Maddalena e Nicola.

La scena si svolge in una stanza spoglia di arredi, sul soffitto si vedono decorazioni che contrastano con la veste scura della Vergine, che tende un braccio in atto di respingere

64 Ivi, p. 123. 65 Ivi, p.124.

66 Bellini M., intervista: Giotto, l'Italia. In mostra le opere italiane che cambiarono l'arte, Milano, Palazzo Reale, dal 2 settembre 2015 al 10 gennaio 2016, in Internet https://expoitalyart.it/giotto-italia-mostra/

l'Angelo, mentre nell'altra mano stringe un libro, probabilmente di preghiere. Gli occhi di Maria appaiono anch'essi segnati da inspiegabili linee nere. La sua posizione instabile denuncia l'improvviso movimento nell'alzarsi repentino dall'inginocchiatoio lì accanto. Tutto si svolge in una “scatola prospettica”, ottenuta tagliando la cuspide del pannello, per dare profondità alla scena, effetto ottenuto anche se la prospettiva non segue regole tecniche precise.67

L'opera ha subito due restauri, nel 1985 e nel 1994.

La finestra è ridotta a una feritoia, piccola e buia. Non ha funzione di rapporto con l'esterno, né come fonte di luce, è un elemento puramente architettonico.

67 Guzzi G., Giotto, lo “stile italiano” del Trecento, in Rivista web “L'Eclettico”, gennaio 2016, in Internet http://www.rudyz.net/apps/corsaro/filibuster.php?env=fb_eclettico&site=eclettico&id=A0000001VP30M2