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Nei dipinti del Novecento, la finestra è occasione di stati d'animo, di sogni, di espressione dell'io profondo. Ha una valenza spesso metafisica, poetica, psicoanalitica. Simboleggia non solo il passaggio e la comunicazione tra interno ed esterno in senso spaziale, ma anche la comunicazione tra conscio e inconscio, tra quello che si è e quello che si appare. E' l'utero, il confine, il bordo tra equilibrio e follia, è il contrasto tra quello che vediamo e quello che vorremmo vedere, tra desiderio e realtà, tra il manifesto e il non ancora manifestato. Le figure alla finestra nella pittura contemporanea sono quasi sempre per questo ambigue e problematiche, esprimono la sofferenza e il dubbio dell'attesa, o la solitudine, la nevrosi, la disperazione dell'incomunicabilità. Paradossalmente, il nostro secolo e quello appena trascorso sono ricchi di infinite potenzialità comunicative e contemporaneamente vedono rarefarsi e complicarsi la comunicazione umana. La finestra come catalizzatore delle emozioni umane, le vere protagoniste. Le emblematiche figure femminili dipinte alla finestra sono per lo più donne che aspettano, pensano, fumano, indolenti e distanti, guardano senza vedere paesaggi che sembrano lasciarle indifferenti, perse in una irrimediabile solitudine. Le finestre diventano quindi luoghi-limite, possono contestualizzare e caratterizzare da protagoniste una storia, un evento, un particolare sentimento o sensazione, e questo non solo nei quadri o nelle foto, ma anche nei film o in letteratura (si pensi a La finestra sul cortile di Hitckoch, o al romanzo Le finestre di fronte di George Simenon, o ancora al libro di A. J. Finn La donna alla finestra).

Un volo nel vuoto, per passare da questa vita a un'altra: la finestra può tristemente ma frequentemente nelle cronache dei nostri tempi rappresentare anche l'estrema comunicazione del disagio, quel disagio di vivere di tante donne “viste di spalle”, pronte a seguire l'attrazione della luce.

Salvador Dalì, Ragazza alla finestra, 1925, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid.

Storia.

Dalì dipinge la “ragazza alla finestra” nel 1925, nella sua casa di Cadaquès, prendendo a modella la sorella diciassettenne Aña Maria. Il quadro viene esposto di lì a poco, nel novembre dello stesso anno, alla prima mostra personale di Dalì alla Galleria Dalmau, e viene molto apprezzato da Picasso, di passaggio a Barcelona.

“Probabilmente fu attratto dalla combinazione di disegno quasi virtuoso e moderna complessità d'inquadratura, che prevedeva anche una ricca articolazione plastica degli elementi.”124

L'opera si trova al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.

Descrizione.

Fa parte della produzione giovanile di Salvador Dalì, prima del periodo surrealista, che

inizierà negli anni '30. La ragazza è dipinta di spalle,

“(...)meditando a immagini analoghe tolte a Caspar David Fiedrich, imbevendo lo “Streben” tedesco, l'infinito anelare, in un'aura di domesticità un po' sciatta ma che paradossalmente reca con sé un che di eterno, e che sta tutta nella coppia simbolica donna-mediterraneità, cara alla cultura novecentista spagnola. Dalì sgualcisce la tenda e l'abito della sorella per dimostrare che è bravo coi panneggi e le trasparenze e le lucentezze dei diversi tessuti.”125

La ragazza è mora e il colore è giocato tutto sui toni azzurri, nel vestito della donna, nella tenda, nella pareti e negli infissi, nel mare, nel cielo e nella terra all'orizzonte. Fuori, nel paesaggio, il mare è increspato e calmo, e in lontananza si scorgono una barca e una striscia di terra azzurrina, con una casa bianca che si rifette anche nel vetro della finestra. Ma il senso dell'irreale oltre il reale, in quest'opera che a prima vista appare come fedele riproduzione della realtà, si fa già strada in quello che Dalì nasconde: un quadro nel quadro, anzi due: uno è la stanza, il punto di vista dell'osservatore, la scena interna; il secondo è il panorama esterno incorniciato dalla finestra e il terzo è il rifesso della casa nell'anta destra della finestra, un ulteriore quadretto inserito in un pezzo della stessa finestra. Apparentemente la precisione dei dettagli potrebbe far pensare a una totale volontà dell'artista di riprodurre fedelmente il mondo reale, ma non è così:

“La miniatura è estremizzata dalla precisione dei tratti delle onde del mare, dei capelli, dalla morbidezza delle tende e delle pieghe del vestito che sinuosamente si fanno strada sul corpo della ragazza. Una tale precisione non ha un’intenzione ricostruttiva del mondo osservato e la presenza di un solo battente e di quel tessuto sul lato sinistro della finestra rendono la scena enigmatica.”126

Dalì amava definirsi “il fotografo dei sogni dipinti a mano”,

“(...)e quest’opera incarna il significato intrinseco della sua stessa affermazione. E’ un dipinto che infonde tranquillità, silenzio, rifessione, ma anche un po’ di mistero e malinconia, forse, dovute anche alla celata visione del volto della fanciulla.”127

125 Ivi.

126 Chiarella P., Dall’impressionismo al surrealismo. Materia e forma attraverso gli occhi di Salvador Dalì, in Alfieri L., Mittica L. P., a cura di, Atti del VI Convegno Nazionale ISLL, Urbino, 3-4 luglio 2014, Dossier, La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti, ISLL Papers, Vol. 8, 2015, p. 264.

Nel 1954, in pieno surrealismo, Dalì riprende lo stesso soggetto del quadro, raffigurando questa volta la sorella in chiave erotico-diabolica, dipingendo una “Giovane Vergine sodomizzata dalle corna della sua stessa castità”, dove la ragazza appare nuda, con le natiche “assalite” da quattro corna convergenti. Il dipinto probabilmente rappresenta la vendetta dell'artista per una critica negativa su di lui scritta nell'autobiografia di Aña Maria, dove lei lo descriveva come un narcisista affetto da eccentriche manie di protagonismo.

La finestra.

Offre lo spunto alla dimensione onirica nello stesso momento che si apre alla bellezza reale di un paesaggio, che comunque rimane intravisto solo per metà, immerso nella stessa luce azzurra che impregna tutto lo spazio, interno ed esterno. La figura femminile è lì affacciata ma è di spalle, quindi non possiamo osservare espressioni di un qualsiasi sentimento, per cui ogni osservatore può attribuirle emozioni diverse e contrastanti. La finestra in questo senso è passaggio di ambivalenze, di incertezze, di proiezioni, ha una funzione potremmo dire psicoanalitica, interpretativa di una realtà vista ma non svelata nella sua interezza.

Edward Hopper, Night Windows, 1928, MoMa, New York.

Storia.

Per “Finestre di notte”, dipinto nel 1928, Hopper si ispira a un'opera del 1910 dell'incisore John Sloan, che porta lo stesso titolo. Ma nelle Night Windows di Sloan, conser vata nel Whitney Museum di New York, le figure femminili si mostrano in modo più scoperto ed esplicito affacciate alle finestre, una intenta ai lavori di casa, l'altra in posizione ammiccante mentre si tira su i capelli, quasi conscia dell'uomo che spia la scena dal tetto. Hopper si era dedicato all'incisione negli anni tra il 1915 e il 1923, anche conquistando premi e riconoscimenti dalla National Academy per le sue acqueforti, diventando uno dei caposcuola del realismo americano, confermato da due mostre di successo,

una di acquerelli nel 1923 e una di quadri nel '24.128

John Sloan, Night Windows, 1910, Whitney Museum, N.Y.

A sua volta, il dipinto delle Finestre di notte di Hopper ispirerà La finestra sul cortile di Alfred Hitchock:

“Molti fotogrammi del film di Hitchock...tutto orchestrato sul “vedere”, riprendono situazioni osservate da un appartamento che si trova di fronte a un edificio in cui si aprono molte finestre.”129

Il quadro si trova al MoMa di N.Y.

Descrizione.

In un fitto scambio di rimandi tra esterno e interno, dove l'osservatore sembra posizionato a mezz'aria rispetto alla visione della scena nella stanza, si apre uno “sguardo indiscreto(...)che sta alla base del dipinto(...)in cui una donna, succintamente vestita, inconsapevolmente mostra la schiena all'occhio dell'osservatore.”130

La composizione si articola su tre finestre, poste su una costruzione curvilinea, per cui la finestra centrale appare ad angolo, e inquadra la scena più intima: una donna in corta

128 Cfr. Beall K. F., Night Windows, American prints in the Library of Congress: a catalog of the collection, Johns Hopkins Press, Baltimore, 1970, p. 453.

129 Pontiggia E., Prefazione a Aquino L., Edward Hopper, pittore metafisico, Corriere della Sera, I classici dell'Arte, Skira Editore, Milano, 2004, p. 53.

sottoveste rosa, appena chinata, di spalle, che lascia scorgere le gambe, il braccio e la spalla in una nudità non voluta e colta di sorpresa. E' illuminata dalla luce che arriva da sinistra, mentre dalla finestra aperta anch'essa a sinistra esce gonfiandosi nella brezza notturna una tendina azzurra. La finestra a destra lascia scorgere un tendaggio rosso fuoco, dando l'illusione di una fiamma.

“Si nota qualcosa di strano anche nella prospettiva, che è chiaramente dall’alto – vediamo il pavimento, ma non il soffitto – però a giudicare dalle finestre siamo almeno al secondo piano, quindi l’osservatore, chiunque sia, si dovrebbe trovare sospeso in aria. La spiegazione più verosimile è che stia guardando dal finestrino del treno sopraelevato che Hopper amava prendere di notte, armato di taccuino e di matita a carboncino fatta in casa, per spiare avidamente dietro i vetri alla ricerca di lampi di luce, momenti che si fissassero, incompleti, nell’occhio della mente. In ogni caso, lo spettatore – cioè io e voi – viene cooptato in questo atto di straniamento. La sua privacy è stata violata, ma ciò non rende la donna meno sola, esposta nella sua camera ardente.”131

Lo scrittore americano Santlofer Jonathan, nel suo libro In Sunlight or in Shadow: stories Inspired by the Paintings of Edward Hopper, così descrive e traduce in racconto fantastico l'atmosfera del quadro Finestre di Notte:

“There she is again, pink bra, pink slip, in one window then the next, appearing then disappearing, a picture in a zoetrope, fickering, evanescent, maddening. Yes, that’s the word: maddening. Then he thinks of another: delicious.

And another: torture. He hadn’t expected a replacement so soon. The last one, Laura or Lauren, her name hardly matters, gone now four or five months, not like he’s not counting. They’re all replaceable, one as good as the next. Though he liked the last one, her innocence—and taking it away. He tries to picture her but her features are already blurred, like she was a watercolor and he’d run a moist finger across her face, smearing her features, erasing her, creating her then destroying her. Exactly what he did. What he always does. The woman in pink bends over, her rear end aimed right at him and he would laugh but she might hear, might look across the alley and spot him, the man in the window opposite, the man in the dark, and he’s not quite ready for that. The meeting has to be planned. And it will be. Soon. The woman stands up, turns and

leans on the window ledge, her blond hair backlit, and he thinks: The gods have sent me a new one. That last one was lucky to have known him, a rube like her, easy to manipulate, almost too easy. He’d broken her in; just plain broken her. So how did she have the strength to get away? No matter. He was tired of her anyway, her whiny voice, her all too eager need to please. This new one looks perfect, the way she glides past the windows oblivious to the fact that she is being watched. This one will be easy.”132

L'interpretazione della complessa pittura di Hopper non può essere ridotta, per sua stessa ammissione, alla tematica della “solitudine”, né a quella dell'angoscia metropolitana. Lo ha sottolineato il critico Raoul Precht, in occasione della mostra dei dipinti di Hopper al Vittoriano a Roma dell'ottobre 2016, affermando che la “categoria critica” della solitudine riferita alla pittura di Hopper è ormai superata da decenni e che l'intento dell'artista è semmai solo “ontologico”, nel senso che mostra la realtà così com'è nella sua intima struttura, immobile ed eterna, non fuorviata né toccata dai “passaggi” delle figure umane, degli oggetti, solo descritta da luce e colore.

“(...)a lui non preme di raccontare una storia, tanto che le figure umane sono spesso solo abbozzate e prive di qualunque connotazione psicologica o sociale, ma di mettere in luce ciò che nell’esistenza umana è immutabile e universale...L’altro suo grande tema, su cui non s’insisterà mai abbastanza, è la funzione della luce, di cui insegue il segreto fin dagli esordi. Se c’è qualcosa che i viaggi giovanili a Parigi gli insegnano, sarà proprio a dare la giusta importanza alla luce e alle sue interazioni con il colore”133

La finestra.

Tutti i dipinti di Hopper sono connotati dalla presenza di finestre, finestrini, luoghi dello sguardo oltre che fonti di luce, luoghi di limite tra reale e irreale, aperte sul mistero anche se inquadrano realtà visibili e a volte obsolete, come distributori di benzina in disuso, vecchi radiatori, frigoriferi, scene in cui anche i personaggi sono allo stesso tempo presenti e assenti, immobili,

“(...)come se a un certo punto avessero deciso di fermarsi, di arrestare la propria

132 Santlofer J., In Sunlight or in Shadow: stories Inspired by the Paintings of Edward Hopper, Lawrence Block Editor, Pegasus Books, N.Y., 2016, p. 235.

quotidianità. Li vediamo assorti nei loro pensieri con il capo chino oppure intenti a guardare fuori da una finestra o verso un orizzonte lontano, con lo sguardo vuoto di colui che guarda ma non vede.”134

La finestra come sguardo tridimensionale: dall'esterno, dall'interno ma anche come limite sul quale si incontrano tutte le tensioni della nostra epoca, da cui appare o si impone o scompare una figura femminile che può essere oggetto di voyeurismo o di desiderio, ma che nella sua immobilità meditativa finisce per diventare un sogno, una figura evanescente e alla fine inesistente.

Le finestre, in questo come negli altri quadri di Hopper, inquadrano la contraddittoria e in fondo disperata condizione umana, e non solo della donna, del '900 appena trascorso.

134 Prete M., Finestre su Arte, Cinema e Musica, Rivista Telematica, gennaio 2017, in Internet