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Il soggetto è sempre religioso ma il paesaggio comincia a irrompere dalle aperture, archi, porte e finestre.

Beato Angelico e Lorenzo Monaco, Deposizione dalla Croce, 1432/34, Museo Nazionale di San Marco, Firenze.

E' una pala d'altare, tempera su tavola. Opera eseguita nel periodo 1432-1434, prima ubicata nella Galleria dell'Accademia di Firenze, poi trasferita al Museo Nazionale di San Marco, sempre a Firenze.

Storia.

La Deposizione dalla Croce fu Commissionata dalla ricchissima famiglia Palla Strozzi per la cappella di famiglia, costruita da Lorenzo Ghiberti nel 1423, poi divenuta la sagrestia di Santa Trinita. Un documento antico attesta la presenza della pala nella cappella nel 1432.68 Due anni dopo Palla Strozzi cadde in disgrazia e fu espulso da Firenze, e la

68 Art in Tuscany, in Rivista Web “Tuscany Travel Guide”, in Internet

cappella fu trasformata in sagrestia. La pala, danneggiata durante l'esilio della famiglia Strozzi, fu poi restaurata dall'Angelico nel 1440.

Descrizione.

La pala d'altare è dipinta su un singolo pannello. La figura centrale è il Cristo, sorretto da Maria e da altri personaggi. Il dolore e la tenerezza della Madonna si esprimono col gesto di preghiera delle mani giunte e con il capo reclinato, e nel vestito scuro, mentre la figura femminile a sinistra ripete il gesto di preghiera. Chiodi e corona di spine sono mostrati dall'uomo a destra col cappello rosso, a ricordare la passione e il sacrificio di Gesù. Tutto esprime dolore e pentimento umano.

Lo schema della costruzione del dipinto è piramidale, con al centro il Cristo e ai vertici della base le figure dolenti inginocchiate, e le scale e i Santi in alto, con la fascia orizzontale dei paesaggi esterni: la città e la collina.

I pilastrini laterali appaiono intatti

“(...)con dodici figure di santi interi ed otto medaglioni con busti, disposti sia sul lato frontale che sui prospetti laterali. I santi a figura intera poggiano su basamenti dorati che hanno un'inclinazione diversa a seconda dell'altezza su cui si tovano: quelli in basso mostrano la faccia della base su cui poggiano, quelli in alto sono invece scorciati "da sott'in su.”69

Al centro si sviluppa l'effetto verticale, col braccio di Nicodemo alzato e con S. Giovanni in piedi, effetto verticale armonizzato dallo spiegarsi dello sviluppo orizzontale ai lati, studiato nella composizione, con il gruppo delle donne a sinistra e quello degli uomini a destra, a significare la distinzione tra cuore e intelletto, tra sentimento e ragione, contrapposti ma armonicamente uniti. Scrive Argan:

"Da un lato è la religione dell'intelletto, dall'altro la religione del cuore; e all'intelletto chiaro, all'anima pura tutta la realtà si manifesta ordinata e limpida, come forma perfetta."70

In questa costruzione geometrica, la figura del Cristo disposta in diagonale si evidenzia

69 Art in Tuscany, cit., ivi.

con forza drammatica e serve a dividere lo spazio scenico e i personaggi.

“Un'eloquenza da sacra rappresentazione cui contribuisce la stessa chiara orchestrazione spaziale e il dilatato respiro del paesaggio, per la prima volta terso e lontanante(...)”71

E' così che la luce e le “aperture intensamente naturalistiche”72risultano funzionali alla composizione “emotiva” della scena, oltre che a quella spaziale.

I primi piani e l'uso dei colori brillanti e vivaci danno un senso di sacralità mista al realismo dell'armonia della natura e della luce, rifesso della bontà di Dio. I corpi appaiono studiati nell'anatomia e nelle forme, ma rimangono in un certo senso staccati dall'ambiente, come senza peso, mentre i dettagli (le frustate sul corpo del Cristo, la fisionomia dei volti), sono precisi e realistici. Per tradizione tramandata, ma senza nessuna certezza73, il personaggio col cappuccio nero corrisponderebbe al ritratto di Michelozzo, mentre quello col berretto rosso era indicato come un componente della famiglia Strozzi.74

Qui la finestra non è reale, vero passaggio tra interno ed esterno, ma è una suggestione, una teatralizzazione incorniciata che porta la natura all'interno della scena, tanto che lo stesso pavimento è un prato fiorito. Archi come irruzione della luce, siamo in spirito pre-rinascimentale, tuttavia i riferimenti medioevali e la simbologia religiosa ancora non definiscono le finestre nel loro valore sociologico di reale contatto col mondo e di “liberazione” dei personaggi, ma le aperture hanno valore puramente estetico, ornamentale, e sempre riferito alla dimensione del trascendentale, del divino. La finestra, quindi, intesa come “visione”.

71 Bellosi L., a cura di, Pittura di luce. Giovanni di Francesco e l'arte fiorentina di metà Quattrocento, Electa, Milano, 1990, pp. 85- 86.

72 Ivi, p. 85.

73 Scrive infatti lo studioso Francis Mason Perkins che “Quanto al presunto ritratto non esiste nessuna ragione sicura per farci credere che esso raffiguri veramente il Michelozzo. Tutto fa credere invece che si tratti di una delle tante simili “identificazioni” inventate dal Vasari o tutt'al più di una “tradizione da sacrestano” da lui ingenuamente raccolta.” (Perkins F. M., La Deposizione del Beato Angelico, Electa, Milano, 1959, p. 86).

Beato Angelico, Guarigione del Diacono Giustiniano, 1443, Museo Nazionale di S. Marco, Firenze.

Storia.

La tavola, probabile pannello con scena di chiusura della serie di tavole e collocata sul fianco destro della cornice di legno, è una parte della predella contenente le Storie dei santi Cosma e Damiano della Pala di S. Marco, che oggi è divisa tra più musei.75

Fu commissionata all'Angelico dai domenicani del suo stesso convento, destinata all'altare maggiore della Chiesa di San Marco di Firenze. L'intervento faceva parte della ristrutturazione del convento offerta ai frati da Cosimo dei Medici. Nella ristrutturazione erano previsti anche gli affreschi delle celle e un codice miniato, tutte opere commissionate all'Angelico. La pala di Cosma e Damiano, protettori dei Medici, venne commissionata circa nel 1438 e fu consegnata nel 1440.76 Tra il 1700 e il 1800 venne rimossa e smembrata, in parte perduta, in parte suddivisa tra vari musei, e in

75 Cfr. Pope-Hennessy J., Fra Angelico, Cornell University Press, Ithaca, New York, !974, p. 201. 76 Ivi.

parte lasciata a Firenze.

Descrizione.

La scena mostra Giustiniano a cui in sogno viene “trapiantata” una gamba dai due fratelli medici Cosma e Damiano. In realtà scopre al suo risveglio di avere veramente una gamba nuova, anche se nera perché trapiantata da un etiope morto.

La posizione del punto di fuga centrale permette una prospettiva ordinata e con rapporti precisi tra le figure e il grande letto al centro, dove giace Giustiniano con i due santi medici intenti al miracolo.

La stanza è raffigurata nei più piccoli dettagli: si vedono gli zoccoli, il lavabo con la brocca, lo sgabello, la bisaccia appesa al letto, una bottiglia e un bicchiere poggiati sulla testiera del letto.77

Dalla finestra e dalla porta aperta da cui si intravede un giardino entra la luce, elemento fondamentale per l'atmosfera e la geometria del dipinto, luce che entra e definisce anche le pieghe dei tendaggi alzati e i volumi dei personaggi, con un risultato elegante e spazialmente perfetto.

L'intento del pittore è di narrare una scena nei minimi particolari, un episodio della vita dei Santi, unendo la dimensione sacra alla dimensione terrena.

Inizia a differenziarsi l'interno delle stanze (il privato), ma la finestra è ancora piccola, comunque è presente e lascia passare un po' di luce. C'è anche una porta aperta. Benché presente l'elemento religioso e onirico al centro del significato dell'opera, tuttavia c'è maggior realismo, suggerito dagi oggetti e anche dalla luce che li illumina. Finalmente le aperture denotano passaggio tra individuo reale e mondo esterno, anche se appena accennato, in una scena dove la finestra non ha ancora la funzione che avrà nel Rinascimento, sia di aprire al mondo, sia di ordinare lo spazio.

L'opera di Filippo Lippi Ritratto di donna con un uomo al davanzale, Metropolitan Museum of Art, New York databile intorno al 1435-1436, offre per l'epoca una curiosa

e insolita raffigurazione e funzione della finestra ed è inoltre “il primo esempio noto del ritratto femminile in Italia(...)anche del primo dipinto europeo in cui il ritratto si trova inserito nel paesaggio e in un'architettura”78.

Filippo Lippi, Ritratto di donna con un uomo al davanzale, 1440, Metropolitan Museum of Art, New York.

Storia

Lo stemma dei committenti, una banda in nero e oro visibile sul “setino” del davanzale, potrebbe indicare la famiglia fiorentina dei Portinari o quella degli Scolari, e la datazione di esecuzione del ritratto è abbastanza incerta, mentre l'opera è sicuramente

attribuibile a Filippo Lippi.79 Il dipinto, appartenente a una collezione privata, fu acquistato da un privato inglese nel 1829, per essere poi acquisito dal Metropolitan Museum of Art di New York nel 1889.

Descrizione

La dama, riccamente vestita e ingioiellata, posa di profilo di fronte alla finestra, le mani incrociate in grembo, acconciata secondo la moda dell'epoca, e dalla finestra aperta sporge all'interno il profilo di un uomo di cui si intravede una mano inanellata con l'indice alzato e che sembra entrare a guardare nella stanza, anch'egli con un copricapo rosso, tipico del periodo quattrocentesco. A fianco della donna, alla sua destra, un'altra finestra mostra uno scorcio di paesaggio esterno, con una strada che si prolunga diritta tra una fila di alberi e case. Sulla manica della dama è ricamata la parola “lealtà”, il che ha fatto supporre che si trattase di due coniugi o fidanzati, ma entrambi sembrano non comunicare e non incontrarsi nemmeno con gli sguardi, e la palese distanza sia fisica che psicologica tra le due figure farebbe escludere un rapporto affettivo o intimo. Quanto all'interpretazione sono state avanzate due ipotesi, una “sociologica” e una “commemorativa”: nel primo caso, l'affacciarsi dell'uomo dall'esterno, quasi un'intrusione, starebbe a significare una affermazione di possesso da parte di un marito che “controlla” e vigila sui suoi “beni”, compresa la sposa, mentre nel secondo caso viene ipotizzata una commemorazione della moglie defunta, e il volto del marito starebbe a rivelarsi come il committente che ha fatto dipingere il ritratto in memoria della scomparsa.80

Il critico Jeffrey Ruda associa lo stile e i colori del dipinto a quello, sempre di Filippo Lippi, del “trittico dei quattro Dottori” “(...)in its generalized Anatomies, spaceless setting, and vivid but abrupt contrast of colour and chiaroscuro.”81

79 Ivi.

80 Ivi, pp. 92, 93.

La finestra

In questo dipinto la rappresentazione della finestra si distacca dal modello dell'epoca ed appare in un certo senso antesignana nel suo realismo (mostra la veduta dello spazio esterno) e allude chiaramente alla condizione di chiusura della figura femminile, che in entrambe le possibili interpretazioni (sociologica o commemorativa), rimane tuttavia oggettivata e concepita solo come un “bene materiale” (viva o defunta) appartenente al marito. Quella che potrebbe essere una novità, la finestra che permette l'interfacciarsi dei due personaggi, uno dall'esterno e uno dall'interno (quindi elemento di comunicazione), in realtà non entra in funzione e permane il distacco e la lontananza tra due mondi tra loro non comunicanti, come dimostra la totale inespressività dei volti e degli sguardi.