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controversia giuridica internazionale

2. Il Belfast Project: una sintesi degli event

Il Belfast Project viene inaugurato dal Boston College all’inizio del 2001 – ossia, solo tre anni dopo che era stato siglato l’accordo del ‹venerdì santo›,

e poco prima dell’11 settembre, una doppia e rilevante sottolineatura tem- porale, come vedremo. Il progetto implica il lavoro a tempo pieno di diverse persone e rimane aperto fino al 2006 senza sollevare attenzione alcuna fuori dallo stretto circuito di ricerca che lo ha promosso.

Il corpo di Jean McConville viene ritrovato nel 2003, come già ricordato, quando il progetto è esattamente nel mezzo del suo svolgimento.

Gli intervistati sono tutte persone direttamente coinvolte nei Troubles. Non è il primo progetto di ricerca dedicato a questo tema3, ma è un progetto innovati-

vo soprattutto per un aspetto: i progetti comunitari o accademici precedenti erano tesi a raccogliere la voce delle vittime; le interviste del Belfast Project, invece, sono specificatamente dirette a capi e leader dei gruppi paramilitari irlandesi, e così il progetto «uniquely situated itself to retrieve these seemingly irretrievable voices for future historians»4. In cinque anni, vengono intervistate

46 persone: 26 sono ex membri dell’IRA; 20 sono legate alla controparte ‹lealista› dell’Ulster Volunteer Force/Red Hand Commandos. Così «the pur- pose of the Boston College-Burns Library Archive was to collect a story of the Troubles that otherwise would be lost, distorted or rewritten, deliberately by those with a vested interest, or otherwise by the passage of time or the distor- tion wrought in the retelling»5. Si tratta di una ricerca di storia recente, anzi

«just over the shoulder», per usare un’espressione che connota molto bene il lavoro dello storico, quando è molto breve il lasso di tempo tra gli avvenimenti studiati e l’indagine su di essi; quando l’indagine stessa è mossa dall’urgenza di catturare impressioni, dettagli e particolari prima che svaniscano; quando, per la stessa ragione, questo vicino passato è profondamente carico del suo portato di emozioni. Tanto più in questo caso, in cui i testimoni possono porta- re memoria e conoscenza – e di prima mano – su doppi giochi, attentati, rapi- menti, omicidi. Molti storici dell’oralità, del resto, sono convinti che proprio le emozioni convogliate dai processi di memoria servano a definire – anzi ne si- ano parte costitutiva – il contenuto di verità storica (per quanto congetturale, confutabile in qualsiasi momento) e che la loro pratica di ricerca si configuri come particolarmente appropriata per raccoglierlo e per «uncovering unknown stories»6.

3 Lundy – McGovern 2006.

4 King 2014: 36 («si posiziona come peculiarmente rivolto a recuperare queste voci, di cui altrimenti non resterebbe traccia, per gli storici del futuro»).

5 Moloney 2010: 8 («Lo scopo del Boston College- Burns Library Archive era di raccogliere una storia dei

Troubles che altrimenti sarebbe stata deliberatamente cancellata, distorta o riscritta dai portatori di un interesse

di parte, oppure anche solo dal passaggio del tempo, o alterata nella rinarrazione»). 6 Hamilton – Shopes 2008: VIII («disvelare storie ignote»); Potter – Romano 2012.

Le interviste, che possono durare ciascuna anche dieci ore, vengono regi- strate su supporto audio, nella migliore qualità di riproduzione disponibile in quei primi anni duemila.

Il committente del progetto è il Boston College. Perché? Il Boston College, che appare nei ranking delle migliori università cattoliche americane, è uno dei 28 atenei degli Stati Uniti gestiti dalla Compagnia di Gesù; la stessa città Boston, come è ben noto, è una realtà urbana con le più solide radici nell’im- migrazione irlandese; e con l’Irlanda, il Boston College ha da sempre legami particolarmente stretti: è stato fondato nel 1863 con l’obiettivo statutario di educare i figli della working class irlandese, ma ha anche tenuto una posizione neutrale durante gli anni del conflitto armato. E vede nel Belfast Project un valore per accrescere il patrimonio culturale che già conserva.

Il finanziamento del Belfast Project viene finanziato per 200.000 dollari da una donazione fatta ad hoc al Boston College da Thomas Tracy, un impren- ditore e uomo d’affari cattolico di origini irlandesi, vicino al partito repubbli- cano americano e molto attivo in attività filantropiche orientate alla conser- vazione e alla valorizzazione dello heritage irlandese negli Stati Uniti7.

Gli intervistatori fanno parte di un gruppo di lavoro coordinato. Direttore del progetto è Ed Moloney, noto come editor per il Nord-Irlanda del Sunday

Tribune, ma non solo:

«As a journalist, his commitment to protecting sources had been tested when he was served with a court order in 1999 under the UK Prevention

of Terrorism Act that sought his interview notes with a member a Prote-

stant paramilitary group who had been charged with the murder of Belfast Lawer Pat Finucane. Maloney refused to turn over his notes and sought to have the order quashed. [...] Maloney won the case»8.

Lead Researcher è invece Anthony McIntyre, un ex combattente dell’IRA,

che ha scontato 18 anni di carcere prima di prendere un dottorato in scienze politiche alla Queen’s University di Belfast e prima di intraprende- re una carriera da giornalista oltre che da ricercatore indipendente, una volta tornato in libertà; ha raccolto una serie di propri articoli in un volume

7 Mc Murtrie 2014. Di Thomas J. Tracy si può trovare una breve biografia sul sito web della Fondazione che porta il suo nome: <http://www.tomtracy.org/biography.html> (ultima consultazione 15 febbraio 2017). 8 Palys – Lowman 2012: 274. («Il suo impegno come giornalista nel proteggere le proprie fonti era stato messo alla prova nel 1999 quando, sulla base della legge britannica antiterrorismo, ricevette una ingiunzione del tribunale affinché consegnasse gli appunti presi durante una intervista a un membro del gruppo paramilitare protestante accusato dell’ omicidio dell’avvocato di Belfast Pat Finucane. Moloney, che si era rifiutato e aveva anzi fatto richiesta di annullamento dell’ordine, vinse la causa»). Confronta anche «Life vs Liberty». The Guardian. Londra, 23 agosto1999.

dedicato alla svolta del Good Friday9. A intervistare i lealisti, in quanto ex

militante del Progressive Unionist Party, è Wilson McArthur, anch’egli ex studente di Queen’s University10. Data quindi anche la storia personale di

ciascuno, e proprio perché la riservatezza è condizione essenziale per la riuscita del progetto, questo gruppo di intervistatori si presenta particolar- mente credibile per gli intervistati. Tra gli elementi che caratterizzano il posizionamento dei ricercatori nel Belfast Project però è certamente da sottolineare sia il ruolo che sembra avvicinarli a quello dei Combat Histo-

rians – come è inteso nella storia dell’esercito americano a partire dalla

seconda guerra mondiale11 – , sia la contiguità del lavoro di ricercatori in-

dipendenti con la comunicazione giornalistica, e quindi il ruolo che i diver- si media hanno poi giocato nel rendere pubblico ciò che venne raccolto nell’indagine storica.

L’idea del Belfast Project viene attribuita a Paul Bew, che tra il 1999 e il 2000 era stato visiting professor presso la Burn’s Library del Boston Colle- ge. Si tratta di una paternità contestata, dalla quale lo stesso Bew prenderà più tardi le distanze12. È uno storico nord-irlandese che dal 1991 tiene la

cattedra di Irish politics alla Queen’s University di Belfast e che per il suo personale contributo alla firma del Good Friday Agreement nel 2007 viene insignito del titolo di baronetto, mentre nello stesso anno esce la sua ap- prezzata monografia Ireland: The Politics of Enmity 1789-200613. È Bew a

contattare Ed Moloney, che sui Troubles aveva già scritto molto, sia per la stampa sia in volume14.

Il contesto in cui le interviste si svolgono è quello all’indomani dell’accordo del Good Friday, dalla firma del quale, come si è già ricordato, sono passati solo tre anni. Si tratta di una ricerca su temi evidentemente sensibili, come sempre lo sono quelli relativi agli scenari di guerra e di violenza politica, il che mette i partecipanti alla ricerca in una posizione di particolare vulnera- bilità e richiede cautele altrettanto particolari in termini di consenso infor- mato e protezione di intervistati e intervistatori.

Un modello ispiratore nel disegno del Belfast Project, pure certamente ori- ginale in sé, è tenuto presente. E costituisce al contempo un importante precedente: si tratta di una vasta raccolta di interviste che fu realizzata negli

9 McIntyre 2008. 10 Cullen 2014. 11 Lofgren 2006. 12 Greenslade 2014. 13 Bew 2007. 14 Moloney 2002.

anni cinquanta ai veterani della guerra d’indipendenza e della guerra civile irlandese e di una iniziativa del governo irlandese di Dublino attraverso il suo Bureau of Military History (BMH). Fondato nel 1947 e interessato a com- prendere quello snodo storico, il BMH fu impegnato fino al 1957 racco- gliendo ben 1.600 testimonianze15.

C’è anche un’importante differenza le due collezioni: quella del BMH è stata tenuta sotto chiave per cinquant’anni e aperta solo nel 200316. Gli

intervistati degli anni duemila si aspettano in qualche modo lo stesso tipo di protezione ‹a tenuta stagna›, ma un quadro della comunicazione sociale profondamente mutato fa del Belfast Project un’iniziativa parti- colarmente rischiosa, sotto diversi punti di vista. È rischiosa soprattutto per gli intervistati: «IRA paramilitaries who broke this code of silence by participating in the Belfast Project risked punishment by death»17. I com-

battimenti sono cessati, ma chi passa informazioni non è affatto guarda- to con benevolenza, da entrambe i lati del conflitto; esiste ancora un codice del silenzio sugli accadimenti dei trent’anni dei Troubles, che han- no rappresentato un conflitto particolare sotto molteplici aspetti: innan- zitutto fu dominato da movimenti e contro-movimenti insurrezionali in larga parte clandestini, in cui molti esponenti vivevano sotto copertura per raccogliere informazioni o disseminare disinformazione, oltre a esse- re stato un conflitto che ha incistato una mentalità di segretezza omer- tosa, tesa all’autoconservazione18.

L’accordo che regge il Belfast Project è siglato tra Ed Moloney, responsa- bile del progetto sui Troubles, e il Boston College nelle persone di Robert K. O’Neill, in quanto direttore della John Burns Library del Boston College, e di Thomas Hachey, uno storico che dirige invece il Boston College Cen- ter for Irish Programs19. L’accordo ricalca le linee guida redatte nel 2000

dall’Oral History Research Office della Columbia University20, definisce il

copyright e poggia sulla condizione che i leader irlandesi rompano il silen- zio in cambio dell’impegno a che niente sia rivelato prima della loro morte. Entro quel tempo definito, la segretezza era garantita da un sistema di combinazioni numeriche che copre i nomi propri degli intervistati, mentre

15 Ferriter 2004; Ferriter 2012; Moloney 2010. 16 Morrison 2015.

17 King 2015: 31 («I paramilitari che ruppero il silenzio partecipando al Belfast Project rischiavano di essere puniti con la morte»).

18 Punch 2012. 19 Saa 2013.

20 Columbia University Oral History Research Office, Policy on the Use of tapes by Patrons, 25 April 2000. [QUEL DOCUMENTO NON È PIÙ DISPONIBILE SUL SITO DELL’OHRO PERCHÉORMAI SUPERATO]

si è in grado di identificare i nastri e consentire l’attribuzione dei materiali archivistici ai singoli testimoni. La riservatezza era garantita anche dai pro- tocolli di custodia in vigore presso gli archivi del Boston College, o più precisamente nella Treasure Room, la sala della Burns Library dedicata ai libri rari e alle collezioni speciali della biblioteca di ateneo. Le caratteristi- che della Treasure Room paiono in quel momento del tutto adeguate a proteggere dai più ovvi rischi relativi alla conservazione archivistica: la sala è perfettamente climatizzata, aggiornata alle ultime norme antincendio, sorvegliata da videocamere e dotata di un ulteriore sistema di codici di ingresso che ne restringe l’accesso solo ad alcuni membri del personale della biblioteca di ateneo.

La clausola cardine dell’accordo tra ricercatori e committente sul progetto afferma che la segretezza viene garantita «to the extent of [sic] American law allows and the conditions of the interview and the conditions of its de- posit to the Burns Library, including terms of an embargo period»21.

La «due diligence» dell’intera operazione presenta diverse zone d’ombra: la liberatoria firmata dagli intervistati, definita Agreement for Donation, non esplicita la medesima clausola. Moloney ha più tardi commentato così: «If that phrase had been in the donor contract, that project would have been dead»22. Inoltre, non viene richiesta alcuna specifica consu-

lenza legale e soprattutto non viene coinvolto il Comitato Etico del Bo- ston College (Institutional Review Board-IRB) per una revisione del pro- getto e dei suoi addentellati. E ciò a dispetto dei peculiari elementi criti- ci di un’operazione che ha a che fare con dati di ricerca riguardanti «hu- man subjects», e che implica una misura di conflitto di interessi, proprio a causa del fatto che il College ne è sia promotore sia finanziatore23. Si

tratta di un punto niente affatto formale e che coinvolge invece su un piano più generale lo statuto stesso della ricerca con le fonti orali. Tho- mas Hachey, come direttore dell’Irish Program, ha infatti dichiarato in un secondo tempo:

«what we intended then was a recording of peoples’s memories at the time from both communities. [...] The intent was to preserve these for other gene- rations to profit from it, through a study of the phenomenology of sectarian

21 Saa 2013: 1. («nella misura in cui la legge americana lo consente, secondo le condizioni poste dalla lettera liberatoria connessa all’intervista e secondo le condizioni di deposito presso la Burns Library, inclusi i termini di una eventuale periodo di sospensione della consultabilità dell’intervista»).

22 McMurtrie 2014 («Se quella frase fosse stata inserita nella liberatoria il progetto sarebbe morto»). 23 Palys – Lowman 2012.

violence. I don’t think any pretense was made by any of us at the time that this was going to be following the template for official oral history»24.

E nella stessa direzione, Jack Dunn, che del Boston College era ed è tutto- ra il portavoce ufficiale, spiegherà che il progetto non era ritenuto passibile di una revisione istituzionale in quanto non era ritenuto una ricerca tesa a produrre una qualche forma di conoscenza generalizzabile25, perché:

«In the case of Belfast Project there was no systematic study; there was no hypothesis; and standard research methods were not used. The inter- views were largely conversations, recorded in an attempt to get a better understanding of the Troubles for the sake of posterity»26.

Il Belfast Project viene completato nel 2006 e, per qualche anno, la sua stessa esistenza passa del tutto inosservata. A farne un ‹caso› saranno gli eventi successivi.

3. La citazione in giudizio