• Non ci sono risultati.

Le implicazioni del caso per la costruzione e l’archiviazione della

controversia giuridica internazionale

4. Le implicazioni del caso per la costruzione e l’archiviazione della

storia orale

L’analisi e la discussione della citazione in giudizio del Boston College apre molte questioni rilevanti per la ricerca con le fonti orali, per le istituzioni che la promuovono, per gli archivi e gli archivisti che ne conservano i dati. Allo scoppio del caso, Clifford Khun, presidente della Oral History Association – l’associazione professionale che riunisce gli storici orali statunitensi – ha commentato: «a word of wisdom is, if you have this kind of project, don’t open up until all the participants are deceased. At the very least, do your best not to publicize it»40. Un principio cautelativo che era stato osservato dal grande pro-

getto del Bureau of Military History citato sopra e che è stato ignorato invece dal Belfast Project, specie quando, nel 2010, si era proceduto alla doppia ope- razione Voices from the Grave, innescando la successiva cascata di eventi. Jayne Guberman, direttrice dell’Oral History Boston’s Marathon Bombing Project, un progetto che la Northeastern University ha messo in piedi con una stazione radio di Boston (la WBUR), ha posto una questione particolar- mente critica, circa le possibilità offerte dal mondo digitale per la diffusione e la disseminazione in rete di registrazioni del passato, e quindi la responsa- bilità intergenerazionale di mantenere promesse fatte a testimoni che ma- gari non ci sono più:

«What to do about those oral histories that were recorded 30, 40, 50 years ago? Do we have the permission to put them on the web? And now that we can put oral histories on line many more people can have access to them, and it has changed oral history in profound ways. I mean it adds an ethical dimension that perhaps wasn’t there earlier»41.

Gli storici orali americani in generale hanno interpretato la controversia scoppiata attorno al Boston College in una duplice prospettiva. Si sono divi- si tra chi ne sottolineava il «chilling effect», come Bruce Stave, professore emerito e direttore dello Oral History Office alla University of Connecticut, che ha preconizzato, se non un effetto del tutto paralizzante, almeno un raffreddamento rispetto a ciò che ci si può attendere in futuro. E chi, come

40 McMurtrie 2014 («È saggio, avendo a che fare con un progetto come questo, non aprirlo fino a che tutti gli intervistati non sono deceduti. E quanto meno fare tutto il possibile per non pubblicizzarlo»).

41 Gellerman 2014 («Che fare con interviste di storia orale che sono state registrate 20,40, 50 anni fa? Abbiamo il permesso di metterle in rete? Ora che esiste la possibilità di diffondere on line le interviste, molte più persone possono accedervi, e questo cambia i caratteri della storia orale in modo profondo. Intendo dire che aggiunge una dimensione etica ulteriore, che semplicemente non c’era prima»).

Cliff Kuhn, ha sostenuto invece che il caso, se si era disposti a studiarne e apprenderne la lezione, poteva anzi rivolgersi nell’effetto opposto, in uno slancio della ricerca su fonti orali:

«what happened around the Belfast Project is going to have a positive im- pact. I don’t think any programmes have thought too much until now about how you mount a legal defence. It’s opened a conversation, and that’s the important thing [...] Under which circumstances do you foster trust more? Promising confidentiality and not being able to deliver, or to have in advan- ce a frank conversation with potential interviewees about a wide range of things, including possible usage, with the idea that they might become more invested in the process you take the time to really talk about it?»42.

Il Belfast Project, proprio perché espone crudamente i confliggenti interessi in gioco – primi fra tutti, gli interessi della ricerca messi contro quelli di una indagine giudiziaria su un crimine violento – è diventato un caso da cui impa- rare, e un caso che scuote ogni idea troppo compassata del lavoro di chi regi- stra interviste ai fini della loro conservazione nel tempo e delle ricerca storica. Quando due giuristi canadesi, Ted Palys e John Lowman, i quali lavorano sui temi del segreto professionale e della riservatezza, sono stati chiamati a di- scuterne, questa è la sintesi che ne hanno tratto:

«For the researchers and participants, confidentiality was understood to be unlimited, while the Boston College has asserted that it pledged confi- dentiality only to the extent American law allows. This a priori limitation to confidentiality is invoked by many researchers and universities but there has been little discussion of what the phrase means and what ethical obligations accompany it»43.

Prendendo atto che non capita poi spesso che la legge e l’etica della ricerca si trovino a confliggere nella pratica, Palys e Lowman sottolineano che pur-

42 Marcus 2014 («Ciò che è accaduto intorno al Belfast Project avrà un impatto positivo. Io credo che, prima, pochi progetti abbiano riflettuto seriamente riguardo a come elaborare una difesa legale. Questo caso ha aperto un dibattito, e questa è la cosa importante. [...] Quali sono le circostanze che più favoriscono la fiducia? Promet- tere una riservatezza che non si è in grado di garantire oppure ingaggiare con i potenziali intervistati un dialogo chiaro, in cui si spiegano i possibili utilizzi della loro intervista, per coinvolgerli in un processo di cui vi prendete la briga e il tempo di parlare?»). Vedi anche «The Belfast Project’s Lessons for Oral History: Talk Live with the Experts». <https://www.youtube.com/watch?v=MnbIAqrWoHE> (ultima consultazione 15 febbraio 2017): si tratta di un’intervista fatta da Beth McMurtrie a Mary Marshall Clack e Clifford Kuhn il 28 gennaio 2014. 43 Palys – Lowman 2012: 271 («Per gli intervistatori e gli intervistati la riservatezza era intesa come illimitata, viceversa il Boston College si era impegnato alla riservatezza solo ‘nella misura consentita dalla legge’. Questa clausola è invocata spesso da ricercatori e centri universitari di ricerca, ma è stato poco discusso che cosa tale espressione esattamente significhi e quali obblighi etici essa porti con sé»).

troppo non è così quando l’indagine scientifica attraversa ambiti in cui è cruciale la confidenzialità. Considerano, quindi, i subpoenas del Boston Col- lege come un’occasione di riflessione su alcune domande di più ampia por- tata: che cosa significa ‹esattamente› dire che la segretezza è assicurata fino a che la legge lo consente? E ancora: è sufficiente inserire questa frase in una liberatoria per esaurire i doveri etici di un’università o di un ricercato- re indipendente? E per rispondere passano allo scrutinio alcuni degli errori, leggerezze e sottovalutazioni commessi nella costruzione e realizzazione del Belfast Project.

Uno degli errori a posteriori più evidenti è stata la mancata supervisione legale e istituzionale degli accordi che sorreggevano il progetto, sia quello tra il Boston College e il team di ricerca che ha sottovalutato la clausola «to the extent the Law allows», sia l’Agreement for Donation che l’ha omessa del tutto.

Palys e Lowman concludono con un giudizio netto: «Boston College has proved an example that will be cited for years to come of how not to protect research participants to the extent American law allows»44. E questo a cau-

sa dell’implicito principio del «Caveat emptor!»45 che era incapsulato nel rap-

porto con i vulnerabili intervistati del Belfast Project:

«this liability management approach holds that it is ethically acceptable to disclose information to legal and other authorities as long the participants are warned about the possibility [of a subpoena] – except in the case of the Belfast Project, Boston College did not even warn participants about this alleged limit»46.

Un accordo basato sul «Caveat emptor» – proseguono i due giuristi – può anche essere del tutto legale, ma resta comunque molto lontano dai principi etici che ci si attende dalla ricerca, per molte ragioni: perché mentre enfatiz- za la lettera del consenso informato, ne vanifica lo spirito; perché scarica sull’intervistato l’onere e la responsabilità di prendere nozione dei rischi;

44 Palys – Lowman 2012: 293 («Il Boston College ha offerto un esempio di come non proteggere i parte- cipanti a una ricerca nella misura consentita dalla legge che sarà citato per anni»).

45 L’espressione latina, che significa letteralmente «stia in guardia il compratore», fa riferimento al principio per cui è chi acquista che si assume il rischio della qualità di ciò che ha comprato; in un caso come questo il significato finisce per abbracciare per estensione una situazione di scambio in cui colui che propone l’accordo possiede un’informazione più rilevante di chi lo sottoscrive.

46 Palys – Lowman 2012: 293 («Questo approccio ispirato al liability management finanziario afferma che rivelare informazioni alle autorità giudiziarie è eticamente accettabile nella misura in cui i soggetti coinvolti sono avvertiti della possibilità di una loro richiesta da parte delle autorità stesse. Il punto però è che il Belfast Project non aveva affatto messo sull’avviso i suoi partecipanti di questa eventualità»)

perché non solo non protegge i partecipanti alla ricerca, ma facilita il danno per l’intervistato finendo con il rappresentare una pratica estrattiva, di mero sfruttamento delle conoscenze che l’intervistato sta offrendo.

Un altro errore è stato non fare sufficiente chiarezza sulla segretezza che si era realmente disposti a garantire e quindi, in qualche modo, ritrovandosi a far promesse – anche in perfetta buona fede – che non si era in grado di mantenere. E una volta entrata in gioco l’autorità giudiziaria, a parere di Palys e Lowman, il Boston College è stato fin troppo rapido e fin troppo solerte nel cedere alle richieste del subpoena: «showing only token legal resitance and then giving up, with a shrug, and saying: ‹sorry, we told you that might happen›»47; al contrario, Moloney e McIntyre non si sono mai mo-

strati disposti a questo, per quanto abbiano dovuto ripensare al proprio per- corso sotto altri versi.

E un ulteriore errore è stato – da parte del Boston College – quello di porsi in un atteggiamento che guardava alla legge passivamente, solo come a un vincolo e non come a qualcosa di dinamico, qualcosa che consentisse di incidere sul «legal landscape», che l’accademia può in una qualche misura riuscire a influenzare:

«because this case epitomizes the need for a participant privilege to be recognized so that research on sensitive topics can occur, it could go to the Supreme Court and change the legal landscape for subse- quent research participants who are willing to divulge their fragility, weakness, violence, and transgressions so that others can learn from their experiences»48.

Così, una delle più sconcertanti lezioni di questo caso, espressa da Ed Mo- loney dopo che la strada dei ricercatori del Belfast Project si era divaricata dalla linea del Boston College, pare essere quella per cui dell’università è meglio essere sospettosi, specie in una circostanza come questa in cui è stato il Boston College a mantenere il controllo sui dati di ricerca raccolti diventandone il conservatore, ma si è dimostrato approssimativo nel gestirli e disinvolto nello scaricare i propri collaboratori49. Si potrebbe aggiungere,

viceversa, che forse non erano le figure di giornalisti le più adatte a essere

47 Palys – Lowman 2012: 293 («facendo una resistenza solo simbolica e poi lasciando perdere con un’alzata di spalle, dicendo: ‘ci spiace, ma ve lo avevamo detto che poteva succedere...’»).

48 Palys-Lowman 2012: 291 («Poiché è un esempio paradigmatico della necessità, per potere far ricerca su temi sensibili, che l’eccezionalismo accademico sia riconosciuto, questo caso potrebbe finire di fronte alla Corte Suprema, cambiare il paesaggio giuridico e così fare in modo che intervistati futuri, intenzionati a parlare delle proprie fragilità, debolezze, trasgressioni, violenze possano apprendere da esso»).

ingaggiate dal committente accademico per un progetto di questo tenore, o che almeno non avrebbero dovuto essere lasciate da sole a gestirlo. Il Bel- fast Project ha perso la chance, sin dalle sue fondamenta, di essere proget- tato come un progetto di storia.

Le lezioni da apprendere sono di sicuro più di una. Da un lato, riguardano la consapevolezza delle implicazioni legali ed etiche che non possono essere separate dal valore scientifico di alcuni ambiti di ricerca e del fatto che le istituzioni potrebbero non essere in grado di offrire il genere di protezione che determinate collezioni di fonti orali possono richiedere; dall’altro, illumi- nano la fragilità, ma anche l’importanza e le potenzialità della ricerca sociale e della ricerca qualitativa.

Una lezione ha quindi a che fare con il contenimento dell’azzardo per le prospettive della ricerca in sé e per la pratica di archiviazione, attraverso la comprensione, non solo del ‹perché› il caso del Belfast Project è deflagrato, ma anche del ‹come›. In altre parole, spiega James King, membro della School of Information Sciences dell’Università di Pittsburgh:

«how the subpoenas – and the inevitable distrust and entrenchment they will engender – threaten to determine how present and future conflicts are, or are not, preserved […, and also threaten] to silence records that otherwise would have been created, producing irreparable holes in the historical records»50.

Ciò ha a che fare con le misure di mitigazione del rischio per ‹tutte› le istan- ze e gli interessi coinvolti in questo tipo di progetti, e non solo per gli inte- ressi istituzionalmente più robusti. «What are the risks? Help me to lower the risks», ha chiesto Mary Marshall Clark all’ufficio legale della Columbia Uni- versity (dove dirige lo Oral History Reserch Office) quando ha dato inizio al suo progetto di raccolta di testimonianze sull’11 settembre51. E stima di

avere impiegato più di un anno per formulare i protocolli di ricerca che l’han- no successivamente guidata nell’impostare la costruzione di un archivio di- gitale di interviste sul carcere militare americano di Guantanamo, archivio poi completato nel 201352.

50 King 2014: 29 («come la duplice citazione in giudizio dei documenti del Belfast Project – con l’inevitabile catena di trinceramento diffidente che genererà – minaccino di determinare il modo in cui i conflitti presenti e futuri saranno o non saranno presentati e documentati; [e come minaccino] di tacitare documenti che sareb- bero altrimenti prodotti, aprendo irreparabili buchi nella documentazione storica»). James Allison King, dopo la pubblicazione di questo intervento, è stato invitato come «key note speaker» al convegno annuale dell’Archives & Records Association-UK & Ireland, convegno che si è tenuto a Dublino nell’estate 2015.

51 Marcus 2014; Marshall Clark 2011. 52 Marshall Clark 2014.

Su un piano più generale alcuni commentatori, sul piano delle implicazioni giuridiche del caso, hanno argomentato a favore della necessità di una maggior tutela del «researcher’s privilege», passandone in rassegna la storia nella giurisprudenza USA53. Altrimenti definito «academic o scholar’s privile-

ge», questo principio di Common Law si radica nel primo emendamento della costituzione americana, si avvicina al diritto proprio dei giornalisti di proteggere le proprie fonti, e nel nostro ordinamento ha un equivalente nell’obbligo normativo e deontologico del segreto professionale.

L’esigenza di mettere allo studio delle policy di conservazione, che consen- tano alle voci di un conflitto di non essere obliterate, è invece stata solleva- ta, a partire dal Belfast Project, dagli archivisti statunitensi. Ampio spazio di attenzione gli è stato prestato dal blog della Society of American Archivist, la quale ha poi incaricato un gruppo di lavoro di redigere un documento di sintesi della discussione sviluppata54. Di questa discussione è stata una

voce autorevole Christine George, archivista e responsabile della Charles B. Sears Law Library alla State University of New York – Buffalo. Appoggian- dosi alla rassegna di casi legali che hanno visto implicata la Oral History americana e redatta da John Neuenschwander (2009 e poi 20142), a pro-

posito delle interviste del Belfast Project, Christine George ha sottolineato: «while the promise of confidentiality was no doubt conforting to the inter- viewees, it was not a promise that could be kept. While archives can deny access to the average citizen, the courts are another matter»55. George ha

quindi rivolto un forte appello a un’estensione del principio dell’«academic privilege» verso un «archival privilege», considerato in pochissimi casi nella giurisprudenza americana:

«Granted, the Belfast Project may not be the ideal vehicle for arguing for archival privilege. Not is only there a charged political situation, there is also the complication of an international treaty. However, that does not mean that archivist should not be involved. At the point of this writing the fate of those oral histories is in the hands of the Supreme Court. But should be the Court decide to hear the case, fallout could resonate through the profession. It is in the profession’s best interest that the Supreme Court renders a narrow ruling. [...] If a court renders a decision outright against

53 Havermann 2012; Murray 2013. 54 Saa 2013.

55 George 2013: 13 («La promessa di segretezza è certamente rassicurante per gli intervistati, ma non è una promessa che possa essere mantenuta. Gli archivi possono negare l’accesso al cittadino comune, ma non ai giudici»).

archival privilege, making the argument in favour of granting the privilege will be much difficult in the future. This is why the time to act is now»56.

L’idea di un «archival privilege», applicato a materiale d’archivio sensibile, divide l’opinione, non solo tra gli archivisti ma tra i suoi sostenitori, da un lato, e chi crede che un simile privilegio possa essere interpretato come «eserci- zio di assolutismo», dall’altro. (com’è stato definito da qualche commentato- re sul blog SAA). Ma George lo appoggia al «bisogno di storia» richiesto da particolari processi, al bisogno di informazione onesta e imparziale del mon- do contemporaneo, così peculiarmente esposto alla distorsione della verità per azione dei social media, e al bisogno di assicurare protezione dalle po- tenziali conseguenze legali alle testimonianze raccolte in questa direzione e con questo obiettivo.

Quando la ricerca degli storici orali si trasforma in uno strumento di polizia, non potrà che seguirne il silenzio dei testimoni, la distruzione delle testimo- nianze, la messa a repentaglio delle condizioni in cui essa dovrebbe svolger- si, e talvolta anche la messa in pericolo di chi la svolge o vi partecipa. Quindi, provando a mettere a fuoco tutto questo, è a partire dall’arresto di Gerry Adams nell’estate del 2014, che noi del tavolo di lavoro AISO abbiamo ini- ziato a pensare a una prima stesura di linee guida per gli storici orali italiani, senza scordare il monito dei colleghi americani che se ne stavano occupan- do sull’altro lato dell’oceano:

«The case offers a reminder of the importance of adhering to best practi- ces, from the inception of an oral history project through its implementation and usage. Practitioners should take seriously the principle of informed consent, actively engaging in advance with potential narrators about subjects to be addressed in the interview, restriction options, and issues of future use. Legal counsel should be consulted at the outset about any possible issues involving restriction and confidentiality. Everyone involved – including upper administration, counsel, interviewers, and archives staff – needs to have the same understanding about procedures, and there

56 George 2013: 29 («Il Belfast Project può certo non rappresentare il caso più appropriato per argomentare a favore del privilegio archivistico. Non c’è in ballo qui solo una situazione politica tesa, ma anche la complicazione di un trattato internazionale. Ciò però non significa che gli archivisti non debbano prendere la parola. All’epoca in cui queste righe vengono scritte, quelle interviste di storia orale sono in mano alla Corte Suprema. Se la Corte dovesse decidere di esaminare la causa, le ricadute sulla professione si farebbero sentire. È nel migliore interesse della professione stessa che la Corte Suprema emetta una sentenza inequivocabile. Se un qualsiasi tribunale prendesse una decisione totalmente avversa al privilegio archivistico, a quel punto sarebbe più difficile sostenerlo nel futuro. Per questa ragione bisogna agire adesso»).

needs to be clear written documentation of the process. It is imperative that people do not make promises that they can’t or won’t keep. Be cautious