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Il ricorso alla formulazione di principi general

«Buone pratiche per la storia orale»

2. Il ricorso alla formulazione di principi general

Chiarite le ragioni della stesura delle «Buone pratiche» – e chiarito altresì che esse rappresentano una sede di bilanciamento tra le norme del diritto statale e i precetti deontologici che orientano la comunità degli oralisti – si comprende facilmente come mai esse si caratterizzino subito per l’antepor- re ad ogni altra indicazione la precisazione di alcuni principi generali (si veda il primo paragrafo della seconda parte del documento qui commentato). Il principio generale, per sua natura, non implica una soluzione netta; espri- me una direzione, un’intenzione suscettibile di realizzarsi diversamente a seconda del contesto in cui essa è chiamata a manifestarsi puntualmente. Esso, quindi, è uno strumento che ben si presta, innanzitutto, a non entrare in dichiarato conflitto con le prescrizioni normative di origine statale, bensì ad adattarvisi plasticamente, permettendone, simultaneamente, una rece- zione proporzionata e un’effettività maggiore.

Ma la tecnica del ricorso alla definizione di principi generali ha, usualmente, nel mondo del diritto, anche due ulteriori funzioni:

• quella di chiarire, anche verso l’interno, quali siano i presupposti o i valori di fondo cui sono ispirate tutte le altre regole, al fine di consentirne una piena e migliore interpretazione e applicazione nei possibili casi concreti; • quella di porre in anticipo dei fattori ulteriori di generazione di regole

specifiche per l’ipotesi in cui quelle espressamente dettate non si rivelino sufficienti ovvero per l’ipotesi in cui non sia possibile tout court dettare regole specifiche, perché queste debbano essere ricavate, di volta in vol- ta, dall’armonico confronto di due o più principi parimenti importanti e convergenti (anche se eventualmente dissonanti).

Le «Buone pratiche» pongono, dunque, alcuni principi generali, che assolvo- no a tutti questi compiti. Si tratta, in particolare, di tre principi (che in questa sede si potrebbero così definire):

17 In questi termini, è significativo il secondo paragrafo della «Presentazione». Ma si veda anche l’articolo 2, primo periodo, dello Statuto di AISO: «L’Associazione ha lo scopo di promuovere con ogni mezzo l’uso critico, la metodologia, la conoscenza, la pratica, la diffusione, l’accessibilità e la conservazione delle fonti orali in storiografia e nelle discipline affini» (lo Statuto è consultabile anche online: <http://aisoitalia.org/?page_id=28>, ultima consultazione 20 febbraio 2017).

a) Un principio di professionalità necessaria: «La raccolta di fonti orali e la loro utilizzazione sotto qualsiasi forma presuppongono un’adeguata pre- parazione in materia di principi e pratiche della storia orale»; inoltre, chiunque «promuova progetti volti alla raccolta, alla conservazione, al trattamento o all’uso di fonti orali da parte di terzi» ha un generale dove- re di informazione, nei confronti dei propri collaboratori, «sulle implicazio- ni giuridiche, deontologiche ed etiche del loro lavoro»18.

Il principio è particolarmente interessante, poiché stabilisce un primo ed essenziale criterio di diligenza, consistente, quanto meno, nella doverosa conoscenza, per chiunque abbia a che fare con le fonti orali, del quadro giuridico e deontologico – e quindi, come minimo, del contenuto delle me- desime «Buone pratiche» – nonché nella trasmissione di tali conoscenze, altrettanto doverosa, nei confronti di tutti i soggetti che possano, con il loro comportamento, aumentare il rischio di entrare in conflitto con quel quadro. Ciò, ad esempio, potrà significare che la valutazione dell’antigiuridicità del comportamento di chi operi su fonti orali passerà, in primo luogo, non solo dalla valutazione sulla corrispondenza tra i contegni individuali e le prescri- zioni della legge e delle «Buone pratiche», ma anche dalla verifica del rispet- to dell’onere informativo che il singolo operatore – dominando in prima bat- tuta i ‹fattori di rischio› – ha nei confronti di tutti coloro che collaborino alle varie fasi della ricerca. Se questi sbaglieranno, della loro condotta sarà, se del caso, ‹rimproverabile› anche colui che non ha provveduto a fornire l’ade- guata informazione. Il principio in questione, in tal modo, è da considerarsi anche come la ‹testa di ponte› di ciò che le medesime «Buone pratiche» dettano in merito al rapporto tra ricercatore e committenza19.

b) Un principio di autenticità della fonte orale: la raccolta delle testimonianze funzionali alla formazione delle fonti orali è attività improntata al presuppo- sto fondamentale che ogni intervista è «un dono» e «un’esperienza di ap- prendimento», e va pertanto condotta esercitando «l’arte dell’ascolto senza avere impostazioni rigide e senza interrompere le digressioni su temi non preventivati, spesso precursori di nuove piste d’indagine».

Probabilmente questo è il principio-cardine di tutte le «Buone pratiche». Esso si pone, contemporaneamente, quale espressione diretta del metodo personalizzante che, come si avvertiva dianzi, la comunità degli oralisti inten- de privilegiare come maggiormente accreditato e adeguato, ma anche qua-

18 «Tale esigenza è particolarmente avvertita dai docenti e dalle istituzioni educative, che hanno la responsa- bilità di rendere edotti studenti e allievi delle peculiarità delle fonti orali e degli accorgimenti specifici che esse richiedono». Si veda sempre il testo delle «Buone pratiche»..

le veicolo per la migliore traduzione, nell’attività concreta di ricerca, delle esigenze di tutela dell’identità individuale che sono sottese alle prescrizioni del diritto statale. Si tratta, quindi, di un ‹principio valvola›, che, nel porre ab

origine l’oralista come soggetto in posizione di ascolto, gli impone il rispetto

della dignità del suo interlocutore e, con esso, il rispetto di tutte le regole che sono a ciò finalizzate, e soprattutto quelle dettate dalle stesse «Buone pratiche» circa la raccolta delle interviste e la loro utilizzazione20.

Va notato che il principio qui ‹battezzato› come di autenticità pone, poten- zialmente, un canone di condotta molto più esigente rispetto a quello che scaturisce dalla mera lettura delle disposizioni del Codice di deontologia, poiché, pur proponendosi di non interrompere il flusso libero di un’intervista già avviata su presupposti (e a condizioni) specifici, si pone il problema di ciò che eventualmente emerga, di nuovo e di imprevisto, dalla spontanea elabo- razione dell’intervistato. Di fronte a simili novità, la posizione di ascolto dell’intervistatore dovrà essere ragionevolmente tale non solo per acquisire la consapevolezza su ulteriori filoni di indagine, ma anche per avvertire, se del caso, l’intervistato di questa possibilità e del necessario consenso che egli dovrà manifestare (o meglio ribadire).

c) Un principio di unicità della fonte orale: ogni intervista «è unica e irripeti- bile», sicché la sua raccolta deve avvenire con ogni mezzo che sia, in quel momento, il più consono a garantirne la buona qualità, avuto anche ri- guardo, sin dall’avvio della ricerca, all’individuazione delle cautele per «la conservazione ottimale delle interviste e dei relativi documenti».

Simile principio rappresenta la garanzia della tenuta effettiva del suddetto principio di autenticità, ma anche la garanzia del fatto che la fonte, una volta formata, non possa essere unilateralmente ‹ritrattata› dall’intervistato. Il che non toglie, naturalmente, che vi possa essere una rielaborazione successiva di quanto testimoniato o anche un ritiro del consenso alla diffusione: ma ciò sarà oggetto di una nuova intervista, essa stessa unica e irripetibile, o della manifestazione (comunque) di una nuova, e successiva, volontà, che non potrà impedire al ricercatore e allo studioso l’utilizzo materiale delle informa- zioni già raccolte21.

Il principio di unicità, peraltro, pone anche le fondamenta di ciò che le «Buo- ne pratiche» stabiliscono in merito alla conservazione delle fonti orali22, sen-

sibilizzando, così, il ricercatore e i sui collaboratori verso l’esigenza che il

20 Si veda rispettivamente il secondo e il terzo paragrafo delle «Buone pratiche». 21 Si veda oltre, il paragrafo 5.

tema della conservazione sia conosciuto e valutato ex ante, anche dal punto di vista dell’individuazione del luogo a tal fine maggiormente idoneo e delle regole (giuridiche) che concernono l’attività di archiviazione.

3. Le cautele da seguire nell’attività