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Il caso Contarina Spa: le sentenze TAR Veneto, sez III, n.

Contarina S.P.A è una società autorizzata ad un’attività sperimentale per il trattamento ed il recupero di rifiuti urbani e assimilabili costituiti da prodotti assorbenti per la persona a norma dell’art. 211 (Autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione) del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 30 della legge regionale n. 3/2000 (Impianti di sperimentazione e ricerca), con deliberazione della Giunta Regionale n. 2064 del 3 novembre 2014, ad effettuare, presso lo stabilimento sito in Lovadina di Spresiano, l’attività sperimentale per il trattamento ed il recupero di rifiuti urbani e

36 CASTAGNOLA L., «Rifiuti. End of Waste: chi decide i “criteri specifici” utili a stabilire quando un rifiuto cessa di essere tale?», 9 maggio 2018, reperibile al sito https://lexambiente.it

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assimilabili costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni.

L’impianto è deputato allo svolgimento di attività di recupero rifiuti non pericolosi identificata dal codice “R12” (scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11), e le due frazioni recuperate dal processo di sanificazione dei pannolini (1. frazione composta di cellulosa in fiocchi; 2. frazione composta di plastica in foglia) sono state classificate come rifiuti con codice CER, rispettivamente, 191201 (frazione cellulosica) e 191204 (frazione plastica).

Con istanza avanzata in data 30 ottobre 2015 alla Giunta Regionale, Contarina chiede la modifica dell’autorizzazione, al fine di perfezionare il processo di trattamento per migliorare la qualità dei materiali riciclabili, con conseguente modifica della classificazione delle operazioni di recupero consentite all’impianto da “R12” a “R3” – “riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi” – propedeutica a classificare le frazioni riciclabili, recuperate attraverso il processo, come materie prime secondarie.

Il processo di recupero dei pannolini proposto da Contarina Spa ha la finalità di produrre quattro distinte tipologie di rifiuto potenzialmente riciclabili:

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- 2. frazione composta di plastica in foglia; - 3. frazione composta di plastica e cellulosa; - 4. frazione di polimero superassorbente “SAP”.

Su tale istanza la competente Commissione tecnica ha reso il parere n. 4002 del 23 giugno 2016, secondo cui, con particolare riferimento alla richiesta di classificare le operazioni di recupero oggetto di sperimentazione “R3” (con conseguente cessazione della qualifica di “rifiuto” delle frazioni riciclabili): la normativa di settore all’art. 184-ter del d.lgs. n. 152/06 e s.m.i., non contempla la discrezionalità per le Autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione, riguardo la definizione di criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, che sono disciplinati solo da precisi regolamenti comunitari e da decreti del Ministero dell’Ambiente. Quindi, in assenza di un pronunciamento chiaro da parte del Ministero dell’Ambiente, ad oggi, l’autorità competente, nell’ambito delle procedure istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio di impianti di gestione rifiuti, non ha titolo per definire nuove materie prime seconde non contemplate dal DM 05.02.1998, o di definire, caso per caso, i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto di materiali non ricompresi negli specifici regolamenti europei o in decreti del Ministero dell’Ambiente.

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La Commissione Tecnica ha proposto l’approvazione dell’operazione di recupero oggetto di sperimentazione, che consiste in sterilizzazione, selezione e recupero dei materiali, identificata in R12: “Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11”. Quanto poi alla frazione composta da polimero superassorbente (SAP), la Commissione ritiene che, nelle more dell’emanazione dei decreti di cui al comma 2 dell’art. 184-ter del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i., cessa la qualifica di rifiuto se rispetta i requisiti stabiliti dai punti 6.1.3 e 6.1.4 dell’Allegato 1-Sub-allegato 1 del DM 05.02.0998 e s.m.i.

La Commissione esprime parere favorevole alla richiesta di autorizzazione presentata da Contarina e la Giunta regionale, con deliberazione n. 1319 del 16 agosto 2016, recepisce il parere espresso dalla Commissione tecnica, autorizzando Contarina Spa ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitare l’attività nel rispetto delle prescrizioni contenuti nel citato parere, ma non a modificare la classificazione delle operazioni di recupero consentite all’impianto da R12 e R13 a R3.

Contarina Spa poi impugna la deliberazione suddetta, in parte qua, lamentando in primo luogo la violazione dell’art. 6, commi 1 e 4 della direttiva comunitaria n. 2008/98/CE, degli artt. 183, comma 1, lett. t), 184- ter, 214, comma 7, e 216 del d.lgs. n. 152/2006 (nonché dei d.m. 5 febbraio

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1998, d.m. 12 giugno 2002, d.m. 17 novembre 2005 n. 269), della Circolare prot. n. 10045 del 1° luglio 2016 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, oltre che eccesso di potere sotto il profilo dell’irragionevolezza e del difetto di motivazione.

Secondo la ricorrente, infatti, trattandosi di una richiesta di autorizzazione in via ordinaria, la Regione deve fissare nell’atto autorizzativo i criteri specifici da soddisfare affinché i materiali in uscita dal processo di trattamento prospettato possano dismettere la qualifica di rifiuto e, dunque, essere sottratti al regime normativo previsto per tale categoria, ai sensi dell’art. 184-ter del d.lgs. n. 152/2006.

In secondo luogo, la ricorrente denuncia il vizio di difetto di motivazione e di carenza di istruttoria per la mancata valutazione, da parte dell’Amministrazione, delle circolari ministeriali prot. n. 10045 del 1° luglio 2016 e prot. 11415 del 28 luglio 2016 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in base alle quali sarebbe possibile un’interpretazione opposta a quella in concreto adottata.

Il TAR ritiene il ricorso fondato sotto entrambi i profili e, di conseguenza, deve essere annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui, facendo proprie le considerazioni della Commissione tecnica regionale, respinge, con le motivazioni suddette, la richiesta della ricorrente di qualificare le operazioni di recupero svolte nell’impianto in oggetto “R3”,

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classificandole invece come «R12: “Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11”» ed “R13: Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12”. Il 28 febbraio 2018, con sentenza n. 1229, il Consiglio di Stato, sez. IV., si dimostra di diverso avviso.

La sentenza del TAR viene appellata dalla Regione Veneto. Il Consiglio di Stato accoglie l’appello e stabilisce che l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE prevede che gli Stati membri possono decidere caso per caso notificando le decisioni alla Commissione, solo se non esistono criteri a livello europeo; l’art. 184-ter d.lgs. n. 152/2006 rinvia per la fissazione dei criteri in questione ai regolamenti europei, o, in subordine, allo Stato attraverso decreti del Ministero dell’Ambiente; quindi, ritiene lo Stato il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto, non riconoscendo ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato poteri di valutazione caso per caso. Tutto ciò sarebbe in linea con l’art. 117 Cost. che attribuisce la potestà legislativa esclusiva allo Stato in materia di tutela ambientale e dell’ecosistema e con l’interpretazione della direttiva 2008/98/CE37.

37 CASTAGNOLA L., «Rifiuti. End of Waste: chi decide i “criteri specifici” utili a stabilire quando un rifiuto cessa di essere tale?», 9 maggio 2018, reperibile al sito https://lexambiente.it

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La pronuncia del Consiglio di Stato ha creato un notevole caos applicativo dei decreti end of waste, in contrasto con le indicazioni che aveva dato il Ministero dell’Ambiente con la circolare del 2016.

Il Ministro dell’Ambiente il 19 luglio 2018 aveva risposto ad un’interrogazione parlamentare in relazione all’adeguamento dell’art. 184-ter del d.lgs. n. 152/2006 all’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, come modificato dalla direttiva 2018/851/UE, riconoscendo la necessità di un intervento normativo che disciplinasse le modalità con cui istituire meccanismi per la cessazione della qualifica di rifiuto, in alternativa all’emanazione di specifici decreti ministeriali e che fossero immediatamente utilizzabili38.

La sentenza del Consiglio di Stato viene criticata da parte della dottrina, tra cui Amendola, che ritiene di considerare la Nota del Ministero dell’Ambiente un semplice contributo, un’anomalia non prevista da alcuna legge, quindi priva di valore vincolante39.

Inoltre, come riassume Amendola, il Consiglio di Stato stabilisce che, in assenza di regolamentazione comunitaria, si debbano approvare ed applicare decreti ministeriali per specifiche tipologie di rifiuto così da

38 MURATORI A., L’irrituale riscrittura dell’art. 184-ter del TUA e le linee guida SNPA riaprono all’EoW accertata dalle Regioni, in Ambiente & Sviluppo, 3/2020, XXVIII, p. 192

39 AMENDOLA G., «Rifiuti. End of Waste e Consiglio di Stato: solo lo Stato può intervenire sulla cessazione della qualifica di rifiuto», 16 marzo 2018, reperibile al sito https://lexambiente.it

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avere condizioni predeterminate valide per tutti e, nel periodo transitorio, in attesa di questi decreti, si continuino ad applicare, in quanto compatibili, i precedenti decreti già utilizzati per le materie prime secondarie40.

9. La Sentenza C-60/18 del 28 marzo 2019 della Corte di giustizia dell’Unione Europea

Sulla questione end of waste interviene anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in riferimento alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d’Appello di Tallinn (Estonia).

In particolare, si chiede alla Corte di chiarire se, in assenza di criteri a livello europeo o nazionale, sia possibile, riconoscere come end of waste specifiche tipologie di rifiuto con una valutazione caso per caso (rilasciata, in questo caso, dall’Agenzia per l’ambiente).

La Tallinna Vesi si occupa della canalizzazione di acque reflue urbane della città di Tallinn (Estonia) e dei suoi dintorni, nonché del trattamento delle acque reflue in un impianto a fanghi attivi. I fanghi di depurazione risultanti dal processo di depurazione vengono trasferiti in cisterne ai fini

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di una digestione anaerobica (metanizzazione). Dopo un processo di digestione anaerobica di quindici giorni, tali fanghi sono disidratati mediante (filtro) presse centrifughe e trasferiti sul luogo di compostaggio ai fini di una digestione aerobica.

Dalla lettura della sentenza emerge che La Tallinna Vesi vuole commercializzare i fanghi di depurazione delle acque reflue urbane, così trattate dalla medesima, come terriccio per aree verdi. Essa ritiene che tale processo corrisponda ad un riciclaggio biologico (codice di operazione R3) e intende ottenere una corrispondente autorizzazione in materia di rifiuti.

Conformemente al diritto nazionale, il riciclaggio biologico è un’operazione di recupero di rifiuti nel corso della quale i rifiuti sono trattati e cessano di essere rifiuti, se i requisiti tecnici per fini specifici sono soddisfatti e le norme giuridiche nonché quelle applicabili ai prodotti sono rispettate, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, punto 3, della legge relativa ai rifiuti. La Repubblica di Estonia ha recepito l’articolo 6 della direttiva 2008/98 prevedendo all’articolo 21 della legge sui rifiuti che la cessazione della qualifica di rifiuto può avvenire solo sulla base di un atto dell’Unione o di un regolamento del Ministro dell’Ambiente che definisca i criteri in questione. In particolare, conformemente al paragrafo 2 di tale articolo, l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto dei

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fanghi di depurazione trattati da un operatore quale la Tallinna Vesi presuppone che, in via preliminare, il Ministro dell’Ambiente definisca, per quanto riguarda il tipo di rifiuti in questione, per via regolamentare i criteri a partire dai quali l’Agenzia per l’ambiente possa valutare se i fanghi di depurazione trattati abbiano cessato di essere rifiuti. Tale agenzia non può quindi, in forza del diritto estone, basarsi unicamente sui principi enunciati all’articolo 21, paragrafo 1, della legge relativa ai rifiuti al fine di decidere se, nel caso di specie, per effetto dell’applicazione, da parte della Tallinna Vesi, dei processi di stabilizzazione e di igienizzazione dei fanghi di depurazione, questi ultimi abbiano cessato di essere rifiuti per diventare prodotti41.

Inoltre, dalla lettura della sentenza si evince che al momento del rilascio delle autorizzazioni di cui trattasi nel procedimento principale, né il diritto dell’Unione né il diritto estone prevedevano siffatti criteri. Pertanto, l’Agenzia per l’ambiente non ha accordato il codice R3 per l’operazione di recupero dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane per il motivo che la condizione di cui all’articolo 21, paragrafo 1, punto 3), della legge sui rifiuti non era soddisfatta. Le operazioni di trattamento dei rifiuti effettuate dalla Tallinna Vesi sono quindi state qualificate, con due

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provvedimenti adottati dall’Agenzia per l’ambiente, come «trattamento biologico preliminare al recupero dei rifiuti (codice di operazione R12)». Il 1º dicembre 2014 e il 20 luglio 2015 la Tallinna Vesi propone ricorso dinanzi al Tallinna Halduskohus (Tribunale amministrativo di Tallinn, Estonia) per ottenere l’annullamento parziale di tali due provvedimenti e la condanna dell’Agenzia per l’ambiente a modificare le autorizzazioni che ne derivano o, in mancanza, a rilasciare nuove autorizzazioni fondate sul codice di operazione R3. Tali ricorsi sono stati respinti con sentenza del 15 luglio 2016, a causa dell’assenza di requisiti tecnici, di norme giuridiche e di norme applicabili ai prodotti. La Tallinna Vesi ha quindi interposto appello avverso tale sentenza.

La Tallinna Ringkonnakohus (Corte d’appello di Tallinn, Estonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sollevare dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98, debba essere interpretato nel senso che è conforme a tale disposizione un atto giuridico nazionale il quale prevede che, in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto stabiliti a livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di rifiuti, detta cessazione dipenda dalla sussistenza per uno specifico tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale.

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2) Se, in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto stabiliti a livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di rifiuti, l’articolo 6, paragrafo 4, primo periodo, della direttiva 2008/98 conferisca al detentore dei rifiuti il diritto di chiedere all’autorità competente o a un giudice di uno Stato membro di accertare detta cessazione in linea con la giurisprudenza applicabile della Corte di giustizia dell’Unione europea a prescindere dal fatto che per uno specifico tipo di rifiuti esistano criteri stabiliti mediante un atto giuridico nazionale di portata generale42».

La seconda Sezione della Corte di Giustizia dell’UE, con la sentenza 28 marzo 2019 (causa C-60/18) ha affermato che «L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell’Unione europea per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale, e non consente a un detentore di rifiuti, in circostanze come quelle di cui al procedimento

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principale, di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro43», inoltre gli Stati membri possono, come

risulta dal testo dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98, decidere caso per caso se taluni rifiuti abbiano cessato di essere rifiuti, pur essendo tenuti, quando la direttiva 98/34, come modificata dalla direttiva 98/48, lo richiede, a notificare alla Commissione le norme e le regole tecniche adottate a tal riguardo44.

La Corte di Giustizia dell’UE si è astenuta da qualsiasi chiarimento in merito alla tipologia ed alla natura delle decisioni individuali in materia di cessazione della qualifica di rifiuto che possono essere assunte dagli organi periferici senza obbligo di preventiva notifica alla Commissione. Per di più la Corte non ha tenuto conto della direttiva 2018/851/UE che ha modificato l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE soprattutto per quanto riguarda le competenze della Commissione europea e degli Stati membri in tema di End of Waste.

Possiamo, perciò, affermare che la sentenza sia corretta in punto di diritto ma risulti debole nella misura in cui gli Stati membri dovranno recepire la nuova direttiva 2018/851/UE entro il 5 luglio 2020 e quindi applicare il

43 Corte di giustizia UE Sez. 2^, 28/03/2019 Sentenza C-60/18 44 Ibidem

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nuovo art. 6 della direttiva 2008/98/CE, in cui si dispone che «la competenza primaria sull’adozione delle “misure” atte a garantire che i rifiuti sottoposti a un’operazione di riciclaggio o di recupero di altro tipo cessino di essere considerati tali, trascorre in capo agli Stati membri - chiamati, dunque a sostituirsi agli organismi europei, in precedenza preposti all’adozione delle pertinenti misure – nel rispetto delle “quattro condizioni chiave” di cui al modificato par. 1 dell’art. 6 della direttiva quadro sui rifiuti45».

10. L’art. 184-ter nel decreto c.d. “Sblocca cantieri” (decreto legge n.