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Il “Codice Urbani”

Nel documento Lezioni di Diritto Forestale e ambientale (pagine 198-200)

SETTORI DI INTERVENTO DELLA NORMATIVA FORESTALE,

IV IL VINCOLO PAESAGGISTICO-AMBIENTALE

6. Il “Codice Urbani”

La svolta nel senso della affermazione di una espressa definizione di paesaggio e della individuazione di una sua specifica tutela è segnata nella normativa nazionale, che cavalca l’onda della svolta internazionale che sopra abbiamo ricordato, con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 41, recante il “Codice dei beni cul-

turali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002 n. 42 del 2004”, entrato in vigore il 1° maggio 2004: il c.d. “Codice Urbani” che espressamente abroga, tra una serie di altri

provvedimenti normativi, anche il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e successive modificazioni e integrazioni. Il provvedimento è stato emanato in attuazione della legge delega 6 luglio 2002, n. 137, il cui art. 10, dal Titolo “Delega per il riassetto

e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore”, invitava il

Governo a riunire in un “Codice” le disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.

Il Codice opera un deciso salto di qualità rispetto al Testo unico del 1999 verso una più marcata ed esplicita tutela del paesaggio, che assume una connotazione propria decisamente emancipata rispetto alla protezione dell’ambiente: nell’ottica del Codice i beni ambientali sono considerati parte integrante del paesaggio, costi- tuiscono una componente del paesaggio, ma non ne esauriscono il contenuto. Ciò emerge con tutta evidenza da una serie di indicatori alcuni di natura formale ed altri di carattere sostanziale: è emblematico in tal senso anzitutto il titolo stesso del provvedimento che, a differenza del suo precedente, il Testo unico del 1999, che recava la dicitura “Testo unico in materia di beni culturali e

ambientali”, si propone come “Codice dei beni culturali e del paesaggio”: nel rinnovato legame con i beni culturali, retaggio delle

ideologie più avanzate, si sostituisce dunque al termine ambiente quello di paesaggio. In linea con questa nuova tendenza appaiono le due disposizioni di apertura del Codice, gli artt.1 e 2, che contengono una sorta di dichiarazione di intenti circa gli obbiettivi che il legislatore si prefigge di realizzare attraverso il provvedimento e al contempo la individuazione dell’oggetto del suo intervento: si fa espresso riferimento in queste norme alla conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale, dove il concetto di patrimonio culturale comprende i beni culturali e i beni paesaggistici. Il termine “ambiente” è significativamente bandito dall’intera fitta trama del dettato legislativo del Codice anche quando, come nella Rubrica della Parte terza, si fa riferimento alle

categorie di beni che il Testo unico qualificava come beni ambientali, e si sostituisce a questo termine quello di beni

paesaggistici; o laddove si parla di pianificazione paesaggistica e di piani paesaggistici (art. 143 e art. 145) con riguardo a strumenti che,

sia pur con qualche significativa variazione, corrispondono ai c.d. “piani territoriali paesistici” del Testo unico del 1999. Nella direzione di una rinnovata attenzione per il paesaggio si promuove, infine, all’art. 148, l’istituzione su iniziativa delle Regioni, entro un anno dalla entrata in vigore del Codice, di una Commissione per il

paesaggio presso gli Enti locali ai quali sono attribuite le

competenze in materia di autorizzazione paesaggistica, composta da soggetti con particolare e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio, con la precipua funzione di esprimere il parere obbligatorio in merito al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.

6.a) La nozione giuridica di paesaggio e la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia

Perfettamente in sintonia con la sua linea ispiratrice, il Codice offre, come abbiamo visto, la definizione giuridica di paesaggio, sia pure limitatamente al proprio ambito di operatività, ed è a tale proposito da sottolineare la circostanza che si tratta della prima volta che una definizione di paesaggio fa la sua apparizione in un testo normativo italiano. L’art. 131 del Codice definisce infatti come tale “una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla

natura, dalla storia umana

o dalle reciproche interrelazioni”, ed affida agli strumenti di tutela e

valorizzazione del paesaggio la salvaguardia dei valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili. La formulazione di questa definizione evoca quella plasmata dalla Convenzione

europea del paesaggio che, lo ricordo, all’art. 1, lett. a) designava

con tale termine “una determinata parte di territorio, così come è

percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.

In attuazione delle indicazioni contenute nella legge delega, il

Codice assembla in un unico testo legislativo le disposizioni relative

alle tre categorie di beni, che nel loro insieme costituiscono, come abbiamo visto, ai sensi dell’art. 2, il “patrimonio culturale”, formato appunto dai “beni culturali” e dai “beni paesaggistici”, termine che comprende, in forza del secondo comma della disposizione, i beni di cui alla legge del 1939 e quelli contemplati dalla legge Galasso, oltre ad altri beni che potranno essere individuati sulla base delle previsioni contenute nello stesso Codice. I beni paesaggistici sono dunque, alla luce dell’art. 2, considerati componenti del patrimonio culturale, la cui protezione è affidata allo Stato e alle Regioni, sulla base di criteri di ripartizione di competenza identificati in funzione di due distinte attività: la tutela e la valorizzazione.

L’attività di tutela del patrimonio culturale, intesa come “esercizio delle funzioni e disciplina delle attività dirette, sulla base

di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione”, è sostanzialmente

affidata allo Stato, e in particolare al Ministero per i Beni e le attività culturali: l’art. 4 offre peraltro

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