• Non ci sono risultati.

Il vincolo paesaggistico-ambientale alla luce della legge Galasso

Nel documento Lezioni di Diritto Forestale e ambientale (pagine 181-190)

SETTORI DI INTERVENTO DELLA NORMATIVA FORESTALE,

IV IL VINCOLO PAESAGGISTICO-AMBIENTALE

2. Il vincolo paesaggistico-ambientale alla luce della legge Galasso

Come abbiamo visto sopra nella Introduzione, a partire dagli anni ottanta si afferma sullo scenario legislativo italiano una concezione del paesaggio completamente diversa da quella accolta dalla legge del 1939, che si emancipa dalla identificazione con singoli beni e singoli luoghi, ed acquista un connotato più ampio, più globale, più territoriale. Questa concezione offre una nuova chiave di lettura dell’art. 9, 2°comma, della Costituzione: nella interpretazione dottrinale e giurisprudenziale si abbandona la identificazione della nozione costituzionale di paesaggio con le bellezze naturali della legge del 1939, per approdare ad una configurazione della stessa in termini di “forma e aspetto del

territorio”. La nuova concezione del paesaggio sembra agevolmente

armonizzarsi nella legge 8 agosto 1985, n. 431 “Conversione in

legge, con modificazioni, del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare

interesse ambientale” (c.d. “legge Galasso”) con la sia pure

embrionale ma crescente sensibilizzazione del legislatore alla protezione dell’ambiente. Assume dunque rilievo la necessità di salvaguardare le risorse naturali non facilmente riproducibili presenti sul territorio, e di coniugare la protezione del relativo valore ambientale con la possibilità di una loro utilizzazione economica secondo il principio dello sviluppo sostenibile. In questa fase dell’intervento legislativo la tutela del paesaggio sembra sfumare in una sostanziale fusione con la protezione dell’ambiente: è singolare peraltro che se pure cambia l’oggetto dell’intervento “protettivo” del legislatore, pressoché immutati restano gli strumenti attraverso i quali quest’ultimo persegue le sue finalità, che si identificano con quelli coniati dalla legge del 1939, alla quale la nuova normativa fa espresso richiamo, conformati peraltro, attraverso parziali modifiche della originaria disciplina, in funzione delle nuove finalità al cui perseguimento sono strumentali.

In sintonia con la nuova impostazione di fondo che la connota, la legge Galasso assume come oggetto della sua protezione alcune categorie di aree che vengono espressamente elencate all’art. 1, caratterizzate dal rilevante interesse ambientale che giustifica l’automatica soggezione di ogni area che rientra nelle categorie in- dicate al vincolo paesaggistico di cui alla legge n. 1497 del 1939, senza che sia più necessario, come viceversa stabiliva quest’ultima legge, un provvedimento amministrativo ad hoc. L’elenco dell’art. 1 comprende: a) i territori costieri compresi in una fascia della

profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con Regio decreto 11 dicembre 1933,

n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste o da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschi- mento; h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse nell’elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; l) i vulcani; m) le zone di interesse archeologico.

Per espresso richiamo operato dall’art. 1 della legge, la soggezione al vincolo comporta a carico del proprietario, possessore o detentore del bene vincolato, le stesse conseguenze già previste dalla legge del 1939, e dunque il divieto di distruggere il bene medesimo e di introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo aspetto esteriore che è protetto dal vincolo medesimo, con conseguente obbligo a carico dei soggetti suindicati di richiedere all’Amministrazione competente l’autorizzazione all’esecuzione di opere ed interventi su detto bene.

La nuova disciplina si conforma peraltro alle modifiche intervenute in epoca successiva alla entrata in vigore della legge del 1939, sotto il profilo istituzionale, e, dunque, in ordine sia alla attribuzione delle competenze statali in materia al Ministero per i Beni culturali e ambientali, sia al nuovo assetto della ripartizione di competenze tra lo Stato e le Regioni, introdotta dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 “Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22

luglio 1975, n. 382” che, all’art. 82, ha delegato alle Regioni le

funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni. Tale delega, ai sensi dell’art. 82, 2°comma, lett. a), b) ed f), comprende anche l’individuazione delle bellezze naturali, salvo il

potere del Ministro per i Beni culturali e ambientali, sentito il Consiglio per i beni culturali e ambientali, di integrare i relativi elenchi approvati dalle Regioni (lett. a); la concessione delle autorizzazioni o nulla osta per le loro modificazioni (lett. b); l’adozione dei provvedimenti di demolizione e l’irrogazione delle sanzioni amministrative (lett. f). L’autorizzazione dunque, ai sensi

dell’art. 1 della legge Galasso, deve essere presentata alla Regione territorialmente competente: quest’ultima dovrà rilasciarla o negarla entro il termine perentorio di sessanta giorni, decorso inutilmente il quale gli interessati potranno richiedere l’autorizzazione al Ministero per i Beni culturali e ambientali che si pronuncerà entro sessanta giorni dalla data del ricevimento della richiesta. Le Regioni, inoltre, sono tenute a dare immediata comunicazione al Ministero per i Beni culturali e ambientali delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo contestualmente la relativa documentazione: il Ministero, a sua volta, può annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione.

Lo stesso art. 1, peraltro, e qui sta la novità sostanziale introdotta dal nuovo provvedimento, esonera dal regime autorizzatorio alcune attività, espressamente indicate, legate alla

gestione economica dei beni vincolati, considerate intrinsecamente eco-compatibili: in tale previsione è evidente l’intento del legislatore di emanciparsi dalla logica protettiva puramente conservativa che connotava il suo precedente, la legge del 1939, e di offrire una protezione in chiave con le esigenze dello sviluppo sostenibile. Alla luce del quarto comma della disposizione sono infatti consentiti senza necessità della preventiva autorizzazione, nei boschi e nelle foreste, “il taglio culturale, la forestazione, la riforestazione, le

antincendio e di conservazione previsti e autorizzati in base alle norme vigenti in materia”: a sua volta l’ottavo comma dello stesso

articolo esonera dalla preventiva autorizzazione, oltre agli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, anche “l’esercizio dell’attività

agro-silvopastorale che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività e di opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio”.

Se pur pregevoli sotto il profilo finalistico, queste disposizioni peraltro non sono state formulate in modo tecnicamente ineccepibile, e la scarsa coerenza e chiarezza del dato normativo è stata fonte di incertezze applicative che hanno originato una copiosa messe di precedenti giurisprudenziali legati alla relativa inter- pretazione, alle quali solo recentemente il legislatore ha posto rimedio attraverso norme di interpretazione autentica. Un primo problema interpretativo era legato alla individuazione del concetto di bosco, in assenza di una definizione del medesimo nella legislazione nazionale e in presenza di un proliferare di nozioni di contenuto diverso nelle leggi regionali: la questione è stata risolta dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, “Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57” che, all’art. 2, come abbiamo visto, offre

la definizione di bosco valida su tutto il territorio nazionale, da applicare in assenza di leggi regionali che contengono la nozione di bosco, e che le Regioni sono chiamate ad emanare ai sensi del secondo comma del suddetto art. 2.

Un secondo problema interpretativo, che ha dato luogo ad un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, era legato alla individuazione del significato del termine “taglio colturale”, anche alla luce della scelta del legislatore di esonerare, come abbiamo visto, sia pure entro certi limiti, dalla preventiva richiesta di au- torizzazione le attività agro-silvo-pastorali. Lo stesso decreto n. 227 del 2001 ha offerto una soluzione al problema attraverso la definizione, contenuta nell’art. 6, dell’attività di taglio colturale, valida, per espressa previsione della stessa norma, ai fini della legislazione vincolistica.

Ai sensi dell’art. 6, 2° comma, del decreto “Ove non

diversamente disposto dalle leggi regionali, è vietata la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle Regioni ai fini della difesa fitosanitaria o di altri motivi di rilevante interesse pubblico. È

vietato altresì il taglio a raso dei boschi laddove le tecniche selvicolturali non siano finalizzate alla rinnovazione naturale, salvo casi diversi previsti dai piani di assestamento regolarmente approvati e redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile di cui all’art. 3, comma 1, lett. b). Sono fatti salvi gli interventi disposti dalle Regioni ai fini della difesa fitosanitaria o di altri motivi di interesse pubblico”.

A sua volta il 4° comma dell’art. 6 afferma che “I tagli eseguiti

in conformità al presente articolo ed alle specifiche norme regionali vigenti, sono considerati tagli colturali ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 152, comma 1, lett. c) del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490”.

Sotto il profilo sanzionatorio la legge Galasso sostanzialmente si conforma alle previsioni della legge del 1939, anche se introduce novità con riferimento alle sanzioni. L’art.1 sexies richiama infatti espressamente le sanzioni penali ed amministrative contemplate dalla legge n. 1497 del 1939, ma, al contempo, afferma l’applicabilità delle sanzioni penali previste dall’art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 “Norme in materia di controllo dell’attività

urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”. Alla luce di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, del

pacchetto di sanzioni contemplate dall’art. 20 della legge urbanistica, troverebbe applicazione per le violazioni paesaggistico-ambientali la sola lett. c) della norma, ai sensi della quale si applica la pena dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda

fino a trenta milioni nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza della concessione. Siamo in presenza dunque di due

tipologie di reato completamente diverse: il reato previsto dalla legge urbanistica ha carattere formale e di pericolo e per la sua configurabilità è sufficiente l’accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo, mentre quello contemplato dall’art. 734 del codice penale è un reato di danno per la cui configurabilità si richiede la distruzione, il danneggiamento, il deturpamento o l’alterazione del bene protetto.

Il comma 2° dell’art. 1 sexies della legge Galasso stabilisce inoltre che con la sentenza di condanna sia ordinata la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato.

Anche con riferimento allo strumento del piano la legge Galasso introduce qualche significativa novità: anzitutto la sua adozione ad opera dell’Autorità amministrativa competente, la Regione, non ha più carattere discrezionale, ma è obbligatoria: a tale proposito l’art. 1

bis fissa il termine del 31 dicembre 1986, entro il quale le Regioni

sono chiamate a redigere i piani paesistici o, in alternativa, piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali. In linea con le nuove finalità che la ispirano, la legge Galasso riconosce al piano una connotazione totalmente diversa dal suo precedente contenuto nella legge del 1939: il piano infatti non riveste più solo una funzione ricognitiva e conservativa,

ma ad esso è attribuito il compito di individuare all’interno del territorio regionale, i beni e le aree che rivestono carattere di bene ambientale alla luce dell’elenco di cui al primo comma, e di sottoporre a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio.

3. La concezione del paesaggio come bene culturale: la

Nel documento Lezioni di Diritto Forestale e ambientale (pagine 181-190)