1 Osservare la migrazione dal versante di origine
1.1. Il contesto socioeconomico dei processi migratori peruvian
Le stime oscillano tra i due milioni e mezzo e i tre, tre milioni e mezzo di migranti peruviani nel mondo.
Le cifre sono approssimate per la natura stessa delle migrazioni. La mobilità delle persone è repentina, fluttuante, spesso imprevedibile, non si ferma davanti agli ostacoli burocratici e non sempre segue le logiche del mercato. Tanto meno si fa fotografare con precisione. I dati statistici ci aiutano però a fare un po' di luce sul fenomeno, pur nella consapevolezza che l'immagine che ne risulterà sarà necessariamente sfocata. Il Perú è uno Stato che da sempre convive con l'esperienza della migrazione. Già la conquista spagnola del XVI secolo, che pose drammaticamente termine all'impero degli Inca, fu all'origine di un primo, emblematico flusso di migrazione dalla Spagna verso il paese. Seguirono, dopo l'indipendenza dalla corona spagnola, avvenuta nel 1821, distinte ondate migratorie. A partire dalla seconda metà del XIX secolo la storia repubblicana peruviana è attraversata, infatti, da diversi flussi di emigranti provenienti dalla Cina, dal Giappone e dall'Italia. L'anzianità migratoria della comunità peruviana all'estero è relativamente recente. Nonostante alcuni antecedenti che, tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, hanno avuto come protagonisti imprenditori e studenti appartenenti alla classe media che migravano in cerca di nuove opportunità di investimento e di formazione professionale, dirigendosi soprattutto verso gli Stati Uniti e i paesi dell'Europa occidentale, con la Francia in testa, è a partire dagli anni Ottanta che la migrazione all'estero diventa un'opzione di massa, sempre più appetibile e praticata dai diversi strati della società peruviana.
L'incalzare della crisi economica e politica di quegli anni fece triplicare la popolazione migrante. Alla difficile situazione economica caratterizzata da iperinflazione e contenimento dei salari, si aggiunse la stagione della violenza politica prodotta dagli scontri tra lo stato ed i gruppi rivoluzionari “Sendero Luminoso” e “Tupac Amaru”, che contribuì non solo ad accelerare le migrazioni volontarie ma produsse un alto numero di sfollati interni e di rifugiati politici
(Altamirano, 2010).
Inizialmente fu Lima, la capitale, ad accogliere chi decise di abbandonare le aree rurali del Paese. Se per alcuni il trasferimento nella capitale fu fonte di nuove opportunità di crescita professionale e di integrazione sociale, per altri rappresentò l'acutizzarsi della propria vulnerabilità, lontano dall'ambiente famigliare protettivo. Questo fenomeno è all'origine di quelli che vengono definiti in Perú “pueblos nuevos” e “asientamentos humanos”, sorta di baraccopoli alle porte della città in cui vivono coloro che hanno abbandonato la campagna per un futuro migliore in città, senza però trovarlo. La Spagna diventa la destinazione preferenziale per quei peruviani che si spingono fino in Europa, per gli evidenti legami culturali, linguistici e storici, ereditati dal passato coloniale.
“L'Italia è il secondo Paese di immigrazione in Europa, non solo in virtù di una consonanza religiosa e culturale, ma anche di significativi precedenti storici” (Italia Lavoro, 2013: 6). É tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta che la presenza peruviana in Italia inizia a farsi consistente, in concomitanza con l'apparente declino dell'offerta migratoria nelle mete classiche dell'emigrazione nel continente americano. Comincia negli Stati Uniti l'epoca dell'enfasi sul controllo delle frontiere e delle politiche migratorie restrittive. Nel Sud America, invece, l'economia ristagna, l'indebitamento estero dilaga e il boom petrolifero venezuelano si avvia verso la conclusione.
Come afferma Sánchez Aguilar (2009), l'economia peruviana negli ultimi sessant'anni ha avuto un comportamento ciclico non favorevole, alternando fasi di crescita a periodi prolungati di recessione. Pur sottolineando anche la concatenazione di fattori politici e culturali nello spiegare l'avvio dei processi di migrazione internazionale, lo studioso peruviano Altamirano ribadisce, a tal proposito, che “come nel caso di altri nazioni, in Perú la necessità di ottenere migliori salari in paesi che sperimentano una crescita economica è stato, continua e continuerà ad essere una delle ragioni per l'emigrazione” (2010: 5). Ciò, indipendentemente dal fatto che il ciclo economico attuale sembri essere molto favorevole. Ciò avviene in coerenza con il fenomeno del migration hump, “secondo il quale anche i processi di ripresa economica producono nel breve periodo non una riduzione ma una crescita del flusso migratorio. Questo perché l’aumento relativo dei
redditi delle famiglie dei Paesi emergenti consente una maggiore copertura dei costi di emigrazione” (Stocchiero, 2001: 4). Nonostante l'incertezza dello scenario internazionale, il tasso di crescita del Perú negli ultimi anni è, infatti, uno dei più alti dell'intera regione sudamericana. Il Pil è passato dai 276,5 miliardi di dollari nel 2010 ai 382,7 del 2014 e l'incidenza della povertà monetaria si è ridotta in maniera sensibile. Tutto ciò però non pone un freno alla disuguaglianza crescente che permane in Perú e contribuisce a rinvigorire i flussi migratori. Il 20% della popolazione peruviana più ricca ha un reddito che è tredici volte quello del 20% più povero. Grandi squilibri permangono nell'accesso all'istruzione e ai servizi sanitari. Il Paese si colloca infatti all'ottantesimo posto della classifica internazionale dell'indice di sviluppo umano, che misura il benessere nazionale sulla base dei tassi relativi all'aspettativa di vita, all'istruzione e al reddito pro capite lordo. Nel grafico sottostante si mostra la distribuzione geografica della povertà in Perú. La regione costiera (quasi interamente colorata d'azzurro) è l'area che presenta i risultati migliori, a scapito della regione della selva amazzonica (colorata di rosso). In posizione intermedia si pongono, invece, le province della regione della sierra andina.