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Complice   la   crisi   economica   degli   ultimi   anni,   il   tema   del   ritorno   in   patria   dei migranti è salito alla ribalta e all'attenzione dell'opinione pubblica sia dei paesi di origine che e destino dei flussi migratori.

Sul versante europeo, ed italiano in particolare, le azioni in tema di sostegno al ritorno   si   sono   indirizzate   verso   due   canali   prioritari:   i   progetti   per   il   rimpatrio forzato di migranti espulsi e i programmi a supporto del ritorno volontario assistito. Non senza qualche ambiguità di fondo, il nesso tra migrazione di ritorno e sviluppo nel Paese d'origine è stato sostenuto attraverso politiche di promozione di un rientro imprenditoriale e produttivo,  che  non sempre ha condotto ai risultati sperati.  Le esperienze realizzate si sono concentrate soprattutto in Africa e nell'Europa dell'Est, mentre scarsa attenzione è stata dedicata alla sponda sudamericana, in cui il tema è all'ordine del giorno.  A seguito di forti pressioni da parte della società civile, delle organizzazioni per la difesa dei diritti dei migranti e delle associazioni di famigliari di emigranti, è stato avviato in Perú un processo di riforma e discussione sui dispositivi legali a supporto del rientro. Il Congresso della Repubblica peruviana ha così approvato il 7 marzo del 2013   la   nuova   “legge   sul   reinserimento   economico   e   sociale   per   il   migrante ritornato”23. La sua promulgazione è indicativa di un cambio dell'ottica con cui la

società peruviana guarda all'esperienza del ritorno. Se in passato era interpretata come  l'emblema  del  fallimento   di  un  progetto  migratorio,   ora  diventa  un  diritto proprio   dei   migranti,   a   cui   deve   essere   garantito   il   sostegno   delle   istituzioni nazionali. Non è più qualcosa da nascondere ma un nuovo progetto da concretizzare. È forse anche una qualche forma di ricompensa per il sostegno che la migrazione peruviana all'estero ha dato, sotto forma di rimesse, all'economia del Paese. L'intento dichiarato della legge è dunque quello di rendere la migrazione di ritorno in Perú un'opzione praticabile ma soprattutto dignitosa per i migranti. Indipendentemente dalla loro situazione migratoria, ai benefici offerti possono accedere tutti i peruviani che   desiderano   ritornare   ed   hanno   risieduto   all'estero   in   modo   continuativo   per almeno quattro anni e coloro che sono stati obbligati al ritorno a causa delle leggi sull'immigrazione vigenti nei paesi di ricezione e che sono all'estero da almeno due anni. Per favorire il ritorno da un punto di vista economico sono stati previsti degli

incentivi   di   natura   tributaria.   I   “peruviani   ritornanti”,   come   li   definisce   il   testo normativo,   sono   cioè   esentati   dal   pagamento   delle   tasse   relative   all'abitazione principale,   ad   un'automobile   ed   alla   strumentazione   necessaria   per   l'avvio   di un'attività imprenditoriale. Gli strumenti messi in campo per il reinserimento di tipo socio­economico   poi   vanno   dal   supporto   psicologico,   al   sostegno   finanziario   per progetti imprenditoriali, all'orientamento lavorativo fino al riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali acquisite all'estero. Esperienze simili a quella peruviana, si registrano nel continente sudamericano ed in particolare in Bolivia, Colombia, Ecuador ed Uruguay, paesi che negli ultimi anni hanno varano piani o promulgato leggi proprio a sostegno dei migranti in procinto di tornare in patria. La Rete andina delle migrazioni, che raggruppa le organizzazioni che si occupano di migrazione nei paesi dell'area andina, ha elaborato alcuni punti utili per orientare la discussione sul tema24. Innanzitutto sostiene l'importanza di

riconoscere   la   multi   dimensionalità   del   fenomeno   del   rientro,   che   può   essere volontario,   forzato   o   condizionato   da   cause   di   forza   maggiore.   Diverse   possono essere le ragioni che spingono al ritorno: economiche, famigliari, di studio o lavoro, legali ed affettive. Così come diversi sono i problemi che porta con sé: rottura delle reti sociali, conseguenze psicologiche, nuovi inserimenti lavorativi e formativi.  Il ritorno è in realtà una nuova migrazione. Negli anni di lontananza, non solo il migrante   è   cambiato,   è   cresciuto,   si   è   adattato   a   nuovi   stili   di   vita   ma   anche l'ambiente   sociale   e   familiare   che   ha   lasciato   quando   è   partito   si   è   modificato, difficilmente sarà ai suoi occhi uguale a come lo ricordava. Inizierà perciò un nuovo periodo di inserimento nella società che tanti anni prima aveva lasciato, che necessita del supporto istituzionale. Proprio per questo motivo, come sottolinea il documento della Rete andina delle migrazioni, occorre “rompere con il carattere temporale e congiunturale   delle   risposte.   Gli   obblighi   dello   stato   sono   permanenti,   non eccezionali. I flussi di ritorno aumentano o diminuiscono però non scompaiono”. Al di là dei dati riportati dalle statistiche, che indicano un'accelerazione delle esperienze di ritorno in concomitanza con l'evolversi della crisi economica25, l'idea di tornare in 24 Proposta presentata nel corso dell'iniziativa “Reflexiones sobre la migración del retorno y la reintengración en el Perú. ENCUENTRO MULTIACTORES” che si è tenuta a Lima il 29 novembre del 2012, durante la mia missione di ricerca in Perú. 25 Secondo i dati raccolti dall'INEI, dei 242.621 peruviani che sono ritornati in Perú tra il 2000 ed il 2012 il 14,7% lo ha fatto tra il 2000 e il 2002, il 26,3% tra il 2003 e il 2007 ed il 59% tra il 2008 e il 2012.

patria dopo un periodo all'estero è sempre stata diffusa tra i primo migranti che partivano con un progetto temporalmente definito. È indispensabile perciò pensare a degli interventi strutturali che accompagnino questi percorsi, sappiano valorizzare le competenze sociali, lavorative ed interculturali acquisite nei paesi di migrazione e riconoscano   la   specificità   delle   singole   situazioni.   Ad   esempio,   l'esperienza   dei giovani che decidono di tentare la via del ritorno è sicuramente differente da quella di chi rientra al termine della propria vita lavorativa, per godersi i proventi dei lunghi anni di lavoro all'estero. Se da un lato, l'esperienza del ritorno per chi è in transizione verso   l'età   adulta   può   essere   il   risultato   di   un   difficile   inserimento   nella   società d'accoglienza, dall'altro può essere vista come una strategia adottata per mettere a frutto   le   conoscenze   e   le   capacità   sviluppate   durante   l'esperienza   migratoria.   In questo   senso,   il   ritorno   non   necessariamente   deve   essere   definitivo,   ma   può rappresentare una tappa di un percorso in cui i capitali sociali, culturali ed economici acquisiti in patria e all'estero si collegano mutuamente. Qualunque sia la motivazione che spinge a tornare, resta basilare che la decisione debba essere frutto di una scelta consapevole   ed   informata.   L'analisi   delle   best   practices   condotta   CeSPI   ha evidenziato infatti che “i percorsi migratori di rientro hanno maggiori possibilità di riuscita (specialmente quelli produttivi/costruttivi) quando la partenza sia pianificata (organizzata e accompagnata) nelle sue fasi e componenti nel Paese di destinazione, meglio   se   attraverso   il   sostegno   di   iniziative,   programmi   e   attori   a   ciò   preposti. Questo   rimanda   all’importanza   di   prevedere   percorsi   di   accompagnamento, assistenza tecnica e tutoraggio – meglio ancora se in entrambi i paesi ­ a cui possono affiancarsi anche aspetti legati al sostegno nella creazione di network o business community di riferimento tra familiari e connazionali; creazione di partenariati con soggetti italiani o del Paese d’origine; l’avvio di rapporti istituzionali in entrambi i paesi; la ricerca di fondi etc.” (Ferro, 2010:19).

 3.

Le politiche giovanili sul versante italiano: quale spazio per chi