2 Transizioni formative e inserimento nel mercato del lavoro
2.4. I primi approcci col mondo del lavoro durante gli anni di formazione
Esperienze precoci di lavoro durante gli anni delle scuole secondarie non sono molto diffuse tra gli intervistati e si concentrano esclusivamente in Italia. Tra i soggetti che si sono formati in Perú l'incontro col mondo del lavoro è avvenuto un po' più avanti negli anni. In parte ciò può essere ricondotto al fatto che la legge peruviana impedisce ai minori di 18 anni di lavorare in maniera regolare in assenza di una autorizzazione disposta dai genitori72 e in parte è sicuramente legato a situazioni
famigliari in cui ai figli è garantita la possibilità di dedicarsi esclusivamente agli studi, pur in presenza di diversi casi di nuclei disfunzionali e con difficoltà economiche. In Italia la normativa sancisce, invece, che l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui termina l'obbligo scolastico, fissato attualmente a 16 anni.
Sette sono i giovani ricongiuntisi coi genitori in Italia che raccontano di aver iniziato presto, fin dalla scuola superiore, a frequentare il mondo del lavoro, senza considerare qui coloro che hanno abbandonato gli studi per dedicarsi al lavoro. Per qualcuno si è trattato di piccoli lavoretti destinati soprattutto al soddisfacimento di qualche spesa extra da non far gravare sugli stipendi dei genitori. C'è chi ha fatto la baby sitter durante le vacanze estive e chi ha iniziato a dare ripetizioni a ragazzi più giovani. Altri, invece, hanno accompagnato l'impegno scolastico ad attività lavorative ben più strutturate e gravose. C'è chi ha aiutato nelle imprese famigliari sacrificando quasi interamente il proprio tempo libero con grande senso di responsabilità per la voglia di contribuire all'economia famigliare ed oggi ricorda con un po' di frustrazione quegli anni:
“Anche durante le superiori lavoravo, perché mia madre aveva avviato un'attività...Sì, quindi...questa è un po' la cultura del lavoro, me l'hanno sempre insegnato anche i miei zii, tipo d'estate se volevo guadagnarmi qualcosa...Mio zio faceva il corriere, diceva: "Accompagnami", quindi...ho cominciato prima delle superiori, sì. Quindi d'estate io...accompagnare, aiutante di autista, consegnare pacchi di SDA, Bartolini, eccetera. Poi alle superiori, mia madre ha aperto questa attività. Era da sola, comunque i risparmi di una vita, eccetera, io mi sentivo in dovere anche di aiutarla. Quindi anche d'estate, tutto il periodo là, cioè tutti i giorni...tranne la sera, quando chiudevano, uscivo, magari,
sabato e domenica ancora là. Ero abbastanza frustrato, perché proprio stavo lì tutto il giorno, cioè, dalla mattina alla sera. E prima ho iniziato vendendo proprio alimentari e poi abbiamo avviato il ristorante e quindi l'accompagnavo, eccetera. Sabato, domenica, non c'erano giorni in cui non...erano...c'era la festa di un famigliare, anche magari era Natale, Capodanno era sempre lì. E niente, dopo un po' ci fai l'abitudine, e ci ho fatto l'abitudine, poi...” (intervista n.15) C'è, invece, chi rivendica con orgoglio le proprie scelte dettate da una gran voglia di indipendenza dai genitori e da una maturità non comune, in grado di far apprezzare in un momento come quello dell'adolescenza in cui il confronto con i pari è spesso spietato, anche occupazioni umili e faticose, come mostrano le due testimonianze che seguono: “Ai tempi del liceo, lavoravo in un’impresa di pulizie, dopo le 19 pulivamo la banca dietro al Duomo. Lavoravo per avere un po’ d’autonomia, non mi piaceva chiedere a mio padre, lo vedevo sempre come una persona estranea. Era bello lavorare, mi soddisfaceva fare sforzi che venivano ripagati e comprare cose che mi piacevano. Ora però non lavoro, perché questi impieghi non sono compatibili con l’università.” (intervista n.73)
“Già lavoravo dai sedici anni nei fine settimana e d'estate. Ho lavorato come cameriere, addetto alle pulizie, corriere, lavapiatti...è andato tutto bene, mi sentivo riempito.” (intervista n. 78)
Ben più diffusa è la combinazione tra studi universitari e impegni lavorativi su entrambe le sponde dell'indagine. Diversi, come vedremo, sono i motivi che guidano sia in Italia che in Perú la scelta di affiancare alle attività universitarie un'esperienza lavorativa, più o meno gravosa a seconda dei casi.
Dalle interviste emerge che per alcuni la decisione di lavorare è connessa al fatto di essere iscritti ad università private con rette non indifferenti. Se in Perú la scelta di frequentare università private è spesso imposta dall'enorme difficoltà di accesso all'università pubblica, in Italia nasce dalla convinzione, diffusa tra gli intervistati, di una (presunta) maggiore qualità dell'offerta formativa privata. Per altri, invece, al di là del tipo di università prescelta, il lavoro rappresenta lo strumento attraverso cui contribuire attivamente alle spese sostenute dalle famiglie per garantire loro la possibilità di avere un titolo di studio superiore da spendere poi sul mercato del lavoro.
generalmente dagli intervistati in maniera negativa ma come conseguenza naturale di una scelta consapevole di cui essere orgogliosi. Ciò non significa, però, non avere priorità ben chiare. Diversi sono infatti gli intervistati che affermano espressamente di ritenere il lavoro secondario all'obbiettivo di terminare gli studi e per questo si adattano ad impieghi non in linea con le loro vocazioni ed interessi, guardando soprattutto alla possibilità di reperire un po' di denaro che consenta di mantenersi agli studi in tranquillità:
“Quando studiavo Economia, ho lavorato 2 anni da Mc Donald’s, davano buona flessibilità oraria per chi studiava. Ogni estate lavoro nella ristorazione, non sempre in regola, faccio la cameriera o la cassiera in un ristorante che mi chiama sempre. Quest’anno ho lavorato in cucina al XXX. Il mio obiettivo principale rimane l’università, tutto il resto è secondario.” (intervista n. 10) “Ahorita no, ahorita justo dejé de trabajar. Yo hasta hace más o menos 4 o 5 meses trabajaba, estaba trabajando en portales que es una inmobiliaria, pero dejé de laborar justamente por el tema de sacar mi título porque ya había pasado regular tiempo de que había terminado. Trabajaba muy bien, podía ganar bien pero no tenía el título, entonces para mi es importante tener el título.” (intervista n. 35)73 Diversa è la strategia adottata da coloro che, invece, in qualche modo approfittano del proprio bisogno di lavorare, iniziando a sperimentarsi nei settori occupazionali verso cui nutrono ambizioni. Alcuni, infatti, durante gli studi universitari hanno cercato lavoro in realtà che gli permettessero di prendere confidenza a livello pratico con i temi e gli ambiti, che fino a quel momento, avevano affrontato esclusivamente a livello teorico. Così tra gli intervistati, ad esempio, vi è chi studia Farmacia ed ha cominciato a lavorare in laboratori farmaceutici, chi studia Economia ed ha fatto esperienza come assistente amministrativa, chi studia Scienze della Comunicazione ed è diventata giornalista. Tra di loro vi è addirittura il caso di chi durante gli anni di università ha avviato una propria impresa, insieme ad un famigliare, cogliendo, nonostante le difficoltà e le responsabilità che una tale scelta comporta, con una sola mossa ben due opportunità: quella di mettersi alla prova nella professione prescelta e quella di mantenersi autonomamente. 73 Traduzione: “Ora no, proprio ora ho smesso di lavorare. Lavoravo più o meno fino a 4 o 5 mesi fa. Lavoravo in una agenzia immobiliare, però ho smesso di lavorare precisamente per la questione di prendere il titolo perché il tempo regolare era già terminato (ero già fuoricorso). Lavoravo molto bene, potevo guadagnare bene però non avevo il titolo, per me è importante avere la laurea.”
Altre testimonianze mostrano, invece, l'ambivalenza di sentimenti con cui viene vissuta la difficoltà di conciliare i tempi dello studio con i tempi del lavoro, dettati dall'esigenza pressante di contribuire all'economia famigliare, come ben evidenzia lo stralcio che segue:
“Poi iniziò la crisi economica in famiglia, mi sentivo abbattuto psicologicamente, un disastro. Mio padre se n’è andato in Perú, perché non ce la faceva più stare qua; mia madre non trovava lavoro. Io già avevo capito e mi sentivo in colpa perché studiavo e non potevo lavorare per dare una mano. Questo conflitto interiore si rifletteva nell’università: arrivavo a lezione stanco, dimenticavo le scadenze, i pagamenti, facevo gli scritti e non mi presentavo agli orali. Un casino, insomma. Non sapevo se reiscrivermi a ottobre. Alla fine ho deciso di fermarmi, ho trovato un lavoro come corriere. Quando lavoravo pensavo che dovevo ricominciare a studiare, altrimenti sarei stato vigliacco e sarei andato contro le mie aspirazioni...A luglio rifarò il test. Adesso sono più sicuro di quello che sto andando a fare e penso che me la caverò meglio. Le difficoltà ci saranno, ma non saranno così grosse e non me le trascinerò per tanto tempo, com’è già successo. Ora lavoro come magazziniere di notte, m’inserirò tra i non frequentanti. Non mi posso permettere di perdere il lavoro.” (intervista n. 56)
Una soluzione adottata in maniera abbastanza frequente dagli intervistati, tanto in Italia quanto in Perú, per far fronte a questo tipo di problematiche, è quella di prendersi in modo sistematico uno o più periodi sabbatici nel corso degli anni di formazione in cui concentrarsi esclusivamente nel lavoro, per poi affrontare con più serenità i successivi periodi di studio.
Tra i racconti raccolti, particolarmente sofferte e degne di nota sono, poi, le esperienze di due giovani, una ragazza ed un ragazzo che, per supportare la famiglia e per “guadagnarsi” il diritto all'istruzione universitaria, sin dall'arrivo in Italia, per l'intercessione dei genitori, sono stati impiegati nel lavoro di cura domiciliare con anziani, senza averne alcuna dimestichezza né inclinazione:
“E' stata dura perché, tipo sono arrivato un venerdì, fai conto che ho cominciato a lavorare il lunedì, tipo. Però, è stato difficile, poi il lavoro era di notte. Tipo lavoravo dalle 8 di notte fino alle 6 di mattina. E alle 8:30 avevo lezione di italiano sino alle 12:00. Quindi al pomeriggio riposavo, così. La mia vita è cambiata brutalmente...Certo che ho avuto esperienze di lavoro [in Perú]. Però, cioè erano lavori, in senso un po' più speedy, nel senso che quando ero ragazzino, ho fatto il deejay, tipo nelle discoteche. Cioè poi lavoravo in uno studio di tatuaggi, quindi queste cose un po' più...” (intervista n. 36)
“Facevo la badante di sera, siccome mia mamma sapeva che stavo per arrivare, lei aveva un lavoro che era di sera, comunque tranquillo per studiare di giorno quindi lei perché lei stava già per lasciare quel lavoro però siccome abbiamo fatto questo per venire per motivo di studio, ha detto: “Va bé, tengo quel lavoro così quando tu arrivi lo fai tu”. E sì, è andata benissimo, sono stata lì tre anni, tre anni ho lavorato lì poi…anche di notte…arrivavo alle 77:30 dovevo stare al lavoro e poi uscivo alle 7 del mattino, 7:30. Il fine settimana non lavoravo e quello era il momento per andare a trovare loro perché andavo dalle mie sorelle con mia mamma, mio papà, i miei nipoti. Sì, per tre anni, poi è finito il lavoro perché comunque si è ammalata la signora, l’hanno portata in ospedale e niente, abbiamo chiuso il rapporto di lavoro con loro. Poi mi sono messa a studiare, ho detto basta, studio, studio perché comunque anche se non era tanto impegnativo quel lavoro comunque ti dovevi alzare presto e di sera a volte la signora mi chiamava due o tre volte di sera quindi il giorno seguente eri tutta rimbambita...Poi è già dura per una che arriva da poco quindi quando ho finito il lavoro ho detto no, non cerco un altro lavoro e mi metto a studiare e mi metto a posto, mi sistemo perché comunque manca poco per finire, devo finirlo. L’intenzione di finirlo in tempo ce l’ho, però vediamo come vanno le cose.” (intervista n. 5)
2.5. Le esperienze d'inserimento nel mercato del lavoro e le prospettive