• Non ci sono risultati.

Il tema della cittadinanza, intesa non solo come status giuridico ma anche come segno   dell'appartenenza   alla   comunità   nazionale,   si   è   imposto   nella   discussione politica ed istituzionale per la sempre più diffusa presenza in Italia di giovani di origine straniera. “L’aumento  è ormai dovuto sia a fattori endogeni che a fattori esogeni   o   ­   per   dirlo   in   termini   demografici   ­   è   riconducibile   sia   alla   dinamica migratoria, sia a quella naturale che nel tempo peserà sempre di più. In estrema sintesi: continua la migrazione di giovani verso il nostro Paese, ma cresce anche il numero di giovani nati o cresciuti almeno in parte in Italia.” (Conti, 2012).

Secondo i dati Istat, nel 2012 esattamente il 15% delle nuove nascite in Italia è da genitori   stranieri.   In   base   ai   dispositivi   legali   vigenti,   questi   nuovi   cittadini   pur essendo nati sul suolo italiano, manterranno la cittadinanza dei loro genitori almeno fino al compimento del diciottesimo anno di età. La legge per l'acquisizione della cittadinanza attualmente in vigore (n. 91/1992) segue infatti il principio dello ius sanguinis, in base al quale è considerato cittadino italiano per nascita solo chi è figlio di almeno un genitore italiano.  I  giovani nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri non hanno dunque accesso diretto   alla   cittadinanza   italiana   dalla   nascita   ma   possono   acquisirla   quando compiono 18 anni, in base al dettato dell'articolo 4 della  legge 91/92 che recita al comma   2:   “Lo   straniero   nato   in   Italia,   che   vi   abbia   risieduto   legalmente   senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.”

Chi dunque possiede i requisiti della residenza anagrafica, regolare e continuativa sul territorio   italiano,   può,   nell'anno   tra  i   18   e  i   19  anni,   presentare  al   Comune   di residenza una dichiarazione in cui afferma di voler acquisire la cittadinanza italiana. Se non si rispettano questi termini, dovrà fare la domanda per residenza ed aver risieduto per almeno 3 anni. La procedura, come si può evincere, non è propriamente agevole.   Avere   un   solo   anno   di   tempo   per   raccogliere   tutta   la   documentazione idonea,   insieme   alla   possibilità   di   incappare   in   errori   nella   trascrizione   dei documenti, in ritardi nella registrazione all'anagrafe o semplicemente l'aver trascorso dei periodi più o meno lunghi all'estero o al Paese d'origine dei genitori per motivi

famigliari o di altro genere erano tutti fattori in grado, fino allo scorso anno, di concorrere al respingimento della domanda di cittadinanza. 

Fortunatamente,   all'interno   del   cosiddetto   Decreto   “Del   Fare”   (legge   n.98/2013) dello scorso anno è stato inserito un articolo (n. 33) per la “semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia”. Tale articolo prevede che ai ragazzi non siano più imputabili eventuali inadempimenti riconducibili   ai   genitori   o   agli   uffici   della   Pubblica   Amministrazione   ed   offre   la possibilità di dimostrare di avere i requisiti con documentazione di altro tipo, come certificazioni scolastiche o mediche, che ne segnalino la presenza in Italia fin dalla nascita. Impone, inoltre, agli ufficiali di stato civile di comunicare all’interessato, nel corso   dei   sei   mesi   precedenti   il   compimento   del   diciottesimo   anno   di   età,   la possibilità   di   esercitare   il   suo   diritto,   sulla   scia   di   una   campagna   informativa promossa dall'Anci nel 201235.

Nonostante,   dunque,   si   siano   fatti   piccoli   passi   in   avanti   lungo   il   cammino   per riconoscere i giovani nati in Italia come cittadini italiani a tutti gli effetti, la strada è ancora lunga. Diversi36 sono i disegni di legge che sono stati presentati in Parlamento

per la riforma del diritto di cittadinanza, senza approdare, per il momento, ad alcun risultato. Negli ultimi anni si è levato però un forte movimento dell'opinione pubblica a sostegno dello ius soli, il principio in base al quale la cittadinanza deriva dal fatto di essere   nati   nel   territorio   di   uno   stato,   indipendentemente   dalla   cittadinanza posseduta dai genitori. È stata lanciata nel 2011 la campagna “L'Italia sono anch'io” promossa da ben ventidue organizzazioni della società civile italiana37 per raccogliere

le firme necessarie per presentare due proposte di legge d'iniziativa popolare. La prima   proposta38  è   per   garantire   il   diritto   elettorale   amministrativo   ai   lavoratori

stranieri   regolarmente   presenti   in   Italia   da   cinque   anni.   La   seconda   proposta39

prevede di modificare la legge sulla cittadinanza attualmente in vigore, consentendo

35  La campagna informativa “18 anni...in Comune!” è nata nel 2012 da una collaborazione

dell'Anci   con   Save   the   children   e   la   rete   G2  per   sollecitare   i   Sindaci   ad   informare tempestivamente,   attraverso   lettere   ad   hoc,   i   ragazzi   nati   in   Italia   da   genitori   stranieri prossimi alla maggiore età sulle modalità di acquisizione della cittadinanza.   36 Almeno 18 sono i disegni di legge per modificare la legge 91 del 1992, stando a quanto  riporta il motore di ricerca OpenParlamento: http://parlamento17.openpolis.it/. 37 http://www.litaliasonoanchio.it/index.php?id=521 38http://www.litaliasonoanchio.it/fileadmin/materiali_italiaanchio/pdf/PROGETTO_DI_LEG GE_def.pdf 39http://www.litaliasonoanchio.it/fileadmin/materiali_italiaanchio/pdf/Cittadinanza_PROGE TTO_DI_LEGGE.pdf

di richiederla, fra le altre categorie, a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno legalmente soggiornante in Italia da un anno e a chi, entrato in Italia entro il compimento dei 10 anni, vi ha soggiornato in maniera regolare fino ai 18 anni e ne fa richiesta entro 2 anni dalla maggiore età. Entro i tempi prescritti sono state consegnate alla Camera circa 110 mila firme, ben oltre le 50 mila necessarie40. Dopo più di due anni, ancora però queste proposte non sono state discusse in Parlamento. In attesa che i parlamentari italiani si rendano conto dell'urgenza di una riforma del diritto di cittadinanza per i figli dei migranti nati e cresciuti sul territorio nazionale, le   prime   prese   di   posizioni,   seppur   simboliche,   per   il   loro   riconoscimento   come cittadini italiani, vengono dai comuni, che ancora una volta anticipano le decisioni prese dal governo centrale. Aumentano di anno in anno, infatti, le amministrazioni comunali che decidono di conferire loro la cittadinanza onoraria. Secondo i dati dell'Unicef41, al 20 novembre 2013 (Giornata per i diritti dell'infanzia) erano oltre

200 i comuni che già avevano deliberato o avevano preso l'impegno di farlo. Si tratta di   provvedimenti   puramente   simbolici   ma   fondamentali   per   sancire   che l'appartenenza   ad   un   territorio,   ad   una   comunità,   non   passa   esclusivamente attraverso la discendenza, come vorrebbe il principio dello ius sanguinis.

Per i figli dei migranti che, invece, sono nati all'estero e vivono in Italia, magari dalla più   tenera   età,   non   è   attualmente   contemplato   alcun   canale   preferenziale   per l'accesso alla cittadinanza. Possono usufruire al pari di qualsiasi altro migrante delle procedure   di   concessione   per   residenza,   dimostrando   di   abitare   regolarmente   in Italia da almeno 10 anni e di avere un reddito adeguato42, e per matrimonio con

cittadini italiani. 

La   legge   prevede,   inoltre,   la   possibilità   che   i   figli   di   migranti   ottengano   la cittadinanza italiana attraverso la richiesta fatta dai loro genitori. Tale opzione è però

40 L'articolo 71 della Costituzione Italiana sancisce, infatti, che: “Il popolo esercita l'iniziativa

delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”

41 http://www.unicef.it/campagne/Anci/Lista_Comuni_cittadinanza_onoraria.pdf

42  Il requisito  del reddito minimo,  non previsto dalla legge 91/92,  è stato introdotto dal

Decreto del Ministero dell’Interno del 22 novembre 1994. Vi si  afferma che l’istanza per la concessione   della   cittadinanza   per   residenza   deve   essere   corredata   anche   da   una certificazione sul reddito del triennio immediatamente antecedente la presentazione della domanda. L’importo del reddito non può essere inferiore a quello richiesto per l’esenzione dalla   partecipazione   alla   spesa   sanitaria   che   è   di  8.500   euro   per   individuo.   È   possibile cumulare il reddito del richiedente con quello del nucleo familiare, ma in questo caso si richiede un minimo pari a 11.500 euro e 550 euro in più per ogni figlio a carico.

subordinata al rispetto di clausole vincolanti e talvolta escludenti. La trasmissione della cittadinanza di padre in figlio può avvenire, infatti, solo se il figlio è ancora minorenne quando il genitore diventa italiano e se i due familiari convivono in Italia. I tempi di risposta spesso sono  molto lunghi, occorre attendere anni, cosa che spesso impedisce  ai  figli  di  accedere   a  questo  canale   perché  nell'attesa  sono   cresciuti  e diventati maggiorenni. 

Secondo i dati Istat per l'anno 2011, si diventa cittadini italiani soprattutto per lunga residenza (25.079 persone) o per matrimoni misti (14.744 persone). Tra le restanti 10.013 acquisizioni di cittadinanza, invece, circa 8.000 sono di minori, di cui gran parte   diventati   italiani   per   trasmissione   del   diritto   dai   genitori.   Guardando   alle nazionalità  di chi accede  alla cittadinanza italiana,  al  sesto posto  della  classifica troviamo i peruviani. Di questo gruppo, titolare della doppia cittadinanza italiana e peruviana, la componente femminile è preponderante (71,1%). Ma cosa comporta avere o non avere la cittadinanza? Per i giovani di origine straniera che desiderano continuare a studiare, lavorare e costruirsi una propria famiglia in Italia, accedere alla cittadinanza italiana significa aver garantiti dei diritti fondamentali in quanto membri della comunità in cui vivono, al pari di tutti gli altri. 

Significa   poter  iscriversi   a   diciotto   anni   nelle   liste   elettorali,   eleggere   i   propri rappresentanti politici e decidere di candidarsi.  Significa muoversi liberamente all'interno dei Paesi dell'Unione Europea. La titolarità di un permesso di soggiorno, pur permettendo la libera circolazione di breve durata nei paesi dell'area Schengen, non consente, infatti, di viaggiare all’estero durante la fase di rilascio e rinnovo del permesso. Condizione questa che ha limitato in molti casi la possibilità dei minori di origine straniera di partecipare a viaggi d'istruzione organizzati dagli istituti scolastici.   Significa poter accedere agli ordini professionali, per esercitare la professione per cui ci si è preparati con anni di studio. 

Significa   poter  partecipare  ai  concorsi   pubblici   e   lavorare,   quindi,   nella   pubblica amministrazione.   È   solo   dallo   scorso   anno   che   si   è   aperto   uno   spiraglio   su quest'ultimo punto. In base all'articolo 7 della legge Europea 201343, infatti, è stata

43  Per legge Europea si intende il dispositivo normativo  per l'adempimento degli obblighi

derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea:

aperta la partecipazione ai concorsi pubblici ai titolari  di permesso di soggiorno di lungo periodo e ai titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria. Resta però loro preclusa la possibilità di lavorare in posti che implichino l'esercizio diretto o indiretto   di   pubblici   poteri   e   attengano   alla   tutela   dell'interesse   nazionale.   Non possono dunque entrare nella magistratura, nell'esercito e nei corpi di polizia.

Significa   vedersi   limitata   la   possibilità   di   iscriversi   a   sport   agonistici   per   i   quali ancora molte federazioni sportive richiedono la cittadinanza italiana. 

Sintetizzando, come si legge in un documento prodotto dalla campagna “L'Italia sono anch'io”   per   illustrare   gli   ostacoli   quotidiani   che   il   minore   non   italiano   deve affrontare, “il permesso di soggiorno, pur garantendogli tutti i diritti sociali (scuola, sanità, ecc), tuttavia lo fa percepire sempre come temporaneo e "precario" rispetto ai suoi coetanei italiani. L’obbligo di rinnovo del permesso di soggiorno, con le relative lungaggini   burocratiche   e   amministrative,   determina   problemi   per   l’inserimento scolastico,   minando   il   percorso   di   formazione   individuale   e   sociale   del   minore, determinante nel costruirne l’identità personale.”44 Il rinnovo è garantito, infatti, solo

previa verifica del persistere dei requisiti  richiesti per il ricongiungimento famigliare: risorse economiche sufficienti e alloggio idoneo45

Fino al quattordicesimo anno di età, i minori di origine straniera sono iscritti nel permesso   dei   genitori,   dopodiché   viene   loro   rilasciato   un   permesso   per   motivi familiari   valido   fino   alla   maggiore   età.   Dai   18   anni   in   poi   hanno   diritto   ad   un permesso della stessa durata dei genitori o, se ne hanno i requisiti, diventano titolari di un proprio permesso di altro tipo, per studio, attesa occupazione o lavoro. 

È   proprio   quando   si  entra   nel   mercato   del   lavoro   che   si  incontrano   le   maggiori difficoltà. 

Il permesso, e quindi la facoltà di continuare a vivere legalmente in Italia, da quel momento in poi inizia ad essere indissolubilmente legato all'esistenza e alla durata di un contratto di lavoro. I problemi che ciò comporta connessi alla difficile congiuntura economica   attuale   e   alla   conseguente   impossibilità   di   programmarsi   liberamente dove e come costruirsi il proprio futuro, come fa qualsiasi altro cittadino italiano, sono l'esemplificazione della discriminazione istituzionale che i giovani di origine

44http://www.litaliasonoanchio.it/fileadmin/materiali_italiaanchio/pdf/Gli_ostacoli_per_i_mi

nori_non_italiani_­_Litaliasonoanchio.pdf

straniera vivono sulla loro pelle. Il rischio di diventare irregolari46incombe sulle loro

ambizioni e sulla loro voglia di futuro.

46 In questo testo si è scelto espressamente di non utilizzare la parola “clandestino”. Sebbene

il   suo   uso   sia   ampiamente   diffuso   nell'ambito   pubblico,   è   un   termine   discriminatorio   e criminalizzante, oltre che etimologicamente scorretto. Non essere in regola con i documenti non   fa   di   una   persona   un   criminale.   Si   tratta   semplicemente   di   una   irregolarità amministrativa. Il reato di immigrazione clandestina, introdotto in Italia nel 2009,  è stato cancellato in via definitiva dalla legge 67/2014.  

CAPITOLO 4: