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L'inserimento scolastico in Italia, tra risorse ed ostacol

 2 Transizioni formative e inserimento nel mercato del lavoro

2.1. L'inserimento scolastico in Italia, tra risorse ed ostacol

Per   contestualizzare   i   percorsi   di   transizione   all'età   adulta,   è   utile   soffermarsi sull'inserimento   nelle   strutture   scolastiche   ed   universitarie   italiane,   poiché   ha rappresentato una tappa importante all'interno dei percorsi biografici dei giovani peruviani che hanno vissuto direttamente l'esperienza della migrazione, finendo per avere   ripercussioni   anche   successivamente.   Generalmente   ha   coinciso   con   l'inizio dell'avventura   in   un   Paese   straniero,   giocando   un   ruolo   di   primo   piano   nella decisione di rimanere o meno in Italia e talvolta ha emblematicamente simboleggiato il passaggio all'età adulta. 

Uno dei primi ostacoli che i giovani giunti tramite il ricongiungimento familiare in età scolare hanno dovuto affrontare è stato quello linguistico. Pochi sono, infatti, coloro   che   già   conoscevano   l'italiano   grazie   a   corsi   frequentati   in   Perú.   La maggioranza   è   arrivata   qui   senza   sapersi   orientare   nei   meandri   di   una   lingua completamente sconosciuta ed ha trovato sostegno direttamente a scuola, grazie al lavoro e alla tenacia di singole insegnanti, che dedicavano loro tempo e lezioni ad hoc. Vi sono solo un paio di casi in cui ci si è affidati a corsi esterni organizzati da associazioni di volontariato o parrocchie per apprendere la lingua:   “Mia madre mi ha trovato una scuola che dava lezioni d’italiano gratuitamente. Da marzo a giugno un pomeriggio a settimana un professore, bravissimo, dava lezioni d’italiano agli stranieri. L’insegnante ci teneva tanto, ci dava consigli di lettura,   si   soffermava,   faceva   fotocopie.   Ho   imparato   tanto,   i   verbi   e   le situazioni (in edicola, in stazione…).” (intervista n. 72)

La conoscenza dell'italiano ha giocato un ruolo di primo piano nell'andamento dei percorsi   di   apprendimento   e   di   integrazione   scolastica.   Sono   diverse   le   voci   che raccontano   delle   difficoltà     relazionali   incontrate   inizialmente   proprio   a   causa dell'incapacità di esprimersi:

“I primi giorni ho vissuto un periodo di isolamento per la lingua. Il fattore che mi ha isolato è stato il non sapere la lingua e il fatto di essere timido, avevo paura, non li avvicinavo.” (intervista n. 78)

“Mio zio mi chiamava e mi diceva: "Capito? Capito?". Io non sapevo manco cosa significasse “capito”! E quando ero a scuola l'unica parola che dicevo era: "Capito, capito". E mi ricordo che questa mia compagna di classe mi diceva: "Ma capito cosa? Che cosa devo capire?" Io: "Capito, capito". (intervista n. 20) “Sono   arrivata   qui   l’ultima   settimana   di   agosto,   ho   iniziato   la   scuola   a settembre. Non sapevo una parola d’italiano. Non capivo quasi niente. È stato un   po’   scioccante…tutti   erano   gentili,   cercavano   di   farmi   capire   le   cose. L’italiano l’ho imparato grazie alla scuola, la tv, gli amici.” (intervista n. 69) Talvolta   sono   gli   stessi   compagni   di   classe   a   svolgere   in   maniera   informale   la funzione   di   mediatori   linguistici,   supportando   l'inserimento   dei   neo­arrivati   nel nuovo contesto scolastico:

“È   andata  bene,   anche  se non  capivo  niente  d’italiano.   Meno  male che  mi hanno messo in classe con un salvadoregno che traduceva…imparavo la lingua come un bambino, “come si chiama questo…?”. Dovevo abituarmi a tutto. Era una classe con l’insegnamento di lingua spagnola, ho fatto amicizia con molti, non   con  tutti,   perché   non   sapendo  la  lingua,   non  sapevo  di  cosa  parlare.” (intervista n. 63)

Un   secondo   elemento   in   grado   di   condizionare   l'evoluzione   dei   percorsi   di integrazione   scolastica   è   l'inserimento   o   meno   in   classi   corrispondenti   all'età anagrafica degli alunni. In circa i due terzi dei casi analizzati i ragazzi sono stati inseriti in classi frequentate da alunni di età inferiore. Già l'articolo 45 del Decreto del   Presidente   della   Repubblica   italiana   n.   394   del   199963  suggeriva,   invece,

l'iscrizione   alla   classe   corrispondente   all'età   anagrafica,   sottintendendo   che l’inserimento in  classi  inferiori alla  loro età  a  causa  dell’insufficiente  padronanza linguistica sarebbe potuto risultare penalizzante ed in grado di ostacolare il processo di socializzazione. Nonostante ciò, la decisione ultima è demandata al collegio dei docenti, che delibera sulla base delle risorse interne, delle pratiche già poste in essere e delle competenze accertate per il singolo alunno. Stando ai racconti fatti dagli intervistati,   al   momento   del   loro   inserimento   spesso   le   scuole   si   sono   rivelate strutturalmente   impreparate   all'accoglienza   di   studenti   stranieri,   affidandosi piuttosto alla sensibilità e alla disponibilità di singoli insegnanti, che prendevano in

63 Disponibile a questo indirizzo: 

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/1ebac8e2­3ed5­4 9cd­8427­926c4e705122/dpr394_1999.pdf

carico le situazioni più problematiche. 

Qualcuno ha accolto il fatto di dover ripetere uno o due anni di scuola,  come una doverosa   esigenza   legata   al   bisogno   di   perfezionare   la   conoscenza   della   lingua italiana, reagendo in maniera positiva:

“Sono arrivata a ottobre e ho iniziato subito in seconda media in zona Loreto, in una sezione con inglese e tedesco. Mi hanno fatto perdere un anno, in Perú avevo già frequentato la seconda, per me è stato un ripasso. Capivo l’italiano, facevo un po’ di fatica a seguire.” (intervista n. 73) 

“Qua  ho  dovuto  ricominciare dalla prima  media,   anche  se in  Perú   ero più avanti.   Sono   arrivata   il   19   settembre,   la   scuola   era   già   iniziata   e   io   l’ho cominciata dal giorno dopo il mio arrivo. A scuola è andata bene, nessuno si conosceva ancora e i prof. erano bravi, mi davano i compiti per gli stranieri, ho imparato facilmente l’italiano, che non avevo mai studiato prima.” (intervista n. 58)

 

Per   altri,   invece,   arrivati  soprattutto   in  età   adolescenziale,   ha  rappresentato  una barriera   quasi  insormontabile,   che   ha   influenzato  le  relazioni   con   i  compagni   di classe e ha condizionato i progetti di vita futuri, spingendoli persino a lasciare o cambiare gli studi intrapresi:

“Là   avevo   finito   la   scuola   superiore,   miravo   all'università.   Qui   però   mi servivano ancora due anni. Ho fatto un anno di geometri ma non mi piaceva e poi sono passato all'indirizzo turistico­commerciale. Poi ho fatto il serale perché avevo già 18 anni e mi sentivo fuori luogo.” (intervista n. 75)

“L’italiano non lo sapevo proprio, mi hanno messo in prima media, mi hanno fatto perdere un paio d’anni. Stare con ragazzi più piccoli è stato strano: ero il più   grande,   non   parlavo   e   vedevo   gli   altri   che   volevano   essere   più   furbi.” (intervista n. 67) 

Come   affermano   Dalla   Zuanna   e   colleghi   (2009:   130),   infatti,   sebbene   la collocazione   in   classi   d'età   inferiore   sia   pensata   con   finalità   positive,   il   ritardo scolastico che ne consegue, soprattutto se maggiore di un anno, può indurre a fare scelte   al   ribasso   rispetto   ai   progetti   formativi   iniziali,   orientandosi   verso   offerte ritenute meno impegnative o che garantiscano un rapido ingresso nel mercato del lavoro. 

Nel processo di integrazione scolastica, alcuni intervistati hanno riconosciuto poi, nel bene e nel male, un ruolo determinante all'azione dei loro genitori e delle madri in

particolare. Nel raccontare l'incontro con la scuola italiana, si sono infatti soffermati sul fatto che le madri avessero pianificato nei dettagli il loro inserimento scolastico, già prima del loro arrivo. Ciò che varia è l'interpretazione con cui è stato accolto questo atteggiamento. Se alcuni si sono sentiti sollevati dal fatto che i genitori si fossero   occupati   della   selezione   della   scuola   e   delle   trafile   burocratiche   legate all'iscrizione   e   al   riconoscimento   degli   anni   di   studio   fatti   in   Perú,   altri   l'hanno vissuta   come   un'imposizione.   “Se   la   famiglia   può   rappresentare   una   risorsa   per favorire l'impegno nella scuola, talvolta si trasforma in un peso nella definizione dei percorsi scolastici, come anche nella scelta del loro abbandono” (Ricucci, 2010: 153). Da un lato, dunque, alcuni esprimono gratitudine per il fatto di essere stati agevolati e   supportati.   I   riferimenti   vanno,   per   lo   più,   all'organizzazione   della   partenza, studiata in  modo che  potessero iniziare  le  lezioni  direttamente insieme agli altri compagni, senza perdere giorni di studio, o avendo avuto prima dell'iscrizione alcuni mesi   da   dedicare   allo   studio   dell'italiano.   Le   testimonianze   che   seguono   sono indicative in questo senso:

“Mamma si è occupata della scuola, sono arrivata a fine ottobre e i primi giorni di   novembre   sono   entrata   subito   in   classe,   quella   giusta,   in   seconda elementare.” (intervista n. 77)

“Quando   siamo   venuti   la   prima   volta,   avrei   potuto   studiare   in   Italia   solo avendo   frequentato   un   anno   di   università   in   Perú.   Mia   madre   si   era   già informata. Sono tornato a Lima, ho finito l’anno universitario in Scienze della Comunicazione   e,   tornato   qua,   mi   sono   potuto   iscrivere   allo   stesso   corso.” (intervista n. 61)

 

Dall'altro lato, invece, altri intervistati hanno lamentato l'azione invasiva dei genitori che, a loro dire, ha compromesso la realizzazione dei loro obiettivi, spingendoli a frequentare scuole che non avevano scelto o per cui non si sentivano portati: “Mio fratello maggiore l’ha vissuta peggio di me, anche lui era molto bravo. Doveva iniziare l’università e, avendo il punteggio più alto della sua scuola, sarebbe passato senza test d’ingresso. In Italia si è dovuto re­iscrivere in terza superiore, con l’ostacolo della lingua. Mio padre s’è informato male…ci ha fatto entrare al liceo scientifico, è dura! Qua [in Perú] avevamo studiato solo la grammatica italiana, ma non sapevamo parlare. Io sono stata inserita in prima superiore e mi hanno bocciato...Noi siamo arrivati a dicembre 1998, la scuola era già cominciata,  quindi fino a settembre 1999 non ci siamo andati.  Nel frattempo abbiamo studiato una base d’italiano. Ho imparato più velocemente

perché ascoltavo la musica italiana. Mio fratello ha lasciato il liceo, poi ha tentato  un po’  di volte  di  ricominciare gli studi,   ma  ormai  si sente  troppo grande per rimettersi a studiare. È un peccato, qua [in Perú] era molto bravo; anche mio padre si lamenta di averci portato là, per noi è stata dura. Noi eravamo già troppo grandi…” (intervista n. 10)

 

“I primi problemi ci sono stati per venire, perché mia madre aveva promesso che io venivo qua a farmi una carriera. Io mi stavo preparando per fare disegno pubblicitario ma lei mi ha iscritto a una scuola di idraulica. Lei, in pratica mi ha obbligato. Mi ha obbligato, perché: "Tu stai qua, ti fai questo corso, due o tre anni, ti metto a lavorare con un signore, ti fai queste cose qua e poi vedi tu cosa fare". Io volevo fare altro, io me ne volevo tornare indietro.” (intervista n. 23)  Un elemento che balza agli occhi, scorrendo i testi delle interviste dei giovani giunti in   Italia   in   età   adolescenziale   o   poco   più   grandi,   è   la   difficoltà   sperimentata nell'orientarsi tra le diverse offerte formative del sistema scolastico ed universitario italiano. La fatica nel reperire informazioni esaustive nella fase di arrivo nel nuovo contesto ridimensiona le aspettative iniziali e finisce talvolta per limitare l'accesso alle opportunità di formazione pur disponibili: “Ho iniziato la scuola a settembre, dopo aver letto una guida sull’orientamento a Milano. Non riuscivamo a distinguerle in base al grado di difficoltà…alla fine ha prevalso la vicinanza a casa.” (intervista n. 72) “Sono arrivato in aprile e non avrei potuto iscrivermi in terza media, perché avendo   quasi   16   anni   sarebbe   stato   troppo   difficile.   A   settembre   mi   sono iscritto alle 150 ore per ottenere il diploma di licenza media. Durava un anno, si frequentava per 2­3 ore al giorno. Mio padre m’iscrisse anche a una scuola di pratica per il lavoro in campo edilizio, per diventare imbianchino. Anche questa scuola   m’impegnò   un   anno.   Col   tempo   però   capivo   che   fare   la   scuola d’imbianchino non era come un istituto o un liceo. Il sogno per cui ero venuto in  Italia  non  era  quel  lavoro,  avevo  la  fantasia di diventare  qualcuno,  una persona con un mestiere importante.” (intervista n. 56)