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Il termine ‘cosplay’ è l’abbreviazione di costume play che in italiano potrebbe as- sumere il significato di ‘recita in costume’, un neologismo che nasce dalla ten- denza dei giapponesi ad unire tra loro vocaboli di matrice anglofona138 e può indi-

care:

“[…] l’atto di travestirsi come i personaggi dei fumetti, videogiochi o serie tv; è il giocare/recitare con i loro costumi; è il vivere per un giorno nei panni dei propri eroi e delle proprie eroine.”139

La nascita e la diffusione del termine è strettamente connessa alla storia ed allo sviluppo della pratica che vede due principali attori: Stati Uniti e Giappone. Nella terra del Sol Levante, il cosplay nasce per ispirazione ai travestimenti, carat- teristici degli eventi Sci-Fi che si svolgevano e si svolgono tutt’ora nel continente americano: in queste convention, gran parte dei fan indossano costumi che trasfor- mano la loro immagine in personaggi appartenenti ai film o alle serie TV di fanta- scienza, come gli ormai famosissimi Star Wars o Star Trek. Complice forse la

138 REBECCA ADAMI, Il Cosplay – Tra immaginazione e realtà sociale, Lucca, Marco Del Bucchia editore, 2009, p. 37.

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lunga tradizione di mascheramento legato al teatro kabuki140, al dramma d’epoca

ed alla recitazione storica che continuano a definire ed influenzare gran parte della tradizionale produzione artistica giapponese141, secondo Okabe, dagli anni Settanta

la pratica di travestimento legata all’immaginifico che ruota attorno ai prodotti dell’intrattenimento, venne assunta anche in Giappone, scegliendo però soggetti appartenenti alla produzione locale, ovvero anime, manga e videogiochi. La diffu- sione del fenomeno avvenne intorno al 1975, in seguito alla decisione di ospitare eventi appositi, a cadenza regolare, all’interno delle grandi manifestazioni doujin-

shi142 e Sci-Fi nipponiche; il fenomeno poi, esplose tra il 1979 ed il 1980, due date

che corrispondono alla pubblicazione di serie animate dall’enorme successo com- merciale: Mobile Suit Gundam143 e Urusei Yatsura144. Sembra sia stato questo il

momento in cui vennero avvistati i primi fan in costume: all’interno del Comiket145

iniziarono ad aggirarsi un gruppo di ragazze che indossavano i panni della loro beniamina, Lamu146. In realtà, non vi sono fonti certe sulla prima vera attestazione

della pratica in Giappone: le vicende relative agli esordi del fenomeno vengono quasi sempre narrate in modo da esaltare il mistero e la meraviglia, come se si trattasse di una leggenda:

140 Particolare tipo di rappresentazione teatrale sorta in Giappone all'inizio del XVII secolo. 141 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

tice, in Fandom Unbound, cit., p. 225.

142 Rivista giapponese pubblicata in proprio, può contenere racconti, articoli e fumetti amato- riali.

143 Letteralmente ‘Gundam il guerriero corazzato mobile’, serie anime fantascientifica caratte- rizzata dalla presenza di mecha, ovvero robot, realizzata da Yoshiyuki Tomino e trasmessa, per la prima volta, nelle tv giapponesi tra l’aprile del 1979 ed il gennaio del 1980.

144 Letteralmente ‘I tizi della stella Uru’, in Italia il titolo fu cambiato in ‘Lamù, la ragazza dello spazio’, serie anime shōnen, ovvero indirizzata ad un pubblico maschile nell’età compresa tra quella scolare e la maggiore età, di genere comico, ideata da Rumiko Takahashi.

145 Comic Market, la più grande manifestazione dedicata ai fumetti al mondo.

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“Narra la leggenda che il cosplay tragga le sue origini dalla fantasia e dall’estro creativo di ragazze che nei primi anni ’80 iniziò a girare tra gli stand di questa fiera vestite da Lamù”147

Oppure in maniera approssimativa:

“All’interno del Komiketto e di altre manifestazioni analoghe in giro per il Giappone si è iniziata a sviluppare spontaneamente l’abitudine di portare abiti tratti da serie televisive di successo e da lì si è passati a costumi sempre più elaborati.” 148

O ancora, prediligendo la serie Gundam rispetto a quella di Urusei Yatsura come scintilla da cui sarebbe divampato il fenomeno, come afferma la scrittrice Keiko Ikiguchi149 narrando di un gruppo di ragazzi che per celebrare la pubblica- zione del primo OAV150 della serie animata, si travestirono da mobile suit151 e par-

teciparono a diversi programmi televisivi: durante uno di questi show, nel 1981, sembra che un ragazzo, vestito da Maggiore Shia Aznabul152, si sia eletto portavoce dei fan dell’anime per annunciare l’inizio di una nuova era dell’animazione.153 Si-

curamente, il successo e l’importanza di queste produzioni nella storia dell’anima- zione giapponese può aver effettivamente spinto gli appassionati verso il mondo del cosplay ma è proprio la mancanza di elementi concreti come testimonianze,

147 Ibid.

148 LUCA VANZELLA, Cosplay Culture – Fenomenologia dei costume players italiani, Latina, Tunué, 2005, p. 17.

149 Ibid.

150Original Anime Video, espressione giapponese che designa produzioni anime pubblicate di- rettamente per il mercato home video senza prima essere state trasmesse in televisione o proiet- tate nei cinema.

151 I mecha protagonisti della serie Mobile Suit Gundam.

152 Uno dei personaggi principali della serie Mobile Suit Gundam.

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fotografie o documenti che rendono queste affermazioni più simili a racconti e supposizioni. Questa situazione, condivisa anche con le altre sottoculture giappo- nesi, viene creata molto probabilmente dal numero estremamente ridotto di tradu- zioni delle pubblicazioni giapponesi sull’argomento, rendendo quindi accessibile solo in parte la conoscenza del fenomeno al pubblico occidentale ma anche dall’an- cora acerbo interesse e scetticismo verso queste manifestazioni culturali che con- duce ad avere a disposizione soltanto un limitato spettro di opportunità, per lo più di origine anglofona che oltretutto si realizzano come raccolte di saggi sui più di- sparati argomenti relativi alla cultura popolare del ‘Sol Levante’ e non attraverso lavori mirati. Trattare quindi in maniera esclusiva una specifica sottocultura giap- ponese per un gaikokujin154, risulta essere un compito non così scontato e basato

su di un numero di fonti estremamente ridotto: si avverte così la forte necessità di nuove esperienze, soprattutto di stampo etnografico, che permettano di conferire concretezza e correggere il tiro su ciò che oggi solo ipotizziamo. Fortunatamente alcuni lavori riescono a permeare questo alone di diffidenza ed a trovare terreno fertile soprattutto nel mondo anglofono che, negli ultimi anni, sta dimostrando un interesse crescente verso questi temi, frutto del riconoscimento della popolarità che hanno assunto manga, anime e videogiochi e della necessità di studiarne i fe- nomeni culturali a loro connessi. Grazie ad Okabe, ad esempio, possiamo avvalo- rare, seppur minimamente, la teoria che vede, i primi cosplayer gironzolare tra gli stand del Comiket dato che, in questo caso, non solo vi sarebbe correlata una non indifferente reazione di moral panic, ma anche il coinvolgimento delle forze dell’ordine ed una successiva modifica ai regolamenti interni relativi allo svolgi- mento dello stesso Comic Market:

“With the introduction of hit series such Mobile Suit Gundam in 1979 and Urusei Yatsura in 1980, cosplay took off. Before this period, events did not

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have clear policies on dress codes and locations for cosplay. With the ap- parance of scantily clad characters in works such Urusei Yatsura, resident who lived near cosplay event location began to complain about indecent out- fits. As a result, as early as the 1983 Comic Market, event organizers began to limit cosplay to the boundaries of the convention hall.”155

La situazione descritta vede quindi il cosplay come una pratica che nel Giap- pone dei primi anni Ottanta ha già trasceso l’ambito privato per esprimersi in una comunità di appassionati definita e consapevole ma ancora ignara della propria vocazione sottoculturale, che deve sempre negoziare i propri spazi e trovare delle precise strategie di risposta agli attacchi dei garanti della moralità156. È in questo

periodo quindi che il fenomeno si rende visibile: quando ragazze vestite in colorati e succinti costumi raffiguranti l’aliena Lamu, suscitano talmente scandalo da co- stringere il Comic Market Preparatory Committee157 a far confinare i primi co-

splayer ai limiti della convention.

Una grande impulso alla diffusione ed alla notorietà della pratica si ebbe nel 1984, in seguito alla pubblicazione della serie Captain Tsubasa158, un anime spo- kon159 che basandosi sul gioco del calcio permetteva la realizzazione di un cosplay

sobrio, rappresentato da uniformi calcistiche, che poteva quindi essere facilmente apprezzato anche da chi non si identificava con quella comunità. Secondo Theresa Winge, fu proprio in questo l’anno in cui nacque il termine ‘cosplay’ ed è grazie

155 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

tice, in Fandom Unbound, cit., p. 229.

156 STUART HALL e TONY JEFFERSON, Resistance through rituals, cit., p. 56. 157 Il comitato addetto alla gestione ed all’organizzazione del Comik Market.

158 Letteralmente ‘Capitano Tsubasa’, serie calcistica di Yoichi Takahashi, pubblicata in Giap- pone tra il 1983 ed il 1986, nota in Italia con il titolo di Holly e Benji, realizzato utilizzando ab- breviazioni dei nomi dei protagonisti dopo aver subito un’opera di occidentalizzazione: ‘Tsu- basa Ozora’ venne cambiato in ‘Oliver Hutton’ mentre ‘Genzo Wakabayashi’ in ‘Benjamin Price’.

159 Termine giapponese che designa un particolare genere di manga e anime le cui storie sono ambientate nel mondo dello sport ed hanno per protagonisti degli atleti.

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all’aneddoto che riporta nel suo articolo160 che possiamo ulteriormente avvalorare

la tesi degli Stati Uniti come fonte d’ispirazione per la nascita, non solo della pra- tica giapponese ma anche del termine che tutt’oggi viene utilizzato per indicarla: nel 1984, Takahashi Nobuyuki, conosciuto negli USA con lo pseudonimo di ‘Nov

Takahashi’, produttore cinematografico, scrittore e fondatore dello studio Hard,

una compagnia di distribuzione anime, venne ospitato al World-Con161 di Los An-

geles dove poté assistere ad un gran numero di appassionati che indossavano i co- stumi relativi alle loro serie di science fiction preferite. Takahashi rimase forte- mente impressionato da questa mascherata, tanto che, una volta tornato in patria, decise di incoraggiare i suoi fan a realizzare un qualcosa di simile anche durante le convention giapponesi. Il poliedrico produttore però, si trovò in difficoltà nel tradurre in lingua giapponese la parola ‘masquerade’ utilizzata a quel tempo negli Stati Uniti per indicare appunto una mascherata, ovvero un gruppo di persone che si riuniscono in un determinato luogo indossando costumi: in Giappone infatti, il corrispettivo di quella parola indica un evento in maschera di stampo aristocratico, qualcosa di simile a quelli che si svolgevano nella Francia tra il Seicento ed il Settecento durante il regno di Luigi XIV, sicuramente non adatto a descrivere una folla di appassionati di fantascienza. Takahashi decise quindi di creare un termine apposito: dalla parola inglese ‘costume play’ ricavò il giapponese ‘kosupure’ da cui derivò, in forma abbreviata il termine ‘cosplay’162. Appare evidente come il

rapporto tra Stati Uniti e Giappone sia il fulcro per la nascita del fenomeno ma in egual misura è chiaro che tra le informazioni che ci fornisce la Winge e quelle di Okabe è presente una discordanza temporale o almeno un diverso grado di consi- derazione nel livello di sviluppo della comunità in Giappone. Come abbiamo visto, Okabe afferma che dalla seconda metà degli anni Settanta, il Comiket ha già pre- disposto eventi realizzati appositamente per i cosplayer, simbolo di una presenza

160 THERESA WINGE, Costuming the Imagination: Origins of Anime and Manga Cosplay, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2006, p. 66.

161 Importante e famosa convention Sci-Fi statunitense.

162 THERESA WINGE, Costuming the Imagination: Origins of Anime and Manga Cosplay, cit., p. 67.

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ormai consistente di appassionati, una proto-comunità alle prese con i primi pro- blemi relativi alla loro unione, crescita e visibilità. Per la Winge invece, la forza aggregante necessaria sarebbe giunta solamente negli anni Ottanta inoltrati, come se prima di quel momento non esistessero ancora esempi della pratica nel paese asiatico. In questo secondo approccio si avverte più la necessità di conferire im- portanza all’oggetto di influenza che rispettare il rigore cronologico: l’influsso di Takahashi può effettivamente aver aiutato nello sviluppo, nella conoscenza e nella diffusione del fenomeno ma non averne dato l’avvio.

Una nuova fase di espansione del cosplay giapponese avvenne nei primi anni Novanta, grazie all’enorme successo di fumetti, serie animate e videogiochi che iniziarono ad essere commercializzati in notevole quantità in tutto il mondo. La diffusione capillare di questi prodotti permise di conseguenza l’ampliamento dell’interesse nei confronti della pratica: un numero più alto di partecipanti corri- spose anche ad un aumento della visibilità che comportò un relativo contagio in molti paesi occidentali tra cui Italia, Francia e Stati Uniti. In questo periodo anche i soggetti dei travestimenti si ampliarono, andando ad integrare il mondo della mu- sica: entrarono a far parte dell’outfit i costumi ispirati alle famose band visual-

kei163 e degli idols164 maschili, in relazione alla grande popolarità che questi ec-

centrici gruppi stavano conquistando, soprattutto tra il pubblico femminile giap- ponese e di conseguenza, anche tra le cosplayer. Gli anni Novanta corrisposero anche al periodo in cui iniziarono le prime problematiche di un certo peso: l’au- mento della visibilità, l’interesse sempre più crescente della stampa e della critica,

163 Genere musicale peculiarmente giapponese sviluppatosi a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del XX secolo, che si ispira in parte allo stile musicale e d'abbigliamento dei gruppi hair metale in parte alle correnti new wave e post-punk di matrice europea. Ha raggiunto la sua maturità a partire dagli anni Novanta e dal Duemila ha conosciuto un crescente interesse da parte del pubblico internazionale.

164 Nella cultura giapponese, il termine idol si riferisce a un adolescente che diventa molto popo- lare nel mondo dello spettacolo soprattutto in virtù del suo aspetto esteriore. Gli idol possono essere cantanti e far parte di gruppi musicali J-pop, oppure recitare in dorama e film per il ci- nema, partecipare a show televisivi o posare per servizi fotografici come modelli.

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resero necessaria la realizzazione di una regolamentazione. Come primo atto uffi- ciale, ad esempio, il Comic Market Preparatory Committee vietò le repliche di armi realizzate a mano: si deve considerare che il mondo dei manga, degli anime e dei videogiochi viene notevolmente influenzato dal genere fantasy, dall’antica tradi- zione guerriera giapponese o dalla fantascienza, per questo moltissimi personaggi che vengono usati come fonte d’ispirazione per il cosplay posseggono diverse, in- solite e caratteristiche armi, tra cui la prevalenza ricade sicuramente sulle spade. Realizzare a mano oggetti di questo tipo venne considerato pericoloso, soprattutto nel contesto del Comiket, dove ancora oggi si raggruppano centinaia di migliaia di partecipanti. Il secondo atto ufficiale che il Comitato impose fu l’adeguamento a determinati codici di condotta relativi al travestimento: dal 1991 infatti, la produ- zione ed il consumo di doujinshi bishojo-kei165 subì una forte impennata166 e di

conseguenza salì vertiginosamente il numero di cosplayer che traevano ispirazione da quei personaggi. Il Comiket si riempì ben presto di ragazze vestite in abiti suc- cinti e questo non infastidì solo i benpensanti ma anche molti artisti e fan dei doujinshi: iniziarono a temere non solo che queste ragazze, grazie al loro sex ap-

peal, sarebbero riuscite a strapparli il ruolo di predominanza all’interno della con-

vention ma anche di subire essi stessi delle limitazioni. Questa situazione ci dimo- stra come, all’interno del Comic Market di quegli anni, l’attività del cosplay fosse ancora marginale e solo un complemento alla presentazione e vendita dei doujin- shi. Le pressioni derivate da questo gruppo, che monopolizzava la scena, costrin- sero il Comitato a realizzare delle vere e proprie linee guida che ancora oggi rego- larizzano la pratica e che vengono riportate chiaramente ed in una pluralità di lin- gue diverse sul sito ufficiale del Comiket167:

165 Termine che indica prodotti in cui prevale un erotismo soft e caratterizzati dalla presenza di giovani ed avvenenti ragazze.

166 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

tice, in Fandom Unbound, cit., p. 230.

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“Do not undress or change clothing except in the dressing/changing room. Undressing in the bathroom is strictly prohibited.”168

Oppure, per le repliche di armi:

“Do not bring in the following item: […] Weapons and/or anything resem- bling a weapon in shape.”169

Le nuove costrizioni vietarono quindi, di indossare i costumi al di fuori della convention: il Comitato mise a disposizione appositi camerini dove i praticanti potevano prepararsi. Era severamente proibito mascherarsi nelle proprie case e giungere alla manifestazione sfilando per le strade cittadine, così da non attirare troppo l’attenzione e non incorrere in eventuali critiche. È interessante notare come, ancora oggi, nonostante l’enorme diffusione e popolarità, questa pratica in- contri ostacoli e disapprovazione da parte della popolazione giapponese; questo ci viene confermato direttamente dal Comic Market Preparatory Committee nel re- golamento per l’edizione del 2017:

“Please be aware that cosplay and masquerading have yet to be widely ac- cepted in mainstream Japanese society. Do not come to or leave the Comiket wearing a costume.”170

Anche il confino in uno spazio apposito, a cui si erano ordinatamente e pa- zientemente sottomessi i cosplayer della prima ora è stato mantenuto creando una

168 http://www.comiket.co.jp/info-a/TAFO/C69TAFO/C69eng.pdf 169 Ibid.

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sorta di ‘vetrina’ rappresentata da una piazza, appositamente allestita, dove i fan possono scattare fotografie ed i cosplayer possono mostrare i loro costumi:

“Taking photographs of people in cosplay is limited to the costume-play pub- lic square.”171

La pressione che la società giapponese esercita su questa ed altre sottoculture risulta davvero notevole: gli spazi di manovra che i membri di questa comunità riescono a trovare per esprimere la loro identità sono chiusi da un invisibile ma consistente recinto. Anche negli scritti di Okabe172 si avverte l’interesse di rendere

ben visibile l’aspetto collaborativo che i cosplayer manifestano nei confronti dei vari eventi che li ospitano: l’autore precisa che le regole ed i codici di condotta vengono definiti all’interno della comunità stessa, costruiti e mantenuti attraverso la pratica giornaliera della loro cultura. Le limitazioni quindi non sarebbero impo- sizioni provenienti da un’autorità esterna ma il frutto di una negoziazione da cui la comunità ha tratto consapevolmente i propri limiti per evitare la formazione di stereotipi negativi da parte degli outsiders. Nonostante la negoziazione sia a tutti gli effetti una delle caratteristiche tipiche dell’agire sottoculturale, a differenza di altre sottoculture spettacolari che hanno basato il loro stile come forma di denuncia o per la messa in discussione dei ruoli e delle restrizioni imposte dalla cultura do- minante, la risposta che i cosplayer giapponesi hanno scelto è quella di chiudersi a riccio, accettare passivamente pur di sopravvivere e poter continuare a svolgere l’oggetto delle loro passioni.

Il Comiket non è l’unica ‘vetrina’: il Giappone è in realtà la patria di numerosi eventi in cui i cosplayer possono venire ospitati. Il Wonder Festival, chiamato,

171 Ibid.

172 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

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nella sua forma abbreviata, ‘Wonfes’, un evento semestrale che si tiene ogni anno nei mesi di febbraio ed agosto, nonostante riguardi principalmente il garage kit e quindi l’esibizione e la vendita di DIY173 relativo a statuette e modellini di vario

genere, ospita anche esibizioni di cosplayer, senza che essi ne rappresentino l’at- trattiva principale. Altri luoghi vengono invece allestiti appositamente: il Tokyo Fashion Town Building, ad esempio, mette a disposizione alcune sue sale confe- renza, oppure alcuni parchi a tema come il Toshimaen organizzano spettacoli co- splay. L’evento più importante e significativo sembra essere il World Cosplay

Summit, una manifestazione speciale che si svolge a Nagoya ogni anno: durante i