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Adesso che abbiamo avuto modo di presentare le originali dinamiche del consumo otaku, la loro concezione del mondo e l’associazione infondata che li tende ad ap- parire come hikikomori risulta ottimale affrontare con specificità il caso Miyazaki così da presentare l’epoca più buia che ha caratterizzato la sottocultura in questione e determinato un’immagine fortemente negativa nel senso comune giapponese che nonostante successivi miglioramenti, di fatto rimane ancora oggi la fonte di discri- minazione più consistente. Affrontare questo argomenti ci chiarirà molto di quanto detto finora e costituirà un filo di cucitura per le considerazioni a cui siamo giunti, basate sul rapporto tra identificazione, consumo e discriminazione a cui si aggiun- gerà, come vedremo, quella strumentalizzazione classicamente anti-sottoculturale rappresentata dal connubio tra mass media ed ideologia dominante per creare capri

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espiatori che servano da valvola di sfogo per lo stress sociale. La storia degli otaku è stata caratterizzata da una fortissima ondata di moral panic in seguito ai fatti di cronaca nera relativi al pluriomicida Tsutomu Miyazaki di cui riporteremo una sintetica biografia che ci permetterà di narrare le vicende che porteranno questa figura ad influenzare enormemente lo sguardo della società giapponese nei con- fronti degli appassionati di anime, manga e videogiochi126. Miyazaki nacque il 21

agosto 1962 a Itsukaichi, un quartiere di Tokyo, con una malformazione ai polsi che gli impediva il corretto movimento delle mani rispetto alle braccia. Questo problema fisico influì negativamente sulla psiche del bambino: fin dall’asilo iniziò ad essere deriso con il risultato di una chiusura in sé stesso ed una condizione di disagio continua facilmente osservabile nelle foto di famiglia in cui appare sempre con gli occhi socchiusi e le mani nascoste. Durante il periodo di frequentazione delle scuole elementari Miyazaki viene ricordato come un bambino tranquillo e riservato ma incapace di relazionarsi e di stringere amicizie: la colpa di questa condizione venne da lui continuamente attribuita alla sua malformazione; fu pro- prio in questo periodo, come per altri suoi coetanei che iniziò il primo contatto con il mondo dei manga. Durante le scuole medie si concentrò sullo studio ed ottenne la possibilità di frequentare un’ottima scuola superiore che gli avrebbe dato ac- cesso alla prestigiosa Università Meiji: avrebbe voluto divenire un’insegnante ma all’ultimo anno delle superiori non riuscì ad ottenere la necessaria raccomanda- zione posizionandosi in un livello insufficiente nella graduatoria. Le motivazioni dietro questo fallimento furono dovute ad una sua perdita di interesse nei confronti dello studio a favore della realizzazione di un manga amatoriale: nonostante ciò Miyazaki continuò ad incolpare la sua deformazione anche per questo fallimento; riuscì tuttavia ad ottenere un master di tre anni in un college che gli permise di iniziare la professione di tipografo. La situazione familiare del ragazzo non era delle migliori, l’unico rapporto positivo sembra essere stato quello con il nonno

126 SHARON KINSELLA, Japanese Subculture in the 1990s: Otaku and the Amateur Manga

Movement in «The Journal of Japanese Studies», The Society for Japanese Studies, 24 (1998), p. 308.

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mentre i genitori si alternavano tra lavoro e passioni trascurandolo, le due sorelle lo tenevano a distanza in seguito al suo problema alle mani. Non mancarono casi di rabbia incontrollata ed atteggiamenti perversi conseguenti a questo contesto: Miyazaki percosse sia la madre incolpandola di scarsa attenzione che la sorella dopo la sua accusa di averla spiata in bagno mentre faceva la doccia127. Il 22 agosto del 1988 avvenne il primo atto che lo consacrò come un mostro: Miyazaki rapì una bambina di quattro anni di nome Mari Konno, la condusse in un sentiero di mon- tagna per poi strangolarla ed amputarle le mani ed i piedi che conservò in un ar- madio. Il rapimento della bambina, colpì fortemente l’opinione pubblica: si diffuse il terrore fra la popolazione di Tokyo mentre la polizia in assenza del corpo dovette catalogare il caso come “persona scomparsa”. A due settimane di distanza Miyazaki colpì nuovamente, stuprò ed uccise la bambina Masami Yoshizawa, il 3 ottobre del 1988, portandola sullo stesso sentiero di montagna utilizzato in prece- denza: anche in questo caso l’assenza de corpo della vittima condusse ad una nuova archiviazione da parte della polizia. Il terzo rapimento avvenne due mesi dopo: il 3 dicembre del 1988; in quell’occasione morì la bambina Erika Nanba con dina- miche simili alle precedenti, in seguito ad uno strangolamento e ad atti sessuali ma stavolta Miyazaki fu meno accorto nel non lasciare prove: nascose il cadavere in una foresta gettando via i vestiti per paura di essere scoperto. Nel frattempo le forze dell’ordine istituirono uno speciale reparto volto al ritrovamento delle tre bambine ed alcuni indizi portarono alla foresta così vennero per primi ritrovati i vestiti e successivamente il corpo. Grazie al ritrovamento, le forze dell’ordine riuscirono delineare un’area di indagine corrispondente a trenta chilometri di raggio, in quanto le bambine abitavano entro quella distanza; altro elemento in comune fu- rono le numerose chiamate anonime che tutte le famiglie delle vittime continua- vano a ricevere. A questo punto Miyazaki iniziò ad interagire direttamente con le

127 PATRICK W. GALBRAITH, THIAM HUAT KAM, BJÖRN-OLE KAMM, Debating

Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons, Bloomsbury Acade- mic, 2016, citato da https://www.animeclick.it/news/49441-la-storia-di-tsutomu-miyazaki-lo- taku-serial-killer-di-bambine

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famiglie, prima inviando una lettera alla famiglia di Erika Nanba contenente le parole “Erika. Freddo. Tosse. Gola. Riposo. Morte”, successivamente una scatola contenente polvere, terra, resti di ossa carbonizzate, 10 piccoli denti, foto di vestiti da bambina e una lettera recante la scritta “Mari. Cremata. Ossa. Investigare. Prova.” alla famiglia Konno128. Attraverso i mass media l’assassino seguì gli svi- luppi del caso e si decise ad inviare una lettera di confessione alla redazione del giornale Yomiuri Shinbun ma firmata con uno pseudonimo: Yuko Imada; fu in seguito a questo fatto che la polizia si rese conto di trovarsi di fronte ad un serial

killer. Il 6 giugno del 1989 Miyazaki colpì ancora una volta: in un campo da tennis

vicino a Tokyo vide una bambina di cinque anni, Ayako Nomoto e le chiese se poteva scattarle delle fotografie; la bambina commentò la deformità delle sue mani e questo scatenò l’ira dell’assassino che la uccise strangolandola e subito dopo la rinchiuse nel bagagliaio della sua auto per poi portare il corpo nella sua abitazione così da procedere all’amputazione delle parti ed al seppellimento. Nonostante gli sforzi della polizia, fu un civile a porre fine a questa serie di delitti; il 23 luglio del 1989 Miyazaki cercò di fotografare due sorelle nei pressi di Hachihoji, un quartiere di Tokyo, ma una di esse riuscì ad avvertire il padre che una volta giunto sul posto riuscì a mettere in fuga l’assassino. Fu proprio durante questa fuga che Miyazaki venne catturato dalla polizia ed arrestato inizialmente con l’accusa di aver costretto una minorenne a commettere atti indecenti129. Nei giorni successi l’assassino con-

fessò i suoi crimini e nonostante la valutazione psicologica lo indicasse come af- fetto da diverse patologie quali la pedofilia, la necrofilia, il sadismo, il feticismo ed il cannibalismo ma anche schizofrenia e la presenza di personalità multiple, Miyazaki venne ritenuto pienamente cosciente delle proprie azioni durante gli omi- cidi delle bambine: venne condannato a morte in più istanze ma fu impiccato so- lamente nel 2008, dopo diciannove anni di carcere. Il caso in questione e la figura

128 Ibid.

129 PATRICK W. GALBRAITH, THIAM HUAT KAM, BJÖRN-OLE KAMM, Debating

Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons, cit., citato da https://www.animeclick.it/news/49441-la-storia-di-tsutomu-miyazaki-lotaku-serial-killer-di- bambine

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di Miyazaki risulta importante da riportare nella sua interezza soprattutto per ren- derci conto di come gli avvenimenti siano susseguiti in maniera surreale e di quanto la mancanza di informazione, di approfonditi studi di stampo culturale e la forte presenza di pregiudizio e disinformazione possono condurre a risultati cata- strofici. Se già nel caso degli hikikomori abbiamo visto come una diversa conce- zione del mondo, delle passioni e dei rapporti interpersonali non vengono accettati dall’ideologia dominante e quindi demonizzati attraverso la scusante della patolo- gia, a breve vedremo come questa impostazione possa estremizzarsi a tal punto da far considerare l’interezza di quella comunità sottoculturale come formata com- pletamente da potenziali pluriomicidi. Le valutazioni psicologiche di Miyazaki si trovarono concordi nell’interpretare gli omicidi commessi come atti d’amore nei confronti delle vittime e che il paziente non riusciva a distinguere la realtà dalla fantasia e di conseguenza ogni azione che aveva compiuto, nella sua mente appa- riva come se fosse all’interno di un videogioco e le vittime personaggi di un manga:

“Where his family had failed to properly socialize Miyazaki, the media, it was suggested, had filled this gap, providing a source of virtual company and gros- sly inappropriate role models.62 While one headline exclaimed that, in the case of Miyazaki, "the little girls he killed were no more than char- acters from his comic book life," 63 psychoanalyst Okonogi Keigo worried that "the danger of a whole generation of youth who do not even experience the most primary two- or three-way relationship between themselves and their mother and father, and who cannot make the transition from a fantasy world of videos and manga to reality, is now extreme.”130

130 SHARON KINSELLA, Adult Manga: Culture and Power in Contemporary Japanese So-

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La copertura mediatica del caso non aiutò certamente la comunità, anzi, fu grazie al ruolo dei media che il termine “otaku” finora conosciuto solamente nell’ambiente, iniziò a diffondersi tra la popolazione assumendo un forte connotato negativo. Dopo l’arresto del serial killer la polizia fece irruzione nella sua camera dove furono ritrovate centinaia di videocassette prevalentemente contenenti anime del genere hentai, ossia pornografiche nonché manga ed anime di vario genere, come ci conferma anche Kinsella:

“Camera crew and reporters arriving at Miyazaki’s home discovered that this bedroom was crammed with a large collections of girl’s manga, rorikon manga, animation videos, a variety of soft pornographic manga, and a smaller collection of academic analyses of contemporary youth and girls culture.”131

Miyazaki fu definito “l’assassino otaku”132. In un clima condizionato da quei

fatti incresciosi e caratterizzato da un senso di cordoglio nazionale nonché da un vero e proprio terrore per mancanza effettiva di sicurezza, l’ansia sociale doveva essere sfogata attraverso una qualche valvola di sfogo che fu trovata disponibile e reticente alla reazione negli otaku. L’associazione di idee fu fulminea ma la goccia che fu traboccare il vaso avvenne durante il Comiket133 del 1989 quando il giorna-

lista Shôji Noriko134 della TBS135 (Tokyo Broadcasting System) indicando la folla

dei presenti affermò in diretta: “Guardate! Qui ci sono 100.000 Tsutomu

131 Ibid.

132 PATRICK W. GALBRAITH, THIAM HUAT KAM, BJÖRN-OLE KAMM, Debating

Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons, cit., citato da https://www.animeclick.it/news/49441-la-storia-di-tsutomu-miyazaki-lotaku-serial-killer-di- bambine

133 La più grande manifestazione dedicata ai fumetti al mondo. Approfondiremo in dettaglio nei capitoli seguenti.

134 PATRICK W. GALBRAITH, THIAM HUAT KAM, BJÖRN-OLE KAMM, Debating

Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons, cit., p. 59.

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Miyazaki.”. Da quel momento sono stati necessari almeno due decenni per ripri- stinare solo in parte l’immagine sociale degli otaku136. Quello che si è voluto di-

mostrare in questo breve capitolo che funge da premessa all’analisi delle proble- matiche che condizionano le successive risposte culturali che incontreremo, quelle del cosplay e dello yaoi è la necessità di affrontare l’argomento con la giusta pro- spettiva ma anche di ridimensionare e rimettere in discussione quanto affermato finora dagli studi in merito così da imbastire una metodologia di analisi che risulti sempre aggiornata e propositiva. Abbiamo osservato come il metodo di consumo otaku possa apparire puerile (soprattutto attraverso lo sguardo italiano, vedremo in seguito come questa condizione si sia determinata) così come i prodotti consumati ridicoli senza una giusta conoscenza dei meccanismi che li regolano: rimosso que- sto filtro cognitivo, il mondo otaku ci appare estremamente complesso, vuoi per differenze culturali o una disponibilità di fonti non ancora sufficiente, ma anche estremamente affascinante. Le vessazioni subite da questa sottocultura demoniz- zata dall’azione dei media, da logiche politiche e sociali basate sullo scontro tra tradizione e innovazione e da una coscienza collettiva dominata da un’ideologia di omologazione e standardizzazione, continuano ad esistere e ad etichettare indivi- dui estremamente remissivi che hanno scelto di evadere da una realtà che non si confà con il loro essere. Una volta accantonate le errate generalizzazioni che li indicano come disadattati patologici o come potenziali delinquenti possiamo ini- ziare a sondare la loro vera natura, le potenzialità e creatività della loro fantasia e l’originale concezione del mondo. La consapevolezza di un approccio simile forse ci permetterà di valutare questa manifestazione culturale in maniera equilibrata rimarcandone pregi e difetti senza quell’angoscia tipica che si prova dinnanzi al cambiamento e che spesso è matrice di allarmismi o interpretazioni fortemente

136 PATRICK W. GALBRAITH, THIAM HUAT KAM, BJÖRN-OLE KAMM, Debating

Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons, cit., citato da https://www.animeclick.it/news/49441-la-storia-di-tsutomu-miyazaki-lotaku-serial-killer-di- bambine

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pessimistiche: a queste posizioni risulterebbe opportuno porre il dilemma se obiet- tivamente sono gli otaku a costituire un problema sociale da risolvere oppure se sono i problemi della società a dover essere rivalutati, magari sotto l’ottica di una volontà di mantenimento dello status quo che non tollera altri ordini e concezioni della realtà.

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III

Il cosplay