• Non ci sono risultati.

Otaku: un'indagine sulle sottoculture giapponesi del cosplay e dello yaoi comparate con le loro controparti italiane.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Otaku: un'indagine sulle sottoculture giapponesi del cosplay e dello yaoi comparate con le loro controparti italiane."

Copied!
242
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STORIA E CIVILTÀ

Tesi di Laurea Magistrale

Otaku.

Un’indagine sulle sottoculture giapponesi del cosplay e

dello yaoi comparate con le loro controparti italiane.

Relatori: Candidato:

Fabio Dei Francesco Landi

Caterina Di Pasquale

(2)

Indice

Introduzione ... 1 I ... 4 Cultura e sottocultura ... 4 II ... 27 Divide et impera ... 27

1. Otaku: un termine controverso... 27

2. Sindrome culturale: il fenomeno hikikomori ... 36

3. Tsutomu Miyazaki e lo stereotipo degli otaku assassini... 54

III ... 62

Il cosplay ... 62

1. Il lato più luminoso della sottocultura otaku ... 62

2. Il cosplay in Giappone: definizione ed evoluzione ... 63

3. Le dinamiche sottoculturali del cosplay giapponese ... 74

4. Il cosplay in Italia: sviluppo e peculiarità ... 86

5. Indagine sul campo: le opinioni dei cosplayer italiani ... 101

IV ... 135

La sottocultura yaoi ... 135

1. Il lato trasgressivo della sottocultura otaku ... 135

2. Le fujoshi: la realtà giapponese ... 149

3. Le yaoiste: la realtà italiana ... 169

4. Il sondaggio on-line: le opinioni delle yaoiste italiane ... 178

Conclusione ... 229

Bibliografia ... 235

(3)

1

Introduzione

Il presente lavoro è stato ispirato dall’interesse di sondare alcune delle dinamiche più sorprendenti e controverse che dominano quell’affascinante universo sottocul-turale a cui si fa riferimento utilizzando la parola giapponese “otaku”. Il presuppo-sto che costituisce le fondamenta della curiosità rivolta verso le comunità prese in esame si realizza nel riconoscimento del grande potenziale attribuito alla passione come motore generativo di una serie di inattese risposte culturali che in questa sede sono state ritenute notevolmente degne di un’accurata analisi. Risulta però impos-sibile ignorare come fattore determinante anche il forte interesse personale verso la storia e la cultura giapponese nonché verso tutti quei prodotti caratteristici del consumo otaku: elementi che con la loro presenza hanno scandito le varie tappe della mia vita così come quelle della generazione a cui appartengo. Dagli anni Duemila il Giappone ha dato prova di aver compreso quanto potesse essere con-veniente lo sfruttamento e la diffusione del proprio capitale culturale, procedi-mento per altro già indirettamente in atto da circa un ventennio grazie al fandom internazionale, attraverso una precisa politica nominata “cool Japan”1 e definita come un “soft power” ossia la capacità di convincere ed attirare l’interesse inter-nazionale attraverso l’utilizzo di risorse intangibili, quali appunto i prodotti cultu-rali. Questa precisa intenzione politica si è fatta così determinante ed i suoi risul-tati, positivi o negativi che siano, così tangibili (un esempio immediato ed ecla-tante della volontà di incentivare pubblicamente il connubio tra politica e settore dell’intrattenimento può ritrovarsi nella figura del Primo Ministro giapponese Shizo Abe che ha aperto i giochi olimpici di Rio 2016 travestito da Super Mario2),

1 KAZUAKI NAGATA, Exporting culture via ‘Cool Japan’ METI promoting art, food, fashion

abroad to cash in on 'soft power', The Japan Times (15 maggio 2012) citato da https://www.ja-pantimes.co.jp/news/2012/05/15/reference/exporting-culture-via-cool-japan/#.WyPqixfpeUl 2 RICH MOTOKO, A Morning Surprise for Japan: Shinzo Abe as Super Mario, The New York Times, 22 agosto 2016, citato da https://www.nytimes.com/2016/08/23/world/asia/shinzo-abe-super-mario-tokyo-rio-olympics.html

(4)

2

da non poter essere ignorata, soprattutto in ambito accademico. Come fosse all’in-terno della famosa xilografia di Katsushika Hokusai3 anche il nostro paese è stato

colpito violentemente dalla grande ondata culturale giapponese e questo non cor-risponde solamente al dilagare dei prodotti orientali sul suolo italiano ma anche a tutta una serie di eventi collaterali che con il passare del tempo sono cresciuti e si sono consolidati: uno degli esempi più diretti può essere la ricca presenza di attività correlate alla realtà giapponese che la convention Lucca Comics & Games offre ogni anno. Nell’edizione del 2017 ho partecipato proprio ad una di queste occa-sioni: una conferenza sul tema della “Pop Culture”, organizzata dall’associazione Ochacaffé in collaborazione con l’Ambasciata giapponese in Italia e l’Istituto di cultura giapponese di Roma svoltasi il 4 novembre, a cui hanno partecipato ospiti molto conosciuti nell’ambiente: lo stilista di cosplayer Goldy, la cantante j-pop e youtuber Eriko e Takarabune, un gruppo di danzatori “awa odori” di Takashima. La brevità della conferenza ha permesso al relatore Silvio Franceschinelli di porre agli ospiti solo tre domande ma le risposte ottenute ci aiutano a confermare quella volontà di propagandare e diffonde la cultura giapponese: le domande sono state indirizzate principalmente sul rapporto tra tradizione e modernità nei loro campi di specializzazione, se essi fossero favorevoli o contrari alla diffusione della loro cultura nel mondo e quale fosse il loro elemento “pop” preferito. Tutti gli ospiti si sono espressi con entusiasmo a favore di un’esportazione del capitale culturale giapponese e non solo: il delegato dei Takarabune in primis ha ammesso di aver modernizzato la tradizionale danza nipponica attraverso un’ottica che potesse ri-specchiare l’immagine stereotipata che gli occidentali hanno del Giappone per fa-vorire una più immediata diffusione. L’immagine emersa dalla conferenza è quella di un Giappone pronto a giungere a compromessi con la propria tradizione consi-derata quasi come un vincolo da superare per permettere una contaminazione cul-turale che possa dar vita a nuovi modi e nuove forme espressive. Anche il

3 Kanagawa oki nami ura, “La grande onda di Kanagawa”, xilografia in stile ukiyo-e pubblicata per la prima volta tra il 1830 ed il 1831, durante il periodo Edo.

(5)

3

verso tema dell’impadronimento culturale è stato semplicemente accantonato a fa-vore delle potenzialità che l’incontro culturale può apportare nell’arte così come nell’intrattenimento e nei rapporti umani a patto, come specificato da Eriko, di una conoscenza della cultura necessaria ad evitare interpretazioni erronee. L’imposta-zione affine attraverso la quale questi ‘ambasciatori’ hanno presentato il punto di vista giapponese può essere fittizia e contestuale o modellata all’ambiente ed al pubblico che sapevano di avere dinnanzi, comunque risulta indubbio che quel soft

power sia una realtà influente e consolidata così da meritare un interesse mirato,

soprattutto quando concorre a determinare la formazione di intere comunità. Gra-zie agli indispensabili e versatili strumenti forniti dall’Antropologia e dalla Storia è stato possibile servirsi di quell’approccio relativo ai “Cultural studies” che non solo ha permesso di strutturare la trattazione di questa tesi in maniera graduale e specifica, ma allo stesso tempo ha consentito di instaurare un legame con altri am-biti disciplinari grazie ai quali riuscire ad ottenere un livello di comprensione più concreto dei fenomeni analizzati. Sotto quest’ottica è stato utilizzato un connubio tra materiale bibliografico a stampa, pubblicazioni universitarie, tesi di laurea e testate giornalistiche on-line, ma anche alcuni siti internet e social network stretta-mente collegati con le comunità trattate. L’impossibilità di accedere direttastretta-mente alle fonti di matrice giapponese per un’attuale mancata conoscenza della lingua è stata in parte aggirata attraverso la scelta di traduzioni italiane ed inglesi con la consapevolezza dell’esistenza di un limite di fondo e la volontà di colmarlo in un futuro prossimo.

(6)

4

I

Cultura e sottocultura

Per delineare e presentare un oggetto di studio risulta sempre ottimale riuscire ad utilizzare una terminologia che possa appagare il campo di studi sul quale ci stiamo basando attraverso un grado di coerenza ideale, nonché fornire una facile e diretta correlazione del termine con il significato, in modo da evitare erronee interpreta-zioni. Un’impasse in questo senso può presentarsi nel momento in cui entra in gioco la questione stilistica: focalizzare il significato e compiacere il proprio gusto può risultare arduo ma altrettanto importante quando ci troviamo a veicolare le nostre considerazioni. L’oggetto di studio che verrà analizzato in questa sede sarà indicato con il termine ‘sottocultura’, traduzione italiana del molto più diffuso

sub-culture di derivazione anglosassone. Bisogna definire fin da subito, per evitare di

incasellare il fenomeno in un’ipotetica e forviante scala di valori, che l’apparente posizione di subalternità che il prefisso ‘sotto’ conferisce al nome dovrà essere concepita come strutturale alla complessità culturale, senza nessuna connotazione dispregiativa o di inferiorità dato che, come vedremo, questa tipologia di manife-stazioni si realizzeranno con grande forza all’interno del tessuto culturale rappre-sentandone, a loro volta, caratteristiche e contraddizioni. Specificare questo, può chiarire anche la posizione su cui l’analisi trae le proprie linee d’azione: l’interesse in ambito universitario a queste particolari componenti culturali può essere consi-derato come uno dei tanti prodotti di un processo di ‘de-differenziazione’ caratte-ristico della post-modernità4. La permeabilità dei confini della ricerca accademica, da essa generata, può provocare in alcuni, una sorta di scetticismo verso argomenti considerati estranei o ‘bassi’, inerenti principalmente a quella sfera di studi a cui si associa l’appellativo ‘pop’. Indispensabile quindi, ancor prima di argomentare

(7)

5

su che cosa sia una sottocultura o quali siano le sue caratteristiche e funzioni, cer-care di attuare uno sforzo cognitivo e ricordare quali siano i principali obiettivi del nostro progetto. Apportare, anche minimamente, un certo determinato contributo alla ricerca per sviluppare la comprensione e l’approfondimento di un dato sog-getto dovrebbe guidare, in primis, la nostra azione e l’arbitrarietà nella scelta di escluderne a priori alcune componenti dovrebbe essere condizionata da limiti non correlati a prese di posizione. Conoscere e comprendere i dinamismi sottoculturali può aiutarci ad avere una visione più dettagliata e strutturata della cultura in cui nascono ed agiscono: considerarli ‘bassi’ e non degni di una adeguata attenzione dovrebbe metterci di fronte alla consapevolezza di essersi autoimposti un limite non indifferente. Altra fonte di perplessità può nascere se cerchiamo di incasellare la nostra attività in una sorta di esclusività: affrontando lo studio di una sottocultura si sente continuamente la necessità di spaziare su più campi di studio. Anche pre-diligendo un approccio prettamente antropologico, inevitabilmente dovremo avva-lerci di nozioni e riflessioni derivate, solo per citarne alcune, dalla storiografia, dalla psicologia e dalle scienze sociali in genere. Questo metodo di analisi multi-disciplinare infatti, spinge l’antropologia ad avvicinarsi a quel filone di studi de-nominato Cultural studies5, sviluppatosi nel mondo anglosassone negli anni

Ses-santa che, come afferma Pellitteri:

“[...] analizza specifiche comunità (di giovani ma non solo) e i loro codici d’espressione, legati alle strategie di ricezione, rielaborazione e consumo di forme culturali e d’intrattenimento, dalla musica alla moda, dalla narrativa ai fumetti, secondo declinazioni in molti casi in stretta connessione con l’espres-sività personale e con l’affermazione di una propria identità politica, di ge-nere, di classe, generazionale.”6

5 Ivi, p. 143.

6 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, Milano, Jaca Book, 2010 (trad. it. a cura di Lidia Ori-glia), p. 14.

(8)

6

Visti attraverso quest’ottica, i Cultural studies presentano un approccio real-mente mirato verso la comprensione dei fenomeni sottoculturali e la commistione con la ricerca antropologica può significativamente fare la differenza. La sinergia che si sviluppa nel carattere multidisciplinare di questo tipo di studi permette non solo di colmare lacune procedurali ma anche di ottenere una certa e necessaria libertà d’azione. Le sottoculture infatti, come un prisma, riflettono molteplici gra-dazioni di colore traendo la luce dalla cultura nella quale si sviluppano ed agiscono: solo grazie ad un’attenta osservazione, da diverse prospettive, possiamo catalo-garne le sfumature e capirne i processi generativi e funzionali. Data la forte dipen-denza che le sottoculture esprimono nei confronti del contesto culturale a cui ap-partengono, risulta necessario fare un po’ di chiarezza su che cosa si intende quando parliamo di ‘cultura’. Possiamo partire dalla definizione di Dei:

“[...] gli antropologi intendono per cultura non solo gli ‘alti’ prodotti dell’in-telletto, come arte, letteratura o scienza, ma l’insieme di tutte quelle pratiche, usi, consuetudini e conoscenze, per quanto banali e quotidiane, che una co-munità umana possiede e attraverso le quali si adatta all’ambiente e regola le proprie relazioni sociali.”7

Questa nozione, figlia di un lungo processo di riflessione, viene fatta risalire alla seconda metà dell’Ottocento ed è considerata come un concetto scientifico prodotto nel momento in cui l’antropologia culturale divenne una disciplina auto-noma8. Fin da subito si comprende come sia importante per gli antropologi analiz-zare la cultura nella sua totalità dato che, per quanto possano essere considerati banali o scontati, ogni tratto culturale è indice dei meccanismi che regolano l’adat-tamento dell’individuo al contesto in cui si trova ad interagire ma non solo,

7 DEI, Antropologia culturale, cit., p. 32. 8 Ibid.

(9)

7

niscono anche la complessità delle relazioni interpersonali e costruiscono il ‘tes-suto’ sul quale vengono ricamate queste relazioni sociali. Il tessuto appare visibile ogni qual volta andiamo a considerare le esperienze di vita sociale e materiale di un gruppo: su di esse si realizzano forme espressive che caratterizzano i diversi stili di vita e la cultura ne rappresenta proprio le varie modalità di sviluppo9. Gli stili di vita propri di un gruppo sociale quindi, assumono la funzione di uno ‘spec-chio culturale’ che riflette agli occhi di chi voglia sondarne i meccanismi, le sue infinite potenzialità espressive:

“The ‘culture’ of a group or class is the peculiar and distinctive ‘way of life’ of the group of class, the meanings, values and ideas embodied in institutions, in social relations, in system of beliefs, in more and customs, in the uses of objects ad material life.”10

Gli stili di vita così descritti appaiono come lo strumento con cui la cultura vuole presentarsi al mondo, come una forma distintiva con cui la vita materiale e sociale esprime sé stessa. L’interiorizzazione di questa forma è un meccanismo culturale decisivo: nascendo all’interno di uno schema di istituzioni, relazioni e peculiari mappe di significati, l’individuo acquisisce le competenze per decifrare il codice culturale ed ottenere un certo determinato posto all’interno della società. L’interiorizzazione culturale però non avviene attraverso un semplice processo di

imprinting: gli schemi o le mappe di significati vengono ‘oggettivati’ ed è questo

meccanismo che sancisce l’integrazione11. Il processo di oggettivazione, in sintesi,

conferisce alla cultura la possibilità di essere concepita in uno spazio che si trova oltre l’uomo che l’ha generata, divenendo così un dato esterno, oggettivo. I gruppi

9 STUART HALL e TONY JEFFERSON, Resistance Through Rituals:Youth Subcultures in

Post-war Britain, Oxford, Routledge, 2006 (ed. orig. 1975), p. 4.

10Ibid.

(10)

8

che particolarizzano una cultura costituiscono una sorta di ‘serbatoio’, un conteni-tore di possibilità: queste vengono da loro scelte, rielaborate e trasformate per esprimere la propria identità. La cultura trasmessa in seguito al relativo processo di manipolazione però è strettamente vincolata al campo di possibilità offerto dalla cultura stessa ed è in base a questa costatazione che risulta necessario investigare sul diverso grado di capacità con cui i vari gruppi riescono nell’impresa. All’in-terno del contesto culturale, essi infatti, non godono tutti dello stesso grado: la loro posizione viene classificata in maniera iniqua in base al grado di influenza confe-rito, ad esempio, dalla loro ricchezza o dal loro potere e tale situazione, li porta inevitabilmente in una situazione di contrapposizione generando una scala chica che ne esprime subordinazione o dominazione. Nonostante il rapporto gerar-chico nel quale si trovano a realizzarsi, i gruppi in posizione subordinata riescono ugualmente ad esprimere e trasmettere cultura ma questa sarà influenzata dalle strutture e dai significati espressi dal gruppo dominante in una sorta di ordine so-cio-culturale dominante12. Secondo la linea di pensiero della Scuola di Francoforte,

l’influsso della cultura dominante sulle classi subalterne è caratteristica dell’evo-luzione delle linee d’azione del capitalismo:

“Mentre nelle sue prime fasi il capitalismo esercita il potere attraverso strut-ture coercitive esterne, nella fase più tarda del consumo di massa lo esercita influenzando e plasmando direttamente le coscienze degli individui. Ciò av-viene per mezzo di strumenti ideologici in grado di penetrare con ampiezza e profondità grazie agli sviluppi delle tecnologie comunicative e alla stessa espansione del mercato.”13

Sia i gruppi dominanti che quelli subordinati quindi, esprimono le loro po-tenzialità di trasmissione culturale ma quando si instaura un ordine socio-culturale

12 Ivi, p. 5.

(11)

9

dominante, sarà la struttura di significati del gruppo egemone a definire le modalità di manifestazione dei restanti gruppi in posizione subordinata. L’accesso privile-giato che la cultura dominante possiede, nei confronti dei mass media, che rappre-sentano i mezzi principali con cui vengono fatte circolare le idee all’interno della società, permette poi la rapida diffusione proprio di quell’ideologia che rispecchia i valori ed i significati del gruppo egemone14. Un gruppo diviene egemone quando

riesce ad esercitare un’autorità sociale totale: non solo quindi attraverso la sua fun-zione di imposifun-zione di una ideologia dominante ma soprattutto quando questa riesce a radicarsi all’interno del senso comune, finendo per venire accettata come legittima e naturale15. Per penetrare nel senso comune l’ideologia dominante

im-prime, negli oggetti o nei fatti, un carattere ‘mitologico’ che, come afferma anche Barthes, si esprime con “[...] un ordine di significazione ulteriore, che rimanda a dimensioni metastoriche e ha in definitiva l’effetto di naturalizzare l’ordine sociale e culturale [...]”16. Attraverso il mito, si attua quindi un processo destoricizzante

che ha come risultato una concezione eterna ed immutabile di significati che in realtà sono prettamente storici: in questo modo vengono integrarli nel senso co-mune e veicolati nella sfera del tempo libero e del consumo culturale che si rive-lano essere un canale privilegiato di ricezione17. In sintesi, l’ideologia si realizza

al di sotto della coscienza degli individui e trova terreno fertile nel normale senso comune dove può radicare indisturbata ed irriconoscibile. Il senso comune invece, risulta spontaneo, naturale e trasparente: si accetta con naturalezza, si dà per scon-tato e non si pongono domande sulle sue fondamenta, oltretutto possiede anche la non indifferente caratteristica di essere resistente ai cambiamenti ed alle corre-zioni18. Un utile approccio per la comprensione dei meccanismi culturali relativi

14 DICK HEBDIGE, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, Ancona – Milano, Costa & Nolan, 2000 (trad. it. a cura di Pierluigi Tazzi, ed. orig. 1979), pp. 16-17.

15 Ibid.

16 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 133. 17 Ibid.

(12)

10

all’imposizione ed al radicamento dell’ideologia dominante può essere quello se-miotico che sviluppa l’idea secondo la quale, i vari aspetti della cultura possano essere interpretati attraverso un sistema di segni:

“Le arti, la cultura materiale, le performance sociali, e ogni altro fenomeno culturale, possono essere trattati come linguaggi di cui devono essere decifrati i significati, sia quelli esplicitamente codificati da emittente a ricevente, sia quelli impliciti, che non si manifestano cioè a un’analisi puramente denota-tiva.”19

La ricerca dei significati nascosti ed il necessario tentativo di decifrazione del linguaggio culturale si basa sulla constatazione che, da un punto di vista se-miotico, i fenomeni di una cultura maggiormente dati per scontati attraverso il senso comune, possano assumere la funzione di ‘segni’, ovvero elementi di un si-stema di comunicazione governati da regole e codici che non sono stati appresi a livello conscio. I segni, riflettendo l’ideologia, divengono lo strumento privilegiato per valutarne l’influenza ed i meccanismi: è attraverso di essi che possiamo risalire all’ideologia dominante20. All’interno dell’ordine culturale dominante però, i

gruppi non restano inermi: cercano di lottare contro di esso, di resistere, negoziare e modificare le strutture di significati21. Quella per l’affermazione della propria

identità non è una lotta perenne, anche per lunghi periodi, i gruppi possono nego-ziare gli spazi dove potersi realizzare ed è proprio in questi spazi che si realizzano le sottoculture: essi, possono essere fisici come strade, parchi, case o pubs, oppure sociali, come le reti di relazione tra parenti ed amici, colleghi di lavoro o vicini di

19 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 132. 20 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 16.

(13)

11

casa. In questi spazi si raggiunge un controllo sociale informale caratterizzato dalla riappropriazione e dalla ridefinizione del senso del gruppo22.

Giunti a questo punto, possiamo quindi dare una definizione a quelle straor-dinarie realizzazioni culturali che, come abbiamo visto, cercano di imporre la pro-pria presenza al mondo in un ambiente per loro ostile. Le sottoculture così possono essere definite come:

“[...] quegli insiemi di mode, stili estetici ed esistenziali, linguaggi che si sono diffusi nella seconda metà del Novecento tra segmenti della popolazione gio-vanile. Stili dalle forti implicazioni identitarie e distintive, basati soprattutto su peculiari scelte di consumo: modi di vestire e di presentare pubblicamente il corpo, passione per un genere musicale, uso di slang e linguaggi gergali, particolari attività rituali.”23

Le sottoculture non si manifestano per risolvere i problemi generati dalla cul-tura dominante. La loro forza consiste proprio nel veicolare questi problemi, man-canze e discrepanze ma l’azione non è diretta: tutto avviene in maniera simbolica ed immaginaria attraverso rituali, modi di comportamento o stile nel vestire24. Le

sottoculture aprono degli squarci nel tessuto culturale impregnato dell’ideologia dominante, traggono forza proprio dall’ostilità del contesto in cui nascono e la uti-lizzano per porre le basi della loro diversità. Per immaginare lo sviluppo sottocul-turale potrebbe essere utile considerare la sottocultura come una pianta, ad esempio la ‘Titanca’: questa particolare forma di vita vegetale, nasce ad alta quota, sulle Ande, in condizioni ambientali estreme ed ostili. Nonostante questo, riesce a su-perare i dieci metri d’altezza e raggiungere una vita media che varia tra gli ottanta

22 Ivi, p. 33.

23 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., pp. 145-146.

(14)

12

ed i centocinquanta anni. Anche se il suo ciclo vitale risulta ampio, la Titanca fio-risce una sola volta, in maniera spettacolare e subito dopo muore. Come la Titanca, la sottocultura trae la sua fonte di sostentamento da un ambiente rigido ed ostile, dominato dalla cultura egemone che impone in maniera subdola la propria ideolo-gia, nonostante questo è in grado di crescere, dotarsi di forza e visibilità ed attra-verso lo stile mostrarsi, per un tempo limitato, in maniera davvero spettacolare. Come abbiamo visto, il senso comune è un elemento determinante che rappresenta una sorta di prontuario a cui attingere per valutare la realtà culturale che ci circonda ma si deve anche precisare che questo sistema di valutazione può influenzare le decisioni del singolo o del gruppo ma non determinarle completamente, la fun-zione di negoziafun-zione è sempre possibile:

“Anche quando le percezioni e le azioni umane sono legate a condizioni so-ciali, culturali, gerarchiche, biologiche o antropologiche, c’è sempre spazio per l’interpretazione e la negoziazione.”25

L’interpretazione e la negoziazione quindi, sono azioni sociali che non pos-sono essere esaminate solo come il prodotto dell’influenza del senso comune dato che:

“Le mentalità non spiegano perché qualcuno ha fatto qualcosa, a maggior ra-gione quando soggetti con la stessa forma mentis giungono a conclusioni e decisioni diametralmente opposte.”26

25 SÖNKE NEITZEL e HARALD WELZER, Soldaten, Garzanti, 2012 (trad. it. a cura di S. Sul-lam), p. 17.

(15)

13

Come possiamo quindi comprendere queste forme di interpretazione e nego-ziazione? Secondo Welzer, per orientarsi in questo senso è necessario riconoscere una matrice di indicazioni interpretative, uno strumento che possa conferire un ne-cessario ordine ed un certo grado di organizzazione: la ‘cornice di riferimento’. Influenzate sia dal contesto storico che dall’ambito culturale in cui si realizzano, le cornici di riferimento ci permettono di ricostruire “[…] entro quali modelli in-terpretativi gli individui hanno percepito concetti e relazioni, e come hanno inter-pretato le loro relazioni.”27. Welzer suddivide le cornici di riferimento in quattro

tipologie, caratterizzate da una visione sempre più mirata e concreta del soggetto di analisi. Il primo tipo rappresenta lo sfondo socio-storico nel quale gli individui agiscono; le cornici di riferimento che vi si trovano sono quelle relative all’azione del senso comune, attraverso la definizione di cosa deve essere considerato ovvio: i concetti di bene e male, giusto o sbagliato, vero o falso. Il secondo tipo invece, rappresenta una visione maggiormente concretezza: vi si trovano le cornici riferite ad uno spazio socio-storico ben delineato che può corrispondere, nel nostro caso, alla durata di un determinato fenomeno sottoculturale. Il terzo tipo invece ha un grado di specificità maggiore: una specifica circostanza socio-storica che può es-sere, un momento importante o eclatante di manifestazione sottoculturale. Il quarto ed ultimo tipo, racchiude quelle cornici che si riferiscono a “[...] particolari carat-teristiche, modalità di percezione, modelli interpretativi, concezioni del dovere: a ciò che ogni persona porta con sé in una determinata situazione.”28. Quella di

Wel-zer è una metodologia di indubbia utilità, dato che permette la realizzazione di un modello di studio strutturato e ben delineato che si avvale di un graduale cambia-mento del focus inerente al fenomeno culturale analizzato: un po’ come se fosse l’obiettivo di una macchina fotografica che inquadrando il soggetto, salta di stop in stop alla ricerca della maggiore nitidezza e del giusto dosaggio di luce. Proprio su questo punto però, va precisato che una volta sviluppata, la fotografia potrebbe

27 Ivi, p. 18.

(16)

14

presentare dei ‘bianchi bruciati’ causati da una sovraesposizione, similmente que-sto può avvenire, per stessa ammissione di Welzer, con l’utilizzo delle cornici di riferimento dato che possono generare “[…] interpretazioni radicalmente diverse tra loro, a seconda delle conoscenze relative al contesto in cui ci si trova e al punto di osservazione.”29. Per inoltrarci con più specificità nei meccanismi e nelle

carat-teristiche che rendono così peculiari le sottoculture risulta necessario contestualiz-zare il fenomeno partendo dalla constatazione che esistono dei confini e dei limiti che influenzano l’azione e la durata della manifestazione sottoculturale. Come af-ferma anche Dei:

“[…] la storia delle mode e delle culture giovanili nel secondo Dopoguerra può essere letta in questa chiave, come un costante gioco di mosse anticon-formiste che vengono di volta in volta riassorbite nell’ambito della norma-lità.”30

Le sottoculture possono essere stabili oppure temporanee: possono comparire in un dato momento storico, essere identificate ed etichettate così da rimanere un elemento stabile all’interno della cultura dominante oppure, possono attirare l’at-tenzione dei media e del pubblico solo per un dato periodo di tempo, per poi scom-parire o ancora, possono integrarsi ad un livello tale da disperdere i loro tratti di-stintivi31. Qualunque sia la causa scatenante del fenomeno sottoculturale infatti, con il passare del tempo, la tensione da esso generata finisce per affievolirsi attra-verso un processo di propagazione: quando la sottocultura inizia ad assumere tratti vendibili e quando la sua immagine sociale diviene sempre più familiare, anch’essa

29 SÖNKE NEITZEL e HARALD WELZER, Soldaten, cit., p. 21. 30 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 140.

(17)

15

può venire incasellata in un quadro di riferimento ben riconoscibile. Anche in que-sto caso, i media riveque-stono un ruolo centrale: oltre a registrare la resistenza del gruppo, sanciscono la sua posizione all’interno del sistema dominante dei signifi-cati. Si instaura così un lento e continuo processo di reintegro in cui i media ces-sano di demonizzare i componenti della sottocultura ed iniziano a presentarli av-valendosi di una sorta di giustificazione dei loro comportamenti e del loro modo di essere. Questo atteggiamento, ricuce gli strappi nelle quali le sottoculture ave-vano trovato il loro terreno di nascita così da reintegrarle nel senso ideologico co-mune. Se il processo ha successo, della sottocultura non rimane altro che la sua caratteristica estetica: uno spettacolo divertente all’interno dell’ideologia domi-nante. Il reintegro o recupero, si sviluppa quindi attraverso due forme caratteristi-che: da un lato, i segni sottoculturali vengono trasformati in oggetti di produzione di massa, dall’altro, il comportamento considerato come deviante subisce un pro-cedimento di ‘etichettatura’ in modo da essere socialmente ridefinito32. I capi

d’ab-bigliamento, il tipo di musica e tutto ciò che rappresenta lo stile di una sottocultura può essere trasformato in merce, divenire il motore di una fiorente attività com-merciale: con la creazione di mode e trends, la sottocultura può assumere il ruolo di target di tutta una serie di prodotti commerciali mirati. Quando questo succede, l’identificazione sociale mira al reintegro, abbandonando la precedente fase in cui veniva utilizzata per la creazione di stereotipi con la funzione di isolare i gruppi considerati anti-sociali33. Risulta evidente quindi, come lo stile rappresenti non

solo uno degli elementi centrali con cui una sottocultura rappresenta sé stessa ma anche un meccanismo di interazione con l’ordine culturale dominante che può su-scitare molteplici esiti. Lo stile adottato da una sottocultura ha intenti molto diversi rispetto a quello considerato ‘convenzionale’: quest’ultimo infatti, viene influen-zato da una varietà di fattori come la disponibilità economica o il gusto personale, ma alla sua base si ritrovano le regole dettate dall’ideologia sociale dominante che prescrive ruoli e scelte lecite. È per questo che il modo di vestire, immediata e

32 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 102.

(18)

16

massima espressione di uno stile, veicola una pluralità di messaggi come la classe a cui si appartiene, la condizione sociale, l’immagine di sé che si vuole trasmettere o la capacità d’attrazione, tutti elementi questi che si sviluppano in rapporto con il senso comune. Lo stile sottoculturale invece è intenzionale, serve per attirare l’at-tenzione e permettere una comunicazione volontaria e ben ponderata: i codici sot-toculturali sono messi in mostra direttamente per essere usati ed abusati. Di contro, la cultura dominante si avvale di ogni mezzo per nascondere i propri codici, per normalizzarli, in modo da creare un’immagine del mondo che possa apparire come regolata da leggi naturali che ne sanciscano l’ingresso nella sfera del senso co-mune34. Possiamo quindi affermare che lo stile viene utilizzato da una sottocultura

come una forma simbolica di resistenza35. L’influsso dell’ideologia dominante

sullo stile considerato come convenzionale pone grande enfasi sulla definizione di ruoli prestabiliti ed è per questo che nel momento della manifestazione sottocultu-rale si creano variegati sentimenti contrastanti. Mettere in discussione i ruoli pre-stabiliti significa mettere in discussione le fondamenta della cultura dominante dato che, come afferma Welzer, i ruoli:

“[...] si collocano su un piano intermedio tra vincoli culturali ed obblighi da un lato, e interpretazioni e azioni individuali o tipiche di determinati gruppi dall’altro.”36

Questi ruoli sono secolari, influenzano le scelte e la condotta, sono dati per scontati perché fortemente integrati nel senso comune e determinati in base alle

34 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 114. 35 Ivi, p. 87.

(19)

17

categorie relative al genere, all’età, all’origine oppure al tipo di educazione rice-vuta37. Comprendere la funzione dei ruoli ci permette di apprezzare la forza

sov-versiva dell’attività culturale in quanto l’azione dell’ideologia dominante assegna queste posizioni in maniera implicita attraverso la cultura stessa: utilizzandola come un condotto, indirizza set di richieste prestabilite. Quando i ruoli divengono espliciti invece, il nuovo set di richieste deve essere appreso attraverso un atto vo-lontario: il cambiamento radicale di un ruolo è una fase molto delicata e potenzial-mente sovversiva, per questo viene anch’esso regolato e tenuto sotto controllo at-traverso uno strumento privilegiato: le istituzioni. Per comprenderne il meccani-smo, si pensi alla funzione delle istituzioni totali come il carcere, la caserma o il monastero: in questi casi è l’istituzione che assume il potere totale sulla persona attraverso il controllo minuzioso della propria identità. Come afferma Welzer:

“Le istituzioni totali stabiliscono una determinata forma di comunitariarizza-zione, nella quale le regole e le coercizioni del gruppo influiscono sul singolo molto più che in condizioni normali, semplicemente per il fatto che il gruppo a cui si appartiene non è stato scelto, ma è comunque l’unico punto di riferi-mento: a quel gruppo si appartiene perché vi si è stati assegnati.”38

In sintesi, la cornice di riferimento delle istituzioni totali è la privazione di ogni possibile alternativa. Il set di richieste che ogni ruolo esige è fortemente di-pendente dai modelli interpretativi che attingono il loro terreno fertile dal senso comune ed influenzano la percezione delle situazioni concrete; la loro realizza-zione però può presentarsi come un’arma a doppio taglio. Se da un lato, come abbiamo detto, ogni modello interpretativo esclude qualsiasi interpretazione alter-nativa, nel momento in cui ci troviamo ad affrontare situazioni nuove, possono

37 Ibid.

(20)

18

risultare come un impedimento: l’esperienza maturata fino a quel momento non ci sarà di nessuna utilità, dall’altro, in contesti abituali, questi modelli risulteranno invece indispensabili per un’economia cognitiva, eviteranno cioè il ricorso a con-siderazioni complesse fornendo il codice comportamentale adeguato per ogni si-tuazione39. Come abbiamo visto, le sottoculture rappresentano una sfida simbolica ad un ordine prestabilito e quando emergono si può facilmente assistere ad ondate di isterismo prevalentemente fomentate dai media che in breve tempo trasformano i sentimenti di offesa, timore e scandalo in fascinazione e divertimento: lo stile rappresenta il primo elemento di attrazione per i media ed è proprio questo, ini-zialmente, ad essere denunciato e ridicolizzato per poi divenire la fonte primaria della loro celebrazione; la scoperta degli elementi considerati come devianti giunge solo in un secondo momento40. Questa routine però non rispetta delle

tem-pistiche prestabilite ma è influenzata dal contesto storico e sociale. Possiamo ac-corgerci di questa discrepanza osservando il comportamento dei media e dell’opi-nione pubblica in periodi caratterizzati da eventi negativi o in tempi considerati ‘difficili’ dove si sviluppa una condivisa ansia sociale: le sottoculture possono di-venire delle facili prede, dei disponibili capri espiatori su cui sfogare tutta l’insi-curezza sociale. È l’origine di quello che viene definito da Hall e Jefferson come ‘panico morale’:

“When social anxiety is wide-spread but fails to find an organised public or political expression, give rise the displacement of social anxiety on to con-venient scapegoat groups. This is the origin if the ‘moral panic’ – a spiral in which the social groups who perceive their world and position as threatened, identify a ‘responsible enemy’, and emerge as the vociferous guardians of traditional values: moral entrepreneurs.”41

39 SÖNKE NEITZEL e HARALD WELZER, Soldaten, cit., p. 28. 40 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 101.

(21)

19

La minaccia dello status quo, di cui i garanti delle moralità si fanno portavoce in momenti di insicurezza sociale, viene quindi generata dalla capacità delle sotto-culture di esprimere contenuti proibiti in forme proibite: la propria autocoscienza di diversità viene presentata al resto della società attraverso strumenti di accesso semplice ed immediato, come la trasgressione dei codici relativi alla moda, del comportamento e di conseguenza, della morale condivisa. È proprio grazie alla loro caratteristica di rompere le regole che le articolazioni interne alle sottoculture vengono spesso erroneamente interpretate come un contesto privo di regole: in sintesi, vengono canonizzate come manifestazioni profane ed innaturali con lo scopo di sovvertire l’ordine esistente quando invece risultano essere proprio l’op-posto: è questa mancanza di comprensione che rappresenta la minaccia più signi-ficativa per una sottocultura42. L’analisi del fenomeno sottoculturale ci porta anche

al riconoscimento del legame intrinseco che si instaura tra una sottocultura e gli altri gruppi con cui coesiste: non è possibile concepire una sottocultura come un agglomerato di caratteristiche isolate e dai bordi sterili: i membri di sottoculture diverse si trovano normalmente a frequentare ambienti condivisi, come il luogo di lavoro o la scuola e quindi risulta impossibile non concepirne un certo grado di influenza. Ma le sottoculture cercano comunque di salvaguardare la propria diver-sità e l’ambiente in cui possono farlo, come abbiamo già accennato in precedenza, è il tempo libero: un’altra funzione dello stile sottoculturale è proprio quella di tracciare delle linee di confine in reazione all’influsso degli altri gruppi, come af-ferma anche Bordieu:

“[…] le scelte estetiche esplicite si costituiscono spesso per contrapposizione alle scelte dei gruppi più vicini nello spazio sociale […]”43

42 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 100.

(22)

20

Per ufficializzare il loro appartenere ad una determinata sottocultura quindi, i suoi membri utilizzano un particolare stile che ne permette una facile ed imme-diata associazione nonché una salvaguardia verso ogni possibile fraintendimento nei confronti degli altri gruppi. Questo stile trova la sua forma d’essere in una rie-laborazione dei beni materiali che vanno così ad assumere una forma inedita e carica di connotati sottoculturali44. La riappropriazione simbolica degli oggetti è

una delle caratteristiche essenziali di una sottocultura in quanto è proprio grazie al cambiamento del significato che viene fatto saltare il ridondante circolo di produ-zione e riproduprodu-zione dell’ideologia dominante del gruppo egemone nel senso co-mune. È attraverso la capacità di imporre nuovi significati agli oggetti che il con-senso, base dell’accettazione dell’ideologia dominante come naturale e legittima, viene meno e di conseguenza rotto, rifiutato o annullato45. Secondo Adorno e gli

esponenti della scuola di Francoforte la cultura di massa implica modalità di pro-duzione meccaniche e seriali che realizzano solo l’illusorietà di una grande varietà di oggetti disponibili: in realtà, si tratterebbe solamente della riproduzione di mo-delli identici che, utilizzando la contestualizzazione nelle attività di svago o nel tempo libero come metodo di camuffamento, riproducono lo stesso ordine ideolo-gico su cui si fonda sia l’ordine economico che quello del lavoro46. Questa teoria

descrive chiaramente il ramificato tentativo da parte dell’ideologia dominante di rispecchiarsi all’interno degli oggetti e quanto abbia saputo sfruttare il consumo di massa come canale di diffusione, ma al tempo stesso ci permette di indirizzare la nostra attenzione su alcune dinamiche relative alla rielaborazione dei significati tipica dell’azione sottoculturale. Innanzitutto, si può affermare che lo spazio privi-legiato di realizzazione delle pratiche sottoculturali può essere identificato nel con-sumo, come afferma anche Dei:

44 Ivi, p. 35.

45 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., p. 18. 46 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 130.

(23)

21

“I gruppi subalterni accedono alla cultura all’interno di condizioni dettate dalle classi dominanti: questo non significa però che ne siano passivamente e integralmente determinati. Vi sono spazi di autonomia e di ‘resistenza’ che si aprono quando i contenuti o le forme egemoniche trascorrono nell’ambito del subalterno. Più che in pratiche di produzione esplicitamente alternative, que-sti spazi si aprono nel momento del consumo.”47

Il punto focale risiede proprio nella consapevolezza che anche nel momento del consumo gli individui non attuano un atteggiamento integralmente passivo. L’azione plasmante dell’ideologia dominante, che per i francofortesi renderebbe gli individui passivi ed inermi, viene invece contrastata proprio dall’esistenza delle sottoculture e dalla loro funzione di rielaborazione dei significati48. I prodotti

con-sumati subiscono così un processo di decodifica diverso da quello al quale l’indu-stria li aveva codificati e lo spazio che si crea tra la relativa codifica e decodifica rappresenta un altro luogo in cui viene confermata la frattura tra piano egemonico e piano subalterno49. Risulta quindi prevedibile che le sottoculture difficilmente potrebbero esistere senza una reale base economica ed un ampio mercato che possa fornire loro il materiale grezzo necessario alla rielaborazione e questo è intrinse-camente legato al contesto storico in cui si sono sviluppate. Le società industriali infatti, a differenza del passato, sono caratterizzate da una netta separazione tra la sfera della produzione e quella del consumo. Nelle società preindustriali, il divario tra produzione e consumo era meno marcato, basti pensare ad esempio che in am-bito contadino, il legame con il mercato risultava ridotto per via del fatto che, molti oggetti venivano realizzati autonomamente in modo da sopperire ai propri fabbi-sogni: tratti culturali, forme e capacità espressive venivano consumate all’interno della comunità locale. Con l’avvento dell’industrializzazione, il divario si è esteso

47 Ivi, p. 144. 48 Ibid.

(24)

22

notevolmente: è l’industria a produrre i beni che vengono distribuiti ai consumatori attraverso il mercato50. Il denaro per acquistare i beni ed il mercato che li fornisce

quindi, rivestono un ruolo fondamentale ma nessuno dei due riescono ad influen-zare completamente il modo in cui il gruppo utilizzerà e modificherà il materiale reperito. Questa reinterpretazione può avvenire con diverse modalità: il cambia-mento di significato può essere frutto di un’azione diretta, come l’utilizzo dell’og-getto in maniera alternativa ed originale oppure attraverso la combinazione di più oggetti o ancora, scegliendo elementi destinati ad altri gruppi sociali, con l’inten-sificazione, l’esagerazione o l’isolamento, creando così un linguaggio crittografato di cui solo chi è membro della sottocultura ne possiede la chiave di interpreta-zione51. La capacità espressiva delle sottoculture che si riflette sugli oggetti ci fa

comprendere che anche in un contesto industrializzato i momenti di contatto tra produzione e consumo non scompaiono del tutto ma “[…] restano presenti in al-cuni aspetti della vita quotidiana, quelli che si potrebbero indicare sotto la generica etichetta del fai-da-te […]”52 o ‘bricolage’. Il concetto di bricolage di

Levi-Strauss, appare particolarmente adatto a spiegare il principio di rielaborazione de-gli oggetti e dei relativi significati, caratteristici dell’azione sottoculturale. Levi-Strauss intende infatti proprio il riordino e la ricontestualizzazione di oggetti per veicolare nuovi significati in un nuovo ordine dove però, sono ancora presenti se-dimentazioni dei significati precedenti. Riprendendo un approccio semiotico pos-siamo affermare che un oggetto ed il relativo significato costituiscono insieme, all’interno di una cultura, un segno: i segni così generati vengono assemblati e ripetuti in una forma compiuta. Quando il bricoleur, ovvero colui che attua l’azione di bricolage, nel nostro caso i componenti di una sottocultura, rialloca i significati degli oggetti in posizioni diverse, lo fa usando lo stesso repertorio ma riesce però a creare una nuova forma ed a propagare un diverso messaggio. In sintesi, il bri-colage realizzato da una sottocultura deve avere alcuni presupposti per realizzarsi:

50 Ivi, p. 128.

51 STUART HALL e TONY JEFFERSON, Resistance through rituals, cit., p. 43. 52 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 128.

(25)

23

i significati legati agli oggetti non solo devono già esistere ma il riassemblamento deve essere attuato all’interno di un sistema coerente che permetta di far facilmente comprendere che quella a cui stiamo assistendo è un’effettiva trasformazione, frutto volontario dell’azione sottoculturale53. Il ruolo principale nella realizzazione

di questo sistema coerente trova le sue basi nell’ideologia dominante ma viene strutturato ancora una volta dai media che forniscono le categorie con cui classifi-care il mondo: imponendosi progressivamente nella sfera culturale ed ideologica, garantiscono una base su cui i gruppi sociali possono costruire una propria imma-gine della vita, dei significati e delle pratiche degli altri gruppi. Immagini, rappre-sentazioni ed idee vengono da loro forniti per concepire una forma coerente di adesione54. Infine, un altro presupposto per il successo dell’azione di bricolage è

l’autocoscienza di gruppo: data la natura intrinsecamente volontaria dell’atto di rielaborazione è necessario un certo grado di autocoscienza che possa permettere ai membri della sottocultura di riconoscersi in essa. È proprio attraverso un pro-cesso di omologia tra l’autocoscienza del gruppo e la possibile gamma di signifi-cati disponibili per l’oggetto da rielaborare che si svilupperà la selezione vera e propria e si realizzerà compiutamente l’azione del bricolage55. Come abbiamo

vi-sto, i nuovi significati assunti dagli oggetti concorrono, insieme al modo di appa-rire, al vestiario, al linguaggio utilizzato, alla musica, ai rituali ed alle tipologie di interazione fra gli appartenenti al gruppo, a realizzare uno stile unico ed a deter-minare l’immagine pubblica di una sottocultura56. Una volta raccolti poi, in nuovi

ordini sottoculturali, saranno proprio gli oggetti stessi a fungere da cassa di riso-nanza per esprimere e riflettere i valori fondamentali del gruppo57. È quindi

com-prensibile che questo peculiare legame debba giocare un ruolo decisivo in ogni studio sulle realtà sottoculturali, come afferma anche Dei:

53 STUART HALL e TONY JEFFERSON, Resistance through rituals, cit., p. 149. 54 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., pp. 91-92.

55 STUART HALL e TONY JEFFERSON, Resistance through rituals, cit., p. 150. 56 Ivi, p. 44.

(26)

24

“Il riconoscimento delle differenze culturali (della linea di frattura fra egemo-nico e subalterno) deve passare all’interno delle pratiche di consumo di massa: non più in una sfera di produzione autonoma, ma nelle modalità di accesso al mercato, nella scelta selettiva dei beni, nei modi di usarli, di fruirne, di modificarli ed eventualmente condividerli e farli circolare.”58

La riflessione sui requisiti necessari all’azione più espressiva delle sottocul-ture ci invita a concludere con una contestualizzazione del fenomeno e della cor-nice che ha reso possibile la sua nascita. Parlando precedentemente di come il mer-cato ed il consumo di massa siano fondamentali sul piano sottoculturale, abbiamo già circoscritto un preciso ambito temporale, ovvero quello che si riferisce al pe-riodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, caratterizzato da uno sconvolgi-mento sociale provocato non solo dalla scesa in campo dei mass media ma anche di mutamenti inerenti ad ogni aspetto della vita. E’ proprio in questo periodo che nascono le prime sottoculture59, il periodo denominato da Hobsbawn come gli ‘Anni d’oro’60 che si sviluppa tra la ricostruzione post-bellica e la crisi petrolifera

del 1973. Il nuovo ordine mondiale che si costituì nel secondo Dopoguerra venne definito a Bretton Woods nel 1944 e si avvalse del Fondo Monetario Internazionale per stabilizzare i cambi, favorire il commercio internazionale e garantire l’occupa-zione; attraverso la Banca Mondiale poi, avrebbe dovuto favorire lo sviluppo delle aree arretrate. Mentre questo secondo punto non dette i risultati sperati, in quanto il divario tra i paesi sviluppati e quelli arretrati non è mai diminuito, negli Anni d’oro si sviluppò una grande crescita economica soprattutto in Europa Occidentale, in Giappone e negli Stati Uniti: caratteristiche ben visibili di questo periodo furono l’aumento della ricchezza e del reddito medio dei cittadini, l’alta occupazione,

58FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 128.

59 DICK HEBDIGE, Sottocultura, cit., pp. 81-82.

60 ERIC J. HOBSBAWM, Il secolo breve, Milano, Bur, 2004 (trad. it. a cura di Brunello Lotti, ed. orig. 2000), p. 303.

(27)

25

l’elevata stabilità monetaria ed una effettiva riduzione delle disuguaglianze. Il si-stema ‘fordista-keynesiano’, attraverso la regola dei cambi fissi di Bretton Woods, permise ai governi nazionali di fissare il valore delle monete, attestandosi come una delle cause portanti del ‘boom economico’ che caratterizzò quegli anni, ma fu in gran parte la politica di riarmo in seguito alla Guerra Fredda, a partire dalla Guerra di Corea del 1950, che diede un grande slancio all’economia: il Piano Mar-shall erogò una mole gigantesca di aiuti finanziari, soprattutto a Giappone, Ger-mania ed Europa e questo produsse un grande processo di modernizzazione nei paesi coinvolti. Anche le strutture stesse del capitalismo mutarono, grazie all’in-ternazionalizzazione dell’economia: si produsse quella che venne definita come ‘economia mista’ caratterizzata da una grande domanda che fece esplodere il com-mercio dei prodotti industriali. Questa elevata produzione comportò non solo un fenomeno di standardizzazione ma alimentò un consumo di massa e, come ab-biamo visto, la creazione di nuovi stili di vita61. I meccanismi che regolano questo

nuovo contesto storico-culturale ci rimandano inevitabilmente anche al concetto, fonte contemporanea di dibattito, di ‘Postmodernismo’: nato da una corrente di pensiero che considera come obsoleto l’approccio modernista, basato sui valori illuministi di razionalità, oggettività e progresso, a favore invece di una diretta messa in discussione dell’esistenza stessa di tali valori. Il Postmodernismo vede nei nuovi sviluppi dell’economia e della tecnologia i fautori di un processo pla-smante che rende la società decentralizzata e dominata dai mass media, al cui in-terno, le idee assumono la funzione di simulacri, venendo così riprodotte all’infi-nito ma svuotate di ogni stabilità ed autenticità. Il post-moderno pone conseguen-temente le sue radici nella globalizzazione che permette ai beni ed alle persone di ottenere una nuova concezione di mobilità, caratterizzata da una rapida impensa-bile rispetto al passato entro la quale, i segni, le comunicazioni e più generica-mente, le informazioni possono svincolarsi da ogni limite e diffondersi in tempo reale. Questi flussi globali di risorse culturali risultano difficilmente controllabili

(28)

26

e regolamentabili da parte delle due istituzioni dominanti nella precedente moder-nità: l’allentamento della stretta del mercato e dello Stato rappresenta, come ab-biamo visto, un punto focale nella formazione degli spazi sottoculturali62. È

pro-prio in seguito alla presa di coscienza che il Postmodernismo non poteva essere ignorato nell’analisi delle società contemporanee che ha spinto parte della critica a schierarsi su posizioni opposte: il declino delle ‘grandi narrazioni’ delineato da Lyotard viene spesso assunto come struttura su cui edificare riflessioni sul feno-meno delle de-differenziazione in modo da poter sentenziare una presunta ‘fine della letteratura’ o ‘fine della critica’, in relazione proprio a quell’ipotetica scala gerarchica che abbiamo accennato all’inizio del capitolo e che dovrebbe guidare la scelta di ogni studioso nella selezione dell’argomento da trattare63. Come

ab-biamo avuto modo di constatare finora e come vedremo più specificatamente nei capitoli successivi, focalizzati su una specifica sottocultura e sulle sue manifesta-zioni e relamanifesta-zioni con il tessuto sociale su cui si realizzano, questo particolare tipo di impostazione risulterà non solo limitate ma realmente controproducente: sul fe-nomeno delle sottoculture vi è ancora molto da dire, numerosi e grandi infatti, sono i gap da colmare.

62 FABIO DEI, Antropologia culturale, cit., p. 207. 63 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, cit., pp. 37-38.

(29)

27

II

Divide et impera

1.

Otaku: un termine controverso

Nel capitolo precedente abbiamo, introdotto che il presente lavoro si basa sull’in-teresse verso una specifica sottocultura e su tutto quello che concerne le sue pecu-liarità ed interazioni nella trama sociale; abbiamo anche superficialmente fatto ri-ferimento al termine ‘pop’ come ambito nel quale far rientrare alcune tipologie di fenomeni culturali, primi fra tutti le sottoculture. Lo scopo di questo capitolo infatti è quello di presentare a grandi linee una specifica manifestazione della cultura po-polare giapponese che possiamo far rientrare a pieno titolo all’interno del pano-rama sottoculturale: ci stiamo riferendo nello specifico alla sottocultura otaku. “Chi sono gli otaku?” e “Che cosa si intende per sottocultura otaku?” sono le pri-missime domande a cui cercheremo di dare una risposta per poi addentrarci sempre più in profondità per scoprirne le caratteristiche principali e tentare di fornire un sintetico quadro che ci permetta di comprendere in particolare i luoghi comuni e gli stereotipi che lo condizionano. I capitoli successivi approfondiranno poi in ma-niera più ottimale i singoli aspetti, concentrandosi su due specifiche evoluzioni sottoculturali che rientrano nella sfera otaku attraverso una comparazione con le loro controparti italiane. Data la natura ideografica della lingua giapponese

(ni-hongo) può essere utile far iniziare la nostra analisi direttamente dai significati che

può assumere il termine “otaku” per identificare le motivazioni che si celano dietro a quello che vedremo presentarsi come un prestito lessicale, effettuato per identi-ficare determinate tipologie di individui. Risulta necessario anticipare che mentre per la traduzione della parola non vi sono dubbi, per quanto riguarda la sua asso-ciazione, diffusione e origine invece esistono diverse teorie ma nessuna certezza

(30)

28

storica. La parola “otaku” appartiene al lessico della lingua giapponese ed è com-posta dalla preposizione onorifica “o” e dal sostantivo “taku” a cui si possono at-tribuire vari significati tra cui quello di “casa”, “dimora” o “a casa”. Il termine per estensione può essere utilizzato anche come pronome di seconda persona onori-fico, quando ci rivolgiamo a qualcuno che non si conosce64. Come afferma Pellit-teri, riportando le parole della saggista Minakawa Yuka65, uno dei significati

pos-sibili può essere infatti “presso la vostra casa” e quindi assumere una funzione simile al “dare del voi” italiano. Dato che l’uso prevalente è quello inserito in un contesto paritario ossia tra membri della stessa comunità, assume un preciso e vo-lontario tono sarcastico:

“Nel caso degli otaku la formula di deferenza del voi assume un carattere ironico, perché indica non più una forma di rispetto ma una presa di distanza. Ciò significa che i contatti fra gli otaku sono cordiali ma ben lontani dall’es-sere stretti o intimi.”66

Secondo Lawrence Eng, la paternità del termine “otaku” viene frequente-mente accreditata al giornalista giapponese Nakamori Akio67 (pseudonimo di

Shibahara Ansaku) che cercò di spiegare per primo chi fossero gli otaku nella sua rivista amatoriale “Tokyo otona club” (Club per adulti di Tokyo) dove venivano

64 SHARON KINSELLA, Adult Manga: Culture and Power in Contemporary Japanese Society, Honolulu, University of Hawai’i Press, 2000 (ed. orig. 1998), citato da http://www.kinsellare-search.com/nerd.html

65 PETER CAREY, Wrong about Japan: A Father’s Journey with His Son, Milsons Point, Ran-dom House Australia, 2003 (trad. it. a cura di Giovanni Pesce), p. 46.

66 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, cit., p. 16.

67 LAWRENCE ENG, The Origins of “Otaku”, Cornell Japanese Animation Society, 2003, ci-tato da https://www.cjas.org/~leng/otaku-origin.htm

(31)

29

pubblicati manga68 erotici, in particolare appartenenti al genere rorikon69 ed

arti-coli inerenti al mondo dei fumetti. Nakamori, nei suoi scritti e successivamente in un vero e proprio trattato sugli otaku che porta il titolo di ”Otaku no hon” (Il libro degli otaku)70, determinò tre aspetti che sembravano caratterizzarli: la prevalenza

del genere maschile tra i suoi membri (otaku sheishnōen), la loro capacità di rea-lizzare una vera e propria nuova sottocultura (otaku zoku) e la loro appartenenza ad una nuova generazione (otaku sedai). Un’altra teoria vede invece l’adozione del termine come una conseguenza dei frequenti contatti tra otaku:

“[...] vari osservatori suggeriscono che il termine sia entrato nell’uso comune fra gli appassionati di anime e manga in seguito ai frequenti scambi e richieste tra fan inerenti alle loro rispettive raccolte71: «per favore, mostratemi la vo-stra [“otaku”] collezione»72.

Altra possibile fonte di diffusione può essere stata la scrittrice di fantascienza Arai Motoko che intorno alla metà degli anni Ottanta utilizzò il termine per rivol-gersi ai propri lettori: questo utilizzo sembra essere stato così gradito dai suoi fans da divenire un modo di rivolgersi gli uni agli altri73. Secondo Murakami Takashi, artista di fama internazionale, l’origine del termine otaku deriverebbe invece dalla formula di deferenza utilizzata negli anni Ottanta dai noti autori di anime74

Kawa-mori Shōji e Mikimoto Haruhiko all’interno della società di animazione chiamata “Studio Nue”. Per rispetto e spirito emulativo i moltissimi fans che in quel periodo

68 Termine con cui si designano i fumetti giapponesi.

69 SHARON KINSELLA, Adult Manga: Culture and Power in Contemporary Japanese Society, cit., p. 311.

70 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, cit., p. 16. 71 Ibid.

72 LAWRENCE ENG, The Origins of “Otaku”, cit., citato da https://www.cjas.org/~leng/otaku-p.htm

73 Ivi, p. 17.

(32)

30

rimasero affascinati dalla loro famosissima serie animata per la tv, Chōjikū yōsai

Makurosu (“Fortezza superdimensionale Macross”, 1982), iniziarono così ad

uti-lizzare la parola per indicare questa loro comunanza di gusto, passione e stima per lo Studio Nue. Sempre connessa al noto studio ed allo stesso anime “Macross”, un’altra teoria giustificherebbe l’adozione del termine: l’abitudine del protagonista sella serie, Hichijō Hikaru, di rivolgersi agli altri personaggi con quella parola75,

così da rimarcare rispetto e deferenza: anche in questa interpretazione sembrerebbe che lo spirito emulativo sia il vero fulcro sul quale far ricadere la motivazione. Per Pellitteri sembra non vi siano grandi dubbi sull’importanza della serie Macross, non solo per l’adozione del termine quanto per lo sviluppo stesso della sottocul-tura, basandosi sugli scritti di Thomas Lamarre76 afferma che:

“Citare Kawamori e Mikimoto, nonché lo Studio Nue, è di estrema rilevanza perché si tratta di figure determinanti nella nascita e nello sviluppo della cul-tura otaku. V’è anche chi ha avanzato l’ipotesi, per altro sulla scorta delle tesi di Azuma, che sia stata la passione maniacale per Macross a inaugurare la nuova modalità di consumo di tipo prettamente otaku, più pedantemente at-tenta ai molti particolari tecnici e stilistici che non al godimento delle storie prese nel loro insieme.”77

Secondo Eng, un’altra possibile interpretazione può essere ricercata nel par-ticolare rapporto che gli appartenenti alla sottocultura stabiliscono tra di loro: la partecipazione a grandi eventi collettivi ed i frequenti contatti che li caratterizzano non lascerebbero però spazio a concrete ed intime forme di amicizia e come già accennato da Azuma sarebbe proprio l’uso dell’etichetta formale ‘otaku’ a rimar-care questa distanza. La questione quindi si risolverebbe in un atto volontario non

75 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, Milano, cit., p. 17. 76 Ivi, p. 18.

(33)

31

più connesso a quell’impostazione ironica a cui prima abbiamo fatto riferimento e che sembrava più una conseguenza da cui trarre una conclusione di distacco che non un’effettiva presa di posizione:

“One theory is that the anime otaku exist and participate in large social net-works within which they trade goods and information. Although they have many social contacts, the otaku are not intimately associated with most of them. The social transactions in otaku networks tend to be impersonal, short-lived, and businesslike. Cel traders, for example, don't need to become close friends with the various people they trade with. As an otaku's network grows larger, it becomes increasingly difficult to maintain close personal relation-ships with most of his or her contacts. There is an emotional distance between otaku that is highlighted (and further established) by the formal and polite term "otaku".”78

In questo caso quindi, abbiamo un utilizzo del termine prevalentemente come elemento che conferisce un certo grado di formalità dei rapporti e questo non deve stupirci se consideriamo che la manifestazione culturale su cui stiamo indagando è frutto della società giapponese dove il rispetto delle norme che caratterizzano le relazioni interpersonali assume un ruolo molto importante. Nel suo saggio “The

origins of Otaku”79, Eng riporta, criticandola, anche un’altra teoria che per dovere

di cronaca deve essere presentata ma che soffre principalmente di un certo grado di incoerenza: come abbiamo accennato, il termine “otaku” si riferisce non solo ad un ambiente domestico come quello della casa o all’atto di risiedere all’interno del proprio nucleo abitativo ma anche al “tu” formale; si ipotizza così che la parola sia stata assunta dai membri della sottocultura in maniera letterale associando i vari

78 LAWRENCE ENG, The Origins of “Otaku”, cit., citato da https://www.cjas.org/~leng/otaku-origin.htm

(34)

32

significati. Abbiamo in questo modo un significato simile a quello di “tu (o “voi”) a casa / in casa” e questo vorrebbe dimostrare che gli otaku conducano una vita isolata, prediligendo la solitudine della propria abitazione ad un’attiva e fruttuosa vita sociale:

“Another common theory about the term "otaku" is that it refers to the fact that otaku rarely leave their homes, since "otaku" literally means "your home" as well as "you" (formal).”80

Questa presunta caratteristica alienante viene riportata anche da Sharon Kin-sella che da un lato sembra confermare l’informalità dei rapporti interpersonali tra otaku mentre dall’altro rimarca la loro volontà di rinchiudersi in casa:

“The slang term otaku is witty reference both to someone who is not accus-tomed to close friendship and therefore tries to communicate with peers using distant and overly formal form of address, and to someone who spends most of his or her time alone at home.”81

L’incoerenza della prospettiva alienante, come verrà dimostrata con deci-sione in questa dissertazione, risiede nel fatto che il contatto fra otaku riveste sem-pre un ruolo vivo e ben sem-presente, facilmente identificabile, ad esempio, nella enorme affluenza che si registra ogni qualvolta venga organizzato un evento

80 Ibid.

81 SHARON KINSELLA, Adult Manga: Culture and Power in Contemporary Japanese Society, cit., p. 310.

(35)

33

lettivo, primo fra tutti, il famosissimo Comiket Market che attira centinaia di mi-gliaia di visitatori (in prevalenza otaku) ogni anno82. Questa teoria risente

profon-damente dello stereotipo che associa forzatamente la figura dell’otaku con quella dell’hikikomori83, associazione che avremo modo di smentire nelle pagine che

se-guiranno. Oltre a ciò, il fatto stesso che questo gruppo sociale abbia scelto volon-tariamente, per identificarsi, una connotazione alienante e strettamente negativa risulterebbe non solo per loro stessi umiliante ma anche controproducente consi-derata la grande importanza che riveste, nella società giapponese, l’immagine so-ciale. Tenere presente fin da subito la non coincidenza tra otaku ed hikikomori ci permetterà di affrontare in seguito le loro differenze con il giusto interesse che meritano ed evitare spiacevoli incomprensioni e giudizi affrettati. Come afferma anche Marc Hairston:

“While otaku and hikikomori share some similar characteristics, it should be emphasized that there is only a slight overlap between the two groups. Most hikikomori are not otaku and most otaku keep their hobby compartmentalized in their life and are able to spend the rest of their life in normal school or work activities.”84

Finora abbiamo incontrato parole come anime e manga, presentato uno stu-dio di animazione molto famoso ed importante, i suoi fans e le manifestazioni de-dicate al mondo dei fumetti. Già si può quindi intuire cosa si possa intendere con la parola “otaku”. Occorre quindi tentare di rispondere specificatamente alla do-manda che ci siamo precedentemente posti. Anche solo esaminando le origini e le associazioni del termine che conferisce il nome al movimento sottoculturale in

82 http://www.comiket.co.jp/info-a/C77/C77CMKSymposiumPresentationEnglish.pdf

83 Termine che indica quegli individui affetti da una patologia che li spinge ad isolarsi dal resto della società.

84 MARC HAIRSTON, A Cocoon with a View: Hikikomori, Otaku and Welcome to NHK, in «Mechademia»,University of Minnesota Press, 5 (2010), p. 313.

(36)

34

analisi sono sorti alcuni elementi e caratteristiche che ci permettono di poter ac-cennare una superficiale definizione, quindi, “chi sono gli otaku?”. Secondo Pel-litteri sono:

“[...] persone fortemente appassionate a forme di intrattenimento come i di-segni animati, i fumetti, i videogiochi, i modellini.”85

Questa sintetica descrizione è perfetta per esemplificare il carattere di ‘super-ficialità’ che possiamo, per ora, permetterci di realizzare. Presa alla lettera, e per estensione, un otaku può essere una qualsiasi persona che abbia una forte passione verso qualcosa, più specificatamente legata ad alcuni prodotti dell’industria cultu-rale giapponese come i manga, gli anime o le action figures86. Oltre a ciò, quelle

righe ci inducono a pensare che qualsiasi tipo di persona, indipendentemente dall’età, dal genere o dalla cultura di appartenenza, possa essere un otaku e che quindi il termine sia solamente un corrispettivo in lingua giapponese delle parole

fan, geek o nerd a cui siamo più abituati ad avere a che fare. In realtà, la faccenda

è molto più complessa e Pellitteri che ne comprende la dinamica, si tutela scri-vendo a proposito degli appassionati italiani:

“In Italia oggi molti appassionati di animazione e fumetti giapponesi non esi-tano ad autodefinirsi otaku proprio in virtù di tali interessi; ora, per quanto ne abbiano piena facoltà, visto che riscontrano in queste passioni il tratto comune rispetto agli otaku giapponesi, occorre tenere sempre presente che in

85 HIROKI AZUMA, Generazione otaku, cit., p. 11.

Riferimenti

Documenti correlati

Sono fermamente convinto, e preferisco dirlo con chiarezza, che la scena che si vede nell’Iconographia rateriana sia allusiva proprio a questa Verona di X secolo, e non a quella

So radiocarbon dating of an archeological site makes no sense without first understanding the entire stratigra- phy secuence (i.e. if the original contexts are primary

Il 30 per cento delle famiglie italiane con patrimonio netto più basso detiene solo circa il 4 per cento della ricchezza finanziaria complessiva (in media circa 4.000 euro

Question: George Petekidis: Do you think that hydrodynamic interactions would affect not only the microscopic dynamics and time evolution of the gel coarsening (age- ing) but also

Su impulso proprio dell’ACNUR la norma è stata modificata ampliando la tutela ori- ginariamente prevista (si veda nota precedente) a tutti i casi di discriminazione, anche

La competenza 35 culturale nel luogo di lavoro può essere descritta come un set congruente dei comportamenti della forza lavoro, delle pratiche gestionali e

Ma anche nel caso di Tokyo Santini va costantemente alla ricerca sia della grandezza del Giappone, soprattutto qui negli edifici religiosi e nelle ambasciate occidentali