• Non ci sono risultati.

Come possiamo constatare, ad oggi, la pratica ha raggiunto un livello tale da per- mettere la nascita di figure professionali; la nostra attenzione però deve ricadere solo superficialmente su quest’ultime perché la dimensione lavorativa può rendere ambiguo il riconoscimento dell’aspetto sottoculturale: per essere cosplayer non ba- sta indossare un costume. Come vedremo, il fatto di ricavare denaro dalla pratica è un atteggiamento molto contestato all’interno della comunità, oltretutto, per le varie occasioni, può venir semplicemente chiesto ad una modella di indossare un costume anche senza che essa appartenga o si senta di appartenere alla comunità. È giunto il momento quindi di definire il termine ‘cosplay’ in relazione alla sotto- cultura che vi è intrinsecamente connessa, per la Adami:

175 Ibid.

176 LUCA VANZELLA, Cosplay Culture – Fenomenologia dei costume players italiani, cit., p. 17.

75

“[…] è l’ambizione di un soggetto di impersonare al meglio il proprio eroe, realizzando in proprio i costumi e gli accessori.”177

In questa definizione possiamo scorgere subito una delle componenti essen- ziali della pratica, il DIY: come abbiamo precedentemente constatato, una sotto- cultura è fortemente dipendente da un mercato che le possa fornire la materia prima per la reinterpretazione dei significati. Nel caso del cosplay, questo legame è ancor più visibile dato che i costumi indossati dai praticanti puntano ad essere le esatte copie di personaggi contenuti in manga, anime o videogiochi, tutti prodotti appar- tenenti ad un mercato mirato a soddisfare l’ampio spettro di richieste e preferenze del pubblico otaku. L’utilizzo del DIY o bricolage rappresenta una delle prime scelte che un aspirante cosplayer deve attuare: per praticare la propria passione può scegliere se acquistare il materiale per realizzare in proprio il costume oppure ri- volgersi alla grande industria per comprarne uno già fatto. La pratica del DIY si presenta principalmente quando il costume del personaggio che si vuole rappre- sentare non è disponibile in commercio o risulta di difficile reperibilità: è un’eve- nienza che può ricorrere più spesso di quanto si possa immaginare, data l’enorme mole di personaggi che albergano nei prodotti otaku ed oltretutto, di ogni perso- naggio possono esistere molte varianti che vengono interpretate dai cosplayer come costumi differenti. Il DIY comporta una precisa pianificazione tra la qualità, la quantità ed il costo del materiale necessario alla realizzazione del costume, in modo da raggiungere un determinato risultato attraverso una spesa tollerabile. In- dipendentemente dal costo però, l’attenzione per i dettagli risulta essere un ele- mento essenziale; l’immagine riprodotta, una volta indossato il costume, dev’es- sere identica a quella del personaggio scelto, di conseguenza anche il corpo del cosplayer deve venire incontro a questa esigenza: piccoli dettagli, trucco, acces-

76

sori, acconciatura dei capelli, postura e posa, tutto deve concorrere a creare l’illu- sione di trovarsi di fronte alla trasposizione reale di quel personaggio specifico178.

Nonostante i costumi possano essere acquistati in negozi specializzati, in specifi- che aste online o commissionati a professionisti pagando un prezzo molto alto, all’interno della comunità, l’attività del DIY è tenuta in grande considerazione, non solo come riconoscimento dell’abilità e dell’impegno di colui che lo ha rea- lizzato ma anche perché l’attività stessa e tutte le varie fasi di cui si compone, possono rappresentare un motivo di coesione e socializzazione: uscire in gruppo alla ricerca dei materiali migliori ad un costo contenuto e collaborare nella fase di progettazione, taglio e cucitura, risultano momenti piacevoli ma anche occasioni per creare nuove amicizie e farsi conoscere nell’ambiente in modo da aumentare il proprio capitale sociale. L’attività del ‘fai da te’ è ormai considerata come lo stan- dard per un’integrazione nel gruppo ottimale179 e dato che l’attenzione per i detta-

gli riveste un ruolo così importante, la collaborazione ed il supporto tra i membri del gruppo risultano essere elementi costituenti dell’identità dei cosplayer: non tutti posseggono le abilità necessarie per realizzare in proprio tutte o alcune fasi della creazione del costume, così, è pratica diffusa quella di chiedere aiuto agli amici o ad altri membri del gruppo. Il risultato dovrà essere una riproduzione fe- dele dell’originale e dovrà passare sotto il vaglio e la critica del resto della comu- nità: solo nel momento in cui verrà esibito si potrà constatare se il lavoro svolto avrà portato ad un successo o ad un fallimento. Bisogna precisare che quando par- liamo di risultato, si deve tenere presente che tutti gli elementi che concorrono ad una valutazione come il comportamento, il modo di parlare, la conoscenza, i valori e le varie scale di riferimento, vengono acquisiti ed hanno valore solo all’interno della comunità in cui si realizzano: i cosplayer sono tali solo all’interno della cor- nice di riferimento che li rappresenta e gli standard con cui valutano la qualità di un costume risiedono all’interno della comunità stessa e solamente al suo interno

178 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

tice, in Fandom Unbound, cit., p. 225.

77

hanno valore. Quando un cosplayer realizza il proprio abito, lo fa con l’ottica di venire poi valutato dagli altri membri della sottocultura a cui appartiene, i giudizi degli outsiders non hanno alcun peso e non vengono minimamente presi in consi- derazione180. La pratica del DIY costituisce quindi un momento essenziale anche

come ampliamento del proprio bagaglio culturale: la frequentazione di membri più esperti realizza un continuo scambio di informazioni che permette l’apprendi- mento di nuove tecniche, una costante critica sui propri errori ed un confronto dei risultati che conducono verso un miglioramento continuo delle proprie prestazioni. Anche gli eventi e gli ambienti di ritrovo non consistono solamente in un’occa- sione di divertimento oppure in un contesto dove svolgere l’attività di cosplay, ma assumono la funzione di un luogo privilegiato per lo scambio di informazioni: gli stessi camerini messi a disposizione dal Comic Market Preparatory Committee, ad esempio, possono trasformarsi in una scuola dove imparare nuove tecniche e nuove possibilità di realizzare costumi o migliorare le proprie abilità. Come afferma Okabe:

“[…] knowledge is not amassed in one place but is stored in distributed form among community members. Each member therefore represent a learning op- portunity to her peers. The peer-based and reciprocal nature of these relation- ships is another hallmark of fan-based communities.181

I cosplayer quindi, come altre tipologie di otaku, realizzano e sviluppano una conoscenza condivisa attraverso il dialogo e la accumulano in un bagaglio cultu- rale che a sua volta viene condiviso all’interno della comunità. Questa conoscenza però, non viene immagazzinata in un unico luogo ma custodita all’interno della comunità stessa, dove ogni membro rappresenta una componente di valore perché

180 Ivi, 237-238.

78

assume la funzione di potenziale opportunità per imparare qualcosa di nuovo. Come possiamo constatare quindi, i valori e le identità di un individuo apparte- nente alla comunità non si realizzano individualmente ma attraverso pratiche con- divise e relazioni sociali instaurate con il resto dei membri: sono queste relazioni, sia positive che conflittuali a delinearne l’identità e dal momento che avviene la presa di coscienza di far parte di un gruppo e lo si afferma, implicitamente si pone un confine che impedisce l’identificazione in altri gruppi. Questa presa di co- scienza rappresenta un altro elemento che concorre alla determinazione dell’iden- tità, dato che l’individuo assumerà le caratteristiche peculiari che dominano all’in- terno della sua comunità come mezzo per differenziarsi dalle altre. Questi mecca- nismi sociali influenzano il singolo così come influenzano l’intero gruppo: strut- turandosi in relazione agli altri gruppi con cui devono coesistere, definiscono re- gole e forme estetiche atte a distinguersi da loro. Ogni gruppo, in sintesi, rifiuta il contesto in cui si viene a delineare e cerca, attraverso la sua capacità espressiva, di rendersi diverso ma allo stesso tempo ne risulta dipendente dato che è grazie ad esso che si può realizzare il meccanismo di creazione culturale ed è il continuo rapporto di ostilità con gli altri gruppi che mantiene e delinea i confini, permet- tendo al gruppo stesso di determinare e definire le proprie caratteristiche princi- pali182. I cosplayer rappresentano così una precisa comunità con valori condivisi e limiti ben definiti, caratterizzata da una cultura pratica che assume significato solo all’interno di sé stessa: la comunità esiste e si realizza solamente grazie alla parte- cipazione attiva dei suoi membri e grazie alle loro pratiche condivise.

A detta di Okabe, la comunità dei cosplayer giapponesi è composta in preva- lenza dal gentil sesso, principalmente da studentesse delle scuole superiori o co- munque da donne con un’età che varia tra i venti ed i ventinove anni. Per loro il cosplay rappresenterebbe un hobby e non riserverebbero tutto il proprio tempo a questa attività. È interessante notare come nelle fonti giapponesi si ritrovi spesso una certa insistenza nel riportare con attenzione le tempistiche che i vari membri

182 Ivi, p. 231.

79

di una sottocultura connessa all’universo otaku dedicano alla propria passione, questo accade per allontanare il più velocemente possibile lo spettro hikikomori183,

un tasto dolente per la società giapponese, utilizzato spesso in infelici e generaliste associazioni con tutta la poliedrica realtà otaku. Oltre allo stereotipo dell’isola- mento, l’analisi del cosplay ci permette anche di sfatare un altro preconcetto: in Giappone infatti, la parola ‘otaku’ utilizzata in relazione ad una donna è un fatto di una certa consistenza, un luogo comune che si è sviluppato grazie alla forma- zione di stereotipi sulla sottocultura che rimanda a sciatteria, sporcizia, mancanza di fascino ed impopolarità. Le cosplayer rappresentano proprio l’esatto opposto di questa immagine fantasiosa e degradante: la stessa attenzione che applicano nella realizzazione dei costumi si ritrova nella cura del loro corpo e della loro immagine anche al di fuori dell’ambito passionale; proprio la preoccupazione crescente di subire forme di discriminazione e magari di essere identificate come fujoshi184 è

ciò che le spinge ancor di più verso la cura della propria immagine sociale e spesso, a tenere nascoste le proprie passioni185. In realtà, sembra che realmente la preva-

lenza delle cosplayer giapponesi, oltre ad essere accanite consumatrici o produt- trici di doujinshi, orientino i propri gusti verso il genere yaoi: secondo Okabe, la vicinanza di generi e tipologie di prodotti è talmente affine da far considerare il cosplay come un sottogenere del fujoshi e che la sua pratica si sviluppi all’interno della scena doujinshi:

“My cosplayer informants were all authors or consumers of doujin. While women who are fans of yaoi doujin (fan-created manga depicting gay male relationships) call themselves fujoshi, my cosplay informants would alter- nately refer to themselves as fujoshi, otaku and layers (cosplayers). In other

183 Termine che indica coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando li- velli estremi di isolamento e confinamento.

184 Appassionate del genere yaoi.

185 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

80

words, they consider cosplayers a subcategory of fujoshi, and their practices are tightly entwined with the doujin scene.”186

Una possibile e molto appariscente dimostrazione della vicinanza tra cosplay e fujoshi viene rappresentata dalla pratica del cross-dressing che consiste nella scelta di vestire i panni di un personaggio del sesso opposto al proprio. Questo tipo di cosplay, molto apprezzato all’interno della comunità, soprattutto se realizzata da otaku femmine, necessita una maggiore attenzione ed un livello interpretativo superiore perché la mascolinità rappresentata è solo fittizia: osservando delle otaku che interpretano personaggi maschili appare subito evidente che mostrano un ideale di mascolinità androgina che si ritrova continuamente all’interno di anime e manga di genere yaoi, non quindi una mascolinità reale ma un’idealizzazione di essa che si sviluppa all’interno della comunità187.

Per interagire tra di loro, mostrare i propri lavori ed organizzare eventi, gli appartenenti alla sottocultura del cosplay, utilizzano una varietà di media anche se il principale risulta essere il sito internet: molti cosplayer imbastiscono un proprio sito personale oppure utilizzano i social network più diffusi come Facebook o In-

stagram. All’interno di questi luoghi virtuali creati ad hoc, gli interessati possono

inserire le proprie fotografie in costume in modo da poter essere visualizzate dal maggior numero di persone possibile. Con l’accrescere dell’utilizzo e dello svi- luppo di queste piattaforme multimediali, si è reso indispensabile che il cosplayer acquisisca numerose abilità, sia nel campo della fotografia, magari imparando ad utilizzare una macchina fotografica di tipo reflex, in modo da ottenere fotografie dal sapore professionale, sia nel campo del photo-editing, imparando a destreg- giarsi nell’utilizzo di programmi di fotoritocco per aggiustare le immagini o ag- giungere effetti; soprattutto quando il sito è creato in proprio, anche alcune basi di informatica risultano necessarie. Nonostante, ad oggi, esistano software online che

186 Ivi, p. 228. 187 Ivi, p. 238.

81

permettono la creazione quasi automatica di siti internet personali è indubbio che una preparazione di base sull’utilizzo del computer e una conoscenza della termi- nologia e della funzione degli elementi che comporranno il risultato finale sia, non solo richiesta ma anche necessaria: spesso questo apprendimento è scaturito pro- prio in seguito alla passione per il cosplay. Oltre alla rete, in Giappone i cosplayer hanno a disposizione una serie di riviste dedicate e persino programmi televisivi188.

Come abbiamo precedentemente accennato, l’attività della pratica può generare anche opportunità lavorative, ad esempio nei negozi specializzati, in quelli di manga ed anime oppure nei maid café189. La prevalenza dei membri della comunità

però risulta essere fortemente ostile all’utilizzo della propria passione per un ri- torno economico e questa ostilità si rivolge anche nei confronti di ogni eccesso. Un esempio di tale rigidità, in cui si può ancora notare quel timore di essere giudi- cati, puniti con ulteriori restrizioni o discriminati, viene rappresentato da quelle cosplayer definite ‘torareta’, ovvero l’abbreviazione della parola ‘toraretai’ che significa ‘voglio essere fotografato’: questa parola viene utilizzata all’interno della comunità del cosplay giapponese per indicare quelle ragazze che ricercano le at- tenzioni dei ‘kameko’, altra abbreviazione, stavolta del termine ‘kamera kozou’ ovvero ‘ragazzi con la fotocamera’. I kameko hanno l’abitudine di circondare le cabine degli stand commerciali situati nelle varie convention per fotografare, con macchine fotografiche professionali, le modelle che lavorano per l’industria del settore. La torareta cerca di richiamare verso di sé gli obiettivi dei kameko attra- verso una serie di espedienti che si ricollegano principalmente alla femminilità, al solo aspetto esteriore ed all’utilizzo di costumi succinti, pose sexy o ancora, attra- verso un escamotage più raffinato: creano un’immagine di sé che rispecchi alla

188 Ivi, pp. 228-229.

189 Un particolare tipo di caffetteria a tema nata agli inizi del XXI secolo in Giappone. I clienti vengono intrattenuti congiochi ed esibizioni canore da ragazze vestite prevalentemente con di- vise da cameriera di foggia vittoriana o francese.

82

perfezione l’ideale kawaii190 che l’industria del settore propaganda e che rappre-

senta una delle chiavi con cui fare breccia nei cuori otaku191. È facile capire come

queste ragazze attirino l’ira del resto della comunità perché in pratica svalutano l’intera essenza del cosplay: abbiamo visto come i cosplayer non prestino solo at- tenzione alla realizzazione del costume ma anche a tutta una serie di fattori e pre- supposti, come la conoscenza approfondita del personaggio interpretato, riflessa attraverso la riproduzione delle sue caratteristiche, movenze, espressioni, tic e pose e soprattutto la passione verso la pratica. Le torareta non solo dimostrano di utiliz- zare il costume e l’occasione a cui partecipano in maniera impropria ma comuni- cano anche un ideale eterosessuale maschile che, come abbiamo già incontrato nel caso delle fujoshi, spesso non coincide con quello vigente all’interno della comu- nità ed in ultima analisi l’erotismo non è la componente che guida la scelta del cosplay, quanto l’apprezzamento della passione che viene condiviso all’interno del gruppo. La figura della torareta è importante: fa parte di uno di quei meccanismi che servono al gruppo per delineare i propri limiti ed il proprio modo di essere, un ideale ed un modello negativo che serva da monito per i membri. I cosplayer, è bene ribadirlo, seguono la loro peculiare etica basata su una passione amatoriale e sul DIY, senza curarsi delle motivazioni commerciali che vi si possono applicare oppure senza badare a ciò che viene considerato come uno standard dal main-

stream del settore. Come altri gruppi di otaku, anche i cosplayer vengono spinti

dalla passione per un determinato media piuttosto che dalla ricerca di popolarità o da un ritorno economico: l’unico interesse che si può ricondurre all’idea di fama è solo quella che può svilupparsi all’interno della comunità stessa, solamente con determinati requisiti e su basi puramente paritarie. Questi requisiti concorrono a delineare una scala gerarchica dipendente dal grado di esperienza accumulata: nei

190 Aggettivo della lingua giapponese che può essere tradotto in italiano come ‘carino’, ‘ama- bile’, ‘adorabile’.

191 MIZUKO ITO, DAISUKE OKABE, IZUMI TSUJI, Cosplay, Learning, and Cultural Prac-

83

primi posti risiedono coloro che riescono a realizzare in proprio degli abiti di ot- tima fattura, che li rendono praticamente identici a quelli dei personaggi a cui si ispirano. Un cosplayer però, come abbiamo precedentemente constatato, non de- dica la sua attenzione solamente al costume in sé ma anche a diversi fattori come l’interpretazione, il trucco e gli accessori; un membro con molta esperienza poi, non si ferma a questi, modella le proprie caratteristiche fisiche, sceglie meticolo- samente le location dove andrà ad esibirsi o a farsi fotografare, in modo da ricreare perfettamente non solo il carattere ed i modi di fare caratteristici del personaggio ma anche il contesto in cui inserirlo. Mentre molti di questi aspetti possono essere appresi e realizzati dalla maggior parte dei cosplayer, i tratti fisici riguardano un campo dove entra in gioco solamente la fortuna di essere nati con una struttura corporea ideale per esporre un determinato outfit. In base a ciò potrebbe risultare scontato che non tutti i cosplayer possano interpretare qualsiasi personaggio ma questa affermazione può essere considerata veritiera solo in parte: l’impossibilità di effettuare un travestimento ottimale per divergenza di caratteristiche fisiche en- tra in gioco solamente quando si tenta di intraprendere la scalata verso la popolarità all’interno della comunità o quando si cerca di presentare un’esibizione che deve essere considerata come seria. In tutti gli altri casi, come ad esempio la presenta- zione di un’immagine parodiata, ironica o scherzosa, qualsiasi outfit viene accet- tato: ognuno è libero di seguire il proprio istinto e la propria preferenza e verrà apprezzato per tutte le qualità che saprà dimostrare192: come vedremo in seguito,

la finalità ultima del cosplay è il divertimento e questo aspetto trascende ogni im- plicazione culturale o geografica.

Analizzando le varie particolarità del cosplay, risulta evidente quanto l’aspetto esteriore rivesta un’importanza centrale. Questa originale pratica del tra- vestimento, attraverso l’abito, si ricollega alle sottoculture spettacolari ed alla con- seguente riflessione sullo stile (di cui abbiamo parlato nel capitolo relativo alla

192 Ivi, pp. 239.

84

definizione di una sottocultura) come elemento tramite di tutta una serie di signi- ficati e caratteristiche, come afferma anche la Adami:

“L’abito infatti ha un suo linguaggio; in più è un segno di appartenenza, che ci permette di comunicare noi stessi agli altri; è – se si vuole – un sistema di segni universale che mette in relazione il corpo e la società, l’io e la società;