• Non ci sono risultati.

Il destino di due sorelle

Nel documento La geografia (pagine 139-143)

12. Il pensiero di Gea. Geografia e filosofia per

dell’altra, aiutante e pronta al sacrificio in nome del sapere1. Come scrive Farinelli, all’inizio della Modernità la geografia sacrifica se stessa con gesto rituale, donando le chiavi della conoscenza alla sorella che allora cercava una via per uscire da una foresta pericolosa in cui rischiava di smarrirsi. Le dona, attraverso il gesto di appiattimento cartesiano, la possibilità di un «cosciente ordinamento categoriale e selettivo dei dati» riservando a se stessa la «sem-plice traduzione in termini cartografici della successione sequenziale del loro flusso» (Ivi, p. 10). Sacrificare non è annullarsi, ma fare il sacro, cioè un gesto rituale che eleva e suggella un patto e questo è ciò che viene riconfer-mato nel Settecento dall’opera di Immanuel Kant, il quale pubblica opere che sembrano riunire sullo stesso sentiero le due donne. Nel 1801 vede la stampa la prima versione della Geografia Fisica di Kant, il quale nel mentre aveva già pubblicato la sua opera più celebre e dirompente, cioè la Critica della Ragion Pura, la quale mette in scena un nuovo percorso della storia del pen-siero occidentale. La filosofia per Kant, ricorda giustamente Farinelli, era la

«“geografia della ragione”, cioè la geografia dello “spazio buio del nostro intelletto”» (Ibidem). Per Kant la geografia era l’avviamento al pensiero cri-tico, era un mezzo per preparare ad una ragion pratica e destare la voglia ad estendere sempre più i saperi umani (Tanca 2013, p. 20). Marcello Tanca, nella sua opera Geografia e Filosofia. Materiali di lavoro, riporta in propo-sito una citazione diretta del filosofo di Königsberg nella quale si dice che il giovane studioso, tramite la geografia, viene introdotto alla sua destinazione,

«cioè il mondo» (Ibidem). Paradossale risulta il fatto che in tutto questo Kant non si sia mai mosso dalla sua cittadina confermando così la preoccupazione di Rousseau secondo cui la filosofia si stesse rendendo troppo stanziale e poco pratica del mondo (Ivi, p. 22). Ma questo non fa altro che riporre sullo stesso piano di valore e valori le due sorelle. Entrambe si interrogano, anche se talvolta con strumenti diversi, del mondo e così si sorreggono e forniscono materiali, risultati e metodi che possono essere condivisi, in favore di un sa-pere critico di ciò che è il globo terracqueo e non solo. Non è un caso che proprio dopo i pregevoli lavori di Kant e gli ammonimenti di Rousseau, sia comparso sul palcoscenico del sapere forse il più noto geografo dell’epoca moderna, cioè Alexander von Humboldt. Egli non era un geografo tradizio-nale, ma un innovatore della disciplina che, trasformandola, ha permesso la  

1 Non si pretende in questa sede di fornire una completa storia del rapporto tra geografia e filosofia, il quale risulta eccessivamente complesso e articolato e richiederebbe uno studio e un’attenzione scientifica non riassumibile in un articolo di questa natura. Certamente in questo senso è necessario segnalare, come riferimenti indispensabili per l’approfondimento di questa articolata e affascinante storia disciplinare, le opere di Franco Farinelli (Farinelli 2007;

Farinelli 2009) e Marcello Tanca (Tanca 2013) che ben introducono alla vicenda di queste due “sorelle”.

crescita della sorella filosofia, grazie al suo modo di concepire il sapere tra-sversale, diremmo oggi interdisciplinare. La forza dell’opera humboldtiana consta nella complessità dei layer analizzati, accennati e a volte sottintesi.

Non è un caso che molte discipline si occupino di studiare scientificamente ancora oggi ciò che ha prodotto nella sua ampia bibliografia. Sia la geografia, sia la filosofia e in particolare l’estetica e la storia della filosofia, la storia delle idee, le critica letteraria, sino a scomodare le scienze dure si occupano di riflettere a proposito dell’opera del geografo. Successivamente ad Hum-boldt, Karl Ritter porrà una nuova e importante pietra per la costruzione del ponte che unisce e mette in comunicazione le due sorelle; egli infatti riteneva la geografia (Erdkunde) quale teoria critica della Terra. Ritter, ricorda Fari-nelli, pone al servizio del geografo le armi di altre discipline quali la storia, il linguaggio, ma soprattutto la filosofia quale fonte di strumenti utili allo sviluppo di un pensiero critico. Sempre nell’Ottocento molti filosofi hanno esplorato i campi e gli studi geografici occupandosi loro stessi di sviluppare il pensiero e la critica geografica2. Ma ciò che non è esplicito, spesso è con-servato all’intero delle profondità.

Nel Novecento, con la maturazione e la crisi della Modernità, con lo sviluppo del deserto della Modernità (Marini 2011) aumentano le opere in cui queste due sorelle riprendono il dialogo tra di loro e non sommessamente.

La crisi del concetto dello spazio, del suo annullamento quale valore e pro-spettiva, attraverso l’unificazione del concetto sotto un mero cappello ideale e quantitativo, necessita e richiede un profondo ripensamento. Il progetto del nichilismo moderno è pervasivo e omni-comprensivo (Galimberti 2007).

L’annullamento delle distanze e delle percorrenze trasforma il concetto e la percezione dello spazio. Esso è il frutto della società industriale dell’imme-diatezza e del culto della tecnica che altro non fa se non destabilizzare e an-nullare gli individui che abitano quest’epoca. Un’immagine che può rendere l’idea del processo nichilistico in corso e della sua portata è quello di un’ul-teriore banalizzazione dello spazio più radicale di quella avvenuta con la svolta cartesiana del pensiero, è quella della trasformazione di un mondo complesso e a più dimensioni in un mondo piatto (flat) a due dimensioni com’è quello descritto da Abbott in Flatlandia (Abbott 1884).

La messa in crisi di uno dei valori emblematici e cardine del pensiero umano non può che sollecitare e stimolare la riflessione e la produzione, non-ché il ricongiungimento, delle due sorelle che tanto si sono inseguite. Non è un caso dunque che durante tutto il XX secolo vengano pubblicate opere e si sviluppino pensieri che pongano il dubbio, si domandino circa il senso dello  

2 Tra di essi si possono annoverare Hegel, Marx, Feuerbach, Bentham, Emerson, Leopardi e Nietzsche, seppur non sempre questo emerga così palesemente.

spazio nel nostro tempo3. Più o meno direttamente tutti questi autori hanno riflettuto sullo spazio e in particolare su di una sua formalizzazione cioè il paesaggio che diviene uno dei concetti cardine ed emblematici della rifles-sione critica del Novecento. Si può accennare quindi alla grande influenza avuta sulle più contemporanee teorie e studi sul paesaggio sviluppate da Turri  uno dei primi geografi italiani a cimentarsi nell’utilizzo di materiali di natura filosofica (Turri 2004; 2008)4. Il paesaggio diventa la chiave di volta, lo strumento principe su cui vertono gli studi interdisciplinari che mi-rano a ricongiungere, ma non ad annullare giustamente una nell’altra, queste due sorelle. Non è un caso che gli autori appena citati possano essere studiati e utilizzati sia per quanto riguarda gli studi di filosofia del paesaggio, sia di geografia del paesaggio. In essi è racchiuso un tentativo di superamento delle barriere che tanto, nell’attualità, rischiano di minare i buoni risultati ottenuti da lavori interdisciplinari pregevoli. Sul finire del XX secolo è sorta una nuova disciplina che in qualche modo si pone sulla scorta di quanto detto sino ad ora ed essa cerca di arginare le limitazioni stesse sorgendo da radici interdisciplinari; riprendendo l’immagine iniziale, essa è il carro di Serse che vuole riunire le due donne senza però soggiogarle, comprendendone anzi l’origine comune e la diversa manifestazione, esaltandone le peculiarità, tra-sformando i limite in un con-fine5, così da poter effettivamente usare il po-tenziale di queste due forze sorelle: essa è la geofilosofia.

 

3Alcuni dei nomi di interesse per entrambe le discipline sono Heidegger, Spengler, Jünger, Foucault, Simmel, Benjamin, Vidal de La Blache, Dardel, Merleau-Ponty, Assunto e più re-centemente Harvey e Sloterdijk.

Un filosofo contemporaneo che potrà essere interessante studiare in quest’ottica interdi-sciplinare e di riflessione sullo spazio, che ancora in ambito geografico non è stato approfon-dito, è Timothy Morton, uno dei teorizzatori della teoria dell’Iperoggetto (Hyperobject), i cui spunti potrebbero essere interessanti e importanti per lo sviluppo delle ricerche correlate di geografia e filosofia. La teoria degli Iperoggetti, inserita nell’ottica della Object-oriented on-tology, può essere studiata e riapplicata ad alcune delle problematiche geografiche. Secondo chi scrive, prima tra tutti, quella del paesaggio che pare configurarsi, in accordo con quanto scritto da Morton in merito alle caratteristiche degli iperoggetti (Morton 2009; Morton 2013), come iperoggetto. A questo proposito, l’applicazione di questa maschera interpretativa po-trebbe risolvere alcuni dei quesiti insiti e insistenti nella problematica del paesaggio, ma allo stesso tempo sollevarne di nuovi.

4Alcuni dei nomi di interesse per entrambe le discipline sono Heidegger, Spengler, Jünger, Foucault, Simmel, Benjamin, Vidal de La Blache, Dardel, Merleau-Ponty, Assunto e più re-centemente Harvey e Sloterdijk.

Per una bibliografia interdisciplinare, per quanto parziale, si rimanda all’indice bibliogra-fico a conclusione del contributo.

5 Per una tematizzazione del concetto di Confine cfr. Marini 2014.

2. Il pensiero della Terra: la geofilosofia come possibilità futura

Nel documento La geografia (pagine 139-143)