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Il latino “agricolo”

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 69-71)

nel De agri cultura di Catone

Alice Locatelli

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l De agri cultura di Catone costituisce, in ambito lati- no, il testo letterario in prosa più antico che sia giunto a noi per tradizione diretta. Come il titolo stesso met- te in evidenza, vi è posto in rilievo il valore economico e morale dell’agricoltura, attività fondamentale per il ci-

vis Romanus. Il Censore, infatti, è celebre per essere il

portavoce di una cultura conservatrice e moralistica, che si oppone ai cambiamenti in atto nell’epoca in cui vive, in particolare all’ellenizzazione dei costumi e della so- cietà. All’ideale dell’humanitas, Catone oppone, infatti, il modello del vir bonus colendi peritus, l’uomo onesto ed esperto coltivatore, autentico cittadino romano. Opera poco considerata e ritenuta meno esemplificativa dei rapporti tra lingua latina e lingua greca, al contra- rio, presenta una notevole quantità di grecismi, segno che, nonostante l’avversione mostrata pubblicamente da Catone, la sua conoscenza della lingua e della cultura greca era notevole.

Il latino “agricolo”

Per quanto riguarda la lingua agricola, a differenza di altre lingue socialmente marcate, essa è documentata nella quasi totalità in opere scritte da autori che, seppure indubbiamente esperti di agricoltura, non esercitano di- rettamente il mestiere dell’agricoltore. Si tratta di perso- naggi, come Catone stesso, che appartengono alle cate- gorie sociali dei grandi proprietari terrieri, degli equites, o dei senatori, i quali nutrono rilevanti interessi culturali e filosofici, oltre a possedere un’alta formazione retori- ca: essi non scrivono tanto per i loro dipendenti, bensì per la medesima categoria sociale cui appartengono1.

Sono, infatti, proprio le classi più culturalmente elevate che si dedicano a comporre opere di letteratura agricola,

sostenitrici dell’ideologia tipicamente romana della ter- ra, secondo la quale è l’agricoltura, fonte di guadagno lecito e onesto, l’attività più degna per il cittadino2. Pur

essendo due i fini per cui vengono scritti trattati di agri- coltura, cioè la dilectatio e l’utilitas, è quest’ultima, in particolare, che prevale nel De agri cultura di Catone. Per quanto riguarda il latino “agricolo”, è possibile di- stinguere una “lingua dei contadini” e una “lingua dei proprietari terrieri”. Catone certamente è un proprieta- rio terriero colto, tuttavia, nella sua opera sono presenti termini che testimoniano la lingua dei rustici.

La consapevolezza che la lingua dei rustici presenti del- le peculiarità emerge da una serie di testimonianze. Alla pronuncia chiusa dei dittonghi allude, ad esempio, Festo, che definisce pronunce proprie della gente di campagna

orum per aurum, oricla per auricula: elementi che, già a

quest’altezza cronologica, preannunciano gli esiti romanzi. Di questi aspetti si hanno conferme indirette derivanti da oscillazioni grafico-fonetiche in termini tipicamente agricoli, ricorrenti in scrittori che trattano temi agricoli. Nel De agri cultura, al capitolo 7, Catone, al posto di

aula, che nel latino classico indica la “pentola”, scrive olla, mostrando così il fenomeno della chiusura del dit-

tongo au: Eae in olla in vinacei conduntur; eadem in

sapa, in musto, in lora recte conduntur3. Lo stesso è os-

servabile al capitolo 48 per il termine che indica la “zol- la di terra”, il cui termine glaeba presenta il dittongo

1. I. Mazzini, Storia della lingua latina e del suo contesto. Lingue social-

mente marcate (II), Salerno editrice, Roma 2009, p. 213.

2. Ivi, p. 218.

3. La traduzione dei passi del De agri cultura è di L. Canali: “Questi tipi si si

conservano in marmitte, tra la vinaccia; allo stesso tempo si conservano bene anche nella sapa, nel mostro, nel vinello”.

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ae, che in Catone viene chiuso in e: Semen cupressi ubi seres, bipalio vertito: vere primo serito. Porcas pedes quinos latas facito: eo stercus minutum addito, consari- to glebasque comminuito4. Infine, anche per il termine

plaustrum (carro) si nota lo stesso fenomeno, dato che

al capitolo 2 si trova plostrum: boves vetulos, armenta

delicula, oves deliculas, lanam, pelles, plostrum vetus, ferramenta vetera, servum senem, servum morbosum, et si quid aliut supersit, vendat5.

Per quanto riguarda i regionalismi, il linguaggio agri- colo, in particolare quello dei lavoratori manuali, do- veva essere caratterizzato da una presenza più marcata rispetto a quello riscontrabile in altri linguaggi tecnici, come quello medico: il ceto dei lavoratori della terra, in- fatti, non viene raggiunto dalle innovazioni linguistiche né subisce l’influsso normalizzatore della scuola6.

Ai grandi proprietari terrieri, uomini colti, erano noti termini greci e stranieri, strumento di esibizione o frutto di erudizione. Varrone e Columella, ad esempio, si ri- chiamano esplicitamente alla forma greca di alcuni voca- boli latini, per mezzo di espressioni come Graeci vocant,

Graeci appellant. Sono frequenti anche occasioni in cui

l’esibizione del termine greco da parte di autori colti e bi- lingui deriva dalla consapevolezza che il loro pubblico di proprietari terrieri è ugualmente bilingue ed ellenofilo. I grecismi vengono utilizzati per designare nomi di pian- te mediche e aromatiche, principalmente di origine afri- cana e asiatica, poiché greca è stata la civiltà che li ha trasmessi ai Latini. Ad esempio il termine latino ane-

sum per indicare l’anice, viene dal greco ἄννησον, così cominum dalla parola greca κύμινον, entrambi presenti

nel capitolo 121 del De agri cultura: Mustaceos sic faci-

to: farinae siligineae modium unum musto conspargito; anesum, cuminum, adipis p. II, casei libram, et de virga lauri deradito, eodem addito, et, ubi definxeris, lauri fo- lia subtus addito, cum coques7. Come mette in luce Bo-

scherini, il termine greco κόμμις designa la secrezione gommosa di una pianta egiziana: inserito nel mondo la- tino con il termine cummis, nell’ambiente italico indica il prodotto resinoso di qualsiasi pianta8. Certo è che in

quell’ambiente lo si trova ormai profondamente penetra- to, non solo per la chiusura della vocale interna o in u, ma soprattutto perché Catone al capitolo 69 lo testimonia in un capitolo legato ad un’operazione inerente alla fabbri- cazione dell’olio, che era antichissima: quella di spalmare internamente di una sostanza gommosa e impermeabile gli orci nuovi per renderli adatti ad accogliere l’olio: ubi

arebit, cummim pridie in aquam infundito, eam postridie deluito9. I vocaboli connessi con la fabbricazione dell’o-

lio come amurca e cupa erano penetrati dal mondo greco al mondo italico in un periodo molto antico.

Ben radicato nel lessico latino è serpellum che deriva

dal greco ἕρπυλλος incrociato con serpo. Al capitolo 73 Catone consiglia l’uso di questa pianta insieme al farro e al sale in un medicamento per buoi che appare di tradi- zione antica e magica: eam pellem et far et salem et ser-

pullum, haec omnia una conterito cum vino, dato bubus bibant omnibus. Per aestatem boves aquam bonam et liquidam bibant semper curato: ut valeant refert10.

Per quanto riguarda i termini agricoli, infine, uno solo dei grecismi presenti nel De agri cultura viene utilizzato da Catone per designare una mansione: epistata, al capi- tolo 56, deriva dal termine greco ἐπιστάτης, che indica un sorvegliante di operai. Sorprende il vocabolo greco, considerando che nel lessico latino esisteva il termine

custos: forse è un riflesso di quell’organizzazione rigida

del lavoro che si conosce dai documenti ellenistici e che comincia a diffondersi anche nel mondo romano11: Fami-

4. “Dove seminerai il cipresso, farai uno scasso di 2 palate [60 cm]: all’inizio

della primavera seminerai. Farai le porche [strisce di terreno rialzate rispetto al livello del suolo, comprese tra due solchi, con la funzione di canalizzare l’acqua di precipitazione] larghe 5 piedi [1,5 m]: vi spargerai sterco sminuz- zato, sarchierai bene e sminuzzerai le zolle”.

5. “Buoi invecchiati, bestiame e pecore in cattivo stato, lana, pelli, carri vec-

chi, ferraglie in disuso, schiavi anziani, schiavi malaticci; se ha qualcos’altro di superfluo, lo venda”.

6. I. Mazzini, Storia della lingua latina (II), op. cit., p. 232.

7. “Così farai i mostaccioli: bagnerai di mostro 1 moggio [8,6 kg] di farina

di frumento bianco; vi aggiungerai aneto, cumino, 2 libbre [6 hg] di strutto, 1 libbra [3 kg] di cacio, e strapperai un rametto di alloro; quando avrai impa- stato, aggiungerai, sotto, le foglie di lauro, mentre cuocerai”.

8. S. Boscherini, Grecismi nel libro di Catone De agri cultura, Loescher,

Firenze 1959, p. 148.

9. “Quando saranno asciugati, il primo giorno metterai della resina in acqua;

il giorno dopo la diluirai”.

10. “Quando vedrai una pelle di serpente, la prenderai e la metterai in serbo,

per non doverla andare a cercare quando se ne abbia bisogno. Questa pelle, e farro, e sale, e serpillo, tutte queste cose, le triterai insieme e le darai da bere ai buoi, insieme a vino. Durante l’estate farai attenzione che i buoi bevano sempre acqua buona e chiara: è importante perché stiano bene”.

11. S. Boscherini, Grecismi nel libro di Catone, op. cit., p. 156.

Marco Porcio Catone detto il Censore (Tuscolo 234 a.C. – Roma 149 a.C.), si distinse per essere il portavoce di una cultura conservatrice e moralistica, che si opponeva all’ellenizzazione dei costumi e della società.

liae cibaria. Qui opus facient: per hiemem tritici modios IIII, per aestatem modios IIIIS; vilico, vilicae, epistatae, opilioni: modios III; compeditis: per hiemem panis p. IIII, ubi vineam fodere coeperint panis p. V, usque adeo dum ficos esse coeperint: deinde ad p. IIII redito12.

Non stupisce che il ricorso al greco sia quasi nullo e solo limitato al nome di piante o erbe che i Romani cono- scono tramite la civiltà ellenica. Nell’ambito agricolo, infatti, il lessico latino era più ricco, considerando la concretezza della lingua latina stessa rispetto a quella greca, tanto è vero che molte parole, che più tardi hanno preso un senso più vasto, erano in origine termini tecni- ci dell’agricoltura: laetus si diceva in origine di una ter- ra ben concimata, felix della fertilità del suolo, sincerus di un miele senza cera, frugi del raccolto, putare, prima che “pensare”, significava “mondare”, poi “segnare con una tacca su un bastone”, e da qui “calcolare”13.

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 69-71)