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Il rigore metodico

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 86-88)

La problematizzazione critica non ha senso se è fine a se stessa, lo acquista nella misura in cui si pone al servizio del tentativo di superare i limiti di una tesi/teoria, cioè di trovare una soluzione al problema sollevato. Per riuscirci riteniamo occorra in primo luogo il rigore metodico, inteso in generale come la capacità di studiare a fondo, analitica- mente e metodicamente tutti i dati afferenti a un problema. Tale capacità, a nostro avviso, si compone di una va- riegata tavolozza di elementi definibili positivamente in termini di scrupolo filologico, attenzione ai dettagli, esigenza di precisione, consequenzialità logica, ponde-

ratezza o riflessività, perseveranza; e negativamente in termini di assenza di pressappochismo, genericità, va- ghezza, precipitazione, analogicità scriteriata.

Forse, in questo senso, il rigore metodico si potrebbe sintetizzare in un’unica parola – “matematicità” –, dal momento che storicamente, a partire quantomeno dai pitagorici, la matematica è stata concepita e praticata come lo strumento conoscitivo di maggior rigore meto- dico e il cui uso, perciò, garantisce la massima appros- simazione alla verità. Nonostante le numerose e autore- voli voci dissenzienti, prima di tutte quella di Aristotele, la rivoluzione scientifica moderna ha poi sancito il ruolo fondante della matematica nelle scienze della natura e la rivoluzione scientifica contemporanea lo ha ancor più valorizzato. Nel frattempo la matematica ha fatto il suo ingresso, seppur in tono minore, anche nelle scienze so- ciali e perfino nelle discipline umanistiche.

Nondimeno, ci guardiamo bene dall’identificare il ri- gore metodico con la matematica. Siamo infatti consa- pevoli dei limiti della trattazione matematica e quindi della necessità di altri strumenti metodici in particola- re nelle discipline umanistiche, ma non solo. Anche se la matematica di oggi non è quella di ieri e quindi for- se nemmeno quella di domani, nel senso che anche la matematica è una conoscenza in via di sviluppo che ha riservato sorprese in passato – basti pensare ai frattali – e potrebbe riservarne di ancora più grandi in futuro. Vogliamo dire che ciò che oggi può apparire ragionevol- mente incompatibile – p.e. l’associazione di matematica e poesia – domani, in base a nuove scoperte matemati- che, potrebbe dimostrarsi sempre meno tale.

In ogni caso, abbiamo parlato volutamente non di “ma- tematica” ma di “matematicità” proprio per riferirci non all’attuale disciplina matematica, ma a un più generico ideale di rigore metodico, che storicamente è incarnato soprattutto dalla matematica. In questo senso, rientra a pieno titolo nel nostro concetto di matematicità la logi- ca, intesa sia come logica simbolico-formale sia come logica retorico-argomentativa. Dunque, il rigore metodi- co include la padronanza, oltre che della matematica in senso stretto, anche delle procedure e delle regole delle inferenze induttiva, deduttiva e abduttiva, e dei diversi tipi di ragionamento, ovvero di argomentazione – p.e. l’argomentazione dialettica, ossia la dimostrazione per assurdo –, nonché la conoscenza dei vari tipi di bias lo- gici – a cominciare da quello di conferma – e di fallacie argomentative – p.e. petitio principii, ad ignorantiam, ad

personam, ecc. – e ancora della logica modale, che di-

stingue e norma l’uso di asserzioni possibili o necessarie. In questo quadro, l’impostazione metodologica di Anti- seri ci sembra riduttiva, incardinata com’è sull’inferenza deduttiva e sul modus tollens, cioè il modo logico della

confutazione (“Se p allora q, ma non q, quindi non p”). Al contrario, quella di Agazzi ci sembra più completa proprio in quanto conferisce all’indagine scientifica sia l’arma della deduzione sia quella dell’induzione e alla comprova dell’esito non solo la smentita ma anche la conferma, sulla base del modus ponens (“Se p allora q, ma p, quindi q”).

Questa differenza logica tra Antiseri e Agazzi, come si è visto, deriva dal diverso ruolo e peso da essi attri- buito all’osservazione empirico-sperimentale: mentre per Antiseri, in linea con Popper, questa non interviene in alcun modo nell’ideazione di un’ipotesi teorica, ma solo nella fase del suo controllo finale; secondo Agazzi, invece, l’esperienza è un elemento fondamentale della ricerca scientifica, sia come presupposto dell’ideazione di una nuova ipotesi teorica sia come referente del suo esame finale di veridicità.

Sotto questo aspetto, ci sembra di poter rilevare una sintonia tra la proposta metodologica di Agazzi e l’ars

cogitandi di De Bono. Questi, infatti, presentando il

“cappello bianco”, afferma:

Purtroppo il pensiero occidentale, con le sue abitudini argo- mentative, preferisce prima formulare una conclusione, e poi addurre i fatti che la sostengono. Nel tipo di pensiero che io propongo, invece, prima si fa la mappa, e poi si sceglie il per- corso. Ciò significa che dobbiamo avere i fatti e le cifre prima di ogni altra cosa. Chiedere di pensare con il cappello bianco è un buon modo per chiedere che fatti e cifre siano esposti in maniera neutra ed oggettiva.14

In questa prospettiva, continua De Bono, il cappello bianco indica la capacità di vagliare i fatti, distinguendo tra fatti creduti, e quindi solo possibili, e fatti accertati, e quindi reali: “La regola fondamentale del pensiero col cappello bianco è di non fare affermazioni che pongano il fatto a un livello più alto di quello che gli compete”15.

Su questa base, De Bono propone di utilizzare una “scala della verosimiglianza” dei fatti che va da “sempre vero” a “mai vero” passando per gradi intermedi come “in gene- rale”, “a volte”. In ogni caso il bianco, secondo De Bono, è il colore della neutralità, e quindi indica la capacità di essere imparziali e obiettivi nel giudicare l’attendibilità di fatti e dati, ovvero la capacità di neutralizzare i propri pregiudizi e le proprie preferenze, o repellenze, pulsionali.

Saverio Mauro Tassi Docente, Liceo Scientifico

14. E. De Bono, Sei cappelli per pensare. Manuale pratico per ragionare

con creatività ed efficacia, Rizzoli, Milano 2018 (ed. or.: Six Thinking Hats,

Little Brown and Company, 1985), p. 35.

(a cura di Giovanni Gobber - Università Cattolica, Milano)

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 86-88)