• Non ci sono risultati.

Purgatorio: la giustizia riparativa

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 50-52)

L’ordinamento morale del Purgatorio conserva almeno due delle leggi valide nell’Inferno: al peccato più grave corrisponde una poena damni più grave, quindi una mag- gior lontananza da Dio; tra colpa e pena si stabilisce un legame, generalmente più chiaro che nell’Inferno, forse per il minor numero delle tendenze peccaminose espiate nel Purgatorio. Due sono anche le differenze principali: 1. la transitorietà della pena, inevitabile, poiché il Pur- gatorio è soggetto al tempo, dovendo dissolversi nel mo- mento del giudizio universale; 2. la relazione completa- mente diversa che si instaura tra i penitenti, e tra loro e i vivi, Dante compreso. Mentre ogni dannato costituisce un aggravio di pena per ciascun altro, in una guerra di tutti contro tutti in cui viene coinvolto anche Dante per- sonaggio, in Purgatorio si instaura una relazione di co- munione: siamo di fronte a una vera e propria comunità, in cui ciascuno dei membri è pronto ad aiutare l’altro: con la preghiera, con la solidarietà nella penitenza, con l’assistenza reciproca. L’aiuto che i penitenti offrono a Dante e Virgilio perché trovino la strada giusta rovescia l’inganno di Malacoda; la preghiera dei penitenti per i vivi e la richiesta che i vivi preghino per loro contesta l’individualismo totalmente irrelato dei dannati, che di- scende dalla risposta del primo omicida, Caino («Sono forse il guardiano di mio fratello?»), la quale presuppone quella separazione ontologica tra le persone che inve- ce Dio rifiuta: ciascuno è responsabile di suo fratello, e in questo legame è la radice della giustizia. Le poenae

sensus del Purgatorio non sono meno dolorose di quelle

dell’Inferno e vi sussiste anche la poena damni. Quel che è cambiato è il criterio della pena, la legge che le ispira: infatti, l’ordinamento dell’Inferno si fonda, sostanzial- mente, sui criteri morali fissati da Aristotele nell’Etica

Nicomachea (cfr. If XI), tavola dei vizi e delle virtù della

Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna 1920), Paolo e Francesca, 1909, olio su tela, Galleria Civica d’Arte Moderna, Ferrara.

civiltà precristiana, che pone al culmine la giustizia. La distribuzione dei penitenti nel Purgatorio avviene inve- ce secondo i sette peccati capitali (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria). Ma questa partizione, che è la più evidente, è anche, in realtà, la più estrinse- ca, poiché Dante pone l’accento, più che sul vizio, sulla virtù che ad esso si oppone e lo redime. I superbi, ad es., purgano certamente, portando i grossi massi che li schiacciano a terra, la superbia, ma più ancora, e meglio ancora, percorrono la via che li conduce all’umiltà, sulla quale, infatti, alcuni di loro sono più avanti di altri. L’in- vidiosa Sapia parlando di sé usa un’espressione signi- ficativa: «con questi altri / rimendo qui la vita ria» (Pg XIII 106-107). Anche se alcuni codici portano la lezione «rimondo» (cioè purifico, risano), «rimendo», che vale “rammendo”, “ricucio”, è da preferire, non solo perché stabilisce un collegamento con il tormento degli invidio- si, che consiste nell’avere le palpebre cucite tra loro con fil di ferro, ma perché segnala la funzione della pena, che non è di cancellare la colpa come se non fosse sta- ta commessa (a ciò provvederà, alle soglie del Paradiso terrestre, l’immersione nel Lete), ma quella di ricucire uno strappo, di risanare una ferita. Il comportamento malvagio ha provocato una frattura non solo nella vita del penitente, che è divenuta «ria», ma anche nella vita di tutti, in particolare di tutte le vittime: sia per i danni inferti, sia per la perversione provocata dal contagioso contatto con il male (anch’esso, come il bene, diffusi-

vum sui, per dirla con san Tommaso), come ci ricorda

Manzoni in un ammonimento da mandare a mente: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualun- que modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi» (I promessi sposi, cap. II). L’incessante scambio di preghiere che va dalle ani- me penitenti ai vivi e da questi a quelle è uno dei fili che ricuciono le ferite inferte dai peccatori a sé stessi e agli altri, nonché alla relazione che li lega. L’atteggiamento delle anime del Purgatorio è quello sintetizzato, non a caso in una dichiarazione corale, dai penitenti tardivi: «pentendo e perdonando, fora / di vita uscimmo, a Dio pacificati» (Pg V 55-56). La forte allitterazione che lega i due gerundi sottolinea lo stretto legame tra pentimento e perdono: pentirsi delle proprie colpe significa aprirsi al perdono, pronti sia a donarlo sia a riceverlo. Allora la pena non costituisce un disvalore, come nell’Inferno, tanto che il dannato non l’accetta; i penitenti, al contra- rio, la accettano sino al punto da sentire l’esigenza di cambiarle addirittura denominazione, di chiamarla non pena ma gioia: «io dico pena – dichiara Forese – e dovria dir sollazzo» (Pg XXIII 72). Ci troviamo nell’ambito del-

la pratica di una giustizia riparativa, motivata dal perdo- no e dal pentimento e tesa alla ricucitura delle ferite e al ristabilimento delle relazioni; anche una «pena» così crudele come quella inflitta a Forese può diventare un «sollazzo», purché il peccatore ne riconosca sia la fon- datezza sia la funzione riparativa, per sé e per la comu- nità di cui fa parte (il modello è quel Cristo il cui amore per gli uomini lo condusse «lieto a dire ‘Elì’, / quando ne liberò con la sua vena», Pg XXIII 73-74). Inferno e Purgatorio sono dunque due mondi geograficamente ac- costati (pur se incomunicabili), paragonabili tra loro, ma i criteri di giustizia che vi si applicano sono diversissi- mi. Il criterio informatore della prima cantica è l’etica classica, nell’ordinamento che ne dà Aristotele, quello della seconda è la legge dell’amore. Nel Purgatorio l’ac- cento va quindi posto, come ha ben visto la Chiavacci Leonardi, non tanto sui peccati capitali, quanto sulle beatitudini che l’angelo proclama ad ogni passaggio di cornice: nell’ordine, l’umiltà, la misericordia, la man- suetudine, la sollecitudine, il distacco dai beni terreni, la temperanza, la castità. Il testo fondativo è il discorso della montagna, o delle beatitudini, riportato da Matteo (cap. 5) e, in una redazione più breve, da Luca (6, 20-38). La nuova legge proclamata da Cristo in quel discorso supera e corregge l’antica; allo stesso modo il Purgatorio supera e corregge l’Inferno, sullo sfondo dell’apparente identità costituita dal ricorso ai tormenti. Come la «la- grimetta» versata in limine mortis da Buonconte svela la vanità del saio indossato da suo padre Guido, allo stesso modo la giustizia del Purgatorio supera e corregge quel- la dell’Inferno, svelando tutti i vincoli che ancora legano quest’ultima al modello retributivo, retaggio di civiltà che non hanno conosciuto Cristo.

Dante Gabriel Rossetti (Londra 1828 - Birchington-on-Sea 1882), Paolo e Francesca da Rimini, 1855, acquerello su carta, Tate Gallery, Londra, Inghilterra.

S

tudi

Nel documento Il poema del desiderio (pagine 50-52)