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I rapporti tra integrazione economica e assimilazione culturale delle seconde generazioni immigrate

ASSIMILAZIONE CULTURALE

3. II Modello di Acculturazione Interattiva (IAM) e le politiche di integrazione

3.4. Il modello politico di integrazione ispirato all'ideologia etnicista

L'ideologia etnicista tende in particolare a definire chi, in nome della propria etnia o cultura di appartenenza, può o non può essere definito cittadino (collegando, a volte, il diritto di cittadinanza al principio dello jus sanguini, Kaplan, 1993)

Il modello considera l'immigrato come un ospite temporaneo di cui lo stato tutela le diversità incoraggiando il mantenimento dei legami col paese d'origine in vista di un probabile ed auspicabile rientro in patria.

Le politiche statali si aspettano che gli immigrati e le minoranze nazionali adottino i valori pubblici della maggioranza dominante, ma stabiliscono che lo stato ha il diritto di limitare l'espressione dei valori privati tramite la repressione di alcune attività religiose, linguistiche e culturali delle minoranza.

In tali stati, la nazione è composta dal gruppo etnico ancestrale, che viene definito in base alla nascita o a relazioni di parentela.

Così, agli immigrati o alle minoranze nazionali che non condividono questa relazione di parentela può essere negato l'accesso ad alcuni servizi dello stato, come l'educazione o la previdenza sociale; inoltre, questi gruppi possono essere segregati da un punto di vista territoriale e abitativo e possono essere esclusi da lavori nella pubblica amministrazione o nel privato.

Criticato per l'implicita concezione della differenza vista come innata e quindi immodificabile, questo modello favorisce la separazione dal contesto ospitante. Bourhis et al. (1997) lo considerano come una conseguenza di un'ideologia etnicista e vedono nella politica della Germania un esempio della sua applicazione.

In base agli eventi politici, economici, demografici o militari verificatisi a livello nazionale e internazionale, le politiche di integrazione dello stato possono spostarsi da un orientamento ideologico all'altro.

Il Modello di Acculturazione Interattiva sostiene che l'adozione di queste politiche di integrazione dello stato possa riflettere e anche influenzare gli orientamenti di acculturazione della maggioranza dominante, così come le più generali opinioni riguardanti le modalità preferite o ideali di integrare le minoranze all'interno della società dominante. Possono emergere tensioni politiche tra fazioni della maggioranza dominante che hanno punti di vista ideologici opposti sui problemi dell'immigrazione e dell'integrazione.

La polarizzazione delle posizioni ideologiche relative a tali questioni può portare alla formazione di partiti politici, che hanno, come punto fondamentale del loro programma, il cambiamento delle politiche statali relative all'immigrazione e all'integrazione.

Mentre i partiti di centro-sinistra possono adottare politiche pubbliche che si avvicinano al polo pluralistico del continuum ideologico, molti partiti nazionalisti o religiosi di destra possono sostenere le politiche di integrazione situate al polo assimilazionista o etnicista del continuum.

Le politiche di integrazione attivate dai governi comunali, regionali e nazionali creano un clima intergruppi che può influenzare gli orientamenti di acculturazione adottati dalla maggioranza dominante e dai singoli immigrati.

Le politiche di integrazione, posizionate lungo il nostro continuum ideologico pluralista-etnicista, possono essere individuate anche all'interno delle culture organizzative di imprese internazionali, nazionali o regionali, e dei mass- media.

Allo stesso modo, si possono individuare politiche di integrazione formali o informali all'interno di organizzazioni religiose, club sportivi, associazioni culturali, circoli ricreativi, sindacati e gruppi di sensibilizzazione locali.

Le politiche di integrazione situate lungo il nostro continuum possono essere abbastanza concordanti o discordanti attraverso queste reti governative, imprenditoriali ed associative, che, prese insieme possono generare un clima intergruppi, che può essere visto come accogliente o non accogliente dai membri dei gruppi di immigrati. (Mancini, 2006)

In alternativa ai modelli precedenti, l'ideologia multiculturale, che, come l'ideologia pluralista e civica rifiuta il progetto assimilazionista in nome del mantenimento delle specificità culturali, rimanda al più recente dibattito filosofico sul rapporto tra diritti collettivi e libertà individuali.

Kymlicka (1995, 1999), filosofo liberale, ha sostenuto che una società realmente pluriculturale dovrebbe riconoscere diritti universali; per tutti gli individui, indipendentemente dalle loro specifiche appartenenze, e diritti particolari, differenziati per gruppo, a favore di coloro che appartengono a minoranze.

Secondo Kymlicka (1995,1999), nelle nazioni a pluralismo multinazionale, come appunto il Canada, in cui convivono gli anglofoni, i francofoni e gli indigeni (indiani, inuit e métis) e gli Stati Uniti d'America, in cui sono presenti una molteplicità di minoranze tra cui gli indiani d'America e gli indigeni delle Hawaii, il concetto di nazione si sovrappone a quello di popolo.

Un'altra tipologia di pluralismo culturale è invece quella che deriva dai flussi migratori internazionali.

Il pluralismo plurietnico, così viene definita da Kymlicka la seconda tipologia di pluralismo culturale, si realizza in particolare quando gli stati nazionali accolgono al proprio interno gli immigrati, riconoscendo loro un certo grado di specificità. ricordiamo che oltre al Canada, agli Stati Uniti e all'Australia, che attraggono da soli oltre la metà dei flussi migratori mondiali, e oltre all'Olanda e alla Gran Bretagna che, in Europa, rappresentano gli stati

maggiormente pluralistici, anche l'Italia può ormai essere definita come uno stato plurietnico.

Accanto a queste forme di pluralismo si sta inoltre oggi sempre più affermando una tipologia di pluralismo interculturale che, frutto dei processi di globalizzazione, travalica i confini degli stati e dei territori nazionali mescolando culture che tendono a ricomporsi in combinazioni originali.

Nella globalizzazione coesistono due movimenti complementari. Il primo, più visibile, va dal centro alla periferia, il secondo va dalla periferia al centro .

Come tuttavia ha messo in luce Mantovani (2004), tali teorie tendono non raramente ad entrare in conflitto con le teorie democratiche ed egalitarie, principalmente a causa del fatto che le richieste di riconoscimento e di diritti speciali vengono avanzate da minoranze che non riconoscono al proprio interno i diritti essenziali della persona umana.

L'esempio forse più noto riguarda la condizione della donna e le restrizioni poste alla sua libertà all'interno di determinate culture.

Vari sono d'altro canto gli autori che, anche nel dibattito italiano, mettono in guardia dagli effetti negativi che possono derivare dalla prevalenza di un'ideologia multiculturale.

Alcuni hanno sottolineato in particolare come questa concezione delle diversità possa diventare la causa di un'esplosione delle differenze e delle richieste di riconoscimento, favorendo in tal modo la separazione e la chiusura rispetto agli altri gruppi (Colombo, 2002); altri hanno denunciato l'attuazione di una "multicultura a mosaico", caratterizzata da una rigida separazione fra gruppi (Mantovani, 2004); altri ancora hanno messo l'accento sul rischio di una ulte- riore identificazione ed esclusione dei gruppi etnici minoritari dalla partecipazione quotidiana alla vita politica, economica, sociale degli stati ospitanti (Berry et al., 1992); altri hanno parlato infine di relativismo culturale e del rischio di una legittimazione indiscriminata di tutte le culture, anche di quelle che mettono in atto pratiche lesive dei diritti più fondamentali della persona (Sen, 2006).

Sullo sfondo di una società sempre più plurale, diventa allora importante distinguere quali sono o possono essere le diverse tipologie di gruppi che, entrando in contatto tra loro, realmente, virtualmente e tramite la circolazione di merci, beni e servizi, producono cambiamenti nei comportamenti, negli atteggiamenti e nel grado di benessere dei gruppi e degli individui che ne sono parte. Distinguendo le società pluriculturali dalle società a mescolanza culturale (melting-pot) Berry, Portiga, Segali e Dasen (1992) hanno richiamato a questo proposito l'attenzione sulla posizione di status e di potere dei gruppi di acculturazione nelle società plurali.

In tal senso è possibile distinguere, soprattutto all'interno delle società a "mescolanza culturale", gruppi culturali che occupano posizioni diverse in termini di potere economico, politico e numerico: i gruppi dominanti, maggioritari o autoctoni che generalmente sono implicati solo marginalmente nei cambiamenti determinati dall'incontro tra culture diverse; e i gruppi dominati o minoritari che sono generalmente rappresentati dalle minoranze etnico-culturali.

Ma la dimensione dello status, del potere e del dominio, che indubbia- mente incide in modo rilevante sui processi di acculturazione dei membri che sono parte degli uni e degli altri, non è l'unica dimensione che differenzia i gruppi maggioritari o minoritari di una realtà pluriculturale.

Berry e Sam (1997) hanno distinto i gruppi di acculturazione sulla base di tre dimensioni che definiscono rispettivamente l'autodeterminazione o volontarietà del contatto, la mobilità geografica e la permanenza sul territorio.

L'incrocio di queste dimensioni dà conto delle diverse ragioni che possono giustificare la presenza di particolari gruppi culturali all'interno di un determinato contesto sociale e della specificità che il loro processo di acculturazione può assumere.

I membri di alcuni gruppi etnico-culturali possono entrare in contatto con altri gruppi a seguito di una decisione volontaria, come accade per molti immigrati o per i gemellaggi tra comuni di nazioni diverse; altri per motivi che non dipendono dalla loro volontà, come accade ai rifugiati politici o agli indigeni.

Per quanto riguarda la mobilità, alcuni gruppi possono entrare in contatto con altri gruppi rimanendo dove sono sempre stati (ad esempio, le popolazioni indigene, le minoranze linguistiche), altri ancora muovendosi in un nuovo contesto (ad esempio, gli immigrati e i rifugiati).

Tra questi ultimi, Berry e Sam hanno tracciato infine una distinzione tra coloro che fanno parte in modo relativamente permanente della società plurale (ad esempio, gli immigrati e i rifugiati) e coloro che ne fanno parte solo tem- poraneamente (ad esempio, gli studenti, i lavoratori temporanei, i delegati e i diplomatici).

Parte Seconda