• Non ci sono risultati.

Strategie e processi di acculturazione delle seconde generazioni negli studi di riferimento

Modello di acculturazione basato sulla concordanza ( CMA )

2. Le strategie acculturative 1 Le strategie acculturative e il modello di Bohuris

2.3. Strategie e processi di acculturazione delle seconde generazioni negli studi di riferimento

Phinney (1990) spiega che gli adolescenti, appartenenti ad una minoranza etnica, come tutti i migranti, possono scegliere fra quattro possibilità di acculturazione:

- assimilazione come tentativo di adottare la maggior parte di norme e regole della cultura dominante a spese di quelle del proprio gruppo;

- marginalizzazione; implica vivere nella cultura di maggioranza sentendosi estranei;

- separazione; implica il sentirsi uniti ai membri della propria cultura, respingendo la cultura di maggioranza;

- biculturalismo, ovvero la capacità di mantenere i legami sia con la cultura dominante che con la propria.

Gli studi suppongono che il biculturalismo sia l'approccio più adatto per molti adolescenti, poiché permette loro di conservare le norme d'entrambe le culture, dominante e di minoranza, e di scegliere fra queste a seconda delle circostanze (Phinney, 1990).

La conoscenza della lingua del paese ospitante e un'identità etnica consapevole e valorizzante, sono elementi di acculturazione positiva. Un altro fattore che rafforza il processo d'acculturazione, è il supporto familiare (Liebkind, 1994, 1996; Phinney e Chavira, 1995, Wentzel e Feldman, 1996).

La letteratura sostiene che l'integrazione consista nell’acquisizione dell’identità biculturale e rappresenti la modalità migliore di acculturazione (Berry, 1997; Sam, Virta, 2003).

Questa strategia permette un'immagine positiva di Sé, di sviluppare relazioni sociali soddisfacenti e di trovare un modo personale di inserirsi nella nuova realtà, pur restando legati alla comunità di origine che funziona da supporto e mantiene viva una percezione valorizzante di appartenenza (Quintana, Chao, Cross, Hughes, Nelson-Le Gall, Aboud, Contreras-Grau, Hudley, Liben, and Viete, 2006).

Tale modalità di integrazione propone la contemporanea valorizzazione dei propri valori etnici e l’adattamento alla nuova società ospitante (stile dell’alternanza dell’identità) quindi permette di aprirsi alla nuova cultura, ai suoi saperi e di aspirare a possibilità di promozione, pur riconoscendosi nel contesto culturale di origine.

Anche LaFromboise, Coleman e Gerton (1993) sostengono che l'identità biculturale sia la più adattiva, soprattutto per gli adolescenti.

Attraverso la costruzione di una doppia identità (Schimmenti 2001), l'adolescente integra i valori delle differenti culture e soprattutto struttura un duplice senso di appartenenza. Questo aspetto è stato confermato in uno studio condotto in quattro nazioni da Phinney e colleghi (2001). La ricerca, che ha visto coinvolto un campione di adolescenti, ha cercato di esplorare le nozioni di identità etnica e nazionale (separatamente o in combinazione).

In generale, è emerso che gli adolescenti con una identità integrata ot- tengono risultati migliori nell' adattamento psicosociale e nella stima di sé rispetto ai soggetti con un'identità marginale.

L'atteggiamento marginale, rifiuta i comportamenti della nuova società e quelli del proprio gruppo. La marginalità e la strategia peggiore di acculturazione, perché può generare sentimenti di sconfitta e di fallimento, produce tattiche di difesa deboli e inadeguate sul piano personale/identitario e su quello dell'inseri- mento sociale.

Questa posizione di chiusura verso il nuovo può essere negativo per la formazione dell'identità dell'adolescente per il quale il confronto con i pari è elemento indispensabile per la costruzione dell'identità personale e sociale che, altrimenti, risulta da tradizioni e valori assommati senza rielaborazione e quindi senza specificità storica e culturale.

La letteratura sottolinea la rilevanza delle scelte che il giovane immigrato compie tra gli elementi della cultura dei genitori che vuole mantenere e quelli che rifiuta, in una strategia di acculturazione adattiva e ricorsiva di meticciamento tanto più difficile quanto differenti sono le culture di origine e del paese ospitante (Falcone, 2005; Farley, Alba, 2002; Boyd, 1998, 2002; Colombo, Sciortino, a cura di, 2002)

Ambrosini (2005), individua, riguardo all'inclusione delle seconde generazioni, almeno tre approcci:

- strutturalista o della discriminazione permanente che tende ad evidenziare, soprattutto in Europa (i contesti statunitense, canadese e australiano risultano più ospitanti rispetto l’insediamento permanente degli immigrati, in Europa fa eccezione la Svezia) la persistente discriminazione dei figli degli immigrati nell'ambito occupazionale ed in quello formativo ed educativo.

Le seconde generazioni ambiscono a ruoli e posizioni sociali coerenti con i percorsi formativi e scolastici. L'assimilazione come atteggiamento di acculturazione comporta la scelta di non mantenere la propria cultura di origine e di favorire contatti frequenti con la cultura ospitante e con altri gruppi presenti nel contesto.

Come Dubet (1994) ha sottolineato, riferendosi alle nuove generazioni di immigrati in Francia, il processo di assimilazione culturale sostenuto in nome dei valori repubblicani comuni e della cittadinanza si è sostanziato in una laicizzazione delle pratiche religiose e in una generale omologazione alle aspirazioni e ai gusti della propria classe d'età e del gruppo sociale dominante.

Questo tipo di assimilazione, quando associato alla consapevolezza delle differenze e dell'attribuzione di tali differenze da parte del contesto ospitante, può tuttavia condurre a situazioni di disagio legate alla mancanza di ancoraggi identitari. Come hanno evidenziato gli scontri nelle banlieus francesi avvenuti nel novembre 2005, “questa mancanza di ancoraggi può portare a situazioni di anomia quando non anche di conflitto”, come ha sostenuto lo storico Jacques Le Goff intervistato da Pietro del Re per "La Repubblica" (7-11-2005).

“Si chiamano così, Beurs, nel gergo dei sobborghi diventato linguaggio comune, i figli o i nipoti degli immigrati, I quali non sono più autentici magrebini, perché sono nati in Francia e hanno studiato nelle scuole laiche della République, ma che non si sentono neppure autentici francesi, pur avendone spesso la nazionalità, perché sanno di non essere accettati come veri cittadini. Non basta un passaporto per essere tali, per usufruire di tutti i diritti enumerati ed esaltati dalla retorica ufficiale repubblicana imparata sui banchi di scuola, il più delle volte disertati, per rifiuto o disaffezione” (Valli, "La Repubblica", 6 novembre 2005).

- Neo-assimilazionista che evidenzia come i processi di assimilazione tra i figli degli immigrati si producano attraverso l’apprendimento della lingua del paese di insediamento che agevola l’avanzano negli studi, l’impiego in occupazioni al di fuori delle specializzazioni etniche e le unioni miste.

Il processo sociale di assimilazione è implicito, non voluto e invisibile, si ripercuote sulla sfera socio-economica opponendosi all'emarginazione e alla segregazione.

Il neo-assimilazionismo abbandona gli aspetti più ingenui e normativi del vecchio assimilazionismo, secondo i quali gli immigrati avrebbero dovuto mutare stili culturali e sistemi valoriali tradizionali per aderire alla lingua, alla cultura, alle tradizioni della società ospitante.

Brubaker (2001) sottolinea, tra gli altri, due aspetti importanti il primo affema che l’assimilazione è un processo sociale che avviene a livello aggregato, non intenzionale e invisibile, conseguenza di azioni e scelte individuali; il secondo ritiene che l’assimilazione vada perseguita normativamente non in campo culturale, bensì a livello socio-economico per opporsi alla segregazione.

Queste ipotesi di ricerca trovano riscontro teorico ed empirico nei contesti extraeuropei più aperti all’immigrazione (Canada, Australia, Stati Uniti).

- Intermedio che introduce il concetto di assimilazione segmentata.

Consiste nel problematizzare il generico concetto di assimilazione domandandosi in quali ambiti, per quali aspetti, con quali componenti della popolazione autoctona, gli immigrati (e in modo particolare le seconde generazioni) tendono ad assimilarsi. Si afferma che si verificano esiti differenti in base alle differenti minoranze immigrate e ai differenti livelli di istruzione dei genitori.

La dissonanza tra una socializzazione culturale implicitamente riuscita e un'esclusione socio-economica causata da una società discriminante, soprattutto nell'accesso al lavoro, può comportare la contemporanea presenza di un'assimilazione culturale e di una non-integrazione sociale.

Tale situazione può tendere a produrre fenomeni di invenzione dell' etnia come identità simbolica oppositiva nei confronti dell'esclusione e della non integrazione.

Gli studi di Portes e Rumbaut (2001, 2003, 2004) costituiscono le premesse per le ricerche di Ambrosiani (2005) che definisce una tipologia di

strategie di acculturazione intergenerazionali.

Nel contesto delle metropoli americane, Portes (1995) individua alcuni processi definiti come downward assimilation (assimilazione dei giovani migranti nell’ambito di comunità marginali urbane miste costituite da autoctoni socialmente svantaggiati e da popolazione immigrata). In tali contesti ghettizzati si introietta la convinzione che superare la discriminazione sia impossibile e che qualsiasi impegno risulti inutile a produrre un miglioramento apprezzabile.

Le scuole non offrono opportunità ai minori, ma sono discriminanti su basi di razza e di classe socio-economica.

In particolare i giovani maschi, privi di modelli positivi, senza prospettive occupazionali e di conseguenza di ruolo di conduzione di una futura famiglia, soffrono maggiormente la marginalità e acquisiscono comportamenti borderline; parallelamente cresce il numero di donne giovani sole con figli (Zhou, 1997). Nell’esclusione sociale e nella deprivazione economica si radica una cultura oppositiva anticipatoria di vissuti di disistima e fallimento.

Gli studi hanno messo in evidenza come la coesione della comunità di appartenenza e gli investimenti educativi della famiglia di origine, pur in un contesto urbano di esclusione, producono gradi differenti di integrazione in ambito scolastico e professionale dei minori .

Zhou (1997), pone in rilievo come l’identità etnica comune sia elemento favorente la cooperazione per superare gli svantaggi strutturali. Ambienti chiusi, con alti tassi di controllo giovanile, socio-economicamente integrati, favoriscono la conformità ai valori tradizionali familiari, l’impegno scolastico ed evitano l’acculturazione in ambiti sociali deboli della società autoctona americana.

La rete etnica costituisce una sorta di capitale sociale che influenza l’integrazione dei figli nella società ospitante con azioni di sostegno e di controllo favorendo lo sviluppo di comportamenti in grado di rompere il circolo vizioso dello svantaggio e di agevolare la mobilità sociale.

Portes (2004) pone la riflessione sull’assimilazione segmentata in termini normativi. Dal tradizionale modello di assimilazione, di origine europea, in cui i genitori incoraggiano i figli ad abbandonare la lingua originaria per assimilarsi velocemente, propone il modello di acculturazione selettiva.

I genitori immigrati non desiderano più che i figli adottino acriticamente gli stili di vita dei coetanei del paese ospitante.

Le ricerche più recenti dimostrano che molte minoranze incoraggiano l’apprendimento di un inglese americano corretto e fluente, pur mantenendo la lingua originaria . Analogamente tendono a trasmettere il rispetto di norme, valori e cultura di provenienza.

Portes, afferma che tale strategia acculturativa determini un’integrazione più efficace attraverso l’uso del capitale sociale della comunità di appartenenza come veicolo per migliorare le opportunità dei figli nel successo educativo e

professionale. Una verifica di questa tesi dimostra che gli studenti bilingui in modo fluente hanno maggiore autostima, aspirazioni più elevate e profitto scolastico superiore alla media.

L’acculturazione selettiva è ritenuta la strategia più idonea a rafforzare i valori familiari e comunitari, proteggendo la seconda generazione dalla discriminazione esterna e dalla minaccia della downward assimilation.

Strategie acculturative intergenerazionali