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Acculturazione, identità e seconde generazion

COLLETTIVITICA VISIONE INDIVIDUALISTICA

2. Le seconde generazioni 1 Le categorie per definire i giovani immigrat

2.2. I giovani adolescenti immigrati e il contesto sociale

2.2.1 La rilevanza sociale della seconda generazione

L’Italia si presenta senza tradizioni migratorie esterne di lungo periodo, ma ricca di memorie del proprio passato migratorio. Per la sua posizione geografica in Europa è in prima linea relativamente al controllo dei flussi migratori irregolari (De Stefani, Butticci, 2005 ).

Pur offrendo ai migranti, soprattutto in alcune aree del paese, opportunità economiche, propone un modello di integrazione subalterna, condizionata dal tema della insicurezza legata ai rischi di radicalizzazione dell’islam immigrato e della criminalità di importazione (Frisina, 2007).

Schimmenti (2001) sostiene che l'esperienza migratoria si caratterizzi per una serie di fasi, tra le quali si individuano:

- l’impatto (impact) nella nuova realtà, caratterizzata da un periodo di euforia iniziale dovuta al senso di libertà raggiunto e di rilassamento; - la ripercussione (rebound), spesso accompagnata da sentimenti di

delusione, rabbia e scontentezza diffusa;

- la fase di coping, ovvero di reazione alle difficoltà incontrate;

- la fase di regressione e ricarica emotiva, che si realizzano attraverso un contatto simbolico con il proprio paese di origine.

Recentemente, la letteratura ha considerato i fattori contestuali che influenzano lo sviluppo delle strategie di coping tra i giovani (Clauss-Ehlers, Yang & Chen, 2006). Questi autori hanno evidenziato, nei loro studi come una forte identità etnica e di genere sia predittiva di comportamenti resilienti in risposta a situazioni stressanti nella fase di acculturazione.

Le ricerche spesso confermano la relazione positiva tra integrazione e benessere psicosociale. Ciò non è comunque sempre valido per tutti i soggetti in tutti i contesti d’immigrazione e per qualsiasi gruppo di minoranza etnica. Bisogna infatti tenere conto della molteplicità dei fattori individuali e socio- culturali legati alla posizione sociale del gruppo di appartenenza (Phinney et al., 2001).

L’identità etnico-culturale è complessa e multidimensionale e può essere concettualizzata come l’insieme di atteggiamenti, sentimenti e percezioni del livello di aggregazione ed appartenenza verso il proprio gruppo etnico, cui si aggiungono atteggiamenti positivi e negativi verso le interazioni ingroup/outgroup (Ting-Toomey et al, 2000).

Se il giovane immigrato è in grado di attribuire un valore alla propria appartenenza, il senso di identità etnica può costituire tutela ed essere uno dei fattori che contribuiscono a favorire buone strategie di coping, se il gruppo di appartenenza è fortemente stigmatizzato, il legame con la propria cultura può interferire con il senso di autostima e di self-efficacy costituendo elemento di rischio.

In Italia, a differenza dei paesi europei più settentrionali dove tale fenomeno risulta più longevo, le seconde generazioni sono una realtà recente.

In particolare, le seconde generazioni di adolescenti, per chi studia il fenomeno immigrazione, pongono la necessità sociale di individuare i fattori protettivi e i probabili agenti di rischio legati sia all'esperienza migratoria sia al processo di adattamento nella società di accoglienza.

L'adolescenza è una fase molto delicata dello sviluppo individuale, poiché comporta oltre a cambiamenti fisici e psichici, la transizione dall'età infantile a quella adulta.

Generalmente, la società e la cultura d'origine assicurano un riferimento all'adolescente, supporto che viene meno agli adolescenti immigrati i quali, sospesi tra culture diverse, hanno difficoltà nel mantenere la stabilità emotiva (Schimmenti, 2001).

Ciò appare significativo soprattutto per quei ragazzi nati in Italia da genitori immigrati, definiti come la generazione del sacrificio, che si percepiscono della nazionalità del paese ricevente senza di fatto essere riconosciuti come tali né dai propri genitori né dalla società, né dalla scuola o da altre istituzioni.

Le seconde generazioni immigrate vivono la tensione tra l’immagine sociale modesta e collegata ad occupazioni marginali dei loro genitori e l’acculturazione agli stili di vita e alle rappresentazioni delle gerarchie occupazionali acquisita attraverso la socializzazione nel contesto delle società riceventi.

La seconda generazione è percepita non più come immigrazione temporanea per lavoro, ma come immigrazione di popolamento, durevole e definitiva e perciò rende incerto l’atteggiamento di accettazione dell'immigrato, basato sul presupposto della provvisorietà. (Sayad 2002,Baldassare e al. 2005).

Ricongiungimenti familiari, nascita dei figli e loro scolarizzazione incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente producendo un processo di progressiva cittadinizzazione dell’immigrato, ossia “un processo che lo porta ad essere membro e soggetto della città intesa nella più larga accezione del termine” (Bastenier e Dassetto, 1990;Saulini, 2006).

La nascita e la socializzazione dei figli dei migranti, anche indipendentemente dalla volontà dei soggetti coinvolti, producono uno sviluppo delle interazioni, degli scambi, dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitante, rappresentano un punto di svolta dei rapporti interetnici e determinano la consapevolezza della trasformazione irreversibile nella geografia umana e sociale dei paesi in cui avvengono.

“Da questa prospettiva, il problema delle seconde generazioni si pone, non perché i giovani di origine immigrata siano culturalmente poco integrati, ma al contrario perché, essendo cresciuti in contesti economicamente più sviluppati, hanno assimilato gusti, aspirazioni, modelli di consumo propri dei loro coetanei

autoctoni. L’essere giovani, per i rischi di non conformismo, di condizione popolare, di sospetto di non accettare lo status quo, di origine straniera, quindi non pienamente accettati come membri della società, determina una condizione sociale in cui si manifestano fattori che catalizzano timori, diffidenze e pregiudizi negli osservatori (studiosi, autorità pubbliche, insegnanti, datori di lavoro…). La scuola e la società rispondono con la tutela, esplicita o implicita degli assetti consolidati, ma sperimenta al contempo nuove forme di coesione sociale e inedite identità culturali, fluide, composite, negoziate quotidianamente, in un incessante bricolage di antico e recente, di tradizionale e moderno, di ascritto e acquisito, di elementi trasmessi dall’educazione familiare ed elementi acquisiti nella socializzazione extrafamiliare” ( Ambrosini, 2005).

La problematica delle seconde generazioni pone ineludibilmente la questione della trasformazione sociale complessiva: demografica (la presenza

di questa popolazione di giovani si collocherà, oggi e domani, in fasce di età che la trasformazione demografica italiana vede particolarmente rarefatte), economica, culturale, valoriale.

Il modo in cui le seconde generazioni si rapportano e interagiscono con la società accogliente condiziona le relazioni sociali per le generazioni che da essa scaturiscono, ma retroagisce anche su quella precedente(Bedogni, 2004 ).

Nei paesi con una storia più lunga di immigrazione, l’esperienza dei figli degli immigrati si è posta all’attenzione delle scienze sociali.

In USA e in Europa, si discute se l’integrazione degli attuali immigrati di seconda generazione sia più difficile di quella dei discendenti delle precedenti ondate migratorie. Nel caso americano è oggetto di dibattito il confronto tra le vecchie migrazioni, arrivate all’incirca tra il 1880 e il 1920, e le nuove migrazioni, giunte dopo la riforma legislativa del 1965. Le prime erano in larga prevalenza di razza bianca e provenivano dall’Europa (con una importante componente italiana). Le seconde sono invece soprattutto extra-europee, asiatiche e latino- americane, e si distinguono per una diversità razziale che induce ad etichettature discriminatorie.

Una parte degli studiosi che si sono occupati del confronto tra queste due diverse ondate migratorie ha posto in rilievo le accresciute difficoltà dell’integrazione delle seconde generazioni di oggi, giungendo a parlare di declino delle seconde generazioni (Gans, 1992). Portes e Rumbaut (2001) sottolineano in proposito l’incidenza di due ordini di fattori:

- I. le trasformazioni dell’economia verso una struttura socio-

economica post-fordista “a clessidra” (hourglass economy), in cui

stanno scomparendo le occupazioni industriali stabili e i gradini delle carriere gerarchiche tradizionali, che offrivano agli immigrati e specialmente ai loro figli la possibilità di inserirsi nella classe media, e di puntare eventualmente, con le generazioni successive, verso i livelli superiori delle gerarchie professionali (il tipico percorso from peddler to plumber to professional);

- II. la differenza etnica, così come viene percepita e stigmatizzata

dalla società ricevente. La caratterizzazione razziale si trasmette

inevitabilmente alle seconde generazioni, data anche l’incidenza delle unioni omogame (ossia con partner appartenenti allo stesso gruppo etnico), e continua a influire sui loro destini, anche quando l’assimilazione linguistica e culturale ha raggiunto stadi avanzati. Perlmann e Waldinger (1997), ridimensionano la tendenza verso l’affermazione di una struttura economica polarizzata, con il declino delle classi medie, individuando nelle economie etniche urbane una offerta di opportunità.

Quanto alla razza, Perlmann e Waldinger rilevano che gli immigrati europei dei primi del ‘900 erano percepiti e classificati come appartenenti a razze diverse da quella bianca.

G. Stella (2002), ricorrendo anche a documentazione iconografica tratta da giornali dell’epoca, ha raccontato i pregiudizi che hanno accompagnato l’insediamento degli immigrati italiani in America e nel Nord dell’Europa .

Le definizioni delle differenze etniche non costituiscono il punto di partenza per l’analisi delle forme di discriminazione, bensì gli esiti di processi di costruzione sociale discriminante.

I paesi europei di più antica immigrazione offrono differenti visioni da parte degli studiosi che si occupano del fenomeno.

Una parte delle analisi sulle seconde generazioni riprende l’impianto strutturalista degli approcci che muovono dal presupposto della discriminazione sistematica degli immigrati: anche i figli degli immigrati sono permanentemente svantaggiati e condannati all’esclusione dalle occupazioni migliori. L’insuccesso scolastico sanziona la discriminazione sociale.

Dati di ricerca ci dicono che la Francia, con politiche di tipo assimilazionista ha prodotto punti di forza nell’istruzione e nell’acculturazione, ma esprime criticità sul piano dell’integrazione lavorativa. Tale modello si è sempre posto l’obiettivo di rendere francesi gli immigrati entro la prima generazione, incoraggiando la naturalizzazione degli adulti e concedendo automaticamente la cittadinanza ai figli nati sul territorio.

L’uguaglianza di principio si è accompagnata con l’invisibilità nella sfera pubblica delle pratiche culturali delle minoranze etniche, con la scarsa considerazione rivolta alla trasmissione dell’eredità culturale da una generazione all’altra, con la negazione di ogni riconoscimento collettivo della presenza di popolazioni di origine immigrata ( Simon 2003). Secondo l’ inchiesta condotta da Tribalat (1995), i maschi algerini sono più sensibili delle ragazze all’immagine svalorizzata dei padri e cercano di sfuggire al destino di riprodurla. Si forma così uno scarto tra l’immagine sociale a cui questi giovani aspirano e l’immagine negativa che la società francese ha di loro.

L’aggregazione dei giovani intorno ad identità religiose ed etniche (arabi, maghrebini) e l’insorgere di manifestazioni, anche violente, di conflitto sociale nelle periferie ad alta concentrazione di popolazioni immigrate viene quindi interpretata da diversi studiosi come l’effetto della dissonanza tra socializzazione culturale implicitamente riuscita ed esclusione socio-economica.

In questo senso la diversità religiosa, riscoperta come tratto identitario e oppositivo, può diventare il catalizzatore di una condizione di esclusione, una sorta di razionalizzazione e riappropriazione soggettiva della marginalità: mi discriminano perché sono musulmano, ma io non voglio integrarmi in questa società; oppure anche, e a volte contemporaneamente, il luogo di formazione di

nuove identità e pratiche sociali che aiutano a reggere la discriminazione e a recuperare una visione positiva di se stessi.

Collocati in una situazione oggettiva di esclusione economica e sociale, questi giovani si sentono detestati da una società che non riserva loro alcuno spazio.

L’islamizzazione serve loro, prima di tutto, per riorganizzare il senso della vita. Diventare musulmano significa aumentare l’autostima e dotarsi di un’identità socialmente riconoscibile (Hervieu-Léger, 2003).

La Germania invece ottiene discreti risultati occupazionali, ma ha scarsa capacità di integrazione sul piano legale, educativo e identitario. Thränardt (2004) critica l’idea che l’insuccesso educativo sia dovuto al peso delle culture familiari d’origine, specialmente se extraeuropee, turca in particolare, ponendo in luce i livelli molto differenti di successo scolastico raggiunti anche dai figli di immigrati europei: a differenza di spagnoli e greci, che hanno i risultati migliori, i ragazzi di origine italiana si attestano al di sotto del livello dei turchi. Thränardt interpreta queste differenze in relazione alla capacità di auto-organizzazione, di negoziazione e di rappresentazione del proprio insediamento temporaneo e orientato al ritorno oppure alla stabilizzazione, delle popolazioni immigrate, ponendo in rilievo il diverso interesse a partecipare alle decisioni sociali, interagendo con le istituzioni della società ricevente.

Pur con difficoltà, il modello inglese produce buoni risultati nel sistema formativo, ma ineguaglianze nel mercato del lavoro e perduranti strutture minoritarie a livello sociale.

In Gran Bretagna, altro paese con una solida tradizione di impegno contro le discriminazioni, ricerche analoghe hanno prodotto gli stessi risultati: nel settore medico, negli anni’ 90, i ricercatori scoprirono che, a parità di curriculum, i candidati con un nome asiatico avevano la metà delle possibilità di essere ammessi a un colloquio di selezione per un posto in ospedale, rispetto a quelli con un nome anglosassone. Uno studio della Law Society, negli stessi anni, scoprì che era almeno tre volte più difficile diventare procuratore legale per i candidati di colore rispetto a quelli di razza bianca, e che anche soltanto il suono straniero del cognome rendeva più probabile la bocciatura. Di conseguenza, alcuni giovani di

origine asiatica cambiano nome, assumendone uno inglese, per superare il primo ostacolo ed essere almeno ammessi a sostenere un colloquio di selezione.

In ogni caso, sembra essere il paradigma nazionale, se pur complesso e sistemico, a condizionare, in modo prevalente, gli esiti dell’integrazione anche se le risorse e i percorsi individuali e familiari, l’appartenenza a un gruppo etnico valorizzato o svalorizzato, il genere pesano nel determinare i processi di socializzazione e a differenziare le seconde generazioni dagli altri migranti nella formazione, nell’inserimento lavorativo ed economico, nelle relazioni, negli stili di vita.

La pluralità delle presenze etniche prevalenti nei vari contesti nazionali, la composizione etnica del quadro migratorio d’insieme all’interno di ciascun paese, con frequenti minoranze nelle minoranze, determinano contesti multipli.

Si riscontra che nella percezione sociale spesso il concetto di seconda generazione si trasforma in uno stereotipo rifiutato, in primo luogo, dalle persone per le quali è stato pensato (Archer, Waterman,1994).

L’approccio di studio deve essere inevitabilmente multifattoriale e connettere dimensioni quali la condizione lavorativa, generazionale, culturale, civile, etnica interagenti tra di loro, creando percorsi individuali, ma al contempo di gruppo, differenziati. Le molteplici traiettorie di inserimento, possono portare a tensioni rilevanti sia sul piano individuale sia su quello sociale.

Le modalità analitiche della maggior parte degli studi sulle seconde generazioni risentono del limite di sistemi statistici basati sulla nazionalità e, in virtù della diffusione del rispetto della privacy individuale, vi è scarsa tracciabilità statistica delle seconde generazioni adulte, una volta che abbiano acquisito la naturalizzazione, come se la nazionalità, di per sé, costituisca integrazione (Altschul, Oyserman, and Bybee, 2006).

In letteratura sono significativi gli studi sui comportamenti anomici ed oppositivi dei giovani dei quartieri urbani, comportamenti risultanti non da estraneità ai modelli sociali prevalenti, ma, dal successo del processo di acculturazione che non trova nel contesto socioeconomico le opportunità per concretizzarsi e si riflette nell’interiorizzazione e nella pratica di modelli antagonisti di tipo integralista culturale e religioso.

Per contro, si rilevano buoni risultati di inserimento economico soprattutto tra le popolazioni di origine asiatica, cinese in particolare, cui non corrispondono se non minimali livelli di inserimento sociale.

La ricerca finora ha teso a concentrarsi sui casi patologici o di grande impatto mediatico, spesso senza collocarli in prospettiva generale.

Se si vuole misurare l’integrazione sociale dei giovani di seconda generazione si deve introdurre una prospettiva di ricerca che li distingua non solo sulla base del loro passaporto, ma anche della lingua parlata in casa, del grado d’adesione e d’identificazione che mostrano nei confronti del paese d’accoglienza, del paese di nascita dei genitori per stabilire differenze fra un gruppo e l’altro secondo criteri che non siano solo quelli del paese d’origine e della nazione/regione d’accoglienza, ma tenendo conto delle dimensioni identitarie, del genere e del maggiore/minore senso d’appartenenza a una comunità, anche se risultano più difficili da interpretare.

La nascita e la socializzazione di una nuova generazione rappresenta un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze ormai insediate in un contesto diverso da quello della società d’origine, impone esigenze di individuazione, di rielaborazione e trasmissione del patrimonio culturale, nonché dei modelli di educazione familiare.

Il problema dell’identità culturale, del suo passaggio da una generazione all’altra, dei processi di costruzione dell’identità, emergono rispetto alla ridefinizione dell’integrazione sociale delle società riceventi (Demarie, 2003).