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Acculturazione, identità e seconde generazion

1. Migrazioni, acculturazione e identità Migrazioni e acculturazione

Le migrazioni possono avvenire all'interno dello stesso paese, tra paesi e continenti diversi, per periodi definiti oppure possono dare luogo a trasferimenti permanenti. Sono volontarie o obbligate da motivi familiari o di lavoro (Chryssochoou, 2006).

Il fenomeno migratorio è determinato da due nuove tendenze: l'allungamento della durata del soggiorno e l’aumento di migrazioni familiari con conseguente incremento del tasso di residenza definitiva ( Basso, Perocco, 2002).

La globalizzazione dell'economia, nella sua forma attuale, comporta la globalizzazione del mercato del lavoro, nonostante molti governi adottino misure restrittive per limitare gli ingressi ( Melotti, 2004 ).

Le cause delle migrazioni vengono comunemente classificate in due tipologie di fattori (push and pull factors, Vogler & Rotte, 2000):

- fattori di espulsione ( disoccupazione elevata o sottoccupazione, povertà, conflitti armati, degrado dell'ambiente e disastri naturali, violazioni dei diritti nei paesi di partenza, ecc.)

- fattori di attrazione economica, sociale e culturale, determinati da un’offerta di opportunità maggiori e da una migliore qualità della vita. Si delinea uno scenario composito che, accanto ai cambiamenti di natura economica e politica, determina una serie di correlati di tipo psico-sociale legati ai possibili esiti dei percorsi migratori in termini di integrazione nel nuovo tessuto sociale e di massimizzazione dei possibili vantaggi, tanto per le persone coinvolte quanto per la società di accoglienza.

La presenza degli immigrati induce, a livello di immaginario collettivo, l’utilizzo delle categorie di inclusione e esclusione, di cittadino e straniero.

Il termine straniero, nella definizione che ne dà Simmel, è ambivalente in quanto si riferisce ad una accezione che contrappone l’essere inserito nella società come produttore di ricchezza all’essere esterno in quanto non cittadino: "egli è,

insieme, vicino e lontano, escluso e incluso. Viene da fuori, ma ormai è parte integrante del gruppo. Occupa nella comunità una posizione marginale, ma positiva, che consiste nel rafforzare la posizione interna, nel promuovere il cambiamento sociale, nello svolgere una funzione economica rifiutata dagli altri membri o non adatta ad essi" (Simmel, 1908, p. 580).

Nelle ricerche si identificano le minoranze nazionali come minoranze linguistico-culturali stabilitesi in uno stato-nazione prima della creazione dello stato da parte della maggioranza dominante (es. Bretoni e Corsi in Francia; Baschi e Catalani in Spagna; Scozzesi e Gallesi in Inghilterra; Inuit e Francesi in Canada; Ladini e Sud-tirolesi in Italia ) e le minoranze immigrate come minoranze linguistico-etnico-culturali stabilitesi in uno stato-nazione dopo la creazione dello stato da parte della maggioranza dominante (es. la prima generazione di immigrati nati fuori del paese ospitante e i loro figli, che appartengono alla seconda generazione).

In genere, le maggioranze culturali garantiscono diritti linguistici e culturali più cospicui alle minoranze nazionali che alle minoranze immigrate.

Gli immigrati e le minoranze nazionali hanno in comune la vulnerabilità alla tolleranza o intolleranza delle maggioranze dominanti nell'ambito degli stati nazionali.

Nei processi migratori il diffuso spostamento di persone implica il contatto continuo e diretto con i membri delle società ospitanti e produce processi di acculturazione, cambiamento nella configurazione culturale originaria di uno o di entrambi i gruppi, negli atteggiamenti, nei comportamenti, nei sistemi di valori, nei vissuti di identità, sia personale sia collettiva.

Il migrante, per la sua particolare esperienza di spostamento in diversi ambiti geografico-culturali e da un gruppo sociale ad un altro nella società ospitante, entra in contatto con diversi ambienti culturali, intersecando i due livelli.

Come hanno evidenziato Berry e Sam (1997), solo considerando entrambi i livelli di analisi, è possibile cogliere quelle variazioni interindividuali che, anche all'interno di uno stesso gruppo culturale, rendono conto dei diversi

gradi di adesione e di partecipazione ai cambiamenti culturali sperimentati dalla propria comunità/gruppo di appartenenza.

Il processo acculturativo coinvolge in modo reciproco, seppur in modo diverso, sia i gruppi etnici minoritari, sia le società che li accolgono.

Il processo di sviluppo individuale, in cui l’identità si trasforma, determina il processo di cambiamento sociale in cui la cultura d’origine viene reinterpretata e ricostruita.

I cambiamenti avvengono tanto a livello individuale, quanto a livello di gruppo in relazione alla sfera sociale, economica e politica. (Chryssochoou, 2004; Esses, Dovidio, Semenya & Jackson, 2005; Ryder, Alden & Paulhus, 2000).

Diversi fattori sociali e individuali, contemporanei e pregressi alla situazione contingente, concorrono in varia misura a determinare la riuscita o meno del processo acculturativo (Chryssochoou, 2006).

I processi di acculturazione, al pari di quelli legati alla strutturazione e allo sviluppo del concetto di sé e dei processi di identificazione, descrivono una delle complesse dinamiche attraverso le quali le persone negoziano, attraverso un confronto con il proprio gruppo di appartenenza e con quello rappresentato dalla cultura ospitante, le componenti etnico-culturali dell'identità.

Gli elementi identitari, oggetto dei processi di negoziazione, sono rappresentati sia dal mantenimento della propria cultura di origine, sia dall'adozione di altre culture ed in particolare di quella del contesto ospitante.

L’integrazione prevede che gli immigrati mantengano la loro identità culturale adottando alcune caratteristiche importanti della comunità ospitante transitando verso il biculturalismo e il pluralismo culturale.

In merito ai rapporti tra gruppi etnici diversi, all'interno dei contesti multiculturali, Berry (2001) distingue due principali orientamenti di studio.

Il primo fa riferimento all'analisi dei rapporti intergruppi derivante dalla teoria dell'identità sociale ( orientamento prevalente negli studi delle modalità con cui si è caratterizzato il processo migratorio in alcuni paesi dell'Europa occidentale).

Il secondo, centrato maggiormente sui processi di acculturazione, deriva dalla tradizione di ricerche nord-americane, assunta a punto di riferimento per gli

studi sulle condizioni che facilitano e/o ostacolano il benessere psico-sociale delle persone immigrate.

E’ opportuno ricordare ( anche se tale filone si pone a latere delle riflessioni su questo lavoro) lo studio dell’effetto della cosiddetta minaccia da stereotipo: sentirsi a rischio di confermare stereotipi negativi che riguardano il proprio gruppo di appartenenza può generare nell’individuo un tale livello di ansia da inficiare le sue prestazioni, esponendolo alla frustrazione di ottenere una verifica concreta dei suoi timori (Chryssochoou, 2006; Dovidio, Kawakami, Gaertner, 2002).

Se l’acculturazione avviene attraverso un processo, imposto dall’esterno, di sostituzione della cultura di origine con la nuova cultura si parla di deculturazione.

Tale termine indica i casi di contatti interculturali nei quali la cultura, i valori e i modi di vita di un gruppo di più debole vitalità etno-culturale sono erosi e alla fine destrutturati dal contatto prolungato con un gruppo di maggior vitalità etno- culturale (Bourhis et al.,1997) .

Un adattamento negativo al processo di acculturazione con effetti spesso patologici (perdita di autostima, marginalità sociale e disagio, sentimenti di emarginazione, confusione d'identità, vari sintomi psicosomatici) è denominato stress di acculturazione.

In tale status i riferimenti culturali e identitari sono attivati quasi esclusivamente per preservare l'individuo sottoposto alle tensioni dovute ai cambiamenti (Berry, 1974, 1989).

La modalità di acculturazione, le caratteristiche del gruppo acculturante (età, status, sostegno sociale), gli atteggiamenti individuali nei confronti del fenomeno migratorio, il contesto sociale ospitante determinano il rapporto tra acculturazione e stress.

Alcuni individui possono vivere i cambiamenti come molto stressanti, altri come positivi o come occasioni. Il concetto di stress da acculturazione si verifica quando le risposte adattive di una persona sono insufficienti per far fronte all'adattamento al nuovo ambiente culturale. (Berry, Poortinga, Segall e Dasen, 1992).

Nel momento in cui un soggetto deve fare i conti con un evento così importante, ha la necessità di ricostruire la propria vita. Oberg (1960) descrive questo fenomeno come shock culturale considerandolo un momento di disorientamento culturale dovuto all'immersione in un ambiente dove simboli, ruoli e comportamenti sociali sono radicalmente diversi.

Il senso di sofferenza, di perdita che lo straniero percepisce avrebbe una durata di almeno due anni dal momento di arrivo nel Paese ospitante. Lo shock culturale comprenderebbe cinque fasi: luna di miele (euforia, eccitamento, ottimismo); irritazione ed ostilità; regressione; adattamento graduale, e infine biculturalismo (Brown, 1986).

La teoria dello shock culturale sembra implicare che l'acculturazione sia un problema solo per i nuovi venuti, i quali dovrebbero tentare di adattarsi.

Berry ( 1980, 1992, 1998 ), Furnham & Bochner, (1986) sostengono che, quando i cambiamenti possono essere gestiti in un contesto accogliente, l'acculturazione diviene esperienza di apprendimento come conseguenza positiva dell'adattamento e determina modificazioni cognitive e di comportamento neutrali o positive sull'interazione sociale.

Ogni cultura consiste in modelli espliciti ed impliciti per comportamenti acquisiti e trasmessi mediante simboli, rappresenta il sedimento di costruzione collettiva di senso, strutturato e codificato nel linguaggio, nelle pratiche discorsive, nel complesso degli artefatti, in idee storicamente derivate e nei valori ad esse correlati (Lévi-Strauss C., 1973; Geertz C.,1973).

I sistemi culturali possono essere considerati, da una parte, come prodotti di azioni, dall’altra, come elementi condizionanti azioni future.

Nel 1952, Kluckhohn e Kroeber raccolsero più di 150 definizioni di cultura. Secondo i due studiosi è possibile riferirsi alle seguenti undici categorie per sintetizzare la portata semantica del concetto di cultura:

- il modo di vivere di un popolo;

- l’eredità sociale che l’ individuo acquisisce nel gruppo di appartenenza;

- un determinato e riconoscibile modo di pensare, di sentire, di credere;

- un’astrazione derivata dal comportamento;

- una teoria antropologica sul modo in cui si comporta un certo gruppo di persone;

- il sapere collettivo di un certo popolo;

- un insieme di orientamenti standardizzati verso problemi ricorrenti;

- un comportamento appreso;

- un meccanismo di regolazione normativa del comportamento; - l’insieme delle tecniche per adattarsi al proprio ambiente di

riferimento;

- una matrice, una mappa, una certa porzione di storia.

Ne consegue che il concetto di cultura rappresenta il modello di vita inteso nel suo aspetto oggettivo come sistema di significati condiviso da un gruppo sociale e trasmesso nel corso delle generazioni (Berry J. W., Poortinga Y.H., Segall M.H., Dasen P.R., 1992).

In questo senso la cultura fornisce al singolo sia un insieme di conoscenze, sia una guida di comportamento (Kroeber, 1974).

Le due visioni culturali che permettono di cogliere alcune importanti differenze tra i comportamenti sociali delle varie culture del pianeta sono: collettivismo e individualismo (Hofstede, 1980). Hofstede ha analizzato i dati a livello nazionale.

Il primo modello, tipico delle culture asiatiche e latino-americane, fa riferimento al sé collettivo, del gruppo di appartenenza, piuttosto che al sé individuale, dà priorità agli obiettivi del gruppo piuttosto che ai propri, regola il comportamento sulla base delle norme del proprio gruppo, concepisce i rapporti sociali come comunanza di modi di sentire e non come ricerca di un beneficio per i propri interessi.

Di contro, il modello individualista, proprio dell’Europa occidentale e settentrionale, del Nord America, dell’Australia e della Nuova Zelanda, fa riferimento al sé individuale, inteso come indipendenza dal gruppo, dà priorità agli obiettivi individuali, utilizza gli atteggiamenti individuali e non le norme

collettive come regole di comportamento, cerca relazioni sociali solo se utili a trarre benefici individuali ( le teorie collettiviste o individualiste sono richiamate per tracciare un vocabolario condiviso, senza pretesa di approfondimento).

Alcune ricerche (Triandis, 1995) sostengono che nelle culture individualistiche:

1) viene data priorità agli obiettivi e ai successi personali; 2) si pensa che il comportamento delle persone sia in relazione

con i loro atteggiamenti;

3) il concetto che le persone hanno di sé è costruito in modo indipendente rispetto alle relazioni sociali;

4) le differenze individuali vengono enfatizzate;

5) le relazioni sociali sono caratterizzate dalla competizione. Mentre nelle culture collettivistiche:

1) viene data priorità alle norme culturali;

2) il comportamento individuale è il risultato dell'acquiescenza alle norme del gruppo;

3) il concetto che le persone hanno di sé riflette un' interdipendenza con i ruoli e con le relazioni sociali dell'individuo;

4) si enfatizzano posizioni/ruoli;

Il rapporto tra individuo e società nelle due visioni può essere sinteticamente descritto dalla tabella seguente :

FATTORI VISIONE