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Il percorso evolutivo del concetto di CSP

La Corporate Social Performance e le sue relazioni con le CEO characteristics e la performance economico-finanziaria

7.2 Dalla Corporate Social Responsibility (CSR) alla Corporate Social Performance (CSP)

7.2.2 Il percorso evolutivo del concetto di CSP

Gli studi sulla performance sociale d'impresa affondano le loro radici nella teoria generale dei sistemi, che ha iniziato ad avere particolare risalto nel corso degli anni '50 del XX secolo. Più nello specifico, la CSP vede le sue origini nel contributo di Boulding (1956), il quale definì l'impresa come un sistema aperto, strettamente interconnesso con altri sistemi all'interno dei diversi contesti in cui opera. Questa particolare concezione dell'azienda si posizionò all'opposto rispetto a quelle che erano le più affermate teorie dell'impresa, come lo scientific management di Taylor (1911) e la teoria della burocrazia di Weber (1948), che vedevano l'organizzazione come un sistema chiuso che agiva in modo strutturato e perfettamente razionale (Wood, 2010).

Se come sostenuto da Boulding (1956) - e come accade nella realtà - l'impresa è un sistema aperto, ciò significa che per svolgere le sue attività essa si avvale delle risorse disponibili nel contesto in cui opera e in questo immette tutto ciò che produce, vale a dire prodotti o servizi. Seguendo questa prospettiva la CSP può essere intesa come l'insieme dei “danni e dei benefici che emergono dall'interazione dell'organizzazione economica con il suo ambiente di riferimento” (Wood, 2010), siano essi di natura sociale, culturale, legale, politica economica e ecologica. L'assunto morale implicito in questa interpretazione di CSP è che l'impresa dovrebbe prefiggersi l'obiettivo di aumentare quanto di positivo viene prodotto dalle sue attività e di diminuire o eliminare le negatività frutto delle stesse o di altre attività.

Nel 1970 la responsabilità sociale d'impresa, concetto ancora piuttosto confuso e per certi aspetti anche ambiguo, lasciò il posto alla corporate social responsiveness, che sostituì alla responsabilità la responsività, definita da Frederick (1978) come “la capacità di un'azienda di rispondere alle pressioni sociali”. Alcuni anni dopo lo stesso Frederick (1994) definì questa fase con la sigla CSR2, spiegando che al centro dell'attenzione degli studiosi vi erano le modalità grazie alle quali le imprese tentavano di rispondere alle richieste provenienti dal contesto sociale. La principale differenza tra la CSR e la CSR2 si riscontrava nel fatto che per quest'ultima le imprese avrebbero cercato di risolvere i problemi della comunità e dei vari attori che ne fanno parte senza il senso etico che il concetto di responsabilità e gli obblighi e i doveri morali implicavano.

Il primo vero modello concettuale di CSP fu teorizzato da Carrol (1979). Poiché la CSR era un concetto prevalentemente suggestivo, ideologico e non misurabile, l'autore

preferì parlare di Corporate Social Performance, un'espressione che si prestava maggiormente ad aspetti più operativi. Il modello di Carrol si componeva di tre dimensioni:

a) i campi di intervento della CSR, individuati in quattro domini: economico, legale, etico e discrezionale (quest'ultimo sostituito nel 1991 dallo stesso Carrol con responsabilità filantropica). Si veda la tabella 7.1;

b) le principali questioni sociali che le imprese devono generalmente affrontare, riguardanti ad esempio i seguenti temi: protezione dei consumatori, ambiente, discriminazione, sicurezza dei prodotti, sicurezza occupazionale e azionisti; c) le modalità di risposta: reattiva, difensiva, negoziale e proattiva.

Tabella 7.1: i domini della CSR identificati da Carrol (1979) in ordine decrescente (da sinistra a destra) di attenzione che in essi dovrebbe essere riposta

Responsabilità

discrezionale Responsabilità etica Responsabilità legale Responsabilitàeconomica

L'impresa contribuisce di sua spontanea volontà a migliorare il benessere sociale

L'impresa segue le linee guida di stampo etico e sociale presenti nel contesto di riferimento e agisce in base ad esse

L'impresa rispetta le

leggi giuridiche

predisposte dalle

istituzioni dell'ambiente in cui opera

L'impresa produce beni e servizi per i suoi clienti e massimizza il profitto dei suoi proprietari e dei suoi azionisti

Fonte: adattato da Wood, 2010.

Le tre dimensioni appena descritte davano a luogo, una volta messe in relazione tra loro, a 96 diversi ambiti di valutazione della performance sociale dell'impresa. Naturalmente con l'aumentare o con il diminuire delle questioni sociali considerate il numero delle celle (e quindi degli ambiti di valutazione della CSP) diventava rispettivamente maggiore o inferiore.

Nel 1985 Wartick e Cochran aggiornarono il contributo di Carrol introducendo degli elementi aggiuntivi che donarono al concetto di CSP maggiore logica e quindi anche più solidità. Il loro modello si costituiva innanzitutto dei tre principali temi ritenuti il perno della CSR, ossia la responsabilità economica, la responsabilità pubblica e la responsività sociale. Vi facevano poi parte tre diversi fattori: i principi, i processi e le politiche; questi rappresentavano rispettivamente gli orientamenti filosofici, istituzionali e organizzativi delle imprese.

Cochran (1985), in primo luogo dal contratto sociale stipulato tra l'impresa e la comunità e in secondo luogo dal fatto che l'azienda è un soggetto morale che opera nella società.

I processi coincidevano con le modalità di risposta individuate da Carrol (reattiva, difensiva, negoziale e proattiva); in altre parole per Wartick e Cochran (1985) i processi permettono all'impresa e ai suoi manager di affrontare i mutamenti nella domanda e nelle condizioni sociali.

L'ultimo fattore era rappresentato dalle politiche, ossia quelle azioni messe in atto dalle aziende per gestire le questioni sociali; Wartick e Cochran (1985) ritengono che alcune politiche permettono alle imprese di evitare sorprese e di stabilire quali politiche sociali risultano davvero efficaci.

Il contributo successivo più importante fu quello di Wood (1991). L'autrice, dopo aver passato in rassegna la letteratura sul tema della CSP, definì anch'essa un modello per dare una panoramica più esaustiva del concetto di performance sociale d'impresa. Nel costrutto di Wood vengono identificate tre diverse categorie, ossia i principi della responsabilità sociale, i processi di responsività sociale e i risultati e gli impatti della performance sociale; queste tre categorie rappresentano rispettivamente input, processi intermedi e output, così come evidenziato nella tabella 7.2.

Tabella 7.2: le tre dimensioni del modello di Wood (1991)

Principi di responsabilità sociale Processi di responsività sociale performance socialeOutcome della

Legittimità sociale: le imprese che abusano del loro potere vengono “scoperte” dagli stakeholder, che le puniscono togliendo loro il potere acquisito

Analisi del contesto: raccogliere le informazioni necessarie al fine di comprendere e studiare i diversi tipi di ambiente (sociale, politico, legale ed etico) con cui l'impresa si relaziona

Effetti sulle persone e sulle altre organizzazioni

Responsabilità pubblica: le aziende sono responsabili degli outcome introdotti nelle aree di interazione con la società

Gestione degli stakeholder:

predisporre situazioni di

coinvolgimento attivo e costruttivo nelle relazioni con i vari portatori di interesse

Effetti sull'ambiente

naturale

Discrezione manageriale: i manager e gli altri dipendenti sono soggetti morali che dovrebbero agire secondo i valori morali ed etici presenti nella società con la quale si confrontano

Gestione delle questioni sociali e degli affari pubblici: sviluppare processi che permettano all'impresa di identificare, analizzare ed agire sulle problematiche sociali che la riguardano più da vicino

Effetti sul sistema sociale e sulle istituzioni

I principi della responsabilità comprendevano un principio di legittimità, che permetteva all'impresa di comprendere a fondo il significato della CSR, un principio di responsabilità pubblica, che faceva riferimento ad organizzazioni specifiche, e un principio di discrezionalità manageriale, concetto ripreso dal contributo di Carrol (1979) e che “ricordava” all'azienda i suoi obblighi morali verso i dipendenti in virtù della sua natura di agente morale (Wood, 2010).

A differenza dei precedenti modelli di Carrol e di Wartick e Cochran, i processi di responsività sociale individuati da Wood non riflettevano minimamente le modalità di risposta alle questioni sociali, bensì si riferivano a ben determinate tipologie di processi per valutare le condizioni ambientali, per gestire gli stakeholder e per affrontare le questioni sociali.

L'ultimo elemento del modello di Wood era costituito dagli outcome, ossia i risultati e gli impatti della CSP. L'autrice sostenne fermamente che “ciò che conta in termini di performance e risultati è ciò che accade in seguito alle azioni delle imprese e dei loro dipendenti” (Wood, 2010). Da questa affermazione si può evincere ciò che essa intende con il termine outcome, un concetto che comprende elementi quali le politiche, i programmi, le procedure, gli effetti sugli stakeholder e sulla società considerata nel complesso (Wood, 1994).

Ciò che emerge dalla prospettiva assunta da Wood (1991) in merito al concetto di CSP è che l'azienda - corporate - è il contesto dal quale scaturiscono le diverse azioni che si riflettono sugli stakeholder, sulla società e sull'impresa stessa - social

performance -. Questa interpretazione di CSP basata sulla teoria organica dei sistemi

aperti (in contrapposizione alla teoria meccanica dei sistemi chiusi) è ben lontana da assunti economici o filosofici, distinguendosi principalmente per i suoi connotati prettamente sociologici.

Prima che Wood rivisitasse per l'ultima volta nel 2010 il suo contributo del 1991, un lavoro degno di nota sul tema della CSP fu proposto da Mitnick nel 2000. Questi ampliò le classiche analisi sulla CSP prendendo in considerazione anche la questione relativa alle misure della CSP. L'autore affrontò tale argomento identificando tre distinti elementi: l'oggetto della valutazione, la misura della performance, le percezioni e le convinzioni riguardo alla performance e all'oggetto di valutazione. Egli sostenne inoltre che quello di CSP è un concetto niente affatto semplice (a differenza di quanto molti

studiosi ritenevano in passato), che vista la sua complessità necessità di strumenti a loro volta complicati per essere misurato. Servendosi degli elementi menzionati poco sopra, Mitnick illustra un modello guida - ispirato a quello di Wood del 1991 - per misurare i vari aspetti della CSP, classificandoli in seguito in positivi o negativi.

Tuttavia affrontare l'argomento della CSP in termini di comportamenti “buoni” (da attività ordinarie svolte in modo etico, fino ad azioni straordinarie come atti di beneficenza) o “cattivi” (comportamenti dell'impresa che danneggiano alcuni

stakeholder o che li costringono ad affrontare dei rischi inaccettabili) appare piuttosto

semplicistico. Mallot (1993) alcuni anni prima affermò che, seppure “i manager parlino abitualmente di responsabilità e irresponsabilità sociale come fenomeni distinti”, alcune politiche sociali potrebbero essere positive per alcuni stakeholder e negative per altri; inoltre spesso le aziende hanno opinioni differenti in merito alla responsabilità e alla irresponsabilità di alcune loro attività.

Dall'analisi del percorso evolutivo del concetto di CSP è emerso come con il trascorrere degli anni, aumentando l'attenzione verso tale argomento, gli studiosi si stiano progressivamente avvicinando ad una interpretazione largamente condivisa del significato di performance sociale d'impresa e di ciò che essa implica in termini di effetti sugli stakeholder e, più in generale, sul contesto in cui l'azienda opera. Passo successivo sarà concentrarsi più da vicino sulla CSP e su ciò che essa comporta, descrivendo in maniera particolareggiata i principali aspetti che vanno a costituirne il concetto teorico e pratico. A tal fine si provvederà nel capitolo seguente.

7.3 La Corporate Social Performance: significato ed elementi