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Il rifiuto anti-realista dell’atteggiamento dicotomico

Una concezione troppo esigente per il diritto?

9. Il costruttivismo giustificazionista nella pratica processuale

9.1. Il rifiuto anti-realista dell’atteggiamento dicotomico

La notte tra il 31 ottobre e il 1° Novembre 2007, viene uccisa Meredith Kercher, studentessa Erasmus che viveva a Perugia in una casa condivisa con altri studenti. Per l’omicidio sono stati individuati da subito, come indagati e in seguito imputati, tre soggetti: la coinquilina della vittima, Amanda Knox, il suo ragazzo, Raffaele Sollecito, e un conoscente dei tre, Rudy Guede.

La vicenda processuale ha avuto un esito quasi immediato per Rudy Guede che, avendo scelto il rito abbreviato, fu condannato in maniera definiva per omicidio in concorso. Per quanto riguarda gli altri due imputati, l’iter processuale è stato certamente più complesso. Nel 2009 entrambi furono, infatti, condannati in primo grado716 per i delitti di omicidio volontario

aggravato (anche da violenza sessuale), di violazione della legge sulle armi, di furto, di simulazione di reato e (la sola Knox) per calunnia. Successivamente, nel 2011, la Corte d’Appello assolse i due “per non aver commesso il fatto” da tutti i reati loro ascritti, con la sola eccezione del delitto di calunnia contestato ad Amanda Knox717. La Corte di Cassazione,

però, accogliendo il ricorso della Procura generale, nel 2013, annullò tale sentenza assolutoria di appello e inviò nuovamente gli atti alla Corte di appello di Firenze che, nel 2014, sancì la colpevolezza degli imputati con condanne rispettivamente di 28 anni e sei mesi e 25 anni718.

Nel 2015, la Cassazione, definendo l’intera vicenda processuale come un «percorso travagliato ed intrinsecamente contraddittorio»719, escluse, infine, definitivamente «la loro

partecipazione materiale all’omicidio, pur nell’ipotesi della loro presenza nella casa», annullando senza rinvio le condanne ai due imputati e assolvendoli «per non aver commesso il fatto», ribadendo la non univocità e contraddittorietà anche del quadro probatorio

Prima facie e, se si vuole, anche da un punto di vista meramente logico, tale caso

potrebbe sembrare quanto meno peculiare:

716 Corte Ass. Perugia, sent. 4-5 dicembre 2009 (dep. 4 marzo 2010), Pres. ed est. Massei, Est. Cristiani.

717 Corte Ass. di Appello di Perugia, sent. 3 ottobre 2011 (dep. 15 dicembre 2011), Pres. Est. Pratillo Hellmann,

Giud. Est. Zanetti.

718 Corte Ass. di Appello di Firenze, sent. 30 gennaio 2014 (dep. 29 aprile 2014).

719 Cassazione Penale, Sez. V, 7 settembre 2015 (ud. 27 marzo 2015), n. 36080. Considerazioni in diritto, punto

1) c’è una sentenza che dichiara un omicidio in concorso (l’omicidio non avrebbe potuto essere compiuto da una sola persona) con concorrenti ignoti e in assenza (ribadita in tutti i successivi giudizi) di una prospettabile condotta alternativa a quella presumibile di Knox e Sollecito720.

2) Si sono susseguiti verdetti totalmente contraddittori relativamente allo stesso fatto, agli stessi soggetti, allo stesso materiale probatorio e alle medesime imputazioni. Lo standard del ragionevole dubbio è stato di volta in volta ritenuto superato e poi non superato.

Tale vicenda processuale potrebbe essere, quindi, utilizzata da un sostenitore del costruttivismo di cui stiamo trattando per dimostrare una serie di esiti controintuitivi dell’approccio c.d. “dicotomico”. Si potrebbe, infatti, pensare che la rigidità dello schema dicotomico non sia in grado di rendere conto sempre adeguatamente (anche in termini di trasparenza verso i consociati) di: 1) situazioni probatorie come quella presentata in questo caso721, 2) esiti processuali assolutamente contraddittori722, 3) in generale del linguaggio

processuale (come si attribuisce significato e come si genera comprensione) e, nello specifico, di alcuni suoi ambiti peculiari quali, ad esempio, quelli relativi alla retorica delle parti o all’argomentazione in generale.

La logica dicotomica a livello processuale si manifesterebbe soprattutto in una serie di atti misti cognitivo-valutativi come, ad esempio: “condannato/assolto”, “testimonianza vera/testimonianza falsa”, “provato/non provato” ecc.

Nell’ottica del costruttivismo che stiamo trattando si potrebbe, allora, affermare che tale impostazione sia inadeguata sia da un punto di vista semantico (perché non dà conto delle effettive prassi linguistiche degli attori processuali) sia epistemico dato che non consentirebbe di fornire, davvero, delle valutazioni di gradualità che invece sono sempre caratteristiche dell’attività epistemica, dato che credenze e stati informativi non si sviluppano tutto o niente ma per “strati” o livelli. Del resto, se è vero che il processo non è un luogo esclusivamente

720 In tutti i gradi di giudizio si è ribadito che l’omicidio, per le peculiari modalità in cui è avvenuto, non può

essere stato compiuto da una sola persona. In particolare, si è anche esclusa la possibilità di una condotta di uno o più soggetti terzi al trio di imputati.

721 Casi in cui il materiale probatorio si colloca in una zona borderline che non permette una valutazione univoca

sul superamento della soglia dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”. Siamo in un caso di indeterminatezza semantica.

722 Cioè nei casi in cui sulla base del medesimo quadro probatorio e del medesimo insieme di imputazioni si

deputato alla ricerca epistemica pare, tuttavia, incontestabile che essa sia, forse, una delle sue parti più importanti.

Nell’ottica di tale costruttivismo l’impostazione dicotomica sarebbe allo stesso tempo troppo “forte” e troppo “debole”723. Troppo “forte” e pretenziosa, perché richiederebbe ai

giuristi di far rientrare forzosamente le prassi linguistiche, comunicative ed epistemologiche in (sole) due rigide categorie aprioristiche. Troppo “debole” perché, da una parte, non consentirebbe agli organi giudiziali di essere sufficientemente trasparenti quanto alla ricchezza e gradualità delle pratiche epistemiche e, dall’altra, non costituirebbe una modalità efficiente con la quale descrivere lo svolgimento delle effettive prassi linguistiche (soprattutto l’attribuzione di significato e la comprensione).

Si potrebbe, allora, ipotizzare che un approccio non dicotomico consenta una maggiore tutela dei diritti degli imputati e della collettività grazie al maggiore grado informativo fornito ad entrambi (vedremo tra poco i casi di verdetti graduali), una risposta più specifica dell’ordinamento rispetto al caso concreto e, di conseguenza, una maggiore capacità preventiva e una migliore legittimazione del sistema.

Torniamo invece alla critica di Villa. L’autore, dopo aver riconosciuto che l’atteggiamento dicotomico «tocca tutti i punti nodali del ‘lavoro sul diritto positivo’ svolto da giuristi e dagli operatori giuridici»724 specifica di non sostenere la necessità di una

eliminazione totale di queste distinzioni ma afferma la necessità di specificare che le distinzioni dicotomiche «sono radicalmente inadeguate e vanno perciò sostituite con altre più feconde e plausibili»725.

Sebbene le ragioni che Villa ritiene determinanti per la scelta non dicotomica siano prevalentemente epistemologiche, egli riconosce che il rifiuto della dicotomia può trovare fondamento anche ad un livello semplicemente «teorico di analisi [o] pragmatico»726.

Secondo l’autore, infatti, questo procedere «bipolare»:

723 Intuizione che, in ottica costruttivista, potrebbe essere vista come base delle critiche alle nozioni “troppo

forti” diffusesi in ambito giusfilosofico. Cfr. Brewer 1999 e Ferrer 2005.

724 Villa, 1999, p. 1. Per Villa, la problematicità dell’atteggiamento dicotomico che è identificato con la postura

realista è dovuta, soprattutto, a ragioni di tipo epistemologico e rappresentazionale mentre, invece, per Dummett il rifiuto del realismo e della logica classica dipende dal problema di spiegare l’attribuzione di significato e la comprensione linguistica.

725 Villa 1999, p. 3.

726 Villa 1999, p. 3. È interessante notare che, nelle pagine dedicate alla critica dell’impostazione dicotomica,

Villa utilizzi un lessico “militaresco” come: “lanciare l’offensiva”, “strategie di attacco” termini tutti che, in qualche senso, implicano in un certo qual modo il concetto di opposizione, dicotomia.

ha delle conseguenze perniciose sul piano della tenuta di alcuni valori fondamentali degli stati di diritto contemporanei, ovvero favorisce una visione inadeguata del ruolo del giurista (relegando la sua attività critica nei confronti del diritto positivo in una dimensione ‘soggettivistica’, tutto sommato marginale)727.

Villa ha promosso un tentativo di applicare la sua concezione non dicotomica al processo giudiziale fondamentalmente attraverso una critica dell’epistemologia giudiziaria di Ferrajoli che sembra ridursi a due punti focali. Egli attribuisce a Ferrajoli (e al descrittivismo in generale) due postulati criticabili: 1) il nesso inscindibile tra oggettività e corrispondenza728

e 2) un rigido scetticismo di fondo che non consentirebbe mai di raggiungere compiutamente la verità o, se raggiunta «per avventura», non permetterebbe «mai di essere sicuri di possederla davvero». Quest’ultima caratteristica, in particolare, viene considerata da Villa «elemento fondamentale […] per una concezione epistemologica realista»729.

Entrambe le critiche sembrano, tuttavia, molto deboli. Sebbene, infatti, la posizione di Ferrajoli sia stata a tratti ambigua (come è stato messo in luce nel secondo capitolo), egli non sembra mai confondere veramente oggettività e corrispondenza e ciò è apprezzabile proprio dalla distinzione che egli promuove tra significato di “verità” e criteri per cercare la verità730.

Inoltre, sebbene si abbandoni, a volte, a caratterizzazioni della verità che la tratteggiano come qualcosa di irraggiungibile o inarrivabile, la sua posizione generale non sembra affetta da scetticismo. Sebbene Villa creda che sia corretto estendere il suo costruttivismo anche alla pratica giudiziaria, il suo tentativo di difendere tale tesi per l’epistemologia giudiziaria appare discutibile in quanto superficiale.